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Il cittadino e la vita di città

storia



Il cittadino e la vita di città


Alla fine del XII secolo, le città avevano al loro attivo il denaro, il numero degli uomini, le loro temibili solidarietà. Le franchigie cittadine avevano ben altro potere rispetto a quelle dei villaggi.

I cittadini, e i mercanti in primo luogo, avevano ottenuto dappertutto le libertà necessarie alle loro attività. Dalla fine del secolo XII i costumi oppressivi o umilianti si trovavano qua e là ridotti allo stato di vestigia; un diritto cittadino si sovrapponeva alle giurisdizioni che gli facevano concorrenza.

Gli uomini d'affari disponevano di un diritto libero dalla paralisi dei formalismi; potevano senza impacci reclutare la manodopera necessaria ai loro laboratori, controllare pesi e misure, mercati e fiere, regolare l'assunzione del personale e i mestieri, intervenire efficacemente in favore dei loro cittadini vittime di un furto o di un arbitrario sequestro.

Far parte del p 424h79e opolo non era facile; tuttavia il semplice fatto di risiedere a lungo in città assicurava di vivere in una relativa sicurezza, al riparo delle mura che arrestavano la gente a cavallo e i predoni, e poi di non morire di fame, perché la città possedeva delle riserve, dei capitali, una forza sufficiente per condurre in buon porto i suoi convogli di grano, di sopravvivere nel tempo della disoccupazione e della miseria grazie alla distribuzione di razioni, alle briciole della rapina della potenza e della carità.

In Occidente ogni città ha la sua cinta di mura; la cinta protettrice identifica la città, ogni città è chiusa, per necessità politica e militare.



La vicina campagna è dominata dalla proprietà e dai capitali cittadini, punteggiata di residenze borghesi; i suoi contadini frequentano regolarmente il mercato, incrociano sul loro cammino gli agricoltori sempre numerosi nelle metropoli. Tuttavia una differenza c'è, ed è una differenza di dimensioni: una città agricola è più di un grande villaggio e la città occidentale non è caratterizzata dalla sua produzione agricola.

Abitare in città, se si è poveri, significa in primo luogo occupare in due o tre una camera in alto, una tana senza luce o una soffitta che dà su un cortile posteriore; stabilirsi alla locanda, se si ha qualche soldo; disporre di una o due stanze se si ha famiglia. L'artigiano, abita la propria casa, dove ha il suo focolare, la sua cantina e il suo granaio, ma coi servi gli apprendisti.

Essere cittadino vuol dire dipendere dal mercato, del tutto o per una parte dell'anno; comprare il pane, il vino, il companatico; e infine subire gl'inconvenienti dell'essere rinchiusi tra le mura, mancare talvolta d'acqua potabile quando i pozzi sono inquinati; vivere in mezzo agli escrementi.

La municipalità ha potuto relegare i lebbrosi negli ospedali fuori delle mura, pubblicare dei regolamenti sanitari, ma è del tutto incapace di lottare efficacemente contro la peste, che si presenta in occasione d'assedi, di una guerra o di un'epidemia e che fa ripiegare la città su se stessa.

La campagna ha molto alimentato l'espansione, è probabile che all'inizio si dirigessero verso la città uomini agiati che erano attirati dalle sue libertà e dalle sue possibilità d'ascensione sociale.

Dal secolo XII in poi, gli agiati erano preceduti, o seguiti, dai fuggiaschi, dai poveri, dagli straccioni che, con l'aiuto dell'espansione, divennero sempre più numerosi; i laboratori cittadini assorbivano l'eccedenza di popolazione dei villaggi, i figli dei contadini parcellari o anche agricoltori rovinati dal mercato urbano e dall'estensione dei pascoli sui terreni che producevano grano.

Verso il 1300 Arles, una città provenzale, Amiens piccarda e Lione francoprovenzale; solo le metropoli commerciali, politiche o universitarie contano un numero importante di forestieri; ma dappertutto l'effettivo dei nuovi arrivati supera largamente quello degli originari del luogo.

Questi due caratteri: ampliamento dell'area migratoria, squilibrio in favore dei nuovi venuti, furono ancora accentuati dalle calamità del lungo secolo XIV.

Per i magistrati, come per la frazione più stabile e opulenta della società cittadina, i nuovi venuti rappresentavano ad un tempo una necessità e un pericolo; per gl'imprenditori e per i venditori di generi alimentari l'interesse era di aprire; ma nell'artigianato la minima recessione contribuiva a sviluppare vecchi sentimenti d'ostilità, o ad accrescere la distanza tra i neocittadini e gli altri.

La popolazione, in quanto massa, appare formata di cellule ristrette, di nuclei famigliari di tenue densità, la famiglia cittadina è più ridotta della famiglia rurale; la sua stessa struttura la rende fragile, almeno negli strati medi ed inferiori.

Le ragazze erano maritate fra i 12 e 15 anni, mentre sappiamo che gli uomini si sposavano tardissimo: a più di 30 anni.

Età matura e rotture, insieme alla fecondità decrescente delle donne, alla mortalità infantile che colpisce più duramente i poveri, all'aborto frequente e alle pratiche contraccettive senza dubbio sviluppate nelle città italiane.

Ma il matrimonio, molto spesso, fra gli artigiani modesti o gli operai è frutto di una scelta personale. La famiglia cittadina appare così più duttile, più fragile e anche meno duratura della famiglia contadina. I cittadini hanno una coscienza molto netta della fragilità famigliare.

All'interno delle mura risiedevano a stretto contatto, canonici e studenti, nobili e vignaioli, patrizi e proletari, mercanti all'ingrosso e rigattieri, artigiani altamente qualificati e manovali.

Le funzioni cittadine possono essere molteplici, prende il sopravvento la mentalità mercantile che modella le sensibilità e i comportamenti. Il denaro è il sangue della città, il suo fluido vitale e il suo principio organizzatore.

Le fortune borghesi conservano, in effetti, quasi sempre una parte del loro carattere originario: la mobilità. Facilmente mascherate o ostentate, fatti di lingotti o di pezzi di vasellame prezioso, poi di strumenti di credito e di contratti, commesse, prestiti di guerra, depositi bancari, queste fortune sono dinamiche e vive. Anche trasformate dal successo restano relativamente flessibili: case, laboratori, banchi di vendita, terre vicino alla città sono facilmente negoziabili; quanto ai patrizi, detentori di signorie e di blasoni, non divengono mai gente che vive di sola rendita, ma ancora nel secolo XIV sono spesso cambiavalute, appaltatori di pedaggi, di diritti d'ingresso e di tasse come quei cavalieri d'Arles, di Marsiglia o di Pisa che, nel secolo XII, costruivano la loro posizione di potere accaparrandosi i diritti che pesavano sul sale, sul grano e sulle stoffe.

Il mutamento sociale non è il solo fenomeno cui il cittadino deve fare fronte. La specializzazione del lavoro solleva in città dei problemi particolari, sconosciuti al villaggio; gl'individui attendono a compiti altamente differenziati e si trovano spesso davanti a problemi di scelta. Tra il 1200 e il 1500 ci furono continui riadattamenti industriali e commerciali. L'attività urbana moltiplica pertanto i casi di coscienza sul valore del lavoro, del guadagno, del prestito, della ricchezza, e della povertà; del paro l'obbligo di un lunghissimo celibato per i giovani, la vicinanza di donne disponibili, la presenza di un gran numero di chierici rimettono in discussione una morale sessuale inadatta alle nuove condizioni si esistenza.

La storia delle città occidentali è intessuta di episodi di violenza. Queste lotte mettono in primo luogo gli uni contro gli altri "magnati" e "popolani", contrappongono in Italia dei veri e propri partiti dominati da clan.

Molti cittadini vissero lunghi e difficili periodi di tensione, sfuggirono agli orrori della sommossa e della repressione. Queste violenze per lo più sono commesse da giovani o da adulti spesso di condizione modesta, ma che nulla distingue dai buoni cittadini.

Il vino e l'ubriachezza sono spesso la causa, anche se non si può spiegare tutto in qst modo. Ma le violenze civiche (esecuzioni capitali, supplizi, corse attraverso le città.) sono offerte come spettacolo e la morale domestica tiene i colpi in un indebito conto.

L'urbanesimo medievale esprimeva e facilitava la vita di quartiere.  Nelle città gli antichi borghi conservavano la loro individualità, talvolta anche i loro costumi e privilegi.

Nei loro quartieri irti di torri si concentravano le case che discendevano da uno stesso lignaggio, attorno ad un palazzo, a una loggia, a una corte, a una chiesa e vi abitavano parenti, parenti acquistati, clienti e domestici. Quanto agli immigranti, si raggruppavano nelle medesime parrocchie. All'interno del quartiere l'organizzazione dell'habitat, le necessità della prima difesa, della pubblica sicurezza poi, favoriscono il carattere particolare d'un isolotto.

Esso costituisce per il cittadino inurbatosi di fresco uno spazio famigliare che padroneggia facilmente, i cui punti di riferimento sono altrettanti luoghi di socievolezza informale: la taverna dove si riuniscono gli uomini, il cimitero, gli spiazzi, vere piazze di villaggi, dove si parla abbastanza liberamente degli affari della città, i pozzi e il forno dove si affollano le donne.

D'inverno il popolo si riuniva per veglie, raggruppavano uomini, donne, ragazze, chiacchieroni e lavoratori in una casa adatta, in una capanna costruita appositamente o spesso nella chiesa.

Gli operai e i giovani vanno più volentieri all'osteria, a bere e cantare e giocare.

Un incidente, un litigio coniugale più violento del solito, un'invocazione d'aiuto, e i vicini sono la per interporsi, pacificare.

Tuttavia, anche nei quartieri meno favoriti, il vicinato assume qualche funzione fondamentale. Ed è ugualmente il vicinato che riconosce la condizione matrimoniale di una coppia di immigrati, che legittima un'unione, anche se non è stata ritualmente conclusa davanti al prete, in base alle grandi manifestazioni rumorose che circondano il corteo nuziale e la notte di nozze.

Sono infine i vicini che, fino al secolo XIV, prendono in consegna il corpo del defunto con il compito di accompagnarlo al cimitero.

Poco dopo il 1550 i termini urbanità e civiltà fecero la loro comparsa nella lingua. Le raffinatezze dell'urbanità non erano certo patrimonio comune; la città non arrivava mai a smussare le asperità degli uomini che oltrepassavano le sue porte. Riti civici, teatro sacro, prediche rivolte alle masse vi contribuivano, come la vita di confraternita.

La città è il luogo privilegiato dei consumi alimentari, tanto in fatto di quantità, quanto in fatto di varietà, e di qualità. Il borghese dedica a tavola grandissime cure, ne va dell'onore della famiglia; i professionisti del forno e della pentola pure, non c'è città senza pasticceri, rosticcieri, albergatori, capocuochi, talvolta preparano i pranzi in città, i pranzi di nozze e i banchetti delle confraternite. La buona cucina può d'altra parte diventare un elemento della fama cittadina.

Nei secoli XIII e XIV i bordelli restavano ancora chiusi di notte, durante tutta la quaresima, e le città che gestivano la prostituzione pubblica erano rare. Dopo il 1350 le restrizioni si attenuarono, il marchio sul vestito si fece discreto, o addirittura sparì, i poteri municipali istituzionalizzarono la prostituzione. Attorno al 1400 a Venezia, a Firenze, un po' dopo nelle città francesi, le autorità ne facevano un elemento del complesso dei valori civici, uno strumento di salute pubblica. E questo d'accordo con i curati.

Scuole elementari, fondazioni private o municipali adattate alle necessità dei figli di mercanti e di artigiani si moltiplicarono un po' dappertutto, ma dapprima in Fiandra e in Italia, e furono completate, almeno nelle metropoli, de scuole d'abaco, veri istituti tecnici. L'organizzazione scolastica rimase tuttavia, durante tutto il Medioevo, molto spesso insufficiente; fragile di fronte alle resistenze ecclesiastiche, alla concorrenza degli insegnanti privati, alla mancanza di stabilità dei maestri, e alla molto irregolare frequenza degli scolari.

Le scuole cittadine adottano la lingua volgare, propongono delle letture pratiche, formano a una scrittura che poco si cura dell'eleganza ma che vuol essere corrente e leggibile, propongono talvolta, come a Bruges nel 1370, dei corsi di lingue moderne e insegnano soprattutto a fere bene di conto.

La preoccupazione di contare, dei cronisti cittadini esprime quest'abitudine e la poetica della cifra, che in un primo tempo ne fa parte, lascia lentamente il posto a una preoccupazione di precisione ulteriormente accresciuta dalle calamità del secolo XIV.







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