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LOTTO, OPPIO DEI POVERI

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In coda a centinaia di migliaia per giocare al Superenalotto, ul­timo germoglio dell'eterno lotto, di cui tutti, sin dalla cul­la, conoscono il vocabolario magico dei terni, degli ambi, come un abracadabra familiare. Se è vero, come pare, che un generale dei carabinieri, il calabrese Delfino, giocava al lotto centinaia di milioni, si ha la conferma della irresistibi­lità di questa lotteria semplicissima che riempie di sogno e di s 818c28i peranze i concittadini. Antonio Gramsci le dedicò una nelle sue note "sulla politica e sullo stato moderno" osser­vando che è una manifestazione della religiosità popolare; chi vinceva o sperava di vincere pensava di avere, sperava di avere "qualcuno lassù" che lo proteggesse, di essere in qualche modo un "eletto".

Per Balzac il segreto del lotto stava nel prolungamento settimanale della speranza: il numero della roulette è un lampo che dura pochi istanti; quello del lotto un lampo che si prolunga per una settimana.



Era della stessa opinione Benedetto Croce per cui il lotto era "il grande sogno di felicità che il popolo fa ogni sei gior­ni con una speranza crescente, invadente che si allarga ed esce dai confini della vita reale".  Per Croce e per Gramsci il lotto era "oppio della miseria", benefico, consolatorio.

Religioso il lotto è certamente come rito collettivo: che tu vinca o perda hai stabilito una comunione umana con tutti coloro che vi partecipano, ti senti parte di una comunità umana, delle sue speranze e magari della sua confessione di umiltà: non sei fra i pochi amici del diavolo che possono de­cidere i tempi e i modi per arricchirsi, sei uno dei meschi­ni che devono contare sulla fortuna o su "qualcuno lassù". C'è un aspetto strano della psicologia di massa: il rifiuto o la resistenza a considerare gli eventi della vita come frutto del caso e non di una protezione divina o della "dea fortuna" che ne è l'equivalente pagano.

Eppure all'evidenza il caso è un elemento decisivo e onnipresente nella nostra esistenza: per caso ti innamori, ti sposi, fai carriera, subisci un incidente, sfuggi alla morte o muori. Ogni volta che ti capita qualcosa sei portato a pensare che è stato il caso a farti trovare in quell'occasione, in quel luogo, in quel momento. Bastava che un caso diverso ti avesse di­stratto dal tuo casuale destino e il corso della tua vita sareb­be cambiato. Ma evidentemente il caso per gli esseri umani è un fatto troppo "casuale", impersonale, che non distingue fra gli uomini, non li premia e castiga, ma casualmente li tocca: un caso che non riteniamo degno del nostro egocentrismo, del nostro essere "la misura di tutte le cose". Così riempiamo le chiese di ex voto a questo o a quel santo o celeste protettore invece di dedicarli al bistrattato caso. L'universo è, a quanto risulta, una casuale attrazione di atomi e di masse, ma in tu­tte le culture umane viene descri­tto come l'opera di un dio, dotato della grazia inimitabile della creazione. Gli uomini delle lotterie non si arrendono al caso neppure quando le pallottole con i numeri si inceppano nelle macchinette: subito immaginano complotti del Maligno. Il carattere principale delle lotterie è la loro incorporeità, la loro irrealtà: la v­incita arrivata dal cielo si dissolve in pochi giorni, quanti bastano per far capire al vincitore che è rimasto, suppergiù, povero come prima.






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