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UN PARALLELO TRA LINGUAGGIO E LAVORO - La critica dell'economia politica: il lavoro estraniato e l'umanismo integrale

comunicazione





UN PARALLELO TRA LINGUAGGIO E LAVORO






La prima critica di Marx all'economia politica e all'idealismo hegeliano offre spunti di riflessione molto attuali sulla società moderna, a partire dai quali è possibile sviluppare interessanti considerazioni sul linguaggio, tentando di stabilire un parallelo con il lavoro ed evidenziando fino a che punto, in questa prospettiva, linguaggio e lavoro possano essere assimilati.






1 - La critica dell'economia politica: il lavoro estraniato e l'umanismo integrale.



I Manoscritti economico-filosofici del 1844 sono un'opera frammentaria risalente al periodo del soggiorno parigino di Marx (che va dal marzo al settembre del 1844 ): essi costituiscono tutto quello che è "rimasto" di una iniziale e parziale esecuzione del disegno generale del lavoro del filosofo, ovvero la critica dell'economia politica. Dalla lettura di questi "frammenti" emerge una prima caratteristica del marxismo: la sua irriducibilità ad una dimensione puramente filosofica, sociologica o economica, il suo porsi come un'analisi globale della società e della storia, che investe l'assetto strutturale e sovrastrutturale del capitalismo e le molteplici espressioni del mondo borghese. Come scrive Karl Korsch, "..il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi,.nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro" . Un secondo aspetto caratteristico del marxismo, che sarà trattato anche nei paragrafi successivi, è la sua tendenza a fornire un'interpretazione dell'uomo e del suo mondo che sia anche un impegno di trasformazione rivoluzionaria, secondo l'ideale di un'unione fra teoria e prassi, "..l'ideale di tradurre in atto quell'incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato e che Marx si propone di attuare con la prassi mediante l'edificazione di una nuova società" . Tuttavia, l'obiettivo di questo paragrafo è delineare la critica di Marx all'economia politica e alla civiltà moderna, facendo riferimento al capitolo finale del primo manoscritto, Il lavoro estraniato (forse il meno incompleto e il più elaborato), ed evidenziare gli elementi di tale critica che possono portarci a stabilire un parallelo tra lavoro e linguaggio.

La critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale rappresenta uno dei nuclei teorici più importanti del marxismo: già nella Critica della filosofia del diritto di Hegel del 1843, in cui Marx comincia a misurarsi polemicamente con i problemi della filosofia politica moderna, e in modo compiuto 222b15c negli Annali franco-tedeschi del '44, emerge chiaramente la convinzione che l'inizio della modernità si identifichi con la scissione fra Stato e società. La civiltà moderna rappresenta, secondo Marx, la società dell'egoismo e delle particolarità "reali", la società della fratellanza e dell'universalità "illusorie". Con il decadimento in ideologia dell'idea borghese di una paradigmatica uguaglianza fra homme, bourgeois e citoyen , nasce un'antitesi fra ego pubblico ed ego privato, fra sfera individuale e sfera sociale, fra il borghese e il semplice cittadino. I tratti essenziali di questa civiltà moderna sono l'individualismo e l'atomismo ( la separazione del singolo dalla comunità ): lo Stato post-rivoluzionario altro non è che la proiezione politica, economica e culturale di una società strutturalmente a-sociale. La nuova società prospettata da Marx, secondo l'ideale di una democrazia sostanziale o totale in cui individuo e comunità si compenetrino e si identifichino, presuppone l'eliminazione delle disuguaglianze reali fra gli uomini, del principio stesso di ogni disuguaglianza, ovvero la proprietà privata.

I Manoscritti costituiscono un'estensione di questo schema critico dal campo politico al campo economico: l'economia politica, l'economia borghese, è un'espressione teorica della società capitalistica, che propone una visione falsa e mistificata del mondo ed esclude ogni prospettiva storico-processuale. "L'economia politica parte dal fatto della proprietà privata. Ma non ce la spiega. Coglie il processo materiale della proprietà privata quale si rivela nella realtà, ma lo coglie in formule generali, astratte, che hanno per essa il valore di leggi. Essa non comprende queste leggi, cioè non riflette in quale modo esse derivino dall'essenza della proprietà privata. (..) L'economia politica non ci spiega nulla sul fatto che queste circostanze esterne, apparentemente accidentali, sono null'altro che l'espressione di uno svolgimento necessario" . L'economia politica considera la proprietà privata come un fatto, come un dato metastorico, come il postulato di ogni ricerca scientifica, senza riconoscerla come la causa determinante della conflittualità e della contraddittorietà del sistema capitalistico, come il motivo dell'opposizione fra capitale e lavoro salariato, fra borghesia e proletariato, fra proprietari e operai, fra le forze produttive sempre più sociali e il carattere privatistico dei rapporti di produzione.

Marx esprime questa contraddittorietà mediante il concetto di alienazione: con questo termine si intende una condizione patologica di scissione, di dipendenza e di autoestraniazione; un fatto reale, di natura socio-economica, una problematica che riguarda direttamente l'operaio, il non proprietario, il salariato, ed indirettamente il sistema capitalistico stesso. "La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose.. - e - ..l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso (il lavoratore) come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che la produce" , quindi la realizzazione del lavoro si presenta come annullamento dell'operaio, l'oggettivazione del lavoro come perdita e duplice asservimento dell'uomo, in quanto operaio e soggetto fisico, all'oggetto, l'appropriazione del lavoro come estraniazione, come alienazione. Rispetto al prodotto del proprio lavoro l'operaio viene a trovarsi come rispetto ad un oggetto estraneo, in uno stato di alienazione. Inoltre ".se prodotto del lavoro è l'alienazione, la produzione stessa deve essere alienazione attiva, alienazione dell'attività, l'attività della alienazione" , poiché il lavoro non è volontario ma forzato, costrittivo, soddisfa bisogni estranei e comporta una perdita di se stessi. L'uomo si sente libero soltanto quando espleta le sue funzioni "animali" , mentre si sente "bestia" nelle sue funzioni umane, ovvero nel lavoro sociale, quando dovrebbe sentirsi "uomo". Il lavoratore non è alienato soltanto rispetto al prodotto e alla stessa attività produttiva, infatti, "..poichè il lavoro estraniato rende estranea all'uomo la natura e l'uomo stesso, ..la sua attività vitale, rende estraneo all'uomo (anche) la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale" . Il lavoro, l'attività vitale, la vita produttiva, ovvero la vita della specie, diventa per l'uomo soltanto un mezzo per conservare la propria esistenza fisica. L'attività libera, cosciente, creativa e universale è il carattere specifico della species dell'uomo, ma il lavoro forzato, ripetitivo, unilaterale, fa della vita dell'uomo come essere appartenente ad una specie un mezzo della sua esistenza fisica. Perciò il lavoro alienato comporta un'estraniazione dell'uomo dalla natura, da se stesso, dall'essenza dell'uomo, e dall'uomo stesso, dall' "altro" uomo.

La proprietà privata è una conseguenza inevitabile del lavoro alienato, il lavoro alienato è l'essenza della proprietà privata e l'alienazione dell'operaio è determinata dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. L'alienazione economica è alla base di tutte le forme di alienazione dell'uomo: nella prospettiva rivoluzionaria di Marx prende così forma l'ideale di un'emancipazione umana che miri al recupero autentico dell'essenza sociale dell'uomo, all'instaurazione del socialismo inteso come "umanismo giunto al proprio compimento". Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata, intesa come autoestraniazione dell'uomo, si identifica con l'umanismo e col naturalismo, è ".la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie" . La società deve essere il "termine di mediazione" tra l'uomo e la natura e tra l'uomo e l'uomo: ".la società è - secondo Marx - l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanismo compiuto della natura" .

A questo punto possiamo chiederci: che ne è del linguaggio nella modernità e che tipo di legame o parallelismo è possibile individuare tra lavoro e linguaggio? Il linguaggio può diventare una "proprietà estranea" ? E' anch'esso un mezzo di produzione? E' possibile parlare di oggettivazione ed estraniazione del linguaggio? Il rapporto uomo-natura deve essere dialogico o dialettico? Che ruolo ha il linguaggio come strumento di autoproduzione dell'uomo? e nella realizzazione di un umanismo integrale?












2 - La critica della dialettica hegeliana: la necessità di recuperare un rapporto dialogico fra uomo e natura.



Per comprendere la portata di questi interrogativi è indispensabile assumere un secondo punto di riferimento, complementare alla critica dell'economia politica: la critica della dialettica hegeliana. Sebbene vi siano dei legami molto evidenti tra Marx ed Hegel, i Manoscritti evidenziano l'ormai raggiunta consapevolezza del "vizio d'origine" della filosofia hegeliana, l'astrattismo. L'idealismo hegeliano si basa su tre tesi fondamentali: la risoluzione del finito nell'infinito, l'identità fra ragione e realtà, la funzione giustificatrice della filosofia.

Secondo Hegel il mondo è la manifestazione o la realizzazione di un organismo unitario, dell'Assoluto, dell'Infinito,ovvero di Dio idealisticamente e panteisticamente inteso come realtà immanente nel mondo, come un Infinito che si fa mediante il finito. Quindi l'Assoluto si identifica con un Soggetto spirituale in divenire, che attraversa tre momenti: l'Idea, che è l'Idea in sé e per sé, ovvero l'unità dialettica di pensiero ed essere (alla quale corrisponde la logica); la Natura, che è l'Idea fuori di sé, ovvero l'estrinsecazione, l'alienazione dell'Idea nelle realtà spazio-temporali del mondo (alla quale corrisponde la filosofia della natura); lo Spirito, che è l'Idea che ritorna in sé, nell'uomo, dopo essersi fatta natura (alla quale corrisponde la filosofia dello spirito). Dall'identità di pensiero ed essere, concetto e cosa, soggetto e oggetto, infinito e finito, si comprende che per Hegel la razionalità non è pura idealità, astrazione, schema, dover essere, ma la forma stessa di tutto ciò che esiste, poiché la Ragione governa e costituisce il mondo, e la realtà non è una materia caotica bensì il dispiegarsi di una struttura razionale che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo. Così Hegel arriva a formulare un celebre aforisma che sembra definire l' "essenza" dell'hegelismo: "Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale" (3). Da questo punto di vista, Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono, nel giustificare razionalmente ciò che esiste.

Dopo aver delineato l'idealismo hegeliano è necessario rivolgere l'attenzione in modo specifico alla dialettica hegeliana e alla Fenomenologia dello Spirito, che rappresentano i punti di riferimento della critica rivolta da Marx ad Hegel.

Sul piano logico e ontologico, la dialettica è la "legge" che regola il divenire dell'Assoluto e, al tempo stesso, la legge dello sviluppo e della comprensione della realtà. Secondo Hegel, la dialettica comprende: un momento astratto o intellettuale, ovvero l'affermazione, la posizione di un concetto astratto e limitato che funga da tesi; un momento negativo-razionale, ovvero la negazione di questo concetto come un alcunchè di limitato o di finito, il passaggio ad un concetto opposto che funga da antitesi; un momento positivo-razionale, ovvero l'unificazione della precedente affermazione e negazione, la ri-affermazione dell'affermazione iniziale,tramite la negazione della negazione intermedia, in una sintesi positiva e comprensiva di entrambe. La dialettica illustra sostanzialmente il principio fondamentale dell'idealismo hegeliano, la crisi del finito e la sua risoluzione nell'infinito, "..ma Hegel - come Marx sottolinea nelle prime pagine dell'ultimo capitolo del terzo manoscritto, dedicato appunto alla critica della dialettica - concependo la negazione della negazione - in base alla relazione ivi implicita - come l'unico e vero positivo, e in base alla relazione negativa pur ivi implicita, come l'unico atto vero, come l'atto con cui ogni essere attua sé stesso, non ha trovato altro che l'espressione astratta, logica, speculativa per il movimento della storia, che non è ancora la storia reale dell'uomo come soggetto presupposto, ma è soltanto l'atto di generazione dell'uomo, la storia dell'origine dell'uomo" [9]. Marx critica la dialettica speculativa (o idealistica), in quanto movimento della coscienza con sé stessa: infatti, nella Fenomenologia dello spirito Hegel ripercorre la via seguita dalla coscienza umana durante il processo di risoluzione del finito nell'infinito. La fenomenologia è la storia romanzata della coscienza che, dopo un lungo e travagliato percorso, esce dalla sua individualità, coglie l'universalità e si riconosce come Coscienza infinita o universale, come ragione che è realtà e realtà che è ragione. Senza dubbio Hegel concepisce l'uomo in una prospettiva storica, come il risultato della propria attività, di un processo di autogenerazione (inteso in termini di alienazione e soppressione dell'alienazione), nell'ambito del quale il "lavoro" assume una funzione determinante.

Come è già stato osservato, Marx identifica la dis-alienazione dell'uomo con il superamento del regime della proprietà privata e con l'avvento del comunismo, per cui la storia si configura come il luogo della perdita e della riconquista da parte dell'uomo della propria essenza. Il comunismo rappresenta la "soluzione dell'enigma della storia": è in questa dialettizzazione del corso della storia che si può cogliere l'influsso della fenomenologia hegeliana. Marx riconosce ad Hegel il merito di aver evidenziato la dialettica della negatività come principio motore e generatore, e quindi di aver intuito come la liberazione scaturisca dialetticamente dall'oppressione, poiché l'unico modo di realizzarsi per l'uomo consiste proprio nel negare le condizioni che negano la propria esistenza. Ma se il comunismo è "la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo", e il rapporto fra uomo e natura non deve essere un rapporto dialettico ma dialogico, ai fini della realizzazione di un umanesimo integrale, Marx critica la dialettica hegeliana nella misura in cui tale procedimento speculativo tende ad unificare il molteplice, a conciliare le opposizioni, a pacificare i conflitti a ridurre ogni cosa all'ordine e alla perfezione del Tutto, a realizzare un dominio dell'universale sull'individuale (anche se nei limiti dell'astrazione filosofica). Contrariamente, l'umanismo integrale di Marx presuppone un recupero dell'individualità nell'ambito di un rapporto dialogico tra uomo e natura, tra uomo e uomo, tra l'uomo e sé stesso, che non può avvenire senza il linguaggio, sebbene nel movimento del lavoro anch'esso possa essere strumento e oggetto di estraniazione.

Per questo, Marx non nasconde che, nonostante Hegel abbia colto l'espressione astratta per il movimento della storia, i limiti dell'idealismo hegeliano consistono nell'aver ridotto l'individuo ad autocoscienza o spirito, considerandone l'essenza astratta; nell'aver concepito il lavoro come attività spirituale del filosofo; nell'aver inteso l'alienazione e la disalienazione come processi ideali, che si realizzano a livello coscenziale e filosofico e non sul piano pratico; nell'aver identificato l'alienazione con l'oggettivazione del soggetto, senza considerare quest'ultima come quell'oggettivazione negativa e disumanizzante propria del lavoro operaio nella moderna società capitalistica (4). Secondo le sue parole, i limiti di Hegel stanno nell'aver inteso "gli atti con cui l'uomo si estrania da se stesso, aliena il proprio essere, e vien meno alla propria oggettivazione e alla propria realizzazione, come un atto con cui conquista se stesso, muta il proprio essere, si fa oggettivo e reale"; nell'aver concepito "..entro l'astrazione, il lavoro come l'atto con cui l'uomo produce se stesso..;.. il rapporto dell'uomo a se stesso come rapporto ad essere estraneo..;.. l'attuazione di sé come attuazione di un essere estraneo.in divenire" .

A questo punto è possibile affrontare gli interrogativi sollevati alla fine del primo paragrafo considerando la problematica del lavoro estraniato, la critica della dialettica hegeliana e, soprattutto, facendo riferimento ad alcuni passi dell'Ideologia tedesca (scritta da Marx in collaborazione con Engels).








3 - Il linguaggio e il lavoro nella "società moderna".



Dovendo trarre delle conclusioni sul rapporto tra linguaggio e lavoro, pur consapevoli dei nostri limiti, non possiamo limitarci ad una semplice visione d'insieme dell'opera critica di Marx, sebbene si sia già detto più di quanto sembri, considerando la portata di questa problematica.

Come scrivono Marx ed Engels nell'ideologia tedesca, relativamente al rapporto tra prassi e linguaggio, fin dalle origini la coscienza dell'uomo, lo spirito "..porta in sé la maledizione di essere infetto della materia, che si presenta qui sotto forma di strati d'aria agitati, di suoni, e insomma di linguaggio. Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini" . La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza e quindi del linguaggio dipende dall'attività materiale e dalle relazioni materiali dell'uomo: il linguaggio è la realtà immediata del pensiero ed entrambi sono manifestazioni della vita reale.

Secondo la concezione materialistica di Marx il linguaggio è un mezzo di produzione, é il solo mezzo di produzione che possa garantire un'integrazione delle forze produttive, e quindi una divisione del lavoro secondo il bisogno della società, della comunità degli uomini coscienti della necessità di stabilire rapporti con gli altri uomini per sopravvivere come uomini. Tuttavia nel momento in cui la società capitalistica ha "introdotto" il lavoro estraniato, determinando un'oggettivazione disumanizzante dell'uomo, un'alienazione dell'uomo rispetto al prodotto della sua attività e alla sua stessa attività, sono caduti i presupposti del linguaggio, che diventa un linguaggio estraniato, si oggettiva, si trasforma in una proprietà estranea, diventa qualcosa di cui l'uomo non può più servirsi per soddisfare i bisogni materiali della società, che sono limitati e condizionati dal capitalista, dall'egoismo e dalle particolarità reali. L'uomo si sente estraniato rispetto al linguaggio come rispetto al lavoro, si sente deprivato della sua stessa coscienza di essere sociale. In questa prospettiva, l'eliminazione del lavoro estraniato, la dis-alienazione dell'uomo, e quindi la realizzazione pratica del comunismo, implica necessariamente un recupero della coscienza di ogni singolo individuo, e conseguentemente del linguaggio, l'unico strumento che possa garantire un rapporto dialogico tra l'uomo e la natura, preservando quel conflitto vitale di bisogni, di necessità, di forze essenziali, indispensabile per la realizzazione dell'Uomo.


Massimiliano Lauriello




- BIBLIOGRAFIA



- K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844 , edizione a cura di Norberto Bobbio, Einaudi editore, Torino 1999.

- K. Korsch, Marxismo e filosofia, Sugar, Milano 1966.

- N. Abbagnano, G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia (volume terzo), Torino 1996.





K. Korsch, Marxismo e filosofia, p. 87.

N. Abbagnano, G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia (volume terzo), p. 361.

Vedi J. Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, cap. II-III-IV

K. Marx, Manoscritti economico- filosofici del 1844, pp. 69-70.

K. Marx, ibidem, p. 71.

K. Marx, ibidem, p. 74.

K. Marx, ibidem, p. 77.


Riguardo quest'uso del termine " animali", Marx precisa che Certamente mangiare, bere e procreare sono anche funzioni schiettamente umane. Ma in quell'astrazione, che le separa dalla restante cerchia dell'attività umana e le fa diventare scopi ultimi ed unici, sono funzioni animali ( p.75) .


K. Marx, ibidem, p. 111.

K. Marx, ibidem, p. 113.

Dalla Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto.

K. Marx, ibidem, p. 162.

K. Marx, ibidem, pp. 180-181.

K. Marx - F. Engels, L'ideologia tedesca.


(4) A questo proposito Marx scrive che l'Enciclopedia di Hegel..termina.con il sapere assoluto, con lo spirito che è cosciente di sé e si comprende da sé stesso, con lo spirito filosofico o assoluto, cioè sopraumano ed astratto. Perciò.non è altro che l'essenza tutta spiegata dello spirito filosofico, la sua autooggettivazione.. (.) ..lo spirito filosofico non è altro che lo spirito estraniato del mondo, che pensa nell'ambito della propria autoestraniazione, cioè si comprende astrattamente. (.) Il filosofo - e dunque proprio una forma astratta dell'uomo estraniato - si pone come misura del mondo estraniato ( pp. 162-163-164).







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