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Lo Pnice o l'enigma del fondamento = L'invenzione della democrazia

sociologia



Lo Pnice o l'enigma del fondamento


L'invenzione della democrazia

Intorno alla metà del V secolo sulla collina ateniese dello Pnice viene inventata la democrazia. Una moltitudine (circa 6.000 persone) lì si riunisce a scadenze regolari e tratta le faccende della città. Sulla collina dell'Acropoli invece il popolo ateniese venera le proprie divinità tutelari (in particolare Atena). Dove bisogna situare il fondamento della città e la legittimità del diritto: sullo Pnice o sull'Acropoli? La città greca quando si autoistituisce come polis sovrana la inventa contemporaneamente sia la democrazia (azione politica istituente), sia la filosofia (riflessione sul meta-criterio della verità e della giustizia), sia la storiografia che non si accontenta più di riferire solo la cronaca degli eventi ma spiega anche il perché (avrebbero potuto svolgersi diversamente), sia la tragedia che pone tutti questi interrogativi sulla scena.

La nascita della democrazia ateniese risale alle riforme di Dracone che nel VII sec. a.c. registrano la scrittura delle leggi e istituiscono un limite alla giustizia familiare esercitata dalle nobili famiglie. Questo sviluppo prosegue nel corso del VI sec. nonostante interruzioni e regressioni. Le riforme di Solone e Clistere consolidano progressivamente il potere del popolo riunito nelle due assemblee dell'ecclesia e della boulé. Ma soprattutto sotto il governo di Pericle, V sec., trionfa la democrazia. Si può affermare che la materia della tragedia è il pensiero sociale proprio della città ed in particolare il pensiero giuridico in piena fase di elaborazione. Sulla scena gli autori tragici si pongono la domanda del meta-criterio del giusto e sul piano sociale il demos è sovrano nelle dimensioni del politico. E' autonomo (si regge su proprie leggi adottate nelle assemblee), si autogoverna con l'intermediazione di magistrati eletti o tirati a sorte e si attribuisce una giurisdizione indipendente, l'Areopago a cui partecipano i cittadini. Al contempo viene affermata l'uguaglianza politica di tutti gli uomini liberi sia nell'uguaglianza davanti alla legge (isonomia) e sia nell'uguale partecipazione alle faccende pubbliche. Ognuno ha lo stesso diritto di p 323e41d arola.



Così in un secolo e mezzo si è passati dalla città antica fondata su valori aristocratici di forza e coraggio alla città democratica dove le decisioni vengono adottate con il voto ed i capi sono scelti dalla sorte o dal suffragio. I costumi antichi della giustizia familiare basati su onore, sangue e vendetta vengono sostituiti dalle leggi adottate dopo le discussioni nelle assemblee popolari e dalle decisioni di giustizia prese a maggioranza. Parallelamente all'istituzione politica del popolo c'è l'idea dell'individuo in quanto soggetto politico e cittadino attivo. Da Eschilo a Euripide la tragedia rifletterà questa attenzione alla persona in quanto individualità autonoma e responsabile.

Viene considerata in modo diverso la rappresentazione del mondo. L'universo mitico e le vecchie divinità lasciano il posto ad una diversa riflessione scientifica e filosofica con nuove divinità antropomorfe. Anche qui la tragedia farà da eco a queste trasformazioni (Eschilo e Sofocle riferiscono l'ordine di questa riflessione alle trasformazioni del governo cittadino).

La questione centrale è il posto occupato dall'uomo nell'universo ed il ruolo che esso stesso assume nella costruzione del proprio destino. Bisogna sapere se l'autonomia è possibile ed augurabile. Bisogna chiedersi se si può negoziare il diritto, e se si dove si situa il criterio del buon diritto e come si può essere sicuri di rispettarlo.

I Greci hanno una visione del mondo sia fisica che politica sia non rispondente completamente ad un criterio di ordine e sia non completamente affidata al caos. Si è così aperta una via all'azione istituente ed alla riflessione critica prive di un'assicurazione data da una conoscenza certa delle cose (episteme). Platone nel Protagora ricorda che ognuno attraverso il senso civico e il senso di giustizia si è visto attribuire la capacità di formarsi un'opinione (doxa) sulla necessità del bene pubblico. Il nostro mondo è solo parzialmente ordinato e la sicurezza ci viene data dalla diffidenza verso l'eccesso e dalla limitazione al giusto mezzo. Aristotele presenterà il giudice come "colui che divide in due" e la virtù come punto di equilibrio tra due eccessi opposti. I drammi di Eschilo e Sofocle sono esortazioni alla saggezza. Guardarsi dalla tirannide ma anche dagli eccessi della demagogia popolare, saper perdonare ma senza calpestare le antiche leggi, far andare avanti le leggi della città senza dimenticare le leggi divine. La forza del genere tragico sta nel messaggio che parte da casi parossistici (esagerati) il cui messaggio resta ambiguo dall'inizio alla fine. La tragedia mette in scena problemi che non possono essere ignorati né superati.

In questo senso si afferma la necessità e l'impossibilità di essere veramente autonomi (impossibilità di separare il livello umano dal divino). La tragedia ci propone una forma di superamento (di autosuperamento). Tant'è che l'infelicità che spesso colpisce l'eroe non viene mai associata all'assurdo o alla disperazione ma suggerisce che ciò che è impossibile è comunque necessario. Accanto alle assemblee, ai magistrati ed ai tribunali le tragedie svolgono una parte essenziale nella democrazia ateniese, una vera e propria scuola di educazione civica senza però impartire alcun insegnamento dogmatico (indiscutibile). La tragedia è stata necessaria alla democrazia ateniese come il Consiglio e l'Assemblea del popolo. La tragedia dà agli Ateniesi lo spettacolo dei loro stessi paradossi politici, delle loro aporie fornendo a volte possibili soluzioni. Si parla solo indirettamente di questioni di legge e di giustizia ma occupandosi di faccende di famiglia o litigi tra gli dei si toccano i rapporti tra l'Olimpo, la Polis ed il genos. La tragedia viene accompagnata dalla riflessione filosofica che dà il fondamento del sociale attraverso il modello del contratto e dalla storiografia che si interroga sul corso degli eventi. I sofisti hanno sviluppato una concezione autoreferenziale della società e quindi il contratto è per loro il fondamento delle leggi della città. Tema adottato da molti autori come Protagora, Ippia, Antifone, l'Anonimo di Giamblico e Licofrone che hanno diffuso le idee della legge come contratto stipulato tra i cittadini e della società come artificio necessario per sottrarsi alla violenza del cosiddetto stato di natura.

Per Protagora "l'uomo è la misura di ogni cosa" e da quando si impone questa tesi la concezione della storia viene a sua volta modificata. La storia non appare più come l'opera esclusiva del caso o del destino ma come il prodotto delle stesse azioni dell'uomo. Si apre il campo dell'investigazione politica che trova in Erodoto e Tucidite i primi esploratori. Se il passato chiede di essere spiegato ed interpretato il futuro si apre all'azione politica ed alla libertà umana, un senso che può essere istituito solo dall'azione politica. I tragici si chiedono se la società è in grado di assumersi questa indeterminazione, se l'autoriferimento è in realtà concepibile e se è pensabile un futuro radicalmente aperto.


Prometeo incatenato o la prova di forza

In Il Prometeo incatenato di Eschilo si assiste al supplizio senza fine di Prometeo incatenato alla sua roccia per ordine di Zeus. Il titano ha la colpa di aver rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini. Prometeo rifiuta di umiliarsi di fronte a Zeus e respinge tutte le offerte di mediazione che gli sono proposte. Prometeo ha il dono della prescienza (precognizione) e conosce il nome della donna che potrebbe dare a Zeus un figlio capace di spodestarlo dal trono. E Prometeo sembra avvalersi di questo argomento per potersi salvare.

Il Prometeo incatenato è l'antimodello del diritto dialogico. Rappresenta l'archetipo del contratto-mercanteggiamento. Infatti è la rappresentazione di un'aporia (APORIA vuol dire passaggio impraticabile. Nella filosofica antica indicava la difficoltà nel ragionamento risultante da due argomenti, presi entrambi come possibili, ma che portano a conclusioni opposte. Per esempio l'aporia può essere legata al concetto di infinito. Per Socrate come liberazione del falso sapere. In senso più ampio si può intendere come difficoltà logica dovuta alla contraddizione tra due premesse), di un tempo immobile prodotto da un rapporto di forze. Da un lato Zeus, padrone inflessibile, usurpatore che si è impadronito del potere con la violenza cacciando dall'Olimpo suo padre Kronos. Zeus crea il diritto secondo il proprio piacere, governa senza rendere conto a nessuno. Di fronte al monarca violento e vendicativo si erge Prometeo, incorruttibile ed astuto che non svelerà il suo segreto finché non sarà stato prima liberato e risarcito.

Si abbozza pertanto una forma di relazione giuridica che rispecchia il modello basato sul criterio della forza e dell'astuzia. Alle minacce di Zeus corrisponde il ricatto di Prometeo. Alla violenza del potere si oppone la speranza di ritorsione di Prometeo. C'è pure qualche momento di negoziazione: Zeus vuole conoscere il segreto per scongiurare il rischio che si avveri la predizione ma Prometeo vuol sfruttare tutto ciò per essere liberato. E quindi di fatto non avviene nessuna negoziazione in quanto i due non parlano mai direttamente ma solo attraverso l'intermediazione di Ermes. E Prometeo rifiuta l'offerta di mediazione che gli viene proposta da Oceano. In questo modo la situazione rimane bloccata e Prometeo letteralmente rimane incatenato alla sua roccia. Ognuno dei 2 rimane chiuso in una logica di vendetta, e la prova di forza sembra durare all'infinito. Ma in un ultimo soprassalto di forza Zeus fracassa la roccia e fa precipitare Prometeo sulla terra. Ma l'ultima parola non si può ancora dire, non si può sapere se ci sarà una nuova apparizione di Prometeo.

Si discute sulla questione se il Prometeo incatenato fosse la parte di una trilogia di cui le altre 2 parti sono scomparse. E forse si sarebbe potuto avere una fine diversa della vicenda.

Si potrebbe sostenere che il litigio fra i due non riguardi gli uomini e le loro istituzioni. La condizione di Prometeo è ricca di ambiguità. L'Antico Titano fa parte della famiglia delle vecchie divinità declassate, la cui legittimità è ancor più antica, se non superiore, di quella di Zeus. Prometeo è amico degli uomini ed è stato 2 volte umiliato: attraverso il supplizio e attraverso il declassamento. Prometeo viene fatto vedere da Eschilo come il superuomo che affronta e sfida gli dei. Può essere che forte della sua conoscenza riesca a far recedere il dio geloso e impulsivo.

La scena in cui si svolge la tragedia sembra avere un po' di autonomia in quanto Prometeo conosce più di Zeus e anche se nell'immediato la sola prospettiva sono i tormenti il futuro invece potrebbe essere suo. Prometeo sconta la sua pena per aver elevato l'uomo al sapere ed è proprio l'uomo che all'ultimo attraverso l'interposizione del semidio che viene castigato. La prova però non volge a suo sfavore. Eschilo presenta Zeus con tratti sfavorevoli come per liberare gli uomini da una sorta di colpa originale conseguente al reato del furto del fuoco. Eschilo in qualche modo suggerisce che l'ultima parola spetta al sapere. Prometeo viene identificato con l'uomo che è condannato a soffrire per un tempo indefinito ma poi viene liberato per un tempo duraturo.

La tragedia ha in sé due messaggi: da un lato la libertà primigenia (primordiale, originaria) dell'uomo e la sua capacità di affrontare gli dei e dall'altra l'aporia (la difficoltà del passaggio tra i due punti opposti) a cui conduce un rapporto giuridico fondato sulla forza (violenza, astuzia, vendetta, rivincita). Come accade sempre nella tragedia il messaggio ha un doppio linguaggio. Se l'incatenato non è l'uomo ma Prometeo (un uomo, un dio, un superio) si arguisce che prima o poi l'ultima parola spetterà alla ragione.


Le Eumenidi o il trionfo della parola (dire il diritto)


Nelle Eumenidi Eschilo torna sul rapporto di forza e sul tema della vendetta, anche se propone un'altra soluzione. Le Erinni esigono il prezzo del sangue e conservano il ricordo dei delitti hanno il dovere di punire Oreste che ha ucciso la madre. Ma Oreste aveva il diritto di uccidere Clitemnestra poiché Apollo gli aveva dato l'oridine di farlo poiché essa stessa aveva ucciso il marito Agamennone. Ognuno quindi agisce secondo il proprio codice e non sembra possibile alcun compromesso. La mediazione di Atena apre un nuovo scenario (modello legge-contratto) basato su autorità e lealtà. Mediante la persuasione si può negoziare un diritto che promuove nuove istituzioni.

Le Eumenidi è un'opera complessa e coerente dove vari temi si intrecciano e si rafforzano. Vi sono 2 domande che guidano la storia: quale sarà la sorte di Oreste e che posto verrà riservato ad Atene alle Erinni, antiche divinità.

Vi sono questioni che riguardano lo stesso diritto. A quale legge bisognerà riferirsi per far finire i dissidi: a quella dell'antico diritto fondato su tradizioni aristocratiche della forza, del legame di sangue, del coraggio e della vendetta oppure al diritto nuovo basato su leggi adottate a maggioranza che concede spazio all'amnistia se lo richiede il bene pubblico. Tratta anche sulla procedura che si dovrà adottare per risolvere un processo umano che pone in causa prerogative divine ossia se bisogna aspettare che le cose facciano il loro corso oppure istruire un processo e far terminare la causa con un dispositivo di sentenza.

C'è il motivo supplementare della mediazione di Atena che dà alla tragedia unità ed originalità. Un'idea politica assolutamente nuova che consiste nel sostituire il dialogo alla forza. Negoziando il diritto Atena sperimenta e dimostra la possibilità di istituzioni giuste basate sull'autorità delle leggi e sulla lealtà dei protagonisti.

La storia si svolge a Delfi. Apollo si fa carico del parricidio di Oreste mentre le Erinni imprecano contro di lui perché ha calpestato i piedi delle antiche divinità. Questo è il punto. La questione di precedenza delle divinità. O si sancisce il trionfo di Apollo e Atena (ma quest'ultima sa rispettare i diritti e le prerogative (caratteristiche) delle antiche divinità) che incoraggia gli uomini verso l'aspirazione all'autonomia oppure si registra la vittoria delle Erinni e Ade a cui i mortali devono rendere conto.

La scena seguente è ad Atene. Oreste abbracciando la statua di Atena chiede che venga fatta giustizia. Il primo gesto che instaura il diritto è proprio la richiesta di giustizia. E' in gioco l'appello ad un terzo imparziale in nome di un diritto che potrebbe mediare la situazione. Le Erinni però non capiscono un tale linguaggio. Atena risponde all'appello che le è stato rivolto ed il suo intervento assume un contenuto giuridico. Prima di parlare Atena ascolta. Ognuna delle parti vine invitata a spiegarsi, a fornire i motivi del proprio comportamento e le ragioni dei propri atti. Così Atena ottiene fiducia da entrambe le parti e può essere giudice del loro dissidio. C'è un primo, decisivo passo in cui all'impulso immediato succede il tempo differito del processo. Ognuno viene invitato a verbalizzare le proprie pretese: si pone la questione del meta-criterio del giusto. Ad Atene si pone la questione del meta-criterio della procedura su chi sarà competente a risolvere il dissidio tra uomini e dei. Atena istituirà un tribunale umano e si preoccuperà di far giurare i giudici e di costituire un tribunale destinato a durare sempre. Prestando giuramento i giudici si vincolano se non alle leggi almeno ai valori preesistenti. La giurisdizione si impegna in un'opera duratura di giustizia la cui vocazione è la coerenza e la stabilità che sono modi efficaci per abbinare autonomia e eteronomia nella fondazione dell'istituzione giudiziaria.

Le Erinni hanno compreso il pericolo che le nuove leggi sostituiranno le antiche ma Atena non si lascia scoraggiare avendo fissato leggi destinate a durare per sempre e aspetta solo che i giudici enuncino la giusta sentenza. Si apre così il processo che Atena conduce personalmente: Apollo ed il Corifeo sostengono la loro causa ognuno facendo valere il diritto dell'altro. Viene messo in discussione anche il fatto che l'assassinio di Clitemnestra fosse ordinato da Zeus (non si può prestare fede a chi ha incatenato il suo vecchio padre). Atena invita i giudici a prendere una decisione in coscienza sulla base del giuramento prestato. A titolo preventivo rivela la legge che fonda l'Aeropago: quella che ordina di astenersi dai delitti. Visto che il contenuto delle leggi non è mai originale ma ciò che conta è il fondamento che è alla base, Atena il rispetto della giustizia ed il timore del castigo garantiti da un tribunale incorruttibile, venerabile e spietato. Così la città si guarderà sia dall'anarchia che dal dispotismo. E qui vi è un paradosso. Atena integra le parole delle Erinni e quindi il loro messaggio: nessuna città potrà sopravvivere senza il rispetto delle leggi che autonomamente si è data. Tra le minacce e le imprecazioni lanciate dalle parti i giudici si ritirano per la loro decisione. Ma si dividono esattamente a metà nel loro giudizio ed è Atena con il suo voto insieme a quelli già espressi per l'assoluzione a fissare la sorte di Oreste.

Eschilo è riuscito a suggerire molte cose. Ad esempio dividendo a metà i giudici ha lasciato aperte per il futuro tutte le possibili soluzioni nel futuro. Atena col suo voto risolve il fato evitando che la parte perdente perda la faccia. Si affida agli uomini l'onere della giustizia ma votando a sua volta ripropone il fondamento - umano e divino - della giustizia.

E' un tribunale insolito. Un'assemblea di ateniesi che deve risolvere il litigio tra dei. E nel verdetto il vincitore è un dio. Quindi si ha ambiguità poiché votando, un dio si comporta come se fosse un essere umano. La trovata di Eschilo di dividere i voti fa si che si abbiano i mezzi per risolvere una triplice aporia: 1)scegliere e non scegliere tra il genos (famiglia) e la città; 2) affermare e negare nello stesso tempo la superiorità divina e quella umana; 3) porre e respingere simultaneamente l'idea che la città sia resa sacra dal fatto della sua esistenza o per l'intervento degli dei. Ad Atena non rimane che convincere le Erinni a rinunciare alla loro ira che era diretta contro la stessa Atena. Comincia così l'ultima negoziazione che ha il sapore di un mercanteggiamento (tesi di Barel ma dissente l'autore). Le Erinni si asterranno dalla vendetta solo se sarà dato loro un culto permanente nella città. Atena per arrivare al suo scopo non ha usato né forza né astuzia ma ha posto il dibattito sul piano della deliberazione e del diritto, non ha nascosto la sua simpatia per Oreste e ha annunciato prima del conteggio finale dei voti la sua intenzione di votare a suo favore. Al tempo stesso ha integrato nel patto fondatore della città le leggi a cui si richiamano le Erinni. Il suo intervento si attua nella promessa, nella persuasione. La promessa è la capacità di impegnare durevolmente la propria parola, quindi tener fede al proprio impegno. La persuasione è l'arte di far valere ragioni che hanno senso per la controparte oppure un atteggiamento che suppone la capacità di adottare il punto di vista dell'altro. Tutto viene spiegato nella fiducia o fede condivisa in cui si situa il fondamento antropologico della legge e del contratto. Atena è in buona fede quando promette e questo basta a convincere le Erinni che saranno onorate ad Atene come antiche divinità. Si daranno da fare per allontanare ogni flagello dalla città e diventeranno Eumenides ( Le Benevole). Si impone così un nuovo diritto che toglie discordie e rappresaglie.

Questa è una delle rare tragedie a lieto fine. Gli equilibri su cui poggia il nuovo diritto sono sottili. La proibizione della violenza è scritta sul frontone della città e pure il rispetto delle leggi ancestrali e la paura dei giusti decreti dell'Areopago rimane necessaria per la debolezza umana. Pure se la salvaguardia delle leggi della città è affidata agli stessi cittadini (almeno i piu saggi tra loro riuniti nell'Areopago) il giuramento prestato a leggi antiche di quelle positive e l'adesione a una autorità più vecchia di quella istituita condizionano i termini dei loro decreti. Bisogna sottolineare che onorando le Erinni, pur ribattezzate Eumenidi, nel cuore della città si integra un elemento della violenza originale. Atene sembra capire che questo residuo della dimensione oscura e terrificante del sociale non poteva essere eliminata. Questa dimensione, se non venivano prese delle misure adeguate, poteva minacciare di risorgere provocando esplosioni irrazionali. Si è usata una strategia di tipo vaccinatorio, inoculandosi un po' di vendetta e di discordia. Atena stessa conserverà dentro di sé la violenza che dovrà scongiurare .

L'autonomia non può essere ricondotta all'autosufficienza. Atene ne fa esperienza fornendo memoria di leggi immemoriali e la coscienza del pericolo della discordia. Sofocle con l'Antigone se ne incaricherà per quanto riguarda la città di Tebe.


Antigone o l'autotrascendenza della città


Della tragedia di Antigone si ricordano l'opposizione tra legge umana e divina o l'opposizione tra lo Stato e la famiglia (genos). Sofocle ha esposto una domanda in favore della limitazione del potere dello Stato e delle norme del diritto positivo. Da una lettura più attenta si nota che le posizioni non sono così nette. Nessuna città potrebbe accettare che si portino armi contro essa (ordine di Creonte). Il diritto greco prevedeva la proibizione di rendere onoranze funebri a chi aggrediva la loro patria. E difendere la propria Patria è una legge divina. Seppellire i morti è anche legge umana. La legge divina a cui fa riferimento Antigone trae l'autorità si dalla tradizione che dalle leggi comuni alle città greche. Questo riferimento alla sopralegalità estesa nel tempo (la tradizione) e nello spazio (il mondo costituito da varie città) è una forma di autotrascendenza. Per esempio l'obbligo di seppellire i morti,di risparmiare i supplicanti ed i prigionieri che si sono arresi, di rispettare i giuramenti prestati, di rispettare i propri ospiti. Tutto accade come se la polis si sottomettesse ad una legge che la supera senza asservirsi a norme esterne. Si impone una lettura dialettica (Hegel). Se Creonte fosse stato un tiranno non sarebbe stato degno della sfida lanciata da Antigone. Se non incarnasse un principio etico la sua sconfitta non avrebbe né qualità tragica né senso costruttivo. I due atteggiamenti della religione , la religione familiare (culto dei morti e doveri del focolare domestico) e la religione di Stato (la Patria è sacra) sono posti in conflitto dall'Antigone ma nessuno può essere quello giusto senza lasciare posto all'altro, riconoscere ciò che lo limita e lo critica. L'opposizione non si riduce alla scelta tra legge divina e quella umana ma si interiorizza nella città stessa e riguarda il tipo di autoriferimento più opportuno. Sia che si tratti di autoriferimento chiuso (autosufficienza) che può portare al crollo finale sia che si tratti di autoriferimento aperto (autotrascendenza) che tutti si sforzano di proporre a Creonte ma che questi non accetta di mettere in pratica se non quando è già accaduto l'irreparabile.

Il vero problema è sulla natura dell'autoriferimento che occorre praticare nella città buona. Non sono in causa né la legalità del potere di Creonte né la fondatezza del suo edito. In partenza la sua posizione appare legale e legittima. Ma la tragedia ci mostra che una posizione apparentemente giusta può rivelarsi poi disastrosa. Edipo lo dimostrerà a sue spese. Così la vera (e sola) colpa politica consiste nel rifiutare il dialogo e l'ostinazione a mantenere una decisione contestata. Dietro l'amore per lo Stato affermato da Creonte si trova anche la passione per il potere. Conviene sempre mettere in discussione ogni nostra scelta.

Il coro durante tutta la tragedia ha esitato tra il punto di vista di Creonte e quello di Antigone. Anche Eschilo quando accenna alla stessa questione alla fine dei sette a Tebe divide il coro in due gruppi opposti: il primo segue il convoglio funebre di Polinice perché la città cambia spesso opinione nell'apprezzamento del diritto e il secondo rende onori a Eteocle come la città ed il diritto raccomandano.

Creonte avrebbe voluto dar retta a suo figlio Emone che gli suggerisce che la verità non è di una persona e che non esiste città dove il bene sia di uno solo. La discussione, il diritto negoziato, è il principio fondatore della democrazia. Però viene sempre riproposta la questione del limite dell'autoriferimento. Dove si trova il criterio del giusto e come si può imporlo in modo durevole. Il coro ha formulato fin dall'inizio questo quesito nel celebre inno all'unità dell'uomo: dopo aver lodato la sua autonomia il coro è divenuto padrone di un sapere le cui risorse superano ogni esperienza può prendere sia il cammino del male che quello del bene. La conclusione è che egli deve riservare a questo sapere una parte alle leggi della città ed alla giustizia degli dei a cui ha prestato giuramento.

Non si tratta solo di prendere in considerazione la disciplina sociale o di fare un distinguo tra gli impegni presi con i politici da un lato ed il rispetto del culto degli dei dall'altro ma si tratta di scavare dentro i fondamenti dell'autoriferimento e quindi valutare in modo esatto la libertà che viene data a se stessi. Non importa che i fondamenti possano chiamarsi legge divina o tradizione o leggi comuni. Anche Tebe, dopo Atene viene chiamata a misurarsi con qualcosa che produce e riproduce mediante la sua azione.


Aiace o la mediazione creatrice


Nell'Aiace Sofocle riprende il tema delle onoranze funebri da tributare o rifiutare ad un nemico. Ma stavolta viene immaginata una soluzione positiva al conflitto grazie alla mediazione di Ulisse. Se nell'Antigone il problema veniva risolto dall'urto di due tesi inconciliabili tra loro con una valanga di disgrazie nell'Aiace invece Ulisse riesce a far trionfare la ragione dimostrando di instaurare una logica giuridica ispirata alla giustizia ed al perdono e non più sulla forza ed il risentimento. Il messaggio di Sofocle nell'Aiace è simile a quello di Eschilo nelle Eumenidi ma in quest'ultimo il diritto si afferma mediante un tribunale e l'iniziativa di Atena mentre nel primo trionfa la mediazione del conflitto unita ad una visione dialettica del mondo (la divisione amico/nemico non è assoluta o definitiva). Una giusta soluzione viene trovata dall'autore per mancanza di intervento divino (Atena qui recita la parte del cattivo). La storia della tragedia è la seguente: dopo l'uccisione di Achille sotto le mura di Troia gli Achei non sanno a chi dovranno consegnare le gloriose armi dell'eroe. Ricorrono al voto e si decide per Ulisse. Aiace, che si considera il guerriero più valoroso dell'armata greca (dopo Achille), considera questo voto come un affronto personale e medita vendetta. Atena si prende gioco di lui e gli ispira un omicidio. Aiace uccide con la spada la maggior parte del bestiame degli Achei persuaso di far giustizia nei confronti dei suoi nemici, specie dei loro capi, Agamennone e Menelao. Ma quando ritorna in sé e si rende conto delle conseguenze disastrose del suo atto si suicida. La questione che si pone è cosa fare delle sue spogli. I capi degli Atridi (Agamennone e Menelao) rifiutano la sepoltura perché Aiace ha rivolto le armi contro i suoi commilitoni. Interviene Ulisse che vincendo la propria rabbia fa prevalere la ragione con la forza della persuasione ed alla distanza che ha preso dall'evento.

Decodificare questo racconto è facile. C'è la tensione tra due città o due modi di concepire il diritto: da una parte la città della fama con il suo antico diritto fondato sul codice di onore e di vendetta (stessa etimologia delle parole infatti il vendicatore Timaoros è colui che vigila sull'onore) e dall'altra la citta civica con nuovo diritto fondato sulla deliberazione e sulla legge della maggioranza. Tutto inizia col voto: la maggioranza decide di attribuire le armi di Achille ad Ulisse. Aiace nella sua mentalità aristocratica crede che essendo lui il più valoroso (e nessuno contesta questa qualità) ha diritto alle armi. La deliberazione della maggioranza gli appare come un affronto personale che esige la vendetta. Sofocle immagina una doppia vendetta simbolica: la prima è il massacro sostitutivo commesso uccidendo il bestiame dell'esercito (Atena ispira la follia distruttrice e pone il problema dell'autonomia dell'uomo di fronte al destino o al capriccio delle divinità) è l'assassinio commesso contro se stesso. Il suicidio di Aiace ha come effetto la vendetta contro gli Atridi responsabili della sua morte (ingranaggio infinito della vendetta scatenato dalle Erinni). Aiace deve porre fine alla sua vita in quanto è disonorato e non può più vivere né morire onorevolmente. Nel codice binario (nobile/ignobile) non c'è tempo per la riabilitazione. Il suicidio di Aiace ha il valore del rifiuto, così facendo compie un atto sacrificale ed al contempo obbedisce al proprio codice d'onore vendicandosi di se stesso. Lo sviluppo naturale della storia è che Aiace dovesse essere trattato da nemico o da traditore non degno di sepoltura. Questo è l'atteggiamento che assumono sia Menelao che Agamennone dimostrando di essere i duci dell'esercito, con un comportamento tipico dei capi clan. Sono più preoccupati dell'onore degli Atridi che della ragione di Stato. Se avessero proseguito su questa strada avrebbero giustificato l'ira delle Erinni. Ulisse è l'unico che può bloccare la spirale della violenza. Bisogna superare il proprio risentimento e rompere con la logica della vendetta fondata sull'opposizione amici nemici. Ulisse inaugura una nuova forma di virtù separata da quella aristocratica: la virtù della giustizia fondata sul dialogo della complessità degli esseri umani e delle situazioni.

C'è da valutare la distanza tra il personaggio di Ulisse e quello di Antigone: Ulisse infatti riuscirà ad ottenere il permesso di sepoltura per quello che tutti considerano un traditore della Patria attraverso il dialogo e la persuasione mentre il gesto ribelle di Antigone rimane un gesto incapace di provocare l'adesione della controparte. La logica di Antigone, così come quella di Creonte, rimane nel codice binario: famiglia contro stato, leggi divine contro leggi umane. Ulisse riesce ad articolare i due termini opposti: la forza ed il coraggio sono rispettabili ma in alcune circostanze deve prevalere la ragione di Stato. Agamennone rimane il capo incontrastato e per questo dovrà seguire il consiglio dei suoi amici.

La logica di Ulisse è dialettica, ma non cede ad Atena che lo invita a farsi gioco della follia di Aiace. Ciò che impressiona Ulisse è l'uguaglianza che lo lega ad Aiace in quanto anche se disonorato e impazzito non è solo traditore ma soprattutto il più coraggioso dei Greci dopo Achille. Il merito prevale largamente sull'odio.

Ulisse ha un atteggiamento interattivo che lo porta ad adottare il punto di vista dell'altro e produce effetti benefici. Agamennone si convince e tollera che vengano rese le onoranze funebri ad Aiace. E così l'eroe tragico verrà riabilitato e gli verrà assicurato il diritto alla prosperità e ripristinato il suo posto nel Pantheon dell'esercito greco. C'è una doppia riabilitazione perché Teucro, fratello di Aiace, che aveva sempre difeso questi, riconoscerà i meriti di Ulisse.

Anche Ulisse quindi viene riabilitato agli occhi di Teucro. Quindi la violenza distruttrice che avrebbe portato ad una doppia vendetta (gli Atridi contro Aiace ed Aiace post mortem contro gi Atridi) lascia il posto ad una doppia riabilitazione. Con la mediazione di Ulisse si dà avvenire al passato. L'uomo lottando per la parola e la ragione contro il fato istituisce un tempo creatore come forma di autotrascendenza. L'uomo può prendere le distanze da se stesso ed inventare nuove forme di comportamento e diverse istituzioni.

La pratica contemporanea delle mediazioni poggia proprio sul far adottare alle parti la distanza nei confronti della propria situazione elevandosi al punto di vista di un terzo capace di permettere al diritto di essere negoziato senza cedere all'astuzia o alla forza. Gi autori tragici ci mettono in guardia dal buonismo idealista. Il diritto negoziato può sempre scomparire dietro compromessi, intrallazzi, manovre e può sempre ritornare l'immagine della violenza talvolta camuffata sotto le apparenze della legalità.


Filottete o la mediazione traviata

Anche in un'altra tragedia di Sofocle, Filottete, Ulisse fa la parte del mediatore ben deciso a fare il gioco dei capi degli Atridi e portar loro con qualsiasi mezzo l'arco magico di Filottete, guerriero greco abbandonato vigliaccamente abbandonato su un'isola perché malato di cancrena. Ulisse ha concepito un piano con cui riuscirà ad impadronirsi dell'arco. Invita il giovane Neottolemo a carpire la fiducia di Filottete per poterlo ingannare (mediante il linguaggio deve carpire l'anima di Filottete). Neottolemo appare reticente ma Ulisse cerca di convincerlo. La trappola non riuscirà poiché il giovane ci ha ripensato. Il vero eroe della tragedia è Neottolemo diviso tra due atteggiamenti inconciliabili: l'onestà che lo spinge alla compassione per Filottete e la ragion di Stato che gli raccomanda di impadronirsi dell'arco che potrà assicurare da solo la vittoria dei Greci contro i Troiani.

Ulisse rinunciando ad ogni sotterfugio ordina ai marinai di impadronirsi di Filottete e del suo arco che può garantirgli la vittoria. Ma Ulisse fallisce perché Neottolemo per riparare la propria colpa dà l'arco a Filottete avendo prima tentato di convincerlo, ma senza successo, a Troia. Filottete è troppo fiero per unirsi agli Atridi che l'hanno abbandonato. Ulisse è schiacciato dai suoi sotterfugi pur se sono stati imposti dall'interesse superiore dello Stato. Neottolemo essendo passato da una parte all'altra delle situazioni può avere il posto del mediatore ma ha un'aria troppo giovane ed inesperta per opporsi a parti così forti. Solo l'intervento inatteso di Ercole riuscirà alla fine a persuadere Filottete. Il messaggio nascosto nella tragedia di Sofocle, come nelle Eumenidi e nell'Aiace, è che trionfa la giuridica moderna, la città civica, la ragion di Stato. Ma Sofocle precisa che il fine (la ragion di Stato che ordina la vittoria dei Greci sotto le mura di Troia)non giustifica tutti i mezzi. La negoziazione condotta da Ulisse è immorale e fallisce proprio per questo. Il giovane Neottolemo (figlio di Achille, dove il buon sangue non mente) non si lascia manipolare. Obbedisce agli imperativi dettati dall'onore ma non si umilia davanti agli Atridi. Alla fine della tragedia, un momento prima dell'intervento di Ercole, decide perfino di riportare Filottete a casa sua pur sapendo che avrà l'opposizione dell'esercito greco. Assume come Antigone l'atteggiamento del disubbidiente vivile in nome di santi principi provenienti da una legalità superiore. La conclusione è simile a quella dell'Antigone. La ragion di Stato non è onnipotente e viene compromessa definitivamente se viene ridotta all'attaccamento al potere personale (Creonte) o alle mosse di una diplomazia ingannevole (Ulisse). La nuova polis non si può fondare sulle rovine degli antichi codici che hanno il loro valore che ci viene ricordato dalle figure dei dissidenti quali Antigone o Neottolemo.

Questa soluzione non va bene per la tradizione mitica. Occorre che Filottete vada a Troia e che le frecce del suo arco decidano la sorte. Ecco perché Eracle doveva intervenire. Sofocle ha lasciato intendere che la polis esce dalla retta via quando ricorre a metodi immorali e la ragion di Stato si dà solo al prezzo dell'intervento miracoloso di un dio e questo dovrebbe indurre i politici moderni a non essere superbi negli atti e nelle parole.

I Tragici non hanno sciolto l'enigma del fondamento: a volte vince il genos a volte la polis. Ora l'uomo si salva con le proprie forze oppure con l'intervento degli dei. Se in una tragedia un personaggio (Ulisse) o una dea (Atena) sembrano morali e creativi in un'altra vengono mostrati i limiti ed i pericoli (la legge nell'Antigone e la mediazione nel Filottete).Per i Tragici la Sfinge troneggerà sempre alle porte della città perché mostrerà sempre ai mortali enigmi.


La polis: diritto negoziato o imposto?


Le tragedie di cui si è trattato risalgono al periodo del consolidamento della democrazia ateniese. Nella metà del V secolo a.C. Atene è al culmine della sua gloria ma è ancora fragile e meglio di chiunque altro i tragici intuiscono questa debolezza. La democrazia al suo interno è incompleta: a prescindere dalle donne, dagli stranieri e dagli schiavi non concede uguaglianza e autonomia se non ad un terzo dei suoi abitanti. La vulnerabilità sta pure nel fatto che essendo il potere tra moltissime persone si corre il rischio che possa essere governata da incapaci. All'esterno Atene non esporta i principi ugualitari. La sua posizione dominante nella lega di Delo può venir scambiata per imperialismo e quando la minaccia persiana non è completamente sparita tra le città vi è discordia. La democrazia è fragile poiché non ha chiarito i fondamenti su cui si poggia. Si sente il rischio della trasgressione. Si sa che non è tutto lecito ma non si può tracciare un limite poiché perfino la stessa norma di riferimento e l'origine del potere normativo portano dubbi. La polis greca più di ogni altra società ha fatto esperienza di autonomia. E' sovrana ed uguale e vuol essere la fonte di significati sociali posti come norme collettive. Rivendica esplicitamente il potere di negoziare il proprio diritto, di produrlo nello spazio del "tra sé" come dimostrato dalle tecniche del voto maggioritario, del giudizio deliberato, dalla mediazione persuasiva. Con queste pratiche talvolta Atene si erge contro gli dei quando questi non sono all'altezza del gioco della ragione che viene sperimentato dagli uomini (Zeus vendicatore nel Prometeo incatenato e Atena crudele e vigliacca nell'Aiace). Tutto avviene come se la democrazia venisse applicata sia agli dei che agli uomini ognuno chiamato ad una forma di superamento. L'autotrascendenza riguarda sia l'Olimpo che il mondo sublunare (nel racconto biblico succede molte volte a Mosé di dare lezioni a Yahweh che si fa prendere troppo spesso dall'ira e gli ricorda la sua stessa promessa). La questione essenziale è trovare il metacriterio del senso e della giustizia a cui sia gli uomini che gli dei devono far riferimento. Gli autori tragici non hanno mai assimilato il diritto alla società. Anche se questa si pone la domanda sul significato non potrà mai rinchiudersi nell'in sé della propria esistenza reale (vendette private come nel Prometeo incatenato, interessi tribali nell'Aiace, potere personale nell'Antigone). Si correrebbe il rischio di frantumare la città, decomporre il corpo politico e si genererebbe sia discordia civile che impotenza del potere. Per scongiurare questi rischi bisogna resistere alla determinazione del caos e produrre collettivamente il senso contingente e necessario. Noi stessi produciamo questo senso ma non possiamo farlo in qualsiasi modo. Nel linguaggio normativo un popolo può fare qualsiasi cosa e deve sapere che non deve fare qualsiasi cosa . la democrazia è posta come regime dell'autodelimitazione ma anche la capacità di porsi al di sopra, alla terzietà della legge: il diritto imposto viene chiamato dall'interno del diritto negoziato.

Le Tragedie ci danno esempi di questa autotrascendenza. Ci sono figure di ribelli e degli dei dissidenti: Prometeo incatenato alla sua roccia, Antigone che da viva si incammina verso la tomba, Neottolemo che corre il rischio di opporsi a tutta l'armata greca per difendere Filottete. La loro sofferenza segna la dignità umana più forte del potere e fa appello ad una legalità superiore. C'è poi la netta affermazione di una ragione giuridica superiore a quella del diritto positivo (diritto delle città su cui si registrano opinioni discordanti). L'obbligo di seppellire i morti è il miglior esempio sia nell'Antigone che nell'Aiace. L'autotrascendenza prende la forma della legge divina ma questo obbligo si può fondare sulla tradizione come le leggi comuni delle città greche. Queste due cose garantiscono nel tempo e nello spazio l'inquadramento normativo del diritto positivo della città. Le Eumenidi offrono molteplici varianti del diritto positivo (negoziato, adottato mediante voto e deliberazione) dentro un diritto superiore imposto. Si ha il giuramento prestato dai membri dell'Areopago, atto simbolico che traduce la loro adesione ad una norma antica (quando si istituisce un organo abilitato a dire il diritto lo si riferisce ad un diritto più antico e sacro). Il tribunale viene istituito per sempre. Incorporando le Erinni nel cuore della città Atene ha somministrato a se stessa una terapia vaccinatoria quello di non distogliere mai lo sguardo dalla discordia.

Si fa appello al perdono che va contro la logica della vendetta e che sostituisce la virtù moderna di giustizia rispetto agli antichi valori aristocratici fondati su coraggio ed onore. Bisogna prendere coscienza della complessità degli essere umani e delle loro situazioni che non possono essere ricondotti all'opposizione di nobile e ignobile. Si hanno esempi sia con Atena nelle Eumenidi che di Ulisse nell'Aiace per una trasformazione della ragione giuridica dominante. Nel primo caso si ha un tribunale ed interviene una mediazione paragiudiziale. Antigone e Neottolemo invece sono due personaggi che non avendo potuto far vincere il loro punto di vista con la persuasione devono adottare la posizione del dissidente.

Nell'autotrascendenza democratica c'è l'obbligo del capo di sottoporre la sua decisione alla deliberazione. L'errore politico essenziale nel regime democratico consiste nell'esercizio del potere personale pur se legale. Creonte nell'Antigone lo capirà troppo tardi e non potrà riparare l'errore mentre Agamennone nell'Aiace cedendo al pensiero di Ulisse, pur non capendolo, riuscirà a salvare sia la giustizia che la propria posizione personale. La riflessione dei Tragici accompagna l'esperienza politica della città. Le tragedie spesso si riferiscono a eventi attuali e ad istituzioni reali. In parallelo con le rappresentazioni sceniche Atene ricerca meccanismi che producono l'autotrascendenza di cui sente il bisogno. Dopo la restaurazione della democrazia, nel 403, concedendo l'amnistia ai Trenta Tiranni, la città dà prova di intelligenza politica e della capacità di sottrarsi alla vendetta. Si esclude dal voto chi ha uno spirito troppo partigiano (regola ricordata da Aristotele9, Atene vuol evitare la frammentazione della città in gruppi di interesse rivali. Istituendo una procedura di autocontrollo della legalità delle leggi adottate dalle assemblee la città prende le distanze da se stessa e corregge gli errori. La procedura di accusa di illegalità fa incriminare chiunque abbia portato ad adottare una legge come illegale. Se il ricorso viene riconosciuto fondato chi ha presentato la legge viene condannato e la legge viene annullata. Il ricorso viene giudicato da una giuria popolare composta da molti membri. La polis impara a coabitare con la Sfinge. Non potendola eliminare cerca di affrontare gli enigmi che questa pone.




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