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L'ITALIA DOPO IL FASCISMO - Un paese sconfitto

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L'ITALIA DOPO IL FASCISMO

Un paese sconfitto


Liberata e riunificata, nella primavera del '45, dall'avanzata degli alleati e dall'insurrezione partigiana, l'Italia si trovò ad affrontare i problemi e le incognite di un difficilissimo dopoguerra. Nel 1945 l'economia italiana era in condizioni gravissime. Gli stabilimenti industriali si erano in buona parte salvati (le distruzioni causate dai bombardamenti non superavano il 20% della capacità produttiva), ma la produzione era scesa a meno di un terzo di quel 131b14b la dell'anteguerra. Incalcolabili erano i danni inferti all'agricoltura (la produzione era diminuita del 60% rispetto al '38) e più ancora al patrimonio zootecnico, che risultava distrutto per tre quarti.

Tutto ciò rendeva drammatico il problema degli approvvigionamenti alimentari: nel '45 la quantità media giornaliera di calorie a disposizione di ogni cittadino era meno della metà di quella, già piuttosto scarsa, del '38; e la situazione sarebbe stata ancor più insostenibile senza gli aiuti alleati. L'inflazione provocata dalla guerra aveva assunto ritmi paurosi: i prezzi al consumo erano cresciuti di 18 volte in sei anni, polverizzando i risparmi e ridimensionando drasticamente i salari reali, che si ridussero della metà fra il '39 e il '45.

Il sistema dei trasporti era in buona parte disarticolato (strade interrotte, ferrovie inutilizzabili, ponti distrutti), con conseguenze disastrose sul movimento delle merci. Meno gravi quantitativamente, ma ugualmente drammatici, i danni subiti dall'edilizia abitativa: circa 3 milioni di vani di abitazioni erano stati distrutti o seriamente danneggiati; i moltissimi rimasti senza casa erano costretti a coabitazioni forzate o cercavano rifugio nelle scuole e in altri edifici pubblici.



La fame, la mancanza di alloggi e l'elevata disoccupazione contribuivano a rendere precaria la situazione dell'ordine pubblico. Nell' Italia settentrionale la fine della guerra aveva ridato slancio alle lotte sociali e i leader della sinistra faticavano a tenere a freno una base galvanizzata dalla sconfitta del fascismo. Un serio problema era poi costituito dagli ex partigiani, spesso riluttanti a deporre le armi e a volte inclini ad adottare misure di giustizia sommaria nei confronti dei repubblichini o degli ex gerarchi fascisti.

Nelle regioni del Centro-Sud, fin dalla primavera del '44, contadini e braccianti avevano preso, come nel primo dopoguerra, a occupare terre incolte e latifondi; e il movimento si protrasse negli anni successivi, nonostante i tentativi delle autorità di disciplinarlo e "legalizzarlo". Ma la minaccia più grave all'ordine pubblico, nel Mezzogiorno e nelle isole, veniva dalla malavita comune, in buona parte legata al contrabbando e alla borsa nera (ossia al commercio clandestino di generi razionati). In Sicilia, in particolare, si assisteva a una ripresa in grande stile del fenomeno mafioso, favorita anche dal comportamento delle autorità militari americane, che non avevano esitato, al momento dello sbarco nell'isola, a servirsi di noti esponenti della malavita italoamericana per stabilire contatti con la popolazione. Sempre negli anni dell'occupazione alleata, si era sviluppato in Sicilia un movimento indipendentista, strettamente legato agli agrari e alla vecchia classe dirigente prefascista e condizionato da una forte presenza mafiosa. Il movimento, che disponeva di un proprio esercito clandestino, fu affrontato con energia e stroncato dai governi postliberazione. Ma molti suoi aderenti rimasero alla macchia, dando vita ad alcuni fra i più gravi episodi di banditismo del dopoguerra (come quelli di cui fu protagonista, sui monti del Palermitano, la banda capeggiata da Salvatore Giuliano).

Fenomeni come questi erano solo i segni più evidenti della disgregazione morale, oltre che politica, in cui la guerra aveva gettato il paese. Le vicende seguite all'armistizio, in particolare, avevano fortemente appannato l'immagine stessa del potere statale e avevano scavato nella compagine nazionale una profonda frattura che ricalcava, aggravandole, le tradizionali spaccature fra Nord e Sud. A partire dal settembre '43, le due metà del paese avevano infatti vissuto due esperienze completamente diverse. Da una parte l'occupazione alleata, la continuità istituzionale sotto il segno della monarchia, la sostanziale tenuta dei vecchi equilibri sociali. Dall'altra l'occupazione tedesca, la guerra civile, un'insurrezione popolare in cui la lotta di liberazione nazionale si intrecciava alla istanze di rinnovamento (o di rivoluzione) in campo politico e sociale: soprattutto fra quanti si erano impegnati nella lotta contro il nazifascismo era diffusa l'attesa di mutamenti profondi nelle istituzioni e nella vita civile. Queste spinte al cambiamento si scontravano, però, non solo con le resistenze di una società reduce da vent'anni di regime fascista e toccata solo in parte dall'esperienza rinnovatrice della lotta partigiana, ma anche con la situazione obiettiva del paese nel contesto internazionale. L'Italia era una nazione sconfitta (e tale era considerata dai vincitori, nonostante il cambio di fronte dell'8 settembre e nonostante la Resistenza), era occupata militarmente, dipendeva dagli aiuti alleati e non poteva dunque considerarsi completamente arbitra del proprio destino.




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