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L'ARCHITETTURA DIDATTICA

architettura



F. Purini "L'ARCHITETTURA DIDATTICA"




Secondo le tesi di F. Purini il fine primo dell'architettura è quello di esprimere il senso dell'abitare dell'uomo sulla terra; i modo secondo i quali costruire questa espressione: la funzionalità, la stabilità e l'economicità  degli edifici non saranno considerati dei fini ma dei semplici mezzi per arrivare alla bellezza intesa come il più 313d39d alto dei contributi che l'architettura può dare alla questione sociale. Occorrerà quindi costruire una teoria sulla bellezza dell'architettura intesa come leggibilità didattica della corrispondenza tra intenzioni e processi di costruzione della forma come organicità. Gli elementi della composizione architettonica saranno quindi scelti tra quelli che esemplarmente dichiareranno la propria costruzione logica, la propria struttura. Proporzionamenti, ordini, schemi costruttivi chiari, armonie scalari, usati come mezzo per riferire ad un principio formale egemone tutte le parti del manufatto, riferimenti alla figura umana come principio primo, tracciati assiali e simmetrici per riconoscere la figura umana stessa e la sua centralità, costituiscono gli elementi della composizione. Ciascun edificio, continua l'autore, misura inoltre la tensione verso la costruzione collettiva dell'architettura e la soggettività del singolo architetto. Sostenere la possibilità di ricostruire un sapere interamente collettivo significa sottovalutare sia l'esigenza di espressione di sè come testimonianza della propria individualità, sia ignorare le grandi passioni alle quali l'artista viene sottoposto dalla nostra società. Riconoscere nel "senso dell'abitare" il fine primo dell'architettura non significa costruire un sistema rappresentativo della totalità della comunità insediata, cosa che lo trasformerebbe in un discorso generico. Il saggio di F. Purini prosegue enunciando nove delle sue tesi sull'architettura.



L'architettura e il pluralismo politico. Il pluralismo della nostra epoca è destinato ad avere grandi e positivi riflessi sull'architettura. Questa non potrà più essere precisa e definitiva nei suoi contenuti verbali, ma sarà costretta a essere esatta come un teorema all'interno di sè.

L'architettura come fatto sociale. Non può esistere un'architettura sociale o antisociale, ma solo un uso sociale o antisociale degli edifici. Il segno architettonico è di per sé carico di socialità, essendo segno storico e cioè razionale e positivo nel senso della sua realtà materiale. Eppure oggi esiste una divaricazione progressiva tra architetture degli architetti e società.

Architettura e sociologia. Il rapporto tra architettura e sociologia non può che essere il discorso sociologico sull'architettura, la quale non può darsi come sociale "teoricamente" ma solo nell'uso che la comunità ne fa. La migliore ricerca architettonica deve battersi contro i tentativi di regressione alla metodologia e contro gli scavalcamenti ad opera dell'immaginario collettivo inteso come discorso sociologico sulle potenzialità espressive proposte dalla comunità.

Lo spazio collettivo. Lo spazio collettivo deve essere considerato come il luogo di quella conflittualità urbana che, proponendosi come prassi ininterrotta, ha la capacità di farsi riconoscere come fenomeno spaziale. Lo spazio collettivo proposto in termini generici, e cioè il luogo di incontro, di comunicazione, di festa, di assemblea , si dimostra come l'ultimo ricatto esercitato contro le reali possibilità di capovolgere uno schema lineare di incontri sociali.

Architettura e partecipazione. Sono due le forme lecite della partecipazione. La prima consiste nella consultazione degli utenti per acquisire il numero più grande di informazioni. La seconda dovrebbe configurarsi come disponibilità dell'architetto ad essere soggetto ad un controllo sociale del proprio lavoro, nel senso di permettere che sia accettabile la qualità dello spostamento di conoscenza collettiva che il progetto deve produrre.

Architettura e urbanistica. L'architettura e l'urbanistica si volgono le spalle nel tentativo di un'affermazione di sé;  reagiscono moltiplicando i propri strumenti fondati su modelli interpretativi astratti, che si infrangono a contatto con la realtà dei fatti. L'unico modo per opporsi a questo fenomeno è produrre un progetto di architettura in cui il dominio urbanistico viene interiorizzato e recuperato nel manufatto. L'urbanistica deve convincersi che il suo scopo non è quello di produrre processi, ma di nuovo pietre, e cioè case, strade.

Architettura e centri storici. Per questa tesi occorre sottolineare la questione della vitalità della città, comprendendo che se una città è viva è anche soggetta a sviluppi che la deformano. Come elemento vivo, come fatto urbano che deve modificarsi e non imbalsamarsi, il centro storico riprende interamente il suo ruolo autentico all'interno dei limiti che ne devono definire la natura "individuale e diversa" caso per caso.

Passato e futuro. In qualsiasi segno architettonico il passato e il futuro sono strutturalmente presenti e ne costituiscono la memoria. Passato e futuro stringono il presente come in una morsa l'una lo vorrebbe costretto a farsi specchio dell'"indistinto" temporale, l'altra a rappresentare lo scarto tra "essere e poter essere".

Il progetto. In quest'ultima tesi il discorso del progetto si intreccia con quello di tempo, scandendo il tempo storico della città ed il tempo mentale del progetto. Il tempo della città è un tempo immaginario, in cui non c'è più passato o presente, ma un carattere in grado di sovrapporsi alla nostra vita. Progettare una città obbliga a rimettere in circolo la nostra memoria delle cose assieme alla memoria che la città ha di sé: il progetto sarà allora in qualche modo una riproposizione rinnovata di quel carattere che è insieme vissuto individualmente e collettivamente. Non c'è contraddizione tra l'esigenza soggettiva di cogliere personalmente il carattere urbano, il "genius loci" e quella realistica di rispondere con un oggetto concreto ad una domanda funzionale. Anzi, se non c'è questa tensione tra tempo interiore e tempi soggettivi, si produrrà una risposta inanimata, si riprodurrà cioè una cosa che c'era senza che si riesca a sfiorare l'innovazione.





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