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Il Rinascimento
Con il termine Rinascimento si è soliti indicare quella straordinaria stagione non solo artistica ma anche letteraria, filosofica e scientifica fiorita in Italia tra il '400 e il '500.
All'inizio del '400, infatti, alcuni artisti fiorentini, influenzati dalla cultura umanistica promossa fin dal '300 da letterati e filosofi, sentono la necessità di riprendere tipologie e stili architettonici propri dell'arte greco-romana e, più in generale, di ritrovare la proporzionalità, le simmetrie e il rigore compositivo dell'arte classica. Per le arti figurative, però il guardare al mondo classico non fu semplice imitazione, ma un modo di creare qualcosa di nuovo prendendo la classicità come strumento di controllo matematico della progettazione e come esempio della possibilità concreta di racchiudere la realtà spaziale entro rigorose formule matematiche. Si afferma così, avendo come centro proprio la capitale fiorentina fino alla fine del '500, il Rinascimento 151j95b , che, - in ambito artistico - si impegna appunto nel recupero dei canoni stilistici dell'antichità, in netto contrasto, quindi, con il Gotico che prevaleva in quegli anni in tutta Europa.
Filippo Brunelleschi, Masaccio e Donatello sono i tre artisti fiorentini che per primi danno l'avvio ad un radicale rinnovamento delle arti, distinguendosi rispettivamente in architettura, pittura e scultura.
In architettura, la ricerca del Brunelleschi da origine alla tipologia architettonica ispirata alla teoria delle proporzioni - derivata dalla trattistica di Vitruvio e ripresa poi anche da Leon Battista Alberti - in base alla quale ogni componente dell'architettura deve essere in perfetta proporzione e relazione con le altre parti; con essa gli architetti rinascimentali ritenevano di poter rendere armoniose le loro opere e , nello stesso tempo, estremamente resistenti. E' importante ricordare, infatti, come all'epoca, non si disponeva di un procedimento analitico come al giorno d'oggi per valutare la resistenza di una struttura, ma, invece, gli architetti, sia medioevali sia rinascimentali, dovevano affidarsi alla propria esperienza.
Se nel medioevo, però, le proporzioni derivavano direttamente dalla geometria, nel Rinascimento le proporzioni sono quasi essenzialmente numeriche, dove i rapporti numerici rispecchiano addirittura quelli esistenti tra le varie note musicali. Per primi, infatti, i greci avevano inventato un rapporto numerico chiamato diapason, basato sull'analisi delle ottave musicali, secondo il quale facendo vibrare due corde tese - di cui una lunga il doppio dell'altra - quella più lunga aveva un suono di un'ottava più alto rispetto all'altra. In architettura questo si traduce con il rapporto 1:2, e cioè con la realizzazione, ad esempio, della facciata di un edificio in modo che la sua altezza sia il doppio della sua larghezza; in questo modo si riesce a dar vita ad una costruzione armoniosa poiché traduce in architettura l'armonia musicale del diapason. Esistono poi altri tipi di rapporti come il 2:3, il 3:4 e il 1:1.basati, ovviamente, sullo stesso principio proporzionale.
Vitruvio, nell'antichità, sosteneva che un edificio sacro realizzato armoniosamente secondo la teoria delle proporzioni avrebbe dovuto rispecchiare il corpo umano, in quanto esempio vivente di proporzione naturale.
Il disegno interpretativo che nel rinascimento ne dette Leonardo nell' Uomo vitruviano è sicuramente una delle più importanti esemplificazioni di questa teoria. Questa concezione architettonica colpì profondamente la fantasia degli architetti medioevali, i quali iniziarono ad applicare il principio vitruviano agli alzati e alle piante degli edifici sacri.
In pittura, sempre legata alla riscoperta dell'arte antica, ci fu il fondamentale recupero della prospettiva, espediente che consente di raffigurare sulla tela bidimensionale, architetture e corpi come se fossero inseriti in uno spazio tridimensionale. Masaccio si fa interprete di questo principio, creando nelle sue opere un ambiente virtuale caratterizzato da una impressionate profondità illusiva (es. La Trinità, in Santa Maria Novella).
Ancora una volta, però, il merito di chi per primo introdusse l'idea di prospettiva fu di Brunelleschi. Oltre ad aver semplicemente teorizzato la prospettiva a unico punto di fuga - secondo la quale, individuata la linea dell'orizzonte e tracciato su di essa il punto di fuga, si ottiene che tutte le linee di profondità convergono proprio in questo punto di fuga, mentre quelle orizzontali e verticali rimangono sempre parallele tra loro - Brunelleschi esemplificò la sua teoria realizzando due tavolette prospettiche raffiguranti due paesaggi urbani fiorentini, oggi perdute. Le tavole andavano guardate attraverso un foro in esse praticato; in questo modo l'occhio dello spettatore si disponeva, rispetto all'immagine, nella posizione più corretta, in coincidenza col punto di fuga. Da quest'osservazione si poteva vedere chiaramente la convergenze delle linee verso il punto focale, la diminuzione proporzionale dei corpi all'aumentare della distanza e il diverso scorcio che si aveva del paesaggio a seconda della distanza e della posizione dello spettatore.
Il sistema Brunelleschiano venne poi codificato da Leon Battista Alberti nel De Pictura, dove troviamo esemplarmente formulata l'idea del dipinto come una finestra affacciata su uno spazio creato artificialmente, dell'imitazione della realtà come scopo centrale della pratica prospettica e la centralità dell'uomo come spettatore del mondo, in quanto il dipinto prospettico ne riproduce la percezione oculare. Sempre secondo Alberti, infatti, il quadro è un'intersezione piana della piramide visiva, cioè dei raggi che uniscono l'occhio dello spettatore all'oggetto da rappresentare.
Con Piero della i, poi, si ebbe il primo trattato prospettico interamente illustrato, in cui si passa dalla rappresentazione di semplici figure solide all'estrema e impensabile prospettiva di una testa umana.
L'ultimo passo avanti nella raffigurazione prospettica fu opera di Leonardo che, nelle sue opere, teorizzò e mise in pratica la prospettiva aerea; le sue opere, infatti, oltre ad essere contraddistinte da una inimitabile profondità spaziale, risentono anche delle variazioni di colore e di forma delle cose vedute causate dalla presenza dell'atmosfera.
Da Firenze questo nuovo stile si diffonde rapidamente, tra il '450 e il '500, nelle corti dell'Italia centro settentrionale, dove gli artisti lavoravano su richiesta delle famiglie nobili e dei signori.
Tra il 1500 e il 1530 abbiamo poi quella fase di rinascimento chiamato Rinascimento Maturo, in cui troviamo artisti come Raffaello, Leonardo e Michelangelo. Inizialmente il centro più importante è ancora Firenze, ma presto il suo posto viene preso da Roma dove i pontefici, dopo la fine della cattività avignonese, danno alle arti uno straordinario impulso di committenza, tanto da far diventare i Palazzi Vaticani e San Pietro il centro produttivo e propulsivo di questo periodo.
Tra il 1530 e il 1570 è compreso, infine, quel periodo chiamato Tardo Rinascimento. Erroneamente considerata una fase di decadenza di questo stile, in realtà è il momento in cui lo stile si diffonde in Europa. Artisti italiani vano a lavorare all'estero e artisti stranieri vengono a studiare in Italia, dando il via ad un fenomeno che durerà fino al 1700. Si diffonde in questo periodo la corrente del Manierismo, che si propone di imitare i modelli dei grandi artisti precedenti e non più, invece, direttamente la natura, esasperando la postura dei corpi, i contrasti cromatici e la prospettiva illusionistica. Altra caratteristica di questo periodo è la limitazione per l'artista dell'autonomia raffigurativa delle opere sacre portata avanti dalla chiesa della Controriforma, dalla quale deriva la visione dell'artista come un semplice artigiano a cui si richiede un'opera con precise e imprescindibili caratteristiche, a cui quindi non è permesso imporre liberamente il proprio stile e la propria visione della realtà.
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