Tradizione e rinnovamento
Il tardo Quattrocento in Italia
Le nuove scoperte
fatte dagli artisti d'Italia e di Fiandra all'inizio del Quattrocento avevano
causato un rivolgimento in tutta Europa. Pittori e mecenati avevano scoperto
che l'arte
non doveva esclusivamente servire a narrare in modo commovente le storia sacra,
ma poteva
rispecchiare un frammento del mondo reale. Gli artisti di tutti i
Paesi presero a sperimentare ed a ricercare effetti nuovi e sorprendenti,
questo spirito dell'arte quattrocentesca segna la rottura con il Medioevo. Fino
ad allora l'arte, nelle diverse parti d'Europa, si era sviluppata in modo
analogo, lo stile dei pittori e degli scultori del Gotico Internazionale, e gli
scopi che si proponevano e 818c22i rano tutti molto affini. Verso la fine del Medioevo,
lo sviluppo della borghesia fece sì che le città accrescessero d'importanza, e
nacque nei cittadini uno spirito d'orgoglio e gelosia della propria posizione e
dei propri privilegi commerciali ed industriali, al punto da rimanere unite contro
qualsiasi corrente o intruso straniero. Gli artisti si organizzarono in
corporazioni, che tutelavano i diritti dei membri appartenenti; Le corporazioni
avevano voce in capitolo riguardo al governo della città, e concorrevano alla
sua prosperità facendo il meglio per abbellirla, incrementando l'arte. Grazie
allo sviluppo delle città, il Gotico Internazionale fu forse l'ultimo stile
internazionale sorto in Europa. Durante il Quattrocento l'arte si spezzettò in
una quantità di "scuole" diverse: ogni città aveva la sua scuola di pittura. La
grande rivoluzione
artistica era nata a Firenze, la generazione che seguì a
Brunelleschi, Donatello e Masaccio, valendosi delle scoperte fatte cominciò ad
applicarle. I nuovi metodi rivoluzionari parevano talvolta contrastare con le
ordinazioni tradizionali; Brunelleschi aveva reintrodotto le forme degli
edifici classici nelle sue chiese, ed i suoi successori erano desiderosi di
emularlo. Esempio ne è la Chiesa rinascimentale
di Sant'Andrea (Mantova) che
l'architetto, Leon Battista Alberti concepì come un enorme
arco trionfale alla maniera romana. Il problema fu trovare un
compromesso tra la casa tradizionale e la forma classica, e fu proprio Alberti ad escogitare una soluzione, nel Palazzo progettato per la famiglia Ruccellai. L'edificio a tre piani, presenta
nella facciata decorazioni classiche, l'architetto la rivestì di lesene e
trabeazioni che conferirono un'impronta classica all'edificio senza mutarne la
struttura. Alberti s'ispirò al Colosseo, adattando lo stile dorico al piano inferiore, e aprendo
archi tra pilastri. Ma anche riuscendo a dar un'apparenza nuova e moderna al
palazzo ritornando alle forme romane, egli non ruppe del tutto con le
tradizioni gotiche. Alberti si limita a calare il disegno gotico nelle forme
classiche, smussando l'arco acuto e usando elementi di ordine
classico. Il miscuglio di vecchio e nuovo, di tradizioni gotiche e forme
moderne è caratteristico di molti maestri della metà del secolo. Il più grande
fra i maestri fiorentini che riuscirono a conciliare le nuove conquiste con la
tradizione antica, fu Lorenzo Ghiberti. Uno
dei suoi rilievi, "Il battesimo di Cristo",
è destinato allo stesso fonte battesimale per il quale Donatello
modellò "Il festino di Erode". La
disposizione della scena mostra Cristo al centro e ai lati San Giovanni
Battista e gli angeli serventi, mentre in alto appaiono Dio Padre e la colomba.
Anche nella resa dei particolari l'opera del Ghiberti richiama quella dei suoi
predecessori medievali: la cura del drappeggio richiama ad alcuni lavori orafi
del Trecento. Eppure nel rilievo Ghiberti sa dare carattere alle figure: la
bellezza e l'umiltà di Cristo, il gesto solenne ed energico di San Giovanni, e
le celesti schiere degli angeli che si contemplano silenziose in preda alla gioia
ed allo stupore. Ghiberti rimane moderato e lucido, non ci da, come Donatello,
l'idea dello spazio reale ma preferisce accennare appena alla profondità. Egli
era rimasto fedele ad alcune concezioni gotiche senza rifiutare le nuove le
nuove scoperte del suo secolo. Beato Angelico
si valse dei nuovi metodi utilizzati da Masaccio per esprimere le idee
tradizionali dell'arte religiosa; L'artista era domenicano e, gli affreschi
eseguiti nel convento fiorentino di San Marco verso il 1440 sono fra le sue
opere più belle. Nell'"Annunciazione",
Beato Angelico mostra che per lui la prospettiva non costituisce difficoltà, il chiostro dove la Vergine è inginocchiata è
meno veritiero della volta del famoso affresco di Masaccio, ma l'Angelico non
aveva intenzione di fare un buco nel muro, volle invece rappresentare la storia sacra in tutta la
sua bellezza e semplicità. Dalla pittura di Frà Angelico esula quasi
il movimento, egli rinunciò ad ogni ostentazione di modernità. Un altro pittore
fiorentino, Paolo Uccello, la cui opera
meglio conservata è la scena della "Battaglia di
San Romano", in origine era destinata ad essere collocata come
rivestimento in una parete di palazzo Medici. Rappresenta un episodio della
storia di Firenze, quando le truppe fiorentine sconfissero i loro nemici in una
delle molte battaglie tra fazioni. I cavalieri ricordano i romanzi
cavallereschi medievali, e tutto il quadro, con la sua vivacità ci sembra
lontano dalla realtà della guerra. Il pittore era così affascinato dalle leggi
prospettiche, al punto che le sue figure sembrano campeggiare nello spazio,
come se fossero intagliate e non dipinte. Paolo Uccello mediante l'arte
prospettica tentò di costruire un proscenio concreto dove le figure avrebbero
dovuto avere un aspetto solido e reale; ma egli non aveva ancora appreso gli
effetti del chiaroscuro e dell'atmosfera per ammorbidire i duri contorni della
rappresentazione prospettica. Artisti meno devoti e meno ambiziosi applicavano
tranquillamente i novi metodi senza preoccuparsi troppo delle difficoltà.
L'incarico di affrescare alcune pareti della cappella privata di Palazzo
Medici, fu affidata a Benozzo Gozzoli, allievo dell'Angelico ma di vedute assai
diverse. Nell'affresco che raffigura il Viaggio dei magi verso Betlemme,
la cavalcata dei Re Magi si snoda con
fasto regale attraverso un ridente paesaggio. ,L'episodio biblico offrì
l'opportunità di spiegare raffinatezze sontuose e sgargianti costumi. Il
Gozzoli mostra che le nuove scoperte potevano servire a rendere ancora più vivi
e gradevoli gli allegri quadri di vita contemporanea. Nel frattempo altri
pittori, nelle città a Nord e a Sud di
Firenze, avevano accolto il messaggio della nuova arte di Donatello e Masaccio,
tra questi si colloca Andrea Mantegna, che
lavorò dapprima a Padova e poi alla corte dei signori di Mantova. In una chiesa
padovana illustrò in una serie di scene la leggenda di "San Giacomo che si avvia al supplizio". La scena rappresenta San Giacomo che si avvia
al supplizio, come Giotto e Donatello, Mantegna tentò di ricostruire con chiarezza come la
scena doveva essersi svolta realmente. Interessandosi anche delle
circostanze esterne, gli premeva ricostruire fedelmente la scena a tal punto
aveva studiato con attenzione i monumenti classici, i particolari di costume, e
le decorazioni ci ricordano la scultura antica. Nell'intera scena rivive lo
spirito dell'arte romana, egli continua nella direzione di Masaccio, le sue
figure sono statuarie e colpiscono lo spettatore. Mantegna si dedica all'arte
prospettica per creare lo scenario in cui i personaggi campeggiano e si muovono
come esseri solidi. Li distribuisce come un regista teatrale al fine di
esprimere il significato di un certo momento, la scorta di San Giacomo si è
fermata perché uno dei persecutori, pentito, si è gettato ai piedi del santo
per farsi benedire. Il santo si è voltato a benedire l'uomo, mentre i soldati
romani tutti intorno fissano la scena, l'arco che fa da cornice separa la scena
dal tumulto popolare. Un altro grande pittore Piero
della Francesca era attivo nella regione a Sud di Firenze, ad Arezzo e
ad Urbino. Nell'affresco che rappresenta "Il
sogno di Costantino", rappresenta la scena notturna
nell'accampamento dell'imperatore prima della battaglia. L'imperatore dorme nel
suo letto da campo, la guardia gli siede a lato, e i due soldati vigilano sulla
sua sicurezza. La quieta scena notturna è illuminata da un improvviso bagliore,
mentre l'angelo cala dal cielo tenendo il simbolo della croce nella mano
protesa. Come nei dipinti di Mantegna, ci sono anche qui elementi che ricordano
una scena teatrale: il proscenio è chiaramente delineato e nulla ci distrae
dall'azione principale. Come Mantegna, Piero cura il costume dei legionari romani,
ed anch'egli è padrone
dell'arte prospettica. Ma a questi accorgimenti aggiunge un elemento nuovo: la luce, ala quale gli artisti medievali non
avevano dato importanza. Anche se Masaccio era stato, a questo riguardo un
pioniere, con le sue figure solide e tornite, modellate dal chiaroscuro,
nessuno come Piero della Francesca seppe scorgere le nuove possibilità della
luce. Essa non solo aiuta a modellare le figure, ma a creare l'illusione della
profondità eguagliando in importanza la prospettiva. Piero grazie al
chiaroscuro evoca l'atmosfera misteriosa dell'episodio, avvenuto in piena
notte, in cui l'imperatore ebbe visione che doveva mutare il corso della
storia. Gli artisti a Firenze forse pensavano che la scoperta della prospettiva
e lo studio della matura avessero ormai risolto ogni difficoltà, ma ogni
scoperta crea una nuova difficoltà. I pittori medievali non conoscevano le
regole del disegno esatto e distribuivano le figure come meglio credevano lo
schema perfetto. Per fino i maestri trecenteschi, come Simone Martini,
riuscivano a creare un nitido disegno nella disposizione delle figure su fondo
oro. Ma appena venne adottata la nuova concezione il quadro assunse la
figurazione di specchio della realtà, la questione della disposizione delle
figure non fu facile da risolvere. Antonio del Pollaiolo
tentò di risolvere tale problema, eseguendo un quadro che doveva essere
accurato nel disegno ma armonioso nella composizione. Il dipinto rappresenta il
"Martirio di San Sebastiano", che
legato ad un palo ha sei carnefici attorno, il gruppo si iscrive in un
triangolo acuto. La disposizione è tanto chiara e simmetrica da risultare
troppo rigida. Il pittore tenta di attenuare la rigida composizione
introducendo un contrappunto di movimenti, ma non riuscì del tutto nel suo
intento. Applicò la nuova arte prospettico al paesaggio toscano dello sfondo,
ma il tema principale e lo sfondo non si compenetrano. L'arte aveva scelto di
gareggiare con la matura. Fra gli artisti della seconda metà del Quattrocento
che tentarono di risolvere il problema della disposizione delle figure vi fu
Sandro Botticelli, uno dei suoi quadri più famosi non rappresenta una leggenda
cristiana ma un mito classico: "La nascita di
Venere". Gli uomini del Quattrocento erano tanto persuasi della
superiore saggezza degli antichi da credere che le leggende classiche avessero
un qualcosa di vero e misterioso. Il mecenate che ordinò la pittura per la sua
villa di campagna era della famiglia dei Medici. La storia di questa nascita simboleggiava il
mistero attraverso il quale era stato trasmesso ai mortali il divino messaggio della bellezza.
Venere emersa dal mare, è il soggetto del quadro, viene spinta verso la terra
dalle divinità dei venti in volo tra una pioggia di rose, a riceverla una Ninfa
che le offre un manto porporino. La composizione risulta estremamente
armoniosa, le figure del Botticelli sono meno solide di quelle del Pollaiolo, e
non hanno la correttezza del disegno dello stesso, ma i movimenti aggraziati e le sue
linee melodiose ricordano
la tradizione gotica del Ghiberti dell'Angelico. L'arte non è più un
mezzo adatto a comunicare solo il significato dalla storia sacra, la funzione
dell'arte è volta ad accrescere le bellezze e le grazie della vita, questo
aspetto venne sempre più in primo piano nel periodo del Rinascimento
italiano.