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Storia - Leon Battista Alberti, celebre architetto fiorentino

arte




Storia


Con la definizione di età tarda di Medioevo si intende il periodo di passaggio, di mezza età tra la Classicità ed il Rinascimento. Tradizionalmente il Medioevo va dalla caduta dell'impero romano d'occidente (476 dopo Cristo) alla scoperta dell'America (1492). Queste sono date puramente indicative. Infatti, in questi quasi 10 secoli tanti sono i momenti decisivi che possono portare a identificare in questo lasso di tempo molte epoche. I linguaggi figurativi medievali, infatti, non sono uguali in tutte le zone europee e anzi si può affermare che in molti paesi essi permangono per molti decenni oltre la data ufficiale della fine del Medioevo (ad eccezione dell'Italia).

L'arte del Medioevo in pratica finisce con l'avvento di:

Masaccio (nella pittura)



Donatello (nella scultura)

Brunelleschi (nell'architettura)

Anche se alcuni affermano che si possa datare la fine del Medioevo già con l'avvento di Giotto (pittura).

Le arti nel corso del tempo sono state suddivise in:

Arti Maggiori (pittura, scultura, architettura)

Arti Minori

Leon Battista Alberti, celebre architetto fiorentino, distingue la pittura, la scultura e l'architettura da tutte le altre produzioni di interesse storico-artistico perché queste arti, secondo lui, richiedevano una partecipazione inte 141h73b llettuale superiore a quella manuale. Anche Giorgio Vasari istituzionalizza questa distinzione tra Arti Minori e Maggiori. Egli fonda diverse "accademie" e in essa è formalmente riconosciuta questa prevalenza intellettiva sul lavoro manuale. Le accademie prendono il sopravvento su:

monasteri e conventi (strutture tipiche degli ordini mendicanti), sorti nell'Alto Medioevo e sono i maggiori centri e i luoghi più fertili per produzioni storico-artistiche

botteghe, cioè quei luoghi laici di produzione storico-artistiche.

Per tutto il periodo in cui operano i monasteri e le botteghe, l'artista (anche se il termine non è corretto) è l'ideatore e il produttore. Nelle accademie invece questi due momenti, cioè l'ideazione e la produzione, sono affidati a due distinti soggetti. Per tutto il periodo che noi studieremo non esisterà la parola artigiano e artista (nel senso moderno del termine, cioè colui che esegue qualcosa per dare valore di se stesso). Nel Medioevo, infatti, il termine che è usato per indicare entrambe le figure è artefice, cioè colui che al meglio sa usare della materia prima per trasformarla in manufatti che rientrano nel campo artistico.

Ars, infatti, abbraccia nel Medioevo qualsiasi mestiere ed indica un'attività svolta al meglio. L'artefice poi è parte integrante della società e del mondo in cui vive.

Quali sono state le protagoniste dei manufatti storico-artistici

In tutte le civiltà avanzate il prodotto, oggi definito artistico, si è manifestato e ha avuto particolare peso là dove sono sviluppate le civiltà urbane, ossia comunità di agglomerati piuttosto consistenti, tra le cui attività vi era anche quella della realizzazione di manufatti di vario tipo.

Entro queste società chi praticava le stesse attività, o attività complementari, andò organizzandosi in gruppi con obiettivi ben definitivi. Questi obiettivi erano:

obiettivi legati alla loro attività (del resto il proverbio dice "l'unione fa la forza"), e chi non si assoggettava alla stesse regole era considerato un fuorilegge

monopolio dell'attività

assicurazione sulla qualità del prodotto a chi poi "acquistava" il prodotto.

Possibilità di mantenere e tramandare il mestiere

Le regole fondamentali di questi gruppi erano perciò:

diritti e doveri dell'artefice

garanzia di qualità per la "clientela" o committenza

Questi gruppi quindi aspirarono non solo alla salvaguardia del mestiere ma anche allo stesso potere economico-commerciale dello stesso, nel senso che il mestiere doveva "rendere" economicamente. Per questo motivo la loro espansione era anche all'esterno della società in cui vivevano e operavano, acquistando mercati esteri e ciò grazie a:

gli stessi artefici, che viaggiavano spesso e spesso con i propri arnesi, o attrezzi del mestiere

gli intermediari, vale a dire i mercanti, che con l'apertura di filiali e l'aiuto di rappresentanti contribuirono allo sviluppo del mercato del prodotto.

Tutto questo favoriva chiaramente anche uno "scambio" culturale, di idee, di mode, tra popoli e società diverse. Un altro importante obiettivo di questi gruppi organizzati (o corporazioni) era anche e soprattutto il raggiungere un potere politico. Nella maggior parte dei casi quest'obiettivo fu raggiunto, ma fu difficilmente mantenuto per via dell'opposizione e dell'interferenza dell'aristocrazia, tranne che a Firenze, dove il governo repubblicano ha coinciso con la Corporazione, e anzi chi aspirava al potere politico doveva necessariamente essere iscritto ad una Corporazione. Queste ARTES (arti di mestieri) o CORPORAZIONI sono spesso dagli storici dell'arte, considerati in maniera negativa, perché si tende a credere che l'artefice, costretto a seguire determinate regolamentazioni, limitasse la sua libera espressione creativa. Questo pregiudizio però non ha senso, perché non è detto che le regole sminuiscono affatto il valore delle opere prodotte. Viceversa il fattore positivo dell'operare artistico precinquecentesco è che l'artefice è parte integrante della propria società. Le poche fonti scritte, le fonti iconografiche e di manufatti mettono in difficoltà gli storici e i loro studi per un attento esame di approfondimento. Ci si basa essenzialmente su fonti scritte che ci sono pervenute dal passato (da aristocratici, da filosofi, etc.etc). questa scarsità di fonti ci consente di affermare che chi operava nel mondo dell'arte era poco considerato o equiparato addirittura al mondo servile, perché appunto considerato solo manuale. Le ultime scoperte archeologiche ci mostrano invece che gli artefici rivestivano un ruolo di primo piano nella società in cui vivevano. Cronologicamente possiamo dire che:

in area mesopotamica (assiro-babilonese) sono stati ritrovati interi scritti (storici, artistici, filosofici) sulla vita quotidiana dell'epoca (si tratta chiaramente di scritti non su supporti cartacei - la carta o i papiri ancora non si conoscevano- ma su tavolette di argilla con la scrittura cuneiforme);

nell'area delle Piramidi, in Egitto, è stato ritrovato un intero villaggio costruito e adibito per le maestranze, e ciò evidenzia chiaramente che gli artefici non sono equiparati alla classe servile;

nell'area imperiale di Roma, nel Vallo di Adriano sono stati ritrovati notevoli reperti epistolari (lettere) nelle quali la quantità e qualità delle notizie sugli artefici sono più che positivi.

Le tre forze fondamentali che hanno un ruolo da protagonista nella arte medievale sono:

il monachesimo e mendicanti (di origine religiosa)

le botteghe (di origine laica)

la committenza, o clientela

le prime due forze, sono forze operative nella concreta realizzazione dei manufatti, la terza invece riguarda la richiesta dei manufatti. Tutte e tre queste forze insieme interagiscono in maniera completa. Come sappiamo la caduta dell'impero romano fu dovuta soprattutto alle invasioni barbariche, di diversa provenienza ed estrazione. Questa ha determinato una perdita di punti di riferimento da parte dei popoli soggetti fino ad allora all'autorità romana. Nell'ex impero romano emergono delle organizzazioni del tutto nuove, come ad esempio il MONACHESIMO (dal greco "monos", cioè "uno"- inteso come solo-), dove uomini si isolano per rapportarsi esclusivamente con il divino. Tuttavia è sbagliato pensare che monachesimo significa isolarsi, forse è meglio dire STACCARSI dalla società d'origine, pur mantenendone i rapporti, per creare in un mondo diverso, una società nuova. Ci si stacca per cercare nel nuovo motivazioni che non si trovano nella società di origine. Le prime forme di monachesimo risalirebbero a pochi anni dopo la morte di CRISTO. Il monachesimo, come fenomeno, nasce in Oriente, fra il 3° e il 4° secolo dopo Cristo ed è caratterizzato da due forme:

ANACORETA O EREMITICA, cioè quando un singolo individuo abbandona la propria società e si ritira, generalmente in luoghi disagiati dove poter trovare il modo i rapportarsi alla divinità, accontentandosi dei luoghi naturali ameni.

CENEOBITICA, cioè quando un gruppo di più persone decide di fondare una Chiesa (inteso come luogo di religiosità) e altri luoghi (inteso come luogo per vivere la quotidianità della vita) di architettura

Queste comunità, al di là dell'aspetto spirituale, per vivere iniziano così a produrre in proprio manufatti, anche con l'ausilio di laici, e cioè:

i vestiti (nascono così le prime sartorie monastiche con varietà di abiti e di componenti, con tessuti sia poveri- la lana- o ricchi -seta e ricami-) mantenendo i rapporti con l'esterno

i libri o testi, sia strettamente legati alle funzioni religiose (bibbie e vangeli) sia tesi culturali della classicità. I libri erano prodotti all'interno dei monasteri, nel cosiddetto SCRIPTORIO, ed era miniati. Da ciò deriva la miniatura. Questo termine nasce dal fatto che generalmente questi libri, come quelli attuali, erano divisi in capitoli e ogni capitolo iniziava il periodo con la prima lettera che di solito era scritta sia di dimensioni maggiori rispetto al resto del testo, ma soprattutto erano colorata di MINIO.

La miniatura è il linguaggio figurativo per eccellenza e si colloca a metà tra le arti maggiori e quelle minori. Ha avuto un ruolo maggiore della pittura monumentale. Inoltre è un'espressione di arte figurativa in cui il lavoro manuale era prevalente a quello intellettuale, anche se richiedeva conoscenze culturali per miniare i libri. Ad esempio era necessario innanzi tutto che i frati sapessero scrivere, disegnare, ma anche scegliere il tipo di soggetto da rappresentare in relazione al contenuto. Ultime scoperte archeologiche in vari monasteri hanno riportato alla luce luoghi o officine dove, oltre alla miniatura, si producevano oreficeria, vetri e altri manufatti


Sotto l'aspetto storico/artistico l'uomo si esprime:

a)  attraverso segni astratti o per così dire motivi decorativi, con un'ornamentazione che non è solo simbolica ma lancia dei messaggi (linguaggio simbolico/figurativo)

b)  attraverso un linguaggio naturalistico, con raffigurazioni più o meno vicine alla realtà da parte dell'artefice (linguaggio della natura).

Questi due modi, che partono da civiltà molto diverse tra loro, nel momento in cui si incontrano si fondono l'uno con l'altro, portano da una parte alla tendenza simbolica, cioè di stilizzazione della parte naturalistica e alla tendenza naturalistica del linguaggio astratto. Alla base di questi due filoni c'è la volontà dell'uomo di rappresentare qualcosa che è al di là della scrittura. Nel tempo si è formato un repertorio di immagini simbolico/naturalistico molto corposo.

Per qualsiasi raffigurazione la base di tutto è un racconto (anche solo tramandato oralmente) o un testo che per i suoi contenuti si è ritenuto opportuno illustrare.

Tutte le arti figurative nascono perciò dalla necessità di tramandare dei testi scritti. Il testo può accompagnare l'illustrazione. I repertori di immagini del nostro patrimonio sono da accompagnamento ai testi.

Weitzmann fu uno studioso che si è sforzato di risalire alle origini del patrimonio figurativo.

L'uomo, prima di arrivare al libro così come noi oggi lo intendiamo (testo e immagini) ha fatto un lungo percorso. All'inizio i libri erano scritti su strisce di papiro, perché supporto tra i più economici ed il più adatto alla scrittura (sia presso gli egizi sia presso altri popoli). Tuttavia era un supporto scomodo, perché l'intreccio delle fibre vegetali non consentiva di ottenere una superficie sufficientemente liscia, perciò la scrittura richiedeva molta cura e pazienza per ottenere poi una buona lettura. Questi supporti erano conservati arrotolati e tenuti verticalmente in delle "cassette". I rotoli venivano "svolti" in direzione orizzontale, arrotolando dal lato sinistro e srotolando da quello destro. sul rotolo la scrittura era inserita a "colonne". Alcune tipologie di testo scritto richiedevano l'accompagnamento della scrittura con disegni, per facilitare la comprensione del testo stesso. Secondo Weitzmann i primi testi ad essere accompagnati da immagini furono i testi "scientifici":

i testi di geometria (per rappresentare ovviamente le figure geometriche)

i testi medico/naturalistici (testi medicinali e officinali)

i testi di astronomia (di studio dell'andamento dei corpi celesti)

Ovviamente le immagini erano inserite nel punto in cui vi era il testo da rendere più comprensibile al lettore. Il rapporto fra lo scritto e l'illustrato era così stretto che l'illustrazione non era isolata, o sottolineata rispetto al testo (nel senso che ad esempio non era incorniciata per essere messa in evidenza). Nacque così l'esigenza di illustrare qualsiasi altro testo, (filosofico, medico, etc.etc.).

Weitzmann calcola così che i libri più diffusi, tra chi poteva leggere, erano arricchiti da illustrazioni. Nel mondo pagano, Weitzmann è giunto alla conclusione che i primi libri illustrati siano stati quelli di Omero (Iliade e Odissea), nel mondo ebraico /cristiano invece la Bibbia.

Un famoso ritrovamento archeologico in Grecia, di due coppe di metallo, su cui, a sbalzo, erano rappresentate scene tratte dall'Iliade e dall'Odissea hanno condotto Weitzmann, ad un confronto tra le coppe e il testo dei poemi omerici, a comprendere che il numero dei versi rappresentati erano molto bassi. Weitzmann ha compreso perciò che hanno dovuto trovare un altro sistema per le rappresentazioni, e perciò si è passato all'uso del papiro.

Per motivi di natura estetica e coscientemente artistica (dare consapevolmente risalto alle immagini), le immagini si emancipano rispetto al testo, diventano indipendenti, sottolineati con una cornice o un contorno che le isolano. Successivamente le immagini diventano ancora di più indipendenti, e lo dimostra il fatto che non sono più inseriti nel punto in cui c'è un testo da far comprendere, ma in altre posizioni. Anzi già nel rotolo, una o più colonne possono contenere solo immagini. Per i testi più complessi (tipo l'Iliade o l'Odissea) c'era la necessità di avere più rotoli (per praticità). Il rotolo non era adatto per gli scritti rapidi o per gli appunti.

Il rotolo si evolve dal IX sec. a.C. in poi. Un altro supporto importante fu la pergamena (da Pergamo), ottenuta dalla pelle di pecora, o capra o agnello, che una volta essiccata, veniva levigata e preparata per la scrittura. Con il passaggio all'uso della pergamena (che garantiva una qualità di scrittura, e perciò di lettura migliore) cambia il modo di fare i libri. La pergamena viene divisa in tante sezioni, di eguale misura (in genere corrispondevano alla larghezza di due colonne del papiro), corrispondenti alle odierne pagine. In questo modo un numero consistente di fogli potevano essere tenuti insieme da una rilegatura, con una copertina (che li poteva proteggere dal tempo e dalla natura). Già Carlo Magno, durante il suo regno impose ai cacciatori l'obbligo di portare le pelli degli animali uccisi presso le officine delle pergamene.

Questo passaggio dal papiro al codice, al libro nasce quindi per motivi pratici. Nasce soprattutto all'interno delle botteghe, dove per l'attività svolta, vi era la necessità di tenere appunti, su supporti facili da utilizzare.

La prima rappresentazione iconografica del libro si trova in una scultura che risale al II e III° secolo d.C..

Il vantaggio dell'uso della pergamena, era dato oltre che dalla possibilità del taglio in fogli, dalla sua superficie, che se anche lavorata grossolanamente era sempre più liscia rispetto al papiro, perciò la scrittura era facilitata, così come l'illustrazione. Il testo era scritto con inchiostro vegetale e anche per le illustrazioni si usavano pigmenti e pennelli naturali.

Nel codice (libro) fra testo e illustrazione c'è una relazione diversa rispetto a quella presente nel papiro. Affinché la pagina avesse anche una valenza estetica, veniva, prima di procedere alla scrittura, squadrata con riga e compasso, con punta a secco (di metallo), venivano segnate le righe per inserire il testo. La pagina così organizzata si definiva "specchio" di scrittura., geometricamente costruita. Anche in epoca rinascimentale sussiste l'uso del papiro di inserire l'illustrazione là dove il testo deve essere più compreso.

Un altro elemento frequente del codice è la cosiddetta "miniatura a piena pagina" dove l'illustrazione è appunto inserita a piena pagina nello specchio di scrittura, ed è ovviamente indipendente dal testo. Spesso però il contenuto del testo non è sufficiente alla creazione della sua illustrazione, così l'illustratore vi aggiunge qualcosa di suo. Il codice manoscritto ed illustrato costituisce un settore fondamentale del linguaggio figurativo. Da esso, da questa elaborazione del libro su immagini che hanno vita le pitture su tavola, gli affreschi etc.etc.

Nel Medioevo la "miniatura" è l'arte portante, ed è quella più all'avanguardia cui si rivolgono gli altri settori dell'espressione figurativa. Anzi la miniatura ha consentito di far giungere ai nostri giorni più opere rispetto agli affreschi o alla pittura su tavola (perché si è conservata meglio).

La definizione di questa arte, miniatura, ha origine nella sua tecnica di esecuzione:

miniatura, infatti, sta ad indicare e a identificare la scansione dei testi da lettere iniziali tracciate con inchiostro rosso, il MINIO appunto,  

enluminer (in francese), invece è un termine che deriva dal nome del collante utilizzato per fissare sul supporto i pigmenti dei colori, collante che prende il nome di ALLUME.

Nelle arti tuttavia "miniatura" è anche il termine utilizzato per indicare anche le "piccole pitture", i dipinti dei paesaggi o di ritratti come ad esempio i pendenti per le collane.

Fino a pochi decenni fa, la miniatura è stata studiata in maniera poco soddisfacente perché i libri manoscritti giunti a noi (quelli da biblioteca) contengono talmente tante immagini che non possono essere state pubblicate perché era troppo costoso farlo.

La miniatura sopravvive fino al 1499, quindi anche dopo l'invenzione della stampa (1452). La stampa ovviamente subentra al libro manoscritto. Tuttavia per fare libri di storia dell'arte, per secoli, sono state fatte riproduzioni a incisione dell'opera d'arte da rappresentare (anche se le incisioni non erano molto realistiche, non essendo ancora stata inventata la fotografia).

Il LIBRO è una entità composita e complessa, che implica non solo la parte grafica del testo e delle illustrazioni, ma anche altre tecniche come la concia e la legatura (dalle semplici coperture di pergamena alle legature di oreficeria). Da qualche decennio in Italia è nata una disciplina, l'archeologia del libro, che si propone di studiare non solo l'aspetto qualitativo del libro, ma anche lo studio delle varie tecniche utilizzate per la sua produzione (dalla preparazione della carta, ai colori, alle tecniche della miniatura, alla legatura). Il libro, rispetto alle miniature, dal punto di vista della conservazione ha qualche vantaggio in più, tuttavia l'uso frequente ha, ad esempio, danneggiato molti libri, tipo quelli liturgici come le bibbie.

La committenza. Chi chiedeva i libri? Il libro manoscritto e miniato, nei primi secoli dell'Alto Medioevo (7° e 8° sec. d.C.) non ha avuto particolari forze sociali che abbiano favorito alla produzione del libro. L'unica forza che ha contribuito allo sviluppo di questa produzione è stata la Chiesa. L'esistenza, infatti, dei libri riprodotti e illustrati secondo i linguaggi figurativi dell'epoca si deve al monachesimo. I codici, con la forma pagina e pergamena sono pochi e con resti frammentari. Si tratta dei testi omerici e i codici scientifici della farmacopea naturalistica. Con l'avvento del monachesimo la diffusione dei codici si espande, ogni comunità monastica ha una apposita "officina" in cui produrre i codici, sia codici di ricopiatura dei testi classici, sia realizzazione di nuovi testi. Queste officine si chiamavano SCRIPTORIUM. Agli inizi dell'11° sec.d.C., risale lo scriptoriun del monastero di Fonteavellana, tra Toscana e le Marche, ancora oggi conservato. Nello scriptorium, una stanza realizzata ad angolo, per ricevere maggiore luce, la riproduzione del manoscritto poteva avvenire in due modi differenti:

un metodo consisteva nella copiatura di più testi, tramite un monaco lettore del testo e più frati scrivani (perciò si aveva la produzione di più copie di un testo)

l'altro metodo consisteva nella riproduzione di un unico codice tramite lo smembramento del testo da copiare, in fascicoli, ognuno dei quali veniva affidato ad un frate scrivano, che provvedeva a ricopiarlo. Quando tutti i fogli erano ricopiati si procedeva al riassemblaggio sia del testo copiato, che dell'originale. Questo metodo fu adottato anche in ambiti al di fuori dei monasteri, cioè presso le botteghe laiche atte alla produzione di testi universitari (pecia= cioè pezzo di libro). Ovviamente i fascicoli dovevano avere tutti le stesse dimensioni. Normalmente prima veniva ricopiato il testo e poi veniva effettuata la miniatura (a volte, però succedeva il contrario).

Le comunità monastiche si procuravano in proprio tutto l'occorrente per la miniatura:

la pergamena, dai loro allevamenti

i pigmenti e gli inchiostri (animali e minerali) dai loro orti e giardini o dal territorio circostante il monastero

le foglie d'oro e d'argento (con acquisti esterni)

la legatura, con le budella degli animali. Quando era realizzata in oreficeria ovviamente si richiedeva l'esperienza di persone esterne.

Lo scriba e il miniatore spesso coincidevano con la stessa persona, ma potevano essere anche due soggetti diversi. Spesso poi potevano esserci più miniatori per la stessa illustrazione. Frequentemente un monaco concorreva alla correzione dei testi.

Oggi è possibile studiare la "tecnica della miniatura" grazie al fatto che ci sono giunte delle miniature incomplete, sì da rendere facile agli studiosi capire i vari stadi e le fasi della tecnica. Ad esempio è stato possibile osservare che la foglia d'oro è il primo elemento che viene apposto sulla miniatura. Così come è stato possibile capire che il primo colore ad essere utilizzato era generalmente il rosso, seguito dal verde. Negli ultimi anni molti studiosi dal punto di vista tecnico hanno indagato sugli aspetti chimici dei pigmenti, ma questi studi si sono fermati alla sola osservazione del colore azzurro.


I cicli figurativi del libro si diffondono nella pittura monumentale.

Si definisce stile del papiro, lo stile che si ha quando nel testo si inserisce l'immagine, priva di cornice e sottolineature che ne delimitano il campo. Si ha perciò un rapporto molto stretto con il testo.

L'evoluzione del rapporto testo/immagine si ha quando l'immagine è a piena pagina, quindi ha la massima indipendenza dal testo (può essere, infatti, posizionata distante dal testo), con il quale mantiene però un rapporto "di contenuto" (cioè l'immagine sintetizza i significati del testo). Dalla metà del '300 in poi vi è la tendenza "a rompere" la definizione dell'immagine, data dalla cornice, con elementi che fuoriescono dalla stessa cornice.


Tra le realizzazioni di interesse storico/artistico vi sono varie forze di potere, in accordo o in contrasto tra loro:

la Chiesa

il potere laico gerarchicamente suddiviso (imperatore, feudatari e vassalli...)

le presenze barbariche.

Fino all'11° sec. queste forze concorrono alla realizzazione di opere artistiche. Tutte e tre sono impregnate da un motivo dominante comune: elementi cristiani, di contenuto e di religiosità.

Naturalmente portatrice e strenua diffonditrice dello spirito religioso cristiano fu la Chiesa. E soprattutto a Roma. Inizialmente, come si sa, il Cristianesimo fu avversato, i martiri in varie parti dell'impero, divenendo santi, danno vita al concetto di santità (del tutto assente anche nell'ebraismo). I primi cristiani si riunivano di nascosto e spesso erano accolti da personaggi femminili di ceto elevato. Nascono le prime catacombe (luoghi di sepoltura e di preghiera) soprattutto a Roma. La Chiesa pian piano diventa l'erede della classicità, dell'impero romano. Con l'editto di Costantino del 313 la religione cristiana viene definitivamente ammessa e riconosciuta come religione dell'impero. La Chiesa cristiana adottò una politica particolare in due direzioni, ispirate dallo stesso principio:

in quanto erede della classicità difende (per tramandare ai posteri) e fa proprie, cristianizzandole, molte caratteristiche del mondo romano (sia dal punto di vista culturale che storico/artistico);

diffondendosi presso popolazioni non credenti ed evangelizzandoli, cristianizza le abitudini delle popolazioni non in maniera cruenta ma inglobando tali tradizioni. Ne sono un esempio le feste cristiane che quasi sempre corrispondono a date pagane (tipo il 25/3 oggi festa dell'incoronazione che corrispondeva al passaggio tra l'inverno e la prima; oppure al 25/12, data in cui si festeggiava il passaggio dall'autunno all'inverno).

Anche in campo artistico avviene la stessa cosa. La Chiesa dà nuovi contenuti, nuove funzioni, nuove iconografie e nuovi linguaggi alla tradizione classica. Gli edifici sono i contenitori di questi nuovi contenuti.

La chiesa, come edificio, come luogo di culto costella l'arte cristiana. Così come i battisteri e i luoghi sepolcrali. Il clero viene preposto alla diffusione della religione.

La chiesa (edificio) assume la forma del periodo imperiale, della BASILICA (la basilica in epoca imperiale era il luogo in cui si amministrava la giustizia) come LUOGO DI CULTO.

La basilica ha una forma di pianta rettangolare, con un alloggiamento, ABSIDE, e due transetti che si allungano ai lati della chiesa. La pianta della basilica è detta A CROCE LATINA (cioè si incrociano due elementi di grandezza diversa, il braccio orizzontale è più lungo di quello verticale). L'aula rettangolare è divisa in 3 o 5 spazi, separati da una serie di "colonne" (se sono puntelli circolari d'appoggio al tetto) o di "puntelli" (se sono puntelli quadrati). Tali spazi prendono il nome di navate. Di basiliche ereditate dalla civiltà romana ci restano pochissimi esempi, e sono quasi tutte a Roma. La basilica di San Pietro (rifatta nel periodo barocco). Spesso questi luoghi erano realizzati con materiali saccheggiati, già nel periodo della decadenza dell'impero romano, tipo i capitelli e le colonne.

Un'altra pianta architettonica che il Cristianesimo adotta dalla tradizione classica, cioè i templi dedicati agli dei dell'Olimpo, sono gli edifici a PIANTA CENTRALE. Si tratta di edifici

monoblocco, a pianta circolare,

POLIGONALI (il poligono è una figura geometrica ascrivibile nel cerchio, forma geometrica per eccellenza, perfetta)

A CROCE GRECA (quando i bracci che si incrociano sono di eguale grandezza). Tale pianta venne utilizzata per:

battisteri

sepolture

chiese (come il mausoleo di Galla Placidia, a Roma che è a croce greca).

Molte popolazioni barbariche restarono impressionati da questi edifici.

Il Cristianesimo investe le sue realizzazioni di valori architettonici ma anche e soprattutto simbolici (i linguaggi figurativi) proprio perché il linguaggio figurativo serve a rappresentare qualcosa a chi guarda. Il mondo classico aveva adottato dei linguaggi figurativi molto realisti, (come ad esempio la scultura greca, con i suoi particolari anatomici o la tridimensionalità - che non sempre si riesce a rappresentare). Così nel mondo romano, le epigrafi figurate consistono nella rappresentazione del ritratto del defunto (il ritratto nasce nel mondo classico) e della sua attività in maniera molto particolareggiata e realista (come la descrizione accurata degli arnesi o attrezzi del mestiere).

La Chiesa venne a incontrarsi con i linguaggi espressivi barbarici che, a differenza di quelli classici, sono generalmente astratti o astrattizzanti. Il mondo barbarico seppur eterogeneo aveva un elemento comune: il nomadismo. I vari popoli barbari erano, infatti, nomadi. Non avendo perciò necessità di strutture architettoniche stabili (né ovviamente ornamenti per le stesse) portarono a perfezione solo alcune arti. Esistono perciò solo oggetti che rispondono alle funzioni quotidiane e pratiche, come gli oggetti di:

oreficeria

armi

arnesi e attrezzi dei vari mestieri (arredi sepolcrali)

vasellame e contenitori vari

esistono ovviamente anche oggetti tessili, ma realizzati con materiali molto semplici e rozzi (sempre per i motivi pratici di lavorazione). I barbari, incontrando il mondo cristiano, conoscono altri linguaggi e espressioni figurativi molto complesse. Altro elemento, estremamente semplificato e contrastato è l'aspetto cromatico (oro con smalti rossi o scuri. L'elemento astratto viene interpretato nella maniera naturalistica (gli studiosi tendono a credere che nulla è figurativo ma solo decorativo). Anche il mondo classico conosce i motivi decorativi. Così come si tende al motivo naturalistico, gli elementi ornamentali (è simbolico) si naturalizzano. La civiltà più povera, pur essendo dal punto di vista bellico vincitrice, rimane affascinata dal mondo classico. Ne assimila gli elementi figurativi, mantenendo inizialmente delle schematizzazioni. Quando c'è la figura umana c'è l'influsso della civiltà classica (anche se molto semplificata). I longobardi si cristianizzarono prestissimo, agli inizi della seconda metà del VI sec. d.C., attraverso il VeneziaGiulia. Presenze dei longobardi si ritrovano soprattutto nell'Italia settentrionale ma anche in alcune zone del centro. I longobardi acquistano il linguaggio simbolico dei classici. (Biblia paperum= linguaggio figurativo per gli illetterati) da parte sua il linguaggio classico accoglie elementi tipicamente barbarici, quasi esclusivamente nell'ornamentazione. C'è la coesistenza dei motivi stilizzati e naturalistici. L'arte cristiana dovette affrontare un problema importante religioso: come raffigurare il sacro e se raffigurarlo, in modo da non far cadere il "cristiano" nell'idolatria.


Problema fondamentale della storia dell'arte medievale è appunto se e come fosse lecito rappresentare il soprannaturale in maniera visibile. Il Medioevo è impregnato dal sentimento religioso cristiano. Le arti figurative si indirizzano a rappresentare i componenti religiosi. Il Cristianesimo era una forza nuova rispetto alla classicità e insiste soprattutto sul concetto della sacralità della santità dei rappresentanti della Chiesa, a partire da Cristo.

Le popolazione precedenti al Cristianesimo avevano dato spazio al sacro, ma lo avevano reso molto umanizzato, con difetti e pregi, così Iside nel mondo egiziano era riproposto ai fedeli in maniera tale che richiama la realtà.

Dio invece, è un essere inconcepibile ed astratto, perciò ben presto nel mondo cristiano si pose il problema di come rappresentare la divinità. Vennero utilizzati dei simboli.

1) Il principale di questi simboli è la CROCE, soprattutto quella greca, perché con l'equivalenza dei due bracci, orizzontale e verticale, concentrava in se altri 3 simboli atavici:

l'idea di centro, punto focale della complessità dell'esistenza

il cerchio, come simbolo dell'universo

il quadrato, come forma geometrica perfetta ascrivibile nel cerchio.

Inoltre l'incrocio dei due bracci rappresenta l'incontro tra il soprannaturale e il terreno. Fu grazie all'imperatore Costantino, ed ad una sua visione della croce, durante una battaglia, a conferire un forte valore simbolico alla croce.

La croce per il cristiano assume un significato in più per la sua religione, poiché diviene il simbolo per eccellenza della redenzione, redenzione dell'umanità, punto centrale della fede cristiana. Perde il senso di tortura e morte. Ben presto con il diffondersi presso civiltà diverse, con altre tradizioni, il racconto del percorso di Cristo (dalla Bibbia, alla crocifissione) manifestò la voglia di rappresentarlo in maniera più visibile.

Si tende perciò a dare un volto e un corpo (umanizzato) degli aspetti cristiani. Nel Cristianesimo si affermano però due posizioni contrapposte:

a)  una posizione ritiene che il mondo cristiano non corra nessun pericolo nella rappresentazione in maniera naturalistica di Dio, poiché in questa visualizzazione l'immagine sarebbe soltanto un tramite per un rapporto con l'aldilà, con il superiore, con Dio. Non ci sarebbe l'adorazione dell'immagine in quanto tale.

b)  Un'altra posizione, prevalentemente presente a Bisanzio, tenta di opporsi invece alla visualizzazione naturalistica degli elementi della vita cristiana perché teme che i cristiani abbiano un ritorno all'idolatria (come accadeva nel mondo precedente ai cristiani).

Per di più il Cristianesimo non poteva contare su nessuna iconografia precedente a se stesso. È così nuovo e ci sono tanti elementi del vangelo che deve inventare nuove immagini.

La corrente contraria alla visualizzazione esplode nel movimento ICONOCLASTA (introno al 726 d.C.). il termine iconoclasta deriva da icona (immagine) e clasta (verbo clao, cioè distruggere, rompere). Questo movimento si mette alla caccia di queste immagini realistiche già prodotte e distrugge un patrimonio considerevole della produzione grafica delle raffigurazioni. Il Papato si oppone a tutto questo e fa di tutto per evitare queste distruzioni. Con il concilio di Nicea, del 787 d.C., vieta questa distruzione. Ma ciò non basta a che questo movimento ponga fine a queste distruzioni. Solo verso la metà del 9° sec. d.C.. cessano queste distruzioni.

Come si arriva a formare una iconografia del cosmo cristiano

L'iconografia, che ha molte varianti, è riconoscibile a qualsiasi civiltà appartenga. Cioè ogni figura è sicuramente rappresentativa, ad esempio del Cristo o della Madonna, o dei Santi, proprio perché hanno ciascuno delle caratteristiche indiscutibili. La storia dell'arte solo con il recente giubileo del 2000 si è soffermata su come il volto di Cristo sia facilmente percepibile.

Bisanzio, per la sua posizione geografica, ed essendo erede della civiltà romana, è la prima e più importante diffonditrice della fede cristiana. Ma è anche circondata da popolazioni orientali aniconiche (cioè senza immagini) ecco perché l'iconoclastia si diffuse. A Bisanzio vi sono le più importanti reliquie del Cristianesimo (di Cristo e della Madonna). Secondo la tradizione a Bisanzio vi sarebbe un ritratto della Madonna eseguito da san Luca, e vari immagini del volto di Cristo, come il velo della Veronica, e la Sacra Sindone. Oltre a tante immagini degli apostoli. Nel Medioevo ci sarà una vera e propria caccia alle reliquie, con spedizioni organizzate volte a recuperare le reliquie dei santi.

Immagini

La presenza dell'aureola, realizzata in foglie d'oro (segno di santità) è presente sia nelle immagini di cristo che dei santi, ma il cristo si distingue perché l'aureola è crociata, inoltre il cristo ha i capelli lunghi, volto barbato, atteggiamento benedicente e spesso ha un libro in mano (simbolo del verbo incarnato, il Vangelo). A volte cristo può assumere caratteristiche diverse, nel senso che può essere imberbe (senza barba) e con agnelli (Agnus Dei), con una continua commistione tra realistico e simbolico. Un altro elemento è la luce. Tutte le chiese paleocristiane sono inondate di luce non solo grazie alle tante finestre, ma anche attraverso i mosaici, realizzati con tessere quadrate di vasta vitrea di vari colori, lucide. In genere si usano sempre materiali preziosi. L'abside delle chiese è rivolta sempre a oriente per consentire alla luce di illuminare il centro della chiesa e l'altare. La croce in seguito si arricchisce di immagini. Il crocefisso può rappresentare sia il cristo PATIENT (paziente), con la testa reclinata a sinistra e gli occhi socchiusi, oppure il cristo TRIUNFA (trionfante). Il corpo di cristo è sempre rappresentato in tutta la sua anatomia.

L'artefice bizantino vuole dare alle immagini un senso di irreale attraverso:

fondi astratti e la mancanza di tridimensionalità (ad esempio i mosaici di Ravenna)

figure tutte in primo piano, frontali

figure senza volumetria, figure piatte

figure senza individuazioni specifiche, una serialità nell'immagine

fondi in oro

in Italia molte zone subirono l'influsso bizantino. Ad esempio a Cividale c'è uno stucco longobardo influenzato dalla ieraticità (staticità) bizantina, oppure a Firenze, nella chiesa di santa Maria Maggiore c'è un'immagine di una madonna con bambino di Coppo di Marcovaldo influenzata dall'arte bizantina.

Lo spostamento di persone verso un punto importante per la religione della propria fede è una caratteristica comune a tutte le religioni. È il fenomeno del pellegrinaggio, fenomeno universale per tutto il Medioevo. Nel Cristianesimo il pellegrinaggio è dapprima una manifestazione di fede, un moto spontaneo di singoli individui, poi diventa un fenomeno di massa. questo comporta la costruzione di nuove strada e il miglioramento di quelle esistenti. I commerci vengono favoriti, così come lo scambio di gusti e modi. in genere chi intraprendeva il viaggio lo faceva per due motivi:

espiare in tutto o in parte le proprie colpe attraverso il viaggio,

per chiedere, nei luoghi deputati a questo scopo, le grazie per guarigioni etc.etc.

queste richieste sono rivolte a luoghi o edifici architettonici che testimoniano gli eventi principali del Cristianesimo, quei luoghi o resti che testimoniano o rivestono un particolare potere religioso.

Già nel 3° e 4° sec. d.C. iniziano questi viaggi.

I luoghi

Il più antico luogo di pellegrinaggio è Gerusalemme (scenario dell'esistenza di Cristo), e i luoghi dove sorgono edifici che ricordano Gesù (santo Sepolcro, il Calvario). Secondo la tradizione sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino, scoprì il legno della vera croce sul monte Calvario. Molti pezzetti sono sparsi in tutto il mondo. E molti reperti tessili ci sono giunti perché considerati reliquie e perciò ben conservati.

Il secondo centro per importanza, ma si pone ovviamente sullo stesso piano, è Roma., che vantava i corpi dei due propagatori per eccellenza del Cristianesimo: San Pietro e San Paolo, e poi una schiera infinita di martiri. Roma ha anche una collezione di reliquie varie (da un pesce della famosa moltiplicazione dei pani e dei pesci, ad un pezzo della tavola dell'ultima cena).

Il terzo luogo di pellegrinaggio fu creato per motivi politici e religiosi. Si tratta di Santiago de Compostela, in Galizia, che conserva le reliquie di San Giacomo maggiore, con un itinerario ben preciso cosparso di elementi storici medievali. La Spagna viene così messa sullo stesso piano perché fino al 10° sec. d.C. come Roma possedeva una reliquia.


Per realizzare una qualsiasi opera d'arte, a qualsiasi settore appartenga, occorre una realtà economica che permetta a qualcuno di impegnarsi per realizzare il manufatto, o i manufatti, che gli vengono richiesti dalla società in cui vive. In questo movimento economico i protagonisti sono:

i clienti (in pratica qualcuno che va ad acquistare da un artefice un prodotto, non commissionato, che trova già realizzato dall'artefice stesso) o i committenti (cioè coloro che appositamente si riferisce ad un artefice da lui preferito, per realizzare un manufatto per un particolare evento o per comunicare qualcosa, e che quindi l'artefice si mette a realizzare proprio perché gli è stato richiesto);

l'artefice, che a seconda dei periodi storici si organizza, lavora, partecipa alla vita sociale in vario modo. L'artefice può appartenere anche ad una delle varie tipologie di committenza e di clientela (essere quindi committente presso altri e cliente presso altri ancora).

Una delle committenze fondamentali di tutto il Medioevo è la Chiesa che, a sua volta, è fatta di varie componenti che agiscono in diverse dimensioni. La Chiesa è una realtà che vive e agisce venendo incontro alle necessità che gli si presentano nei secoli. A tale proposito la Chiesa ha delle componenti che assumono uno specifico ruolo sia in campo religioso sia in quello laico.

Altra committenza, oltre la Chiesa, è quella laica, che per un certo periodo, fino al XII e XIII sec. d.C. è totalmente impregnata di religiosità e le stesse committenze laiche hanno un carattere sacro. Lentamente però, accanto a raffigurazioni artistiche religiose, incominciano ad apparire, divenendo sempre più numerose nell'Alto Medioevo, raffigurazioni di contenuto esclusivamente laico. Anche il mondo laico è composto da varie realtà che interagiscono a secondo dell'evolversi storico dei fatti.

Da parte della Chiesa le sue componenti sono due:

clero secolare, la gerarchia ecclesiastica che ha il suo massimo rappresentante nel Papa, e che poi si dirama nel territorio in una serie di altre cariche, che gerarchicamente, rispondono al papato (dai cardinali ai preti di campagna),

il monachesimo. È una componente importantissima per tutto il Medioevo.

Da parte laica il potere massimo che incontriamo è la figura dell'imperatore che a più riprese, dall'Alto Medioevo in poi, è assunto da diversi personaggi, tentando la rinascita o la ricostruzione dell'impero romano andato distrutto. Come il Papa, gli imperatori hanno sotto di loro una gerarchia di personaggi laici distribuiti sul territorio e che rappresentano le gerarchie feudali: vassalli, valvassori, duchi, conti.

Il mondo laico dei primi secoli, dal V al XI sec. d.C. è molto variegato. Infatti, non c'è soltanto l'imperatore, ma anche altre forze ora in accordo ora in contrasto con l'imperatore d'Occidente. In particolare la penisola italiana, per la centralità ereditata dall'Impero romano e dalla Chiesa, mantiene una posizione, non solo geografica, ma anche culturale ricca e multiforme. L'Italia diviene il crocevia dove s'incontrano tutte le forze del mondo allora conosciuto e soprattutto luogo di conquista da parte di:

popolazioni barbare come i longobardi che occupano tutta l'Italia settentrionale, parte di quella centrale arrivando ai ducati di Spoleto e Benevento,

mondo bizantino, che occupa la città di Ravenna, la Calabria e la Puglia

la Chiesa che occupa infine tutta l'Italia centrale e in parte quella settentrionale. La Chiesa, per giustificare le mire e gli interessi della conquista dei territori inventa un documento (che è quindi un falso storico!) che riporta la volontà di Costantino, di donare le terre e taluni possedimenti alla Chiesa affinché essa si potesse sostenersi e mantenere e quindi anche divulgare nel mondo.

L'arte che si sviluppa nel territorio italiano è complessa, perché risente dei linguaggi figurativi e culturali di tante forze diverse cui si aggiunge in seguito la presenza araba in Sicilia, che complica ancora di più il mondo culturale italiano.

La configurazione che assume nel mondo medievale il MONACHESIMO è una forza che assume in sé tutte le culture poiché ne fanno parte individui di tutte le provenienze, man mano che si va cristianizzando il mondo barbarico.

La parola "monachesimo" deriva dal greco " monos", cioè solo, e nel caso specifico indica un gruppo, più o meno consistente, di laici (all'inizio) che decide di ripararsi (ma non di isolarsi) dalla società, per creare qualcosa di alternativo. Il monachesimo nasce in Oriente probabilmente qualche decennio dopo la morte di Cristo, ma ne abbiamo sicura presenza già dal III, IV sec. d.C. attecchisce rapidamente anche in Occidente e nei luoghi cristianizzati si moltiplicano le presenza di queste comunità sia maschili sia femminili (a volte anche misti). Il monachesimo nasce in due forme:

anacoreta o eremitica. Il più famoso eremita è Sant' Antonio abate. Gli eremiti hanno un tale successo e risonanza che presto si viene a formare una comunità di gruppi di più persone che passano parte del giorno in comunità.

Cenobitico. Si tratta di un monachesimo che fin dall'inizio sceglie dei luoghi lontani dai centri abitati, dove costruisce dove costruire dei luoghi, anche per un migliaio di persone, per pregare e per vivere. I due più importanti ordini cenobitici nati in Oriente sono:

l'ordine di San Paconio, nell'Alto Egitto

l'ordine di San Basilio, in Asia Minore (monaci basiliani).

Il monachesimo occidentale nasce sulla spinta di quello orientale. Il monachesimo, anche in queste prime forme, interessa l'arte perché queste comunità, essendo completamente autosufficienti, devono rispondere a tutte le esigenze spirituali e pratiche della comunità. I monasteri sono delle officine dove si producono manufatti di vario tipo a secondo dei luoghi dove sorgono gli stessi monasteri e a secondo della cultura degli stessi locali. Un elemento comune a tutte le forme di monachesimo sono i LIBRI MANOSCRITTI e MINIATI, e il luoghi fondamentali in cui sono prodotti è lo "scriptorium". Essendo comunque il monachesimo una fucina culturale molto vivace, all'interno di molti monasteri troviamo la presenza di sartorie che vanno incontro alla necessità di produrre non solo gli abiti tipici di quell'ordine ma anche di tutti gli accessori. I manufatti, prodotti all'interno del monastero posso anche essere venduti all'esterno, senza però che il monaco lucri nella vendita. La più importante forma di monachesimo occidentale è quella nata per ispirazione di san Benedetto (anche se prima di lui troviamo delle tracce in Irlanda). San Benedetto da Norcia fonda i primo monastero a MONTE CASSINO, fondando contemporaneamente, nella prima metà del VI sec. d.C. il monachesimo benedettino, il cui motto è "ora et labora". Il monachesimo benedettiniano si diffonde in tutto l'Occidente e man mano che la comunità cresce si vanno fondando nuovi monasteri in località, che si ha interesse a raggiungere. La storia del monachesimo è un susseguirsi di momenti di splendori e di decadenze, cui il monachesimo seppe non più reagire ispirandosi alle regole benedettine. Un primo momento di decadenza dei benedettini si ebbe con Carlo Magno, che si intromise nelle vita della chiesa, dando vita a quella che fu la contrapposizione del potere religioso verso quello politico. Sotto Carlo Magno, i monasteri divengono delle fortezze, dei luoghi sotto la giurisdizione imperiale, obbligando così le comunità religiose a:

a)  pagare all'imperatore le tasse sulle rendite delle terre,

b)  essere sempre ponte ad accogliere e sfamare le truppe militari di passaggio presso i monasteri,

c)  pregare per l'imperatore e la sua famiglia.

A queste condizione reagì Benedetto d'Anione, il quale sottolineando i contenuti della regola benedettina, richiamò tutte le comunità ad osservare queste regole (quelle di Benedetto) e a resistere agli obblighi imperiali. Dopo Carlo Magno, l'Europa si fraziona nuovamente, favorendo l'arrivo di popolazioni barbariche molto cruente, come le popolazioni Ungare. Le aspirazioni di Carlo Magno sono riprese dagli Ottomani, che danno nuovo impulso al monachesimo, il quale si riorganizza attorno alla riforma CLUNIACENSE, dal monastero di Cluny in cui nacque la riforma. La nuova riforma accentuava però molto l'aspetto religioso, puntando l'attenzione sulle funzioni, sulle messe, sulla preghiera, dando così pochissimo spazio all'azione manuale, decretandone pertanto la fine. Restò, anche se fortemente limitato, la presenza dello "scriptorium".

Per la ripresa e la rinascita delle regole benedettiniane occorse la nascita di ben tre riforme:

i CAMALDOLESI, dal monastero di Camaldoli, in Toscana, da cui nacque l'ordine fondato da San Romualdo. Fu un tipo di monachesimo curioso perché abbracciava l'aspetto eremitico a quello cenobitico. Erano monasteri costituiti da due nuclei: una costruzione a livello inferiore per accogliere la comunità, e un insediamento più elevato dove, entro un recinto, erano dislocate tante piccole celle indipendenti. Nei monasteri i camaldolesi passavano perciò parte dell'anno in comunità e parte in forma eremitica. Quest'ordine, geograficamente, non si diffuse oltre l'Italia centrale, ma fu una forma importante per riportare in auge le regole dell'ordine benedettiniano (fine X sec. d.C.).

i VALLOMBROSIANI, dal nome del monastero di Vallombrosa, in Toscana, da cui nacque l'ordine fondato da Giovanni Gualfredotto. Fu un ordine che gestì molto i territori a lui affidati, soprattutto rimboscandoli. I vallombrosiani ebbero una discreta diffusione anche in alcune zone dell'Italia settentrionale. La loro caratteristica era di immergersi anima e corpo nella vita de centri abitati, per combattere una piaga dell'epoca, la disonestà e la cupidigia del clero secolare (il peccato della simonia, in altre parole la compravendita delle cariche ecclesiastiche). I vallombrosiani istituzionalizzarono i "conversi" ovvero tutte quelle persone che non pronunciavano tutti i voti caratteristici della vita monastica, ma che erano dediti al sostentamento giornaliero dei monaci (inizio XI sec. d.C.).

i CISTERCENSI, (nascono nel 998) dalla traduzione in latino dell'angioniano nome francese del primo monastero, che in francese era Citieaux ed in latino Cistercium, da cui nacque l'ordine fondato da San Rolando, San Quilrito e Santo Stefano Harding. Quest'ordine ebbe un proprio stile architettonico e per la storia delle arti fu la comunità più prolifica. Fu un ordine che si espanse in tutta Europa e che diede grande risalto al lavoro manuale. Definiscono un'architettura assolutamente originale ma molto riconoscibile, che è il precedente immediato dell'architettura gotica. Si dedicarono alla ristrutturazione dei territori di loro proprietà e furono grandi sfruttatori delle risorse locali.

Il monachesimo medievale si chiude con queste riforme e gli ordini continuarono a vivere ed operare nei secoli successivi, resistendo a tutti gli attacchi. Un altro ordine non strettamente benedettino è quello dei CERTOSINI i cui monasteri sono caratterizzati dalla presenza delle celle tutte attorno ad un chiostro centrale. Dopo questi ordini ispirati al monachesimo benedettino si passa agli ORDINI MENDICANTI (francescani, domenicani, carmelitani) che nascono contribuendo alle necessità delle crescenti città comunali.


Rapporto tra committenza/clientela e artefice

Per realizzare un manufatto è necessario che ci sia qualcuno che abbia denaro per far sì che un artefice lo realizzi. La storia dell'arte si è da sempre occupata di questo rapporto e di come esso incide sul manufatto completo. È importante l'intervento del committente sia dal punto di vista economico che del contenuto per il manufatto? Ha tal proposito esistono due teorie:

valore del committente: teoria che sostiene che ci sono committenti che forniscono suggerimenti solo in maniera superficiale sul contenuto del manufatto. Sta poi all'artefice del manufatto intervenire con il suo bagaglio culturale;

valore dell'artefice: teoria che sostiene invece, che solo l'artefice, in tutto e per tutto, senza indicazioni da parte del committente, realizzi il manufatto, con determinate caratteristiche che soddisfino il committente/cliente.

È comunque nell'artefice che il livello culturale deve essere massimo, e ciò annulla la discriminazione tra Arti maggiori e minori, perché l'artefice fa "cultura" in ogni caso, indipendentemente dall'oggetto piccolo o grande che realizza. Come sempre la verità sta nel mezzo, nel senso che sia l'intervento del committente sia l'autonomia dell'artefice sono due modi che si completano a vicenda. Da un punto di vista pratico è evidente che il committente non può seguire passo passo il lavoro dell'artefice (e ciò è valido tanto più l'opera e grandiosa e complessa). Dalle documentazioni pervenuteci su questo rapporto, è evidente che il committente pattuisce gli elementi economici e non solo del manufatto: indicando ad esempio la qualità dei colori da utilizzare, fornire indicazioni, seppur in maniera sintetica, sui soggetti iconografici (quasi sempre dovuti per motivi devozionali-religiosi). Si tratta comunque di indicazioni "superficiali".

Nei codici miniati probabilmente l'artefice/miniatore leggeva i testi e si ispirava ad essi per le immagini da rappresentare. È tuttavia capitato, ma i casi si possono contare sulla dita di una mano, che ci sia stato un fraintendimento evidente del testo e conseguentemente anche delle immagini rappresentate.

Queste direttive dei committenti non erano comunque vincolanti per l'artefice così come quest'ultimo non era vincolato da leggi e regolamenti giuridico-legislativi (che presso i barbari verranno prescritte), perché gli artefici ovviamente era parte integrante della società in cui vivevano. In alcuni settori specifici il manufatto prevedeva per la sua realizzazione l'intervento di altri artefici (limitatamente ad alcuni aspetti):

i ricami

la fabbricazione delle vetrate.

Qualcuno sostiene che il ricamatore e il vetraio siano dei semplici trasformatori dei disegni degli artefici (sotto forma di ricamo e vetrata), dunque distinguono artificiosamente, la fase esecutiva da quella progettuale nel concepimento del manufatto. In realtà sia i ricamatori che i vetrai potrebbero per le loro capacità e cultura, realizzare i disegni e poi i rispettivi manufatti. Documenti scritti, infatti, ci testimoniano entrambe le possibilità e ciò dimostra che anche la fase di esecuzione, la realizzazione, è un aspetto culturale dell'artefice che agisce sul prodotto ideato e studiato. A volte, infatti, alcune attività, non sono considerate "arte" e "cultura".

La cultura dell'artefice si manifesta perciò in maniera visibile, traspare, dalla sua conoscenza delle tradizioni iconografiche che lo hanno preceduto e questo lo porta ad interpretare in modo personale queste tradizioni apportando modifiche più o meno sostanziali, e conferendo caratteristiche proprie al manufatto. Gli artefici medievali operano secondo meccanismi legati alle caratteristiche delle forze di potere che man mano si succedono sulla scena storica. In qualsiasi civiltà precedente al Medioevo (preclassiche e classiche del Mediterraneo e le civiltà del lontano oriente) coloro che sono impegnati in una attività produttiva o complementare, si riuniscono in associazioni per rafforzare il proprio operato, in organizzazioni. Sono le cosiddette ARTI O CORPORAZIONI. Queste aggregazioni di più persone sono modifiche delle civiltà che hanno avuto momenti più o meno lunghi di urbanizzazioni. Sono le città con una popolazione consistente che creano la necessità di determinati prodotti per l'esecuzione dei quali è necessario il lavoro di artefici che siano in grafo di realizzarli.

Per tutto l'impero romano le arti o corporazioni furono dominanti e anche dopo la caduta dell'impero sopravvissero là dove rimasero le città come agglomerati urbani grazie al monachesimo (siamo nel Feudalesimo). Il monachesimo, infatti, non è un insieme di centri chiusi in sé stessi (non sono solo autosufficienti). Testimonianze scritte e iconografiche documentano aperture laiche e aperture dei commerci per il sostentamento delle comunità con la comunità esterna ai monasteri. I monasteri sono il punto di attrazione delle officine e delle botteghe degli artefici laici. Ne sono un esempio le officine laiche presso i monasteri create e legate alla costruzione degli edifici "monasteri", strettamente funzionali perciò all'edilizia o ai metalli (ad esempio la fabbricazione di chiodi, chiavi, serrature.....). Officine in tal senso sono state rinvenute presso il monastero di san Vincenzo al Volturno (fine dell'VIII sec. d.C.), in Molise. Ci sono ovviamente anche officine di oggetti artistici (come ad esempio i finimenti per cavalli) e officine per la lavorazione del vetro o il riciclo di paste vitree di manufatti precedenti (come ad esempio le pietre dei mosaici di Ravenna, a volte riutilizzati per creare nuovi oggetti). Presso queste officine si realizzano lastre di vetro e sottilissimi fili di vetro (azzurro) che servono da anima ad altri fili utilizzati per le bordature dei contenitori di liquidi. Le lastre di vetro per le finestre erano di dimensioni non molto grandi e prodotte in quantità abbondante. La presenza di vetri negli edifici era indice di sontuosità e di una certa "cultura", anche perché essenzialmente gli ambienti dotati di finestre erano quasi sempre gli ambienti di studio, che necessitavano di una luce maggiore. In alcuni monasteri sono state rinvenute anche officine di oreficeria atte a soddisfare sia un bisogno interno (calici, ostensori, etc, etc) ma anche da commerciare all'esterno. Ulteriori ritrovamenti hanno portato alla luce officine e fonderie per campane. Uno scritto del monaco tedesco Teofilo (12° sec) ha lasciato uno scritto con un capitolo dedicato alla fusione delle campane. Come oggetti, le campane sono il manufatto più ricco di firme da parte degli artefici (per la difficoltà d'esecuzione realizzare una campana era un motivo di vanto, così l'artefice firmava l'opera per trarre maggiore fama).

Nell'Alto Medioevo un'altra forma di mestieri è quella rappresentata dai MESTIERI ITINERANTI o nomadi:

a)  i MAESTRI COMMACINI. Nell'Italia settentrionale, in epoca longobarda, si mossero in maniera continuata nel tempo, delle maestranze necessarie all'edilizia. Inizialmente si è pensato che il termine commacini era usato per indicare chi proveniva da Como, successivamente si è ritenuto che il suo significato è legato ai CUM MACINES, cioè agli attrezzi e agli arnesi che questi maestri si portavano dietro per esercitare la propria attività;

b)  Gli ANTELAMI, cioè i scultori delle pietre. Nel 12° sec. d.C. maestranze di scultori si mossero dalla valle di Antelvi (da cui il nome);

c)  I MINIATORI, non più monastici ma scrittori laici;

d)  Gli SMALTATORI, gli orafi che usavano gli smalti. Il nomadismo di questi maestri ha consentito il ritrovamento in varie zone di resti e manufatti della loro arte. Ad esempio i famosi SMALTI LIMOSINI (da Limogès) sono stati trovati in diverse zone d'Europa. In Toscana è stato ritrovato un taccuino risalente al 12° sec. di un miniatore, in cui sono tracciati degli elementi figurativi, una sorta di repertorio, che veniva utilizzato più volte e per vari monasteri ed era portato nei vari spostamenti.

e)  Gli STAMPATORI su matrici di legno di xilografie, essenzialmente di immagini devozionali. Si tratta delle prime forme di stampa. Dal '500 in poi nascono in varie parti d'Europa le mode di stampare immagini riproducenti i mestieri ambulanti, i cosiddetti "mestieri che vanno per via".

É dall'organizzazione di questi gruppi di mestieri, gruppi molto forti e determinati, con regole precise e con un proprio cerimoniale trae origine la Massoneria.

Mestieri del monachesimo e mestieri itineranti, per molto tempo resisteranno ancora, accanto alle botteghe cittadine.

Le corporazioni. Successivamente all'impero carolingio (franchi) e a quello ottoniano (germani) nella società europea si producono tanti e tali cambiamenti che l'economia da agraria, e perciò chiusa, diventa una economia urbana. Con l'inurbamento aumenta la richiesta di manufatti e di artefici atti a produrli. Queste città ebbero una spinta maggiore in Italia, dal 12° al 15° sec. d.C.

Questa forma di vita organizzata determina la necessità di organizzazioni dei mestieri con poteri forti: le CORPORAZIONI. Ben presto le corporazioni crescono di importanza, attirano addetti, perché il mercato è non solo interno, ma anche estero (grazie ai mercanti e ai loro spostamenti), si esportano prodotti in un ampio mercato dislocato su una vasta aera geografica. Queste corporazioni all'inizio furono tante quante erano i mestieri specializzati: ad esempio Venezia ne contava ben 60 o 70 corporazioni diverse, così come a Bologna e Perugia. Anche Firenze ebbe le sue corporazioni, ma qui la loro evoluzione fu differente. Mentre, infatti, in molte città poche famiglie locali presero il potere (potere oligarchico e tiranno), e costrinsero le corporazioni a restare numerose e a non associarsi per non acquistare maggiore potere, a Firenze, che si identifica con il potere repubblicano, accade il contrario. Le corporazioni si accorpano in un numero minore (sono 21) e acquistano così potere che in un periodo addirittura che voleva prendere parte alla vita politica della città doveva, necessariamente, essere iscritto ad una Corporazione. Se nel periodo monastico i luoghi di lavoro erano stati gli scriptorium e le sartorie, le officine interne e quelle esterne, nelle città invece la cellula di lavoro principale era la BOTTEGA, luogo in cui oltre alla produzione vi era la vendita. Ovviamente per determinati prodotti il luogo di produzione poteva anche essere un altro. Ad esempio la lavorazione della lana richiedeva luoghi diversi dalla bottega. Erano necessari, infatti, i luoghi per la filatura, quelli per la follatura (le gualchiere) e i luoghi per la tintura. Oppure le cave di pietra. Nelle città intere strade erano piene di botteghe.

L'edificio bottega poteva avere:

ingresso con struttura a T, un ingresso cioè stretto lateralmente da due muretti, sui quali si lavoravano i materiali o si mettevano in mostra i prodotti finiti;

a)  ingresso con struttura a L rovesciata, con un solo muretto laterale;

b)  diversi ambienti all'interno variamente utilizzati per la lavorazione e per la vendita;

c)  dei soppalchi.

Nelle ore di chiusura venivano chiusi con un complesso sistema di chiusure come lo SPORTO, la cui metà superiore veniva alzata, durante l'apertura, e appesa con dei ganci ala parete.Quasi mai l'artefice era proprietario della bottega. Era un affittuario che oltre a pagare l'affitto del sito della bottega pagava anche una ENTRATURA, cioè un'una-tantum, per la fortuna "storica" che la bottega aveva avuto in precedenza, una sorta di diritto di qualità.

Da cabrei (una sorta di inventario, resoconto sintetico, registro tenuto dai proprietari immobiliari dell'epoca) che ci sono pervenuti esistono documentazioni grafiche delle botteghe, così come alcune iconografie ci vengono da pitture di vario tipo della fine del '400 e dell'inizio del '500.




La bottega è un luogo tipico della civiltà urbanizzata, dove operavano mestieri richiesti dalla comunità contemporanea. I mestieri non morirono mai del tutto, neanche dopo le invasioni, poiché i vari poteri che si susseguirono crearono delle disposizioni che cercavano di regolare i mestieri stessi nei vari aspetti pubblici. Carlo Magno emanò i capitolari, nelle varie parti dell'impero, che comprendevano norme sia di carattere generale che di carattere particolare per taluni tipi di mestieri. Nonostante il prevalere dell'economia chiusa, i mestieri, anche al di fuori del monastero, hanno il loro peso all'interno della gerarchia sociale. Dal XII sec. esplode lo sviluppo dei mestieri sotto il nome di CORPORAZONI.

Ogni specializzazione di mestiere ha una propria Corporazione e quindi in ogni città, all'inizio dell'era comunale, le Corporazioni sono numerose e crescono man mano che le richieste di mercato aumentano. Si calcola che a Firenze tra il XII e il XIII sec. ci fossero 80 corporazioni diverse, a Venezia e Bologna anche di più. Queste corporazioni si auto regolamentavano con due tipi diversi di normative:

gli Statuti. Gli statuti sono un insieme di disposizioni di leggi (obbligatorie quindi da seguire) con cui si regolamenta la vita lavorativa di tutti coloro che operavano un determinato mestiere, per due scopi fondamentali:

per il monopolio, del mestiere stesso. Ogni Corporazione dandosi uno statuto automaticamente escludeva, nell'operatività per la quale esisteva, chiunque volesse o pretendesse di restare esterno alla Corporazione. Ai forestieri, sia di zone limitrofe che d'oltralpe, o li si guardava con sospetto o ad esempio li si faceva pagare tasse più alte, oppure venivano accolti a braccia aperte in quanto portatori di nuove tecniche di produzione a loro sconosciute;

per garantire la bontà dei prodotti, nei confronti della clientela, in quanto la Corporazione stessa vigilava affinché non vi fossero frodi tra i suoi appartenenti.

Gli statuti si soffermavano anche su altri aspetti:

Si definivano, ad esempio, le parti del tessuto urbano dove gli artefici potevano avere le proprie botteghe, perciò gli artefici che producevano prodotti sontuosi e costosi si trovavano nel centro della città, altri mestieri che potevano invece "inquinare" erano costruiti ai limiti delle città (come i conciatori di pelle, o i ceramisti e fabbri che dovevano usare le fornaci), i macellai invece si dipanavano per tutta la città. In taluni casi, alcuni mestieri, fino al '500 concentravano la loro bottega in un unico punto della città, come ad esempio i mestieri legati alla produzione del libro manoscritto.

Ogni statuto regolava i giorni lavorativi e festivi dei propri aderenti e tra feste della Corporazione, feste emandate (come quelle religiose), feste occasionali come l'arrivo di qualche personalità (spettacoli e tornei) e le domeniche, in media si lavorava per 1/3 dell'anno. Nonostante ciò, grazie alla perfetta organizzazione delle botteghe, gli artefici e i vari apprendisti-collaboratori, erano velocissimi nella realizzazione delle opere.

Nello statuto era presente l'aspetto delle regolamentazioni tra i vari componenti della bottega, tra i maestri e gli apprendisti, o il rapporto tra le botteghe che operavano nello stesso campo o erano tra loro complementari.

Lo statuto non parla invece esplicitamente di talune cose, come i procedimenti tecnici per la realizzazione dei manufatti, in quanto non vogliono e non possono dare alcuna indicazione di tale genere. In ogni bottega si sperimentava da sé la tecnica la per realizzazione dei manufatti, ma venivano in ogni caso fornite delle direttive generali riguardo al peso che un prodotto doveva avere (per un oggetto di oreficeria) in modo che non ci fossero truffe ai danni dell'acquirente e che avrebbero potuto screditare tutta quanta la Corporazione.

Tutti questi aspetti che lo statuto elenca avevano bisogno di un atto notarile che li sancisse ufficialmente per definire esattamente le condizioni del rapporto. La presenza di questi atti notarili serviva per tutelare e garantire, senza escluderlo, l'artefice dalla vita sociale.

Le Corporazioni non prevedevano alcun tipo di assistenza, per la malattia, o la pensione dei suoi componenti. Tuttavia i mestieri non erano privi di qualche aiuto, non solo morale, ma anche concreto per gli aderenti. Accanto alla Corporazioni nascono perciò le CONFRATERNITE, o COMPAGNIE. Si tratta di associazioni di tipo laico-religioso, proprie di ogni Corporazione, legate al santo patrono di quel dato mestiere. Così ad esempio troviamo la compagnia di San Luca, protettore dei pittori (perché secondo la tradizione fu proprio san Luca a dipingere il volto della Madonna), oppure la Compagnia di San Calò, protettore degli orafi. Queste confraternite venivano incontro alle necessità urgenti degli iscritti, spese mediche, funerali, riscatto per chi veniva mandato in carcere. Si trattava insomma di una forma di volontariato. Ogni Corporazione è di grande interesse perché era una importante committente per la città. A Firenze l'Arte della Lana era la patrona dell'Opera del Duomo e si impegnò sempre, soprattutto materialmente, per abbellirlo e migliorarlo. A Firenze si arrivò a dedicare un tempio particolare alle corporazioni, ORSANMICHELE. Tutte le parti della chiesa e le sculture, gli ornamenti, gli affreschi furono realizzati grazie alla volontà e al contributo economico delle corporazioni fiorentine.


le Matricole. Le matricole erano gli stessi artefici, che si iscrivevano per la 1a volta ad una entità organizzata. Una volta iscritte, le matricole dovevano seguire le linee e le regolamentazioni della Corporazione. Per l'immatricolazione erano previsti due atti:

il giuramento di fedeltà allo statuto

il pagamento di una tassa simbolica e modesta, variante da ente a ente e da periodo a periodo. Generalmente gli artefici preferivano pagare la tassa in maniera dilazionata e ciò veniva specificato nell'atto notarile. Nell'ammontare della tassa da pagare, erano privilegiati chi poteva vantare un apprendistato presso un altro maestro, o un apprendistato lungo documentabile (ciò gli consentiva di ottenere uno "sconto" sull'importo della tassa). Le matricole per eccellenza erano i capi bottega, gli iscritti ufficiali, gli aiutanti di solito non lo erano mai. Non pagavano invece le tasse chi aveva un parente iscritto alla Corporazione stessa (beneficio). Le matricole danno la specifica del mestiere al momento dell'iscrizione, anche perché in talune città, come ad esempio a Firenze, in un certo periodo per aspirare alle cariche pubbliche era necessario essere iscritti ad una organizzazione e saper fare un mestiere. Poi però le corporazioni giunsero ad accettare tra i loro iscritti, anche chi, volendo accedere alle cariche pubbliche, non sapeva fare un mestiere. Le iscrizioni venivano effettuate su "libroni", su registri di assoluto valore legale. Ogni Corporazione infine aveva il suo tribunale per dirimere i contrasti che potevano nascere tra artefice e cliente o tra le varie botteghe. Di questi atti o sentenze purtroppo nulla ci è pervenuto. Solo della Corporazione dell'Arte della Lana ci è rimasto qualcosa.


Le botteghe al loro interno hanno una gerarchia tipica delle unità produttive. Bisogna prima però ricordare, come già detto in precedenza, che il ciclo produttivo di un manufatto non per tutti i tipi di attività avveniva all'interno delle botteghe. Molte tipologie di manufatti, infatti, necessitano di passaggi e fasi di lavorazione diverse che non possono essere svolte nello stesso luogo e necessitano di artefici specializzati per ogni fase di lavorazione prima di arrivare al prodotto finito. Questo è tanto più vero per quanto riguarda il settore tessile, relativo cioè sia alla lavorazione della lana, della seta e delle fibre vegetali (lino, canapa, cotone). Le fasi di lavorazione per queste materie necessitano di strutture intermedie che già nel Medioevo, come dimostrano gli scavi archeologici, sono strutturate in maniera complessa e sono molto curate, per motivi di tornaconto economico, dagli stessi progettisti delle stesse strutture. Così ad esempio la bottega del lanaiolo, setaiolo o linaiolo provvedevano soltanto alla vendita del manufatto finito. Ad esempio a Firenze, lo studioso Federico Melis (?) ha studiato, grazie a ciò che ci è pervenuto, la corporazione dell'arte della lana. Ciò gli ha consentito di studiare le attività produttive di Firenze. Egli ha contato circa 70 officine, che si occupavano delle varie fasi di lavorazione della lava. Sotto Piazza Signoria, gli scavi archeologici hanno portato alla luce una FULLONICA, una struttura intermedia per la lavorazione dei panni della lana (in pratica i panni di lana venivano pigiati con i piedi per renderli più morbidi e prepararli alla tintura). Dopo quella di Ostia, la Fullonica di Firenze è la seconda per grandezza di tutto l'impero romano. Ovviamente non esistevano soltanto le officine per le varie fasi di lavorazione. A Firenze esisteva anche la forma del "lavoro a domicilio", svolto prevalentemente da donne, che con strutture proprie o prese in affitto, svolgevano il lavoro, che poi veniva portato alle botteghe (che ne avevano commissionato la produzione). L'attività laniera in Toscana era diffusa in quasi tutte le città, non solo a Firenze, e i lavoratori di questo settore erano quasi l'80% della popolazione. La qualità del lavoro non era molto alta e, infatti, nel '300 ci fu la rivolta dei Ciompi. A Firenze le botteghe destinate alla vendite dei prodotti lanieri erano distribuite essenzialmente in due zone della città:

piazza Signoria, via del Proconsolo

via Maggio


Le botteghe che invece svolgevano l'intero ciclo produttivo all'interno della stessa, solitamente erano composte da due ambienti:

un ambiente dedicato alla vendita del manufatto

un retrobottega, dove il manufatto veniva lavorato e preparato.

In queste botteghe vi era una gerarchia delle persone impiegate nelle varie fasi di lavorazione:


in primo luogo nella bottega c'era il Maestro, diventato tale dopo un apprendistato + o - lungo, e che aveva il compito di insegnare il mestiere agli apprendisti;

troviamo poi il Fattore, l'uomo di fiducia del maestro, che tra l'altro ha il compito di sorvegliare gli altri lavoratori. Generalmente è una persona anziana, che ha molta esperienza e che conclude la sua carriera all'interno della bottega senza aspirare ad altro. Non ha obbligo di immatricolazione alla corporazione;

ci sono poi ovviamente gli apprendisti, in genere composti dalla parentela più prossima, che doveva imparare il mestiere. A loro veniva garantito il vitto, l'alloggio e l'abbigliamento. Non venivano pagati, ma anzi era spesso la loro famiglia a pagare in natura il maestro che li aveva presi in bottega. Solo se l'apprendista invecchiava in bottega riceveva qualcosa in cambio. Ovviamente gli apprendisti dovevano seguire le regole della bottega, dovevano mantenere la riservatezza e il segreto sulla lavorazione.

Oltre agli apprendisti, nelle botteghe vi erano i salariati, cioè coloro che appunto ricevevano un salario, che non era fisso ma variava a seconda del tipo di attività svolta e a seconda delle stagioni. In pratica i salariati erano la spina dorsale della bottega, erano i veri collaboratori dei maestri che per le loro specializzazioni intervenivano nella fase produttiva. I salariati restavano tali, con la stessa qualifica per sempre;

Infine, l'ultimo gradino della gerarchia è rappresentato dalla figura dei garzoni, o ragazzi di bottega, che non hanno un ruolo importante e si occupano delle piccole incombenze della bottega come ad esempio acquistare materiale, recare comunicazioni alla committenza o clientela, ripulire la bottega. Ripulire le botteghe per alcune attività, come quelle orafe, era molto importante perché in questo modo venivano recuperati materiali che avrebbe potuto essere ancora utilizzato.

In questa gerarchia di lavoro, l'unico passaggio possibile, dopo quella da apprendista a maestro, era quella da garzone a salariato. Va ricordato inoltre che non tutte le botteghe producevano i manufatti che ponevano in vendita, perciò esistevano anche botteghe o che vendevano solamente o che producevano solamente dei manufatti.

Le botteghe oltre ad avere una forte valenza economico-commerciale erano delle vere e proprie scuole, sia per le materie umanistiche che per quelle scientifiche e matematiche. La bottega, infatti, è anche un luogo di cultura, spesso fornita di attrezzi e oggetti di epoca precedente, (perciò si può considerare un piccolo museo), fornita di piccole biblioteche, con testi fondamentali, anche nelle botteghe di mestieri umili e secondari (ad esempio è stata ritrovata una piccola biblioteca presso un ferravecchi). Le botteghe sono perciò dei luoghi di ritrovo di vari personaggi, sono dei piccoli cenacoli, dove si affrontano vari argomenti. La bottega più famosa di tutti è quella di VESPASIANO DA BISTICCI, industriale del libro miniato, che rifornì le biblioteche dei più importanti principi europei: da quella di Federico II a quella degli Aragonesi, ai Principi di Urbino.

Per praticare un mestiere occorreva saper scrivere, leggere e far di conto. Studi recenti hanno dimostrato che avere conoscenze contabili era molto importante. Firenze, per tutto il Medioevo (Firenze era divenuta comune nel 1132) è stata la città più alfabetizzata in tutto il mondo allora conosciuto (anche le donne sapevano leggere e scrivere). Il personale presente in ogni singola bottega poteva anche essere molto consistente. Da registri che ci sono pervenuti si sa ad esempio che alcune botteghe orafe contavano al loro interno 22 componenti. Nonostante ci fosse un po' di competizione tra le varie botteghe, le botteghe non erano cellule isolate ma anzi erano spesso in collaborazione, sia che svolgessero la stessa attività, sia che le attività fossero complementari. Così i pittori necessitavano dei legnaioli per le cornici, gli orafi avevano bisogno dei bicchierai per la pasta vitrea, gli armaioli lavoravano di comune accordo, producendo ognuno una parte ben precisa dell'armatura che alla fine veniva poi assemblata a formare il manufatto. Più botteghe potevano unirsi in compagnie, per far fronte ad eventuali perdite. Comunque sia il lavoro di bottega medievale è sempre un lavoro di collaborazione di carattere:

a)  collaborazione orizzontale: cioè quando determinati mestieri per arrivare al manufatto o prodotto finito necessitano di più artefici (ad esempio + artefici per la realizzazione di un affresco)

b)  collaborazione verticale: cioè quando è prevista la collaborazione di altre personalità (ognuno con una propria specializzazione) (ad esempio chi taglia il legno, chi lo prepara alla pittura, etc etc.).

infine da ricordare che sotto il nome di una Corporazione ci potevano essere più attività.


Nozioni sul restauro

Oggi il restauro non è solo il rifacimento delle opere d'arte ma è visto come un recupero di tutto ciò che riguarda l'opera, ed è l'occasione per indagare sull'opera d'arte e penetrare nelle fasi non più visibili dell'esecuzione delle opere d'arte, cioè i vari passaggi o fasi di lavorazione. Ovviamente le radiografie consentono di entrare al di sotto degli aspetti esteriori dell'opera. L'opera d'arte perciò sia nello studio che nel restauro diventa "documento", di qualunque cosa in essa è contenuta.  Ad esempio un recente studio sulle opere "non compiute" di Michelangelo, su ogni colpo su colpo che lui ha usato per le sue sculture, sulla materia, hanno dimostrato come conoscesse le tecniche usate dagli scalpellini. Così ad esempio è stato dimostrato come per le tecniche delle fusioni fosse indispensabile conoscere il lavoro dei calderai. Gli artefici perciò oltre alla creatività e all'ingegno aveva molte conoscenze "pratiche" delle arti che dovevano adoperare per produrre l'opera.

L'arte bizantina

Nel mondo occidentale c'è sempre un rimando al mondo bizantino. Infatti, molti aspetti delle arti figurative del Medioevo, ma non solo, devono a Bisanzio i loro inizi e le tecniche che hanno consentito la loro espressione. Bisanzio, diviene la "nuova Roma", la capitale dell'impero romano d'oriente, e per la sua posizione geografica, tra Mediterraneo e Asia Minore, acquista molto potere, giungendo ad avere rapporti commerciali con le parti estreme del mondo orientale. Nel campo tessile è prima per la produzione dei tessuti serici, a lungo esclusivo monopolio della Cina. Riesce poi non solo a importare la materia prima (seta), ma quasi attraverso una sorta di "spionaggio industriale", entra in possesso del baco da seta, delle tecniche di coltivazione e del logo, ne favorisce l'allevamento, divenendo così il primo centro in cui si fabbrica tessuti di seta. In Italia la prima produzione serica sarà in Sicilia, poi a Lucca e contemporaneamente in Spagna, poi a Venezia e Firenze. Le tecniche tessili di Bisanzio sono particolari e ciò influenzerà la produzione serica italiana. Infatti, ci si riferirà sempre a Bisanzio per la produzione e le tecniche di realizzazione nel settore tessile.

Nell'arte occidentale i caratteri bizantini saranno sempre presenti. Intanto occorre fare una premessa. Il mondo orientale, e quello bizantino in particolare, non ha mutato per secoli il proprio linguaggio figurativo tanto che esso è praticamente immutato dal XII al XIX sec. le immagini prodotte dai bizantini si chiamano ICONE (dal greco). Il mondo bizantino fissa determinare iconografie che l'occidente rielabora come punto di partenza dell'arte sacra, per la diffusione del CRISTIANESIMO. Sappiamo, infatti, come il mondo bizantino, dal punto di vista religioso sia scisso da quello cristiano cattolico occidentale. Ancora oggi persiste questa rottura, perciò esistono ancora gli Ortodossi e i Cattolici.

Queste icone si codificano, restando immutate nel tempo. Il mondo cattolico ne riconosce la validità documentale ecco perché le rielabora, facendole proprie per consentire la diffusione del Cristianesimo. Bisanzio, infatti, è il punto di partenza anche perché l'imperatore Costantino, con il suo editto, approva il culto della religione cattolica nell'impero romano d'oriente, e inoltre la Chiesa, con uno stratagemma e un falso documento espande il suo culto e potere. Inoltre Bisanzio è importante perché è stato il luogo che ha accolto le prime e più importanti reliquie, concrete e culturali, del primissimo Cristianesimo. Bisanzio conserva, infatti, reliquie di ogni tipo, come ad esempio l'immagine della Madonna eseguita da San Luca e la Sacra Sindone. Un'altra cosa fondamentale è che le fonti dell'iconografia bizantina non sono stati solo i testi ufficialmente riconosciuti dal Cristianesimo  (la Bibbia e i 4 Vangeli), ma soprattutto numerose fonti e testi scritti, che vanno sotto il nome di Vangeli Apocrifi (cioè quelli che non sono stati ritenuti validi e attendibili sulla vita di Cristo) e che forse si basavano sui racconti popolare o comunque erano molto vicini alla tradizione popolare. Ad esempio della madre della Madonna, Sant'Anna, se ne parla solo nei vangeli Apocrifi. Dalla immagini bizantine, che circolavano in tutto l'impero (sia in Oriente che in Occidente), gli artefici medievali ne acquisiscono gli aspetti

e i simbolismi.

Caratteristiche dell'iconografia bizantina:

a)  Un aspetto fondamentale dell'iconografia bizantina nella raffigurazione del sacro (da Gesù a tutti gli altri personaggi) è rappresentato dal fondo di ogni opera d'arte. Infatti, il fondo è neutro, prezioso e luccicante. In questo modo non solo si esaltava la sacralità di ciò che era rappresentato ma avvicinava il fedele alla religione. Il fondo è sempre realizzato in foglia d'or su legno (fino a tutto il '400) e l'oro è utilizzato perché è lucente, prezioso e rimanda alla divinità. Questa preferenza per il fondo oro è dovuto al fatto comunque che la committenza è restia ad accettare le nuove soluzioni pittoriche, (prospettiva), quindi ama la continuità del passato. In certi momenti storici le chiese hanno apparati di arredi così preziosi che ciò sembra andare contro quanto la Chiesa stessa va predicando e cioè la semplicità. Questa ricchezza viene si ostentata, ma solo perché è considerata in onore del Dio supremo e non per sbalordire gli uomini. È un tramite tra uomo e divinità e non esibizionismo.

b)  In molte icone non manca un accenno alla "tridimensionalità", ma non è la prospettiva scientifica (quella che ciò riconduce, come un cono verso il centro), ma è una prospettiva che ribalta i canoni tradizionali e rimanda sempre e comunque all'immagine in primo piano.

c)  Manca una volumetria spaziale della figura umana perché ogni cosa tende a evidenziare ciò che viene posto in primo piano, contrastando le leggi figurative, come ad esempio ingrandendo le figure ritenute più importanti, oppure ad esempio dipingendo la figura del donatore/committente di dimensioni più piccole rispetto agli altri personaggi che lo circondano.

Giotto è considerato il più grande perché riesce finalmente a staccarsi da tutti questi bizantinismi (altri prima di lui ci avevano provato senza però riuscirci), usando nella pittura, come dice Dante "il di greco" (?). Comunque anche Giotto adotta iconografie di origine bizantina, come ad esempio l'uso di accompagnare le figure dei 4 evangelisti con i rispettivi simboli:

san Marco con il leone

san Luca con il bue alato

san Matteo con l'angelo alato

san Giovanni con l'aquila alata

Questa iconografia è stata istituzionalizzata dai bizantini. Comunque occorre ricordare che la schematicità dell'arte bizantina nell'esaltazione della sacralità, va ricondotta nella giusta ottica, perché non è vero che tutto ciò che è bizantino è irreale.

Vanno ricordate comunque anche altre caratteristiche dell'iconografia bizantina e cioè:

l'immagine della madonna non è statica ma può essere:

seduta (perciò si dice madonna in trono, tra santi- se presenti-), con Gesù bambino in braccio anch'esso in più posizioni e con atteggiamenti diversi (affettuoso, benedicente);

può essere una "Madonna ondegitria" cioè la Madonna che con una mano indica il figlio per significare il suo sacrificio per gli uomini;

la Madonna con le mani alzate, con il bambino al centro e l'immagine perciò è in primo piano, i volti sono quasi sempre frontali. Se all'interno di una stessa raffigurazione ci sono più personaggi questi quasi sempre ripetitivi e si differenziano solo per pochi particolari, il volto è lo stesso per tutti;

la Madonna del latte, quando cioè il bambino si allatta al seno (è una iconografia per così dire audace);

a volte si trova l'ORTUS CONCLUSUS, cioè la Madonna rappresentata dentro ad un orto (che rappresenta l'universo) a simboleggiare il sacrificio del Cristo Redentore per l'umanità;

il panneggio è realizzato quasi sempre con lumettature, con linee che vanno tutte nella stessa direzione e conferiscono monotonia al panneggio stesso;

a volte Gesù bambino può avere un "rotolo" nelle mani;

manca la "spazialità" nei paesaggi, la prospettiva;

l'aureola può avere varie forme: quella circolare è usata per indicare i personaggi sacri, quella quadrata indica i personaggi viventi in odore di santità;

la posizione delle mani ha una sua simbologia;

il Gesù Emanuele (cioè colui che ha salvato), cioè il Gesù ancora bambino che però ha salvato l'umanità;

la pietà e la deposizione di Cristo nel santo Sepolcro;

la Madonna delle 3 mani. Secondo uno dei vangeli apocrifi, infatti, un uomo ebbe salva una mano da una malattia contagiosa. Per ottenere la guarigione offri l'immagine della propria mano. Si tratta del primo esempio di ex-voto. Cioè di qualche oggetto che si riferisce concretamente a ciò che è stato miracolato da qualche immagine ritenuta miracolosa. Gli ex-voto nascono appunto a Bisanzio.

l'aureola crociata indica sempre Gesù;

la barba appuntita di Gesù

gli evangelisti vengono rappresentati in studioli con la raffigurazione degli arnesi, tipo compasso, inchiostro, libro, oppure seduti con i libri sulle ginocchia;

spesso vengono raffigurate delle tende che fanno da sipario alla scena;

spesso vengono raffigurate scene tratte dalla Genesi,

per il profeta si raffigura con il rotolo di papiro con scritte verticali, mentre per gli evangelisti la scritta sui rotoli è orizzontale.

In ogni caso l'arte bizantina non è facile da comprendere perché ogni atteggiamento, ogni simbolo ha un suo proprio significato.

Bisanzio inoltre era importante perché conservava due volti di Cristo:

a)  la Sacra Sindone

b)  il velo della Veronica, di cui tra l'altro si parla solo nei vangeli Apocrifi. La più antica icona che raffigura il velo della Veronica (andato distrutto) si trova a Roma, in San Pietro. Da qui, siccome è ed è stata una reliquia molto venerata, si è diffusa in altre parti del mondo grazie alle raffigurazioni delle icone.






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