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IL SESSANTOTTO: il movimento sudentesco

storia




IL SESSANTOTTO:

il movimento sudentesco


Il 1968 é un passato che difficilmente si lascia archiviare, è stato l'anno  più turbolento dalla fine della seconda guerra mondiale, che ha segnato con i suoi avvenimenti una rottura storica, come ad esempio la ribellione del movimento degli studenti.

Il movimento studentesco, in Italia come altrove, fu il primo nuovo movimento sociale a comparire sulla scena della storia, dove i protagonisti furono gli studenti.

Nel Sessantotto tutto cominciò dalla protesta contro il potere dei professori nelle università, ma ben presto la protesta si estese al «sistema», cioè allo Stato che l'università rappresentava.



I giovani che parteciparono a questo movimento di protesta vennero chiamati più tardi sessantottini, essi rifiutavano tutte le istituzioni borghesi, ritenute autoritarie ed ingiuste: la scuola, i partiti politici, la famiglia e la Chiesa e ritenevano che potesse divenire reale la società che loro immaginavano: una società di liberi e di uguali, con una democrazia diretta, basata sul potere delle assemblee.


«Via i padroni, via i burocrati, via i colonnelli, il potere è di chi sa inventare»

era uno slogan di quel periodo.


II movimento studentesco italiano portò avanti la sua lotta mirando soprattutto alla didattica e all'organizzazione dell'università che venne paragonata ad una fabbrica con i suoi padroni-professori. Gli studenti in quei giorni scrivevano:


«II sistema dei voti e degli esami è fondato sul principio di premiare il più brillante e il più svelto e di penalizzare il meno appariscente e il più lento. L' indice di produttività richiesto dalla scuola allo studente diventa sempre più il grado di accettazione delle norme scolastiche stesse, esattamente come nella fabbrica, dove è più "bravo" l'operaio che ha interiorizzato più degli altri l'interesse del padrone».


Le proposte alternative erano i gruppi di studio, o seminari, diretti dagli studenti, in cui si studiava, si discuteva, si parlava di politica e di problemi personali. I professori venivano chiamati come esperti e servivano per gli esami che si dovevano fare alla fine e anche il voto, che era uguale per tutti, era di gruppo. Si riteneva che il lavoro di gruppo fosse il modo migliore per «crescere» insieme, ma rimanevano sacrificati l'analisi, la ricerca e la documentazione sui contenuti.

In tutta Italia, ma specialmente a Roma, a Milano, a Torino, a Venezia, a Pisa e a Firenze gli studenti occuparono le facoltà universitarie, intervenne anche la polizia e ci furono degli scontri. Furono organizzati cortei per le vie delle città e furono fatti diversi slogan e scritte che si rifacevano alle lotte di Che Guevara e di Ho Chi Min.


ANALISI DEI FATTI:

Il sessantotto italiano iniziò con qualche mese di anticipo sul calendario e si prolungò ben oltre il 31 dicembre di quell'anno. Questo movimento è durato oltre un decennio. Nell'autunno del 1967 gli studenti occuparono le università di tutte le principali città del centro-nord, con la sola esclusione di Roma.

Dapprima venne contestata la connotazione classista del sistema dell'istruzione che fu denunciata persino dal mondo cattolico a partire da don Lorenzo Milani, autore del severo atto d'accusa Lettera a una professoressa.

A Torino si succedettero occupazioni e sgomberi di Palazzo Campana, sede delle facoltà umanistiche. Il 2 febbraio venne occupata l'università di Roma, la più grande d'Italia, e intervenne la polizia.

Il giorno dopo, primo marzo, un corteo di protesta arrivò a Valle Giulia, sede della facoltà di architettura, e forzò i blocchi della polizia; gli scontri durano per ore, mentre i giornali, in edizione straordinaria, parlavano di "battaglia". Con i fatti di Valle Giulia il movimento studentesco si spostò definitivamente dal piano di una protesta universitaria a quello della contrapposizione frontale con l'intero assetto sociale.

Nella cultura del movimento confluirono anche altre diverse proteste sociali come il femminismo, che inizialmente era meno visibile, ma si affermò sempre di più negli anni successivi, sino a mettere in discussione l'intera impostazione politica del movimento.

Il 16 marzo i neofascisti, guidati dai deputati del Msi Anderson e Caradonna, assaltarono la facoltà di lettere a Roma. Furono messi in fuga e si barricarono nella facoltà di legge tirando dalle finestre banchi e armadi. Il leader del movimento studentesco Oreste Scalzone restò gravemente ferito. La protesta degli studenti non fu ascoltata nel quadro politico di governo e la protesta arrivò anche nelle grandi fabbriche del nord. In aprile, a Valdagno, gli operai tessili della Marzotto si scontrano con la polizia e abbattono la statua di Gaetano Marzotto, fondatore della dinastia e dell'azienda. In estate si accese un aspro conflitto operaio al Petrolchimico di Porto Marghera. In ottobre, alla Pirelli di Milano, nacque il Cub, comitato unitario di base, prima struttura autonoma operaia svincolata dalla leadership dei sindacati, mentre il 7 marzo fu indetto uno sciopero generale dei sindacati che registrò una massiccia adesione degli operai Fiat, la principale industria del paese.

In estate, con le università chiuse, la contestazione si spostò sul terreno delle istituzioni culturali. Artisti e studenti interruppero la Biennale e la mostra del cinema di Venezia. In autunno gli studenti occuparono ovunque gli istituti e riempirono le piazze con grandi cortei. Il 3 dicembre a Roma sfilarono 30.000 studenti medi. Alla protesta contro l'assetto scolastico si sommò quella contro la polizia, che il giorno prima, ad Avola, in Sicilia, aveva aperto il fuoco contro una manifestazione di braccianti uccidendone due.

Il 1968 si chiuse nel sangue, infatti, la notte del 31 dicembre gli studenti pisani contestarono un veglione di lusso di fronte al locale versiliese "La Bussola". Uno dei clienti sparò ferendo il sedicenne Soriano Ceccanti che restò paralizzato.

Nel '69 tra maggio e giugno furono proclamati alla Fiat una serie di scioperi spontanei e improvvisi al di fuori del controllo sindacale che paralizzarono la produzione per oltre 50 giorni. In prima fila ci furono gli operai meno qualificati e meno sindacalizzati, spesso immigrati dal meridione, che diedero vita a un'assemblea congiunta con gli studenti. La radicalità dello scontro si rivelò in pieno quando il 3 luglio, in occasione di uno sciopero generale cittadino, gli operai torinesi affrontarono per 24 ore la polizia.

Il conflitto riprese su larga scala in autunno, quando arrivarono a scadenza i contratti di lavoro che riguardavano oltre 5 milioni di operai. L'"autunno caldo" segnò il momento di massimo scontro sociale nell'Italia del dopoguerra. Gli operai rinnegarono la suddivisione della forza lavoro in fasce diversamente qualificate e chiesero che il salario fosse svincolato dalla produttività. In questi mesi nacquero i principali gruppi della sinistra extraparlamentare, mentre i sindacati, in un primo momento colti di sorpresa dalle dimensioni dell'agitazione operaia, diedero vita a strutture unitarie di base, i Consigli di fabbrica.

Il 12 dicembre a Milano fu deposta una bomba nella Banca nazionale dell'agricoltura che uccise 12 persone. Così iniziò la strategia della tensione, una sanguinosa catena di stragi che si ripeterono per tutti gli anni '70, ma i colpevoli non vennero mai scoperti. Per quanto riguarda la strage di Milano, venne accusato un gruppo di anarchici che poi vennero assolti.

Del '68 rimane lo statuto dei diritti dei lavoratori e la legge sul divorzio che, però, furono varate entrambe nel '70 e infine la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza, il nuovo diritto di famiglia e la legge 180 che chiudeva i manicomi; queste leggi fanno del nostro Paese un esempio avanzato a livello europeo.





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