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Niccolò Machiavelli e la nascita del pensiero moderno
Con il dissolversi
dei concetti medievali dell'Impero universale e della Chiesa universale, la
plenitudo potestatis passa allo Stato, piú esattamente al monarca o al popolo.
Lo schiaffo di Anagni manifesta l'acme della crisi dei rapporti tra i nuovi
Stati nazionali e la Chiesa di Roma, rappresentati rispettivamente da Filippo
il Bello e Bonifacio VIII, e la volontà del potere laico di affermare la sua
sovranità.
Tale situazione storica è alle spalle di Machiavelli, con il quale il pensiero
laico acquista piena consapevolezza, supportato dalla nascita della politica
come scienza. Proprio l'affermazione che la politica è scienza, comporta che
questa abbia leggi proprie, propri principi, propri obiettivi, sia quindi
pienamente autonoma e indipendente dalla religione, dalla morale, dalla
teologia, né abbia posizione ancillare rispetto a questa, ma una sua propria
dignità in quanto "vera" scienza.
Machiavelli, fondando la scienza politica, intendeva formulare una disciplina
che studiasse le regole dell'arte di governo badando esclusivamente
all'efficacia di tali regole indipendentemente da ogni remora religiosa o 212b13c
morale: laica politica o laica morale, quindi. Da tale premessa è poi derivato
il principio per cui "il fine giustifica i mezzi", principio tuttavia
non formulato da Machiavelli il quale orientava le sue simpatie verso la virtù
e la prudenza nella vita civile e politica e perciò elogiava gli Stati retti su
queste virtù come quello dei Romani.
Anche le "regole" di governo sono efficaci indipendentemente dal
carattere morale o immorale delle stesse, quindi nella loro totale laicità. Il
Principe di Machiavelli è un teorema politico in quanto ricerca quali siano le
qualità necessarie per governare: perciò già Voltaire affermava che la storia
"razionale" comincia col Machiavelli e col Guicciardini.
Da una particolare angolatura visuale, si può affermare che la dottrina del
Machiavelli pone le basi del liberalismo moderno, inteso come la dottrina che
si assume il compito della difesa della libertà, successivamente alla
realizzazione della stessa, nel campo politico, come afferma N. Abbagnano.
Infatti il Machiavelli, cosí come il liberalismo, teorizza il
"contrattualismo" che considera lo Stato frutto di una convenzione
tra gli individui ed afferma altresì la coincidenza dell'interesse privato con
quello pubblico.
L'individualismo, d'altronde, è la base stessa del liberalismo e il valore
assoluto dell'individuo certamente è presente nella teoria machiavelliana.
Ciò che evidenzia la negazione del Medio Evo illiberale e la modernità del
Machiavelli è proprio la delineazione degli ideali di patriottismo, gloria,
libertà della patria. Il Machiavelli vede nel potere temporale del Papato il
principale pericolo dell'Italia e, nei mercenari ed avventurieri, le prime
cause della debolezza italiana. Di fronte alla teocrazia medioevale sorge
l'autonomia dello Stato.
Il Cristianesimo, secondo il Machiavelli, ha svolto nella storia una funzione
negativa, ha reso gli uomini meno virili ed ha allentato il loro attaccamento
alle armi e alla patria, è stato instrumentum regni, mezzo di disciplina dei
popoli: "chi considerasse i fondamenti suoi e vedesse l'uso presente...
giudicherebbe esser propinquo la rovina o il flagello". Nei Discorsi la
religione è ricondotta dal Machiavelli alla sua sfera spirituale e, solo cosí,
è considerata strumento di grandezza nazionale: quasi precorrimento della
Chiesa nazionale nei movimenti riformistici seicenteschi. "La religione
può bene costituire, con le leggi e le milizie, il fondamento della vita
nazionale" afferma F. Chabod, il quale tra l'altro nota che nel Principe
il valore politico della religione è enormemente ridotto di fronte ai Discorsi.
Nel Medio Evo non vi era il concetto di "patria", vi era il concetto
di fedeltà e sudditanza: quello di patria è un concetto liberale e moderno che
già trova spazio nel Machiavelli. La "patria" di Machiavelli è,
naturalmente, il comune libero, ma tale concetto ben presto gli apparve come
cosa troppo piccola e perciò lo stesso propose la costituzione di una
confederazione italiana che fosse baluardo contro lo straniero: il suo concetto
di patria, quindi, si allarga.
Rigettata ogni causa soprannaturale nell'umano agire, Machiavelli pone come
base di ogni azione umana l'immortalità del pensiero: è il "cogito"
che si affaccia nella storia dando inizio alla scienza moderna ed a tutta la
moderna età, fondamento esso stesso del pensiero laico e liberale moderno. È
l'uomo libero, emancipato dal soprannaturale e dal sopraumano, che proclama la
sua autonomia e prende possesso del mondo. Degna di nota è anche l'idea, tutta
moderna e liberale, che il fine dell'uomo è il lavoro e che il maggior nemico
della civiltà è l'ozio. Agere et pati fortia: è la base dello Stato autonomo e
indipendente. Lavoro, patria, libertà, pensiero autonomo, sono idee-fulcro del
liberalismo machiavelliano antipapale, antimperiale, antifeudale. Machiavelli,
soprattutto nei Discorsi, esalta il valore della libertà e la superiorità della
repubblica sulla monarchia nell'organizzazione dello Stato in quanto non
consente che prevalga la volontà di uno solo; egli sottolinea il fatto che il
bene comune è bene promesso solo in una libera cittadinanza; questi Discorsi
difendono la causa della democrazia e affermano che "la moltitudine è piú
saggia e piú costante del capo unico".
Antonio Gramsci sottolinea l'atteggiamento antifeudale del Machiavelli e vedeva
questi in lotta contro l'organizzazione economico-corporativa della borghesia
comunale e per la creazione del nuovo Stato borghese: posizione paradigmatica
per le lotte politiche moderne. Lo Stato moderno è cosí liberato da tutti quei
vincoli feudali che ne determinavano la sudditanza al potere comunale,
opprimendo la sua autonomia.
Machiavelli è un tipico uomo del Rinascimento ed è, a pieno titolo, figlio del
suo tempo. Da ciò deriva il rifiuto del dogmatismo scolastico-religioso
medioevale e il recupero di un'intelligenza laica e di una tolleranza religiosa
quale fondamento di un umanesimo che valorizzi la capacità dell'uomo di
liberarsi dei pregiudizi e di cogliere la natura umana con un atteggiamento
scientifico. Ma il Rinascimento è il fondamento stesso dell'età moderna e delle
sua istanze e pertanto costituisce il loro momento genetico.
Max Horkheimer afferma che Machiavelli sarebbe stato non solo il fondatore
della scienza politica, ma anche il primo teorico dello Stato borghese.
Horkheimer parte dall'assunto che lo Stato borghese è uno Stato avente in sé la
propria razionalità: autonomo nelle sue strutture, funzionale e finalizzato
all'emergere dell'economia borghese in quanto ha la funzione di garantire lo
sviluppo delle forze e delle attività economiche. Per questo, secondo
Horheimer, Machiavelli rifiuta il sistema gerarchico medioevale e il potere
aristocratico e, nella stratificazione sociale, considera la nobiltà
"oziosa" e concede un posto privilegiato alla borghesia, soprattutto
cittadina, attiva e collegata al denaro. Secondo Horkheimer, Machiavelli
sollecita gli scambi del commercio e il libero gioco delle varie forze
economiche; per questo sottolinea l'importanza della "virtù" che è
laboriosità e capacità di guadagno. Il borghese ha la propria regola nel
perseguire il proprio utile e questo stesso consegue solo agendo in un modo razionale:
per sapere come agire, non alza certo gli occhi al cielo, ma opera in piena
autonomia e laicità. Nell'opera su citata si legge: "Machiavelli chiede la
subordinazione di ogni scrupolo allo scopo che giudica supremo: la
conservazione di uno Stato forte come condizione del benessere borghese"
mettendo a fuoco la sua tesi. Il liberalismo, borghese ed economico, con
l'abolizione del mercantilismo e del protezionismo, è un tutt'uno con il
liberalismo politico, pungolo per rimuovere gli ostacoli al libero
interscambio. La proclamazione dello "Stato forte", in Machiavelli,
si fonda sulla fede nel progresso spirituale, morale e culturale,
elementi-fulcro del liberalismo e il grado della cultura umana è rapportabile
alla misura della libertà borghese. Machiavelli tuttavia, secondo Horkheimer,
commette l'errore di considerare la violenza come necessaria per l'ascesa
borghese. Machiavelli tuttavia, secondo Horkheimer, commette l'errore di
considerare la violenza come necessaria per l'ascesa della borghesia e, in
generale, per la necessità dello Stato. C'è da chiedersi, però, se le
considerazioni di Horkheimer siano da condividersi in pieno o se siano puro
frutto del pieno coinvolgimento dell'Autore nel momento storico che stava
vivendo, ossia del periodo attorno al 1930, allorché con i suoi collaboratori,
Theodor Adorno ed Herbert Marcuse, ispirò l'indirizzo di studi marxistici che
va sotto il nome di "teoria critica".
Su questa critica alle teorie di Horkheimer che, come già abbiamo detto,
considera Machiavelli il primo teorico dello Stato borghese, si fondano le tesi
di quegli studiosi che ritengono invece che le condizioni storiche dell'Europa
e dell'Italia del periodo di Machiavelli non consentono di parlare di
accumulazione capitalistica e di sviluppo delle forze borghesi. Tuttavia, anche
per costoro, l'affermazione dell'Horkheimer che vede nel Machiavelli "il
primo teorico dello Stato borghese" è un elemento per confermare nello
stesso il momento "genetico" del pensiero laico e liberale moderno.
P. Stanislao Mancini sintetizza acutamente gli elementi che fanno del
Machiavelli il padre della politica moderna. "Egli ha emancipato le
discipline politiche dall'autorità teologica, ha applicato alle medesime il
metodo storico sperimentale".
Tuttavia anche su questa asserzione ci sono voci non del tutto concordi. F.
Chabod sottolinea il carattere intuitivo del pensiero machiavelliano e la
differenza dal modo d'impostare il problema di altri pensatori quali Locke,
Montesquieu, Rousseau.
Forse, proprio per il "taglio" liberale Il Principe non piacerà al
fascismo e verrà considerato "eretico" dalla mentalità degli anni
Venti. Per la forte portata di laicismo non piacerà neppure alla Chiesa della
Controriforma che ne censurerà la matrice aristotelico-materialistica. Si è
chiamato "machiavellismo" quella deformata interpretazione dell'opera
del Machiavelli che accentua le finalità bassamente pratiche del trattato,
secondo la nota massima, di cui si è già detto, "il fine giustifica i
mezzi" che, come afferma L. Russo "è dei suoi falsi scolari, i
gesuiti", massima pregna del falso pedagogismo della Controriforma. Ma
questi aspetti, a nostro avviso, sono certamente ciò che è accessorio, relativo
nella dottrina del Machiavelli, come bene ha visto il De Sanctis. "Ciò che
è morto nel Machiavelli, non è il sistema, è la sua esagerazione". Quindi
cosí continua: "... il suo Stato non è contento di essere autonomo, ma
toglie l'autonomia a tutto il rimanente. Ci sono i diritti dello Stato: mancano
i diritti dell'uomo. La "ragione di Stato" ebbe le sue forche... fu
Stato di guerra, e in quel furore di lotte religiose e politiche, ebbe la sua
culla sanguinosa il mondo moderno. Da quelle lotte uscì la libertà di
coscienza, l'indipendenza del potere civile e, piú tardi, la libertà e la nazionalità".
Il De Sanctis quindi afferma che, col concetto machiavelliano dello Stato
nasce, anche se "piú tardi", quello della Nazione. Questa filiazione
è considerata errata dal Russo, il quale sostiene che quello di
"Nazione" è un concetto di formazione posteriore e di lentissima
costituzione. L'"errore" del De Sanctis sarebbe imputabile al fatto
che egli stesso era un uomo del Risorgimento, per cui vedeva adombrato, in
Machiavelli, il sogno delle generazioni di tutto l'800.
Machiavelli fu apprezzato dall'Illuminismo, ma anche da Hegel che, nel IX cap.
della Costituzione della Germania, afferma che Machiavelli ha anticipato il
disegno dell'unificazione dell'Italia, superando il frazionamento regionale
cinquecentesco. È questo il "nobile segno purificatore" dello
scrittore de Il Principe, di cui parla anche M. Vanni.
Tale asserzione, però, è contraddetta da L. Russo, il quale, riesaminando
l'ultimo capitolo del Il Principe, laddove si è voluto vedere nel Machiavelli
il caldo profeta dell'unità nazionale, sostiene che l'Autore non pensa
all'Italia nella sua unità intima e storica, ma pensa soltanto ad alcune
province di essa.
C'è da notare, inoltre, che il "pessimismo" individuato da Prezzolini
nell'opera machiavelliana, è da iscriversi piuttosto ad un atteggiamento
denigratorio nei confronti dell'opera stessa, in quanto non è frutto di una
personale antropologia, ma deriva dalla realtà concreta presa in esame. Secondo
G. Prezzolini, troppo il Machiavelli è ancorato alla fiducia rinascimentale
nell'uomo.
Machiavelli è, a nostro avviso, specchio dei tempi, "troppo" figlio
del Rinascimento per poter cadere nelle secche di un pessimismo antiumanistico:
non bisogna mai dimenticare che stiamo parlando dello stesso autore de La
mandragola.
Costituisce voce a sé quella del Russo che parla di una "concezione
fortemente pessimistica... ma di un pessimismo che comanda all'azione".
Quello che mi sembra condivisibile in questa affermazione è soprattutto la
seconda parte. La concezione dell'uomo, quale appare nel Machiavelli, piú che
"pessimistica" sembra essere realistica e scientifica. Il Machiavelli
parte infatti dall'analisi della situazione storica dell'uomo e ne ravvisa
"il modo naturalistico di concepire la stessa vita morale e
politica".
Come molto bene precisa lo Chabod: "Le osservazioni di carattere generale
hanno nel Machiavelli un fondo concreto, preciso, umano: dietro ad esse avverti
un'esperienza precisa, ricca di uomini e di eventi... una pienezza di cose
concrete che toglie qualsiasi nota di astrattismo intellettualistico".
Lo stesso Hegel, nella Kritic der Verfassung Deutschlands, sottolineava
l'importanza dell'opera machiavelliana quale interprete dello spirito
rinascimentale nella conseguita autonomia dalla religione e dalla morale. Lo
Stato ha in sé i suoi fini, tanto in Machiavelli quanto in Hegel. Il binomio
Machiavelli-Hegel viene stabilito dal Meinecke che afferma che Machiavelli,
fondatore della "ragion di stato", avrebbe intuito la profonda
dialettica della storia che è bene e male allo stesso tempo. Tuttavia L. Russo,
anche nell'aspetto formale dell'opera del Machiavelli, individua una
"modernità": afferma infatti che la sintassi machiavelliana è una
sintassi adulta, a differenza del ragionamento medioevale e scolastico "a
piramide", inaugura il ragionalento "a catena" che sarà poi di
Galileo e di tutta la prosa scientifica moderna.
Infine i tanti nessi presenti tra Il Principe e i Discorsi ci inducono a
superare la contrapposizione tra un Machiavelli "repubblicano" e un
Machiavelli "teorico dell'assolutismo" che è stata classica per tanto
tempo, avallata anche da tanta critica romantica che definiva Machiavelli un
pensatore "ancipite", "duplice", al tempo stesso precettore
di principi e difensore della libertà. Il Principe e i Discorsi, infatti, sono
i due momenti inscindibili di ogni politica: il momento dell'autorità e il
momento della libertà. Da ciò l'apparente contraddizione delle due opere perché
in realtà, nel problema della autorità è implicito quello della libertà e, nel
motivo della libertà, quello dell'autorità.
Antipapale, antimperiale, antifeudale, civile, moderno, democratico: questo è
Machiavelli. "La serietà della vita terrestre, col suo strumento, il
lavoro, col suo obiettivo, la patria, col suo principio, l'uguaglianza e la
libertà, col suo fattore, lo spirito o il pensiero umano, col suo organismo, lo
Stato, autonomo e indipendente: ecco ciò che vi è di assoluto e di permanente
nel mondo di Machiavelli".
Machiavelli, quindi, come antesignano dell'Ottocento liberale.
M. Vanni, Introduzione e note in N.
Machiavelli, Il Principe, Signorelli, Milano 1933.
F. Chabod, Introduzione in N. Machiavelli, Il Principe, Utet, Torino 1944.
F. Landogna, Antologia della critica storica, Petrini, Torino 1951.
A. Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno,
Einaudi, Torino 1953.
L. Russo, Machiavelli, Laterza, Bari 1958.
F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Laterza, Bari 1958.
G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Feltrinelli, Milano 1962.
N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Utet, Torino 1964.
M. Fubini, Antologia della critica letteraria, vol. II, Petrini, Torino 1964.
G. Petronio, Antologia della critica letteraria, Laterza, Bari 1964.
F. Chabod, Scritti sul Machiavelli, Einaudi, Torino 1964.
H. Kohn, Ideologie politiche del ventesimo secolo, La Nuova Italia, Firenze
1964.
M. Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese nella storia, Einaudi, Torino
1978.
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