Nella nostra frenetica civiltà occidentale,
l'informazione riveste un'importanza strategica.
L'informazione è stata certamente importante anche in altre epoche storiche,
contribuendo a determinare i rapporti di potere, ma mai come oggi la quantità
e la velocità di diffusione delle informazioni hanno raggiunto questi
livelli.
Uno dei protagonisti di questo cambiamento epocale è il
computer.
Grazie all'affermazione, nei primi anni Ottanta, 626i89g per merito dell'IBM, del
personal computer, la luce azzurrina dei monitor ha invaso pressoché ogni
ambiente abitato dall'uomo.
Ai fini della diffusione e dell'elaborazione della conoscenza e delle
informazioni soltanto l'invenzione della scrittura, prima, e della stampa,
poi, hanno avuto nei secoli precedenti un impatto superiore.
Il computer ha letteralmente rivoluzionato le nostre vite.
Il tempo che vi trascorriamo davanti sta ampiamente superando, per molti di
noi, il tempo trascorso davanti a uno schermo televisivo, fino a qualche anno
fa ancora così seducente.
Il computer non è soltanto utile, è divertente. Viene
pienamente incontro alle nostre necessità ludiche, ci consente di sfidare in
giochi avvincenti familiari e amici.
Con lo sviluppo di Internet, tramite il computer abbiamo scambi
interpersonali sempre più veloci e flessibili, con un recupero rassicurante e
affascinante della parola scritta, della scrittura, che alcuni apocalittici
volevano irrimediabilmente negletta.
La Rete mette poi a disposizione di tutti, almeno di tutti gli abitanti dei
paesi cosiddetti sviluppati, banche dati un tempo inaccessibili se non a una
ristretta elite; favorisce la ricerca scientifica; contribuisce alla
democratizzazione della nostra società, in quanto tutti hanno la possibilità
di esprimersi in mille modi: chat, newsgroup, forum, siti personali, weblog,
accesso spesso gratuito a giornali e riviste di ogni genere, posta
elettronica, community di ogni tipo.
Cittadini e istituzioni sono più vicini, gli scambi più frequenti; il
rapporto sta lentamente diventando bidirezionale.
Rispetto alla televisione, il computer permette una cittadinanza attiva, ci
rende protagonisti, in grado di modificare significativamente l'ambiente con
cui entriamo in relazione.
L'impatto del computer sul mondo economico, della
produzione, è stato formidabile. Lo si usa, con profitto, nelle banche, negli
ospedali, nelle fabbriche, nei complessi commerciali. La "new
economy" non è ancora decollata, ma il calcolatore ha intanto modificato
le nostre abitudini lavorative. Difficilmente chi oggi lavora, in qualsiasi
ambito e a qualsiasi livello dell'organigramma, anche il più basso, può
permettersi di evitare l'interazione col computer. Il ronzio dei processori è
più diffuso ormai del rumore delle presse.
Nella scuola stessa, dopo l'avvento del computer, ferve il
dibattito su come cambiare l'educazione scolastica in seguito alla
rivoluzione informatica.
Cd-rom multimediali, ipertesti, persino videogiochi, stanno modificando il
modo di apprendere di milioni di ragazzi.
E di certo, il computer sta modificando il nostro modo stesso di pensare. E
la nostra velocità e capacità di rispondere agli stimoli, a più stimoli
diversi. I neurofisiologi saprebbero dimostrarci come alcune aree del
cervello si stanno progressivamente modificando, in seguito alle nuove
stimolazioni.
Il computer inoltre ha probabilmente portato all'estremo alcuni sviluppi del
razionalismo occidentale. Col computer la matematica è come scesa fra noi,
nella realtà concreta della nostra vita, come non mai.
E non è un caso se, dopo l'abaco greco, le prime macchine calcolatrici sono
state messe a punto da filosofi-scienziati come Pascal e Leibniz.
Non nascondo il mio entusiasmo futurista per il calcolatore.
Forse eccessivamente unilaterale. Sarebbe senz'altro un atteggiamento
più saggio e prudente quello di difendersi un po' da questa
"hybris" del computer. Stimare maggiormente i pericoli della
rivoluzione informatica. I cultori delle cosiddette scienze umane già
paventano l'avvento di uomini dimidiati, tutti raziocinio e con la parte
emotiva rimossa, atrofizzata, e quindi pericolosa. Paventano alienazioni,
solitudini, perdite di contatto con la realtà, dipendenze, schizofrenie,
ossessioni.
Difficilmente l'uomo del futuro potrà affidarsi soltanto
alla razionalità. Già adesso i software denominati "sistemi
esperti" si sono rivelati non in grado di risolvere problemi complessi,
di prendere decisioni efficaci, che esulino da un ristretto campo
specialistico.
In molti settori, in molte discipline, l'uomo deve rinforzare, semmai, il
pensiero narrativo, ancora così importante per dare un senso alla nostra
umana esistenza e per padroneggiare la realtà nella sua totalità.
E poi una razionalità algida, priva di emozioni, non è certo il futuro
felice, che tutti ci auguriamo.
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