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La teoria della velocità della luce

fisica



La teoria della velocità della luce


Premessa


Già nel 1600 vecchie teorie avevano descritto il fenomeno di propagazione della luce come un onda meccanica aveva bisogno di un mezzo materiale per propagarsi. Le teorie del '600 ritenevano che lo spazio doveva essere completamente riempito di un fluido invisibile denominato etere il quale aveva proprietà alquanto strane , come densità molto bassa (per permettere il moto dei corpi celesti) ma estrem 212j98c amente rigido (per permettere la propagazione della luce ad altissima velocità).

Questa definizione contraddittoria delle 2 proprietà dell'etere si inseriva nella idea filosofica e fisica di spazio assoluto (già immaginato da Kant e Newton) considerato come la materializzazione di un sistema assolutamente immobile entro il quale gli oggetti potevano trovarsi in uno stato effettivamente di quiete o in uno stato effettivamente di moto (etere - riferimento assoluto).

Partendo dalla teoria della relatività Galileiana (quella per cui se un corpo C si muove rispetto ad un osservatore O solidale a un sistema di riferimento S con velocità u con direzione parallela all'asse x e verso concorde ad esso e se un osservatore O' solidale con un sist di rif S' orientato in modo che il suo asse x' scivoli sull'asse x di S con velocità v, si ottiene che esisite una differenza tra le velocità della luce misurate dagli osservatori) alla fine del 1881 Michelson cercò con un esperimento di dimostrare la differenza delle velocità enunciate da Galileo, ma l'esperimento sembrava negarla senza dubbio. In pratica la velocità della luce si manifesta sempre con lo stesso valore qualunque sia il moto relativo tra la sorgente e l'osservatore



Questa visione delle cose portò ad una radicale revisione del problema portata avanti da Lorentz e Fitzgerald verso i primi anni del '900: essi ipotizzarono una contrazione delle lunghezze dei corpi e una dilatazione della durata degli intervalli di tempo, giungendo a formule che sarebbero poi state identiche a quelle trovate da Einstein per i suoi principi relativistici.

Questa importante svolta fece elaborare ad Einstein una ulteriore intuizione secondo cui l'etere, a fronte degli esperimenti effettuati e delle supposizioni, non doveva esistere o comunque era inutile. Non si riusciva a dimostrarne l'esistenza e per di più tutte le sue proprietà non erano dimostrabili.

Ora restava da dimostrare come mai la velocità della luce in uno spazio vuoto (non più etere) appare sempre uguale a qualunque osservatore.

Einstein riuscì a dimostrare i seguenti postulati della relatività:

I)       per 2 sistemi di rif che si muovono di moto rettilineo uniforme tutte le leggi fisiche sono assolutamente identiche e non è possibile distinguere un eventuale moto uniforme assoluto.

II)     La velocità della luce nello spazio vuoto è sempre la stessa e indipendentemente dal moto della sorgente che la genera e dall'osservatore che la riceve.


I nuovi concetti di massa


Quindi Einstein, partendo dall'estensione del concetto di relatività Galileiana a tutti i fenomeni, arrivò ad una radicale revisione dei concetti di spazio e tempo. Basandosi poi sulle leggi della dinamica di Newton (in base alle quali nello spazio vuoto ci sono corpi dotati di massa e non punti geometrici) elaborò quella che oggi è chiamata formula dell'energia della massa a riposo per cui E0= m0c2 [1]

Einsten applicò le sue deduzioni all'analisi dei fenomeni dinamici imponendo una revisione dell'ipotesi di invarianza che Newton aveva dato alla massa dei corpi materiali(seconda legge della dinamica Newtoniana). Diede una nuova definizione di massa insieme al principio di conservazione della quantità di moto: ad un corpo di massa m0 in quiete, un osservatore O per il quale esso è in moto relativo con la velocità v, attribuirà una massa m il cui valore è legato a quello di m0 dalla segg relazione: m= m0/(1-v2/c2)1/2 con c = velocità della luce (3x108 m/sec), m = massa a riposo e v = velocità di m.

Si dimostra quindi che la massa di un corpo dipende dalla sua velocità. Questa formula modificò dunque la legge fondamentale della dinamica ma anche le formule che legavano tra loro la massa e l'energia tramite il lavoro di una forza.

Nella dinamica classica la massa era considerata come dotata di energia ma non come energia.

Nella teoria della relatività invece Einstein si rese conto ed affermò tramite la relazione [1] che un corpo solo per il fatto di possedere una massa, possiede in sé anche un'energia e viceversa a ogni forma di energia è possibile associare un valore di massa.


Dimostrazione della formula[1]:

abbiamo visto che se un corpo in quiete rispetto ad un O ha massa m0, quando esso si muove la sua massa aumenta secondo la segg relazione

Δm=m-m0=m0/ √(1-v2/c2) -m0 [2]

Che diventa Δm= m0 (1-v2/c2) _ m0 [2.1]

Moltiplichiamo ora denominatore e numeratore per 1+ √(1-v2/c2) e otteniamo

Δm=    m0 v2/c2 [2.2] dove v molto piccolo rispetto a c per cui il rapporto v2/c2 è

√(1-v2/c2) +1-v2/c2 trascurabile rispetto ad 1 per cui si ottiene:


Δm= m0 v2/c2 = ½ m0 v2/c2 [2.3] quindi l'incremento della massa è associato al rapporto tra

√(1-0) +1-0 energia cinetica del corpo e il quadrato della velocità della

luce

Dalla formula di partenza Δ=m-m0 e dalla [2.3] si ottiene m-m0 = ½ m0 v2 e moltiplicando tutto

per c2 si avrà:    c2

mc2=m0 c2 + ½ m0 v2 [2.4]

L'ultimo termine a destra si riconosce l'espressione dell'energia cinetica di una particella di massa m0 e velocità v. I termini mc2 e m0c2 sono quindi omogenei a una energia per cui Einstein ipotizzò che anch'essi dovessero esprimere delle energie e precisamente:

E = mc2 dovrebbe esprimere l'energia totale del corpo e il termine E0 = m0c2 una sorta di energia associata alla massa del corpo in quiete, detta energia della massa a riposo.







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