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MULTIETNICO, POLIGLOTTA, SCHIZOFRENICO

comunicazione



multietnico, poliglotta, schizofrenico


Allo stesso modo in cui la tipografia cristallizza le lingue discriminando un loro esercizio corretto da quello scorretto, così in ambito psicologico si distinguono i processi razionali logicamente corretti da altri che non trovano posto e che quindi vanno respinti. Si costituiscono in tal modo degli standard della salute mentale, discriminanti r 616h71g ispetto a chi non si adegua ad essi. Nasce la 'malattia mentale', la follia come strumento per colpire con una grave reprimenda sociale i membri della comunità che si rifiutano di accogliere i procedimenti della nuova razionalità (omogenei analitici), persistendo nell'uso di una superata saggezza sentenziosa e retorica, acuta e spiritosa, degna di una civiltà orale ma non più accettabile entro la galassia di Gutenherg. I folli shakespeariani documentano un momento storico cruciale di attrito tra la vecchia razionalità (appunto arguta, analogica, dialettica) e quella nuova, lineare-sequenziale.

Noi non possiamo più pensarci come 'io' separato dal mondo: dopo essersi estroflesso con la forza della tecnica, l'uomo vede ora il mondo rifluire dentro di sé, letteralmente dentro il suo corpo. Stiamo vivendo un reciproco e continuo ribaltamento tra interno e esterno, e la soggettività non è più un nucleo stabile e autonomo che rispecchia il mondo, lo ordina e gli dà un senso, ma un grumo temporaneo di una densità appena sufficiente a garantire una parvenza d'identità, destinato a sciogliersi e a riformarsi, nel paesaggio del flusso d'informazioni continuo e dinamico. Oggi vi è una nuova forma di schizofrenia che sostituisce l'isteria e la paranoia. Con la connessione di tutte le reti nella comunicazione e nell'informazione, con la promiscuità immanente che ne deriva, lo schizofrenico è aperto a tutto contro la sua volontà, vive nella grande confusione; ciò che lo caratterizza non è tanto la perdita del reale, quanto questa sovraesposizione alla trasparenza del mondo. Egli diventa puro schermo, pura superficie di assorbimento delle reti d'influenza e non può più produrre i limiti del suo essere proprio. Ogni confusione del pensiero con l'ordine reale, questa nostra pretesa 'fedeltà' al reale da parte di un pensiero che l'ha fatta sorgere di sana pianta, è allucinatoria. Essa dipende da un controsenso totale sul linguaggio, il quale è illusione nel suo stesso movimento, è portatore infatti di questa continuità del vuoto e, nella sua materialità è decostruzione di ciò che significa.



Lacan concepisce l'identità personale come l'effetto dell'unificazione temporale di passato e futuro attraverso il presente del soggetto, e precisa che tale operazione di unificazione è una funzione del linguaggio. La questione si pone allora in questi termini: se il senso è inteso come 'significato-effetto, vale a dire che esso si genera nel movimento da significante a significante e dalla reazione dei significanti tra loro, quando questa relazione crolla e la catena dei sgnificanti collassa, quest'ultima si riduce in frantumi di significanti distinti e irrelati, e il soggetto arriva la schizofrenia. Le parole vanno più velocemente del senso, ma se vanno troppo veloci, è la follia. E lo schizofrenico è ridotto a un'esperienza di significanti puramente materiali o, in altre parole, di una serie di presenti puramente irrelati nel tempo. Questa è una rottura della temporalità. Così isolato quel presente improvvisamente inghiotte il soggetto, con una concretezza percettiva schiacciante, con effetti di perdita della realtà, di ansietà, di euforia o di allucinazione. Chiarendo la natura di questi presenti isolati, si può aggiungere, questa volta prendendo spunto da Gallner, che in assenza di scrittura il discorso è sempre legato a un contesto, mentre disporre della scrittura vuol dire poter separare un'affermazione dal contesto, e il trascendente nasce a questo punto, quando cioè il significante incomincia a vivere senza parlante e senza ascoltatore. Antonio Caronia in 'Il corpo virtuale' (pgg.52-53) afferma a proposito del linguaggio: "Non solo il proto-uomo non è mai riuscito ad andare al di là di questo primitivo strumento di comunicazione e di espressione, ma è dovuto sottostare a tutta la aleatorietà con cui quello strumento si è sviluppato. [.] Ebbene, anche per quanto riguarda il linguaggio, i protouomini non riuscirono mai a individuarne la forma comune, la sostanza unificante, rimanendo prigionieri dell'esistenza di una pluralità di forme linguistiche, legate appunto al fattore casuale o 'culturale', con enormi problemi di comunicazione, traduzione, gestione dell'attività mentale unificata a livello planetario. è vero che alcuni studiosi proto-umani [.] intuirono l'esistenza di una 'grammatica universale', ma non arrivarono mai a formularne organicamente le leggi, né tantomeno a costruirne modelli effettivamente operativi."

, Qui non si vuole prendere una posizione forzatamente romantica e tantomeno negare la legittimità e la logicità dell'argomentazione colorita di Caronia, ma in questa sua riflessione di ordine puramente pratico e d economico, non si tiene conto che le lingue esercitano la loro seduzione perché incomparabili, irriducibili l'una all'altra, e che questa alterità le rende profondamente complici. Le lingue si potrebbero conciliare se fossero differenti, ma non sono differenti, sono altre, singolari.



Con i linguaggi virtuali stiamo inventando l'Antibabele, la lingua universale, la vera Babilonia, in cui tutte le lingue sono confuse e prostituite le une con le altre. In tal modo stiamo avendo una patologia della formula, di un linguaggio destinato a comandi operativi semplificati: cibernetico. è allora che l'alterità rubata del linguaggio si vendica e che s'installano quei virus endogeni di decomposizione. Il senso è sempre infelice, l'analisi è per definizione infelice, poiché è nata dalla disillusione critica. Mentre il discorso tende sempre a produrre del senso, la lingua e la scrittura invece illudono sempre, esse sono l'illusione vivente del senso, la risoluzione dell'infelicità del senso mediante l'infelicità della lingua. Tutti hanno idee, e più del dovuto. Ciò che conta è la singolarità poetica dell'analisi. Solamente questo può giustificare il fatto di scrivere, e non la misera oggettività critica delle idee.

L'esteriorizzazione si è talmente estesa che nell'esperienza contemporanea non c'è più profondità, tutto è superficie, a tale proposito Perniola parla della trasformazione dell'uomo in una 'cosa che sente', di 'un acutissimo e fulminante matrimonio tra sessualità e filosofia': "[.] sentirsi non più Dio, né un'animale, ma una cosa senziente. Per questa il minimo percepibile è già il massimo percepibile o meglio nel minimo percepibile è già contenuto il massimo. In tale feroce riduzionismo sensitivo noi cogliamo non l'essere in sé della cosa, né la sua essenza, ma piuttosto un sentire umano ridotto ai minimi termini. Tuttavia questo sentire minimo sembra non perdere nulla; nel più piccolo contatto è implicito tutto il sovraumano e l'infraumano di cui siamo capaci, tutte le speranze e le abiezioni, tutto il mondo intellettuale e pratico." (Perniola, 8)






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