La cronaca ci riserva con inquietante frequenza notizie e
descrizioni di efferati delitti, che maturano all'interno della cerchia
familiare. E, anche quando non si raggiungono questi estremi sanguinosi,
l'istituzione familiare, in Italia e in tutto il mondo occidentale, sembra
mostrare la corda.
Le unioni matrimoniali tendono, sempre più di frequente, a resistere per
pochi anni per poi disgregarsi. I conflitti intrafamiliari danno lavoro ad
avvocati e psicologi e sembrano radicalizzarsi di anno in anno.
Esistono, è vero, delle significative controtendenze, che dimostrano come la
realtà sia più contraddittoria dei facili schematismi: i figli, sovente
ultratrentenni, prolungano la permanenza nella famiglia d'origine,
dichiarando di trovarcisi bene, di godere di assistenza e servizi altrimenti
non fruibili. In alcune realtà territoriali, la famiglia allargata continua
ancora efficacemente a supplire alle carenze economiche e di infrastrutture.
Il disagio che, tuttavia, prevale, conosce, secondo me,
molte ragioni, paradossalmente non tutte negative.
E' un fatto che l'individuo contemporaneo ha un acuto senso della propria
identità, dei propri diritti, della propria autonomia. Mal tollera perciò
quei legami, quelle costrizioni, quelle dipendenze, economiche e
psicologiche, che soltanto l'altroieri sopportava.
La famiglia patriarcale, il "padre padrone", come quello che
ritraeva Gavino Ledda in un famoso libro di qualche anno fa, non esiste più.
Esistono padri aggressivi, violenti, con problemi mentali, ma l'autoritarismo
è un titolo in ribasso alla borsa dei valori esistenziali. Anzi padri e madri
contemporanei sono imbevuti, almeno superficialmente, di cultura psicologica
e il corteo di esperti da consultare in caso di necessità aumenta di giorno
in giorno.
Qual è, allora, il male oscuro della famiglia? Forse
l'indifferenza: distratti dalle proprie mete di carriera e di consumo da
raggiungere ad ogni costo, forse si tende a trascurare i figli, il loro
bisogno di colloquio, di ascolto. I ritmi lavorativi ed esistenziali, sono,
in occidente, fortemente accelerati, compressi, lasciando sempre meno spazio
per un'adeguata cura dei rapporti personali; la sfera emotiva, affettiva di
molti bambini ed adolescenti tende a risentirne.
La struttura economica che fa da cornice certo non aiuto lo sviluppo armonico
della personalità. Papà e mamma devono sovente entrambi lavorare per
consentire un reddito che permetta di pagare affitto e bollette e i bimbi
vengono sballottati fra asili, tate, nonni e televisione.
Inoltre gli standard educativi stanno mutando: il
narcisismo, l'immagine, dominano ovunque, per cui aumentano le pressioni sui
figli perché "onorino" la famiglia con buoni voti a scuola, una bella
presenza, l'acquisizione di sempre nuove abilità da sfoggiare poi in società.
Il figlio, insomma, come prolungamento del narcisismo dei genitori.
Capita che sempre più bambini rimbalzino da un corso all'altro, nell'arco di
una stessa giornata, come palline da flipper, senza aver tempo per il gioco,
l'ozio, senza conoscere la bellezza del trascorrere lento delle ore e delle
giornate.
E' una cultura, intendiamoci, di cui non sono responsabili soltanto i
genitori, ma soprattutto i media, con la martellante proposizione di modelli
inarrivabili di bellezza e di successo.
Oppure, sentendosi inadeguati nella sfera emotiva, certi
genitori cercano di compensare questa insufficienza comunicando con i figli
solo tramite oggetti: la bella macchina, i bei vestirti, la disponibilità di
denaro. I figli finiscono così per percepire i genitori soltanto come
obbligati dispensatori di soddisfazioni materiali.
Senza contare quei genitori che usano in modo deprecabile i
propri figli come arma nelle dispute con l'altro coniuge, ignorandone
totalmente le necessità.
Da tempo la famiglia è oggetto di critiche da parte del
mondo della cultura. E' ritenuta il luogo degli egoismi, della meschinità,
dell'ipocrisia, del conformismo, di ogni male attraversi la società.
Ricordo il celebre "Famiglie, io vi odio" di Andre Gide o il
vagamente profetico "La morte della famiglia" dell'antipsichiatra
David Cooper.
Sono molte le scuole psicologiche e psichiatriche che riconoscono, forse in
maniera un po' troppo unilaterale, nei rapporti familiari distorti l'origine
della cosiddetta malattia mentale.
Eppure a me sembra che la famiglia sia come la democrazia,
un'istituzione imperfetta che tuttavia non ha alternative migliori
praticabili.
Laddove gli esseri umani si incontrano e interagiscono per anni, è naturale e
inevitabile che, dallo scontro di volontà diverse, si sviluppino conflitti.
L'importante è, forse, tentare di gestire questi conflitti con efficacia e
maturità, lasciando spazio alla comprensione, al dialogo, all'affetto, alla
solidarietà.
Sperando che, nel frattempo, politici e amministratori, cerchino di creare le
migliori condizioni esterne (sostegni economici, infrastrutture, servizi,
ecc.) affinché la famiglia prosperi.
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