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Macrobius[1], Commentariorum in Somnium Scipionis
I, 2,8
Fabulae, quarum nomen indicat falsi professionem, aut tantum conciliandae auribus voluptatis aut adhortationis quoque in bonam frugem gratia re 525d39f pertae sunt. Auditum mulcent velut comoediae, quales Menander eiusque imitatores agendas dederunt, vel argumenta fictis casibus amatorum referta, quibus vel multum se Arbiter exercuit vel Apuleium non numquam lusisse miramur. Hoc totum fabularum genus quod solas aurium delicias profitetur e sacrario suo in nutricum cunas sapientiae tractatus eliminat.
Apuleium non numquam lusisse -> oggettiva
in nutricium cunas -> complemento a luogo figurato
Le favole, il cui nome indica che raccontano il falso, furono trovate o soltanto per il piacere dell'ascolto o anche a scopo di esortazione per trarre buon frutto.
Accarezzano l'udito come le commedie, che fecero rappresentare Menandro e i suoi imitatori[3], oppure trovate le trame di vicende inventate di innamorati, con cui si è esercitato molto Arbitro e con cui noi ci meravigliamo che talvolta si è dilettato Apuleio .
Tutto questo genere di storie che ambisce ai soli piaceri degli orecchi, la filosofia lo elimina dal suo santuario, relegandolo alle culle delle nutrici.
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