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Letteratura Latina - L'età arcaica

latino



Letteratura Latina



L'età arcaica



L'età arcaica delle letteratura latina si estende cronologicamente fra il 240 ed il 78 a.C., l'anno che, con la morte di Silla, segna l'aprirsi dell'ultima fase della respublica Romana. Le opere prodotte in questo periodo si trovarono di fronte ad un paradosso che difficilmente e solo talenti geniali poterono sanare: da un lato, reggere positivamente il confronto con la letteratura greca, ormai al culmine della propria produzione, cimentatasi in qualsiasi genere e con canoni di modelli ormai chiaramente delineati e definiti; dall'altro, inaugurare una produzione propria, che fosse anche originale e competitiva.



Il mondo greco del III sec. a.C 222b11c . stava ormai attraversando pienamente la cosiddetta età ellenistica, un momento, sotto il profilo letterario, di intenso ripensamento di tutta la cultura precedentemente elaborata, in cui intellettuali, sempre più eruditi, i filologi, si cimentavano sia nell'archiviazione, in maestose biblioteche, del maggior numero di opere e di autori possibile, sia nella produzione di nuova letteratura, soprattutto riciclando e metabolizzando stili ed usi accreditati e fissati come canonici. Centri di sapere erano Alessandra d'Egitto, Antiochia, Pergamo, Atene, Taranto ed altre città, da dove, a partire dal III sec., affluirono a Roma numerosi studiosi che poi la nobilitas impiegò volentieri nelle proprie dimore, prevalentemente con mansioni didattiche. Fra gli aristocratici Romani, la cultura, a partire da questo periodo, cominciò ad essere giudicata uno strumento importante per accedere all'alta società romana e destreggiarsi abilmente nell'agone politico e fra le accanite rivalità interpersonali o fra gentes; la trasmissione del sapere, tuttavia, fu attività relegata a schiavi o liberti, in quanto ritenuta infamante per un cittadino. Il mondo greco, del resto, era ammirato come culturalmente superiore e più evoluto, così che, sin dalle origini, il confronto fra latino e greco si rese sempre più acceso, fino a provocare la divisione della società fra tradizionalisti, di orientamento politico conservatore, strettamente legati al latino e apertamente ostili al greco, e quanti invece non disdegnarono per sé e per i propri rampolli un'educazione d'impronta ellenizzante, che si compattarono in circoli e cenacoli, ristretti e molto selettivi. Col III secolo, viene progressivamente diffondendosi a Roma anche la moda del libro, che se da un lato apre ad un pubblico potenzialmente più vasto la consultazione delle opere, dall'altro, per gli alti costi di produzione, la raffinatezza dei prodotti e la scarsa alfabetizzazione, restringe la cultura ad una cerchia privilegiata di istruiti, capaci non solo di leggere e scrivere, ma di farlo senza problemi sia in latino che in greco.

Fra i generi letterari che la Grecia aveva canonizzato e Roma si trovò ad ereditare, il primo in cui il confronto prese campo fu l'epica. Il termine "epico" deriva dalla parola greca che significa "parola" ed è impiegato per indicare quella produzione poetica, sia in greco che poi in latino, in esametri dattilici, concernente eroi e miti e nella cui materia interagissero attivamente uomini e dei. Il mito vi assume un forte valore conoscitivo e didascalico, come elemento di trasmissione diretta e di semplice acquisizione di un sapere atavico e, perciò stesso, fuori dal tempo e valido per l'eternità. Omero, secondo la tradizione, fu il primo poeta epico nella storia della letteratura greca e colui che, al netto dell'omonima questione, compose in forma orale o redasse in forma scritta, tutta o parte dell'Iliade e/o tutta o parte dell'Odissea. Dopo di lui il genere epico incontrò una complessa evoluzione, che lo portò ad aprirsi alla filosofia, alla storia, alle scienze ed all'eziologia[1].

Il primo poeta epico latino fu Livio Andronico (285 ca. - 200 ca. a.C.). Originario di Taranto, nel 272 a.C. fu deportato a Roma dal console Livio Salinatore come schiavo di guerra e servì la potente gens Livia, finché fu affrancato per meriti intellettuali. Dopo aver lavorato come grammaticus, in lingua latina e greca, e come autore di teatro[2], nel 207 a.C. ricevette dallo Stato la commissione di un Inno a Iuno Regina, un partenio (canto che doveva essere intonato da venti vergini, durante una solenne cerimonia pubblica), un carmen propitiatorium per l'esercito Romano, prima della battaglia con cui il console Livio Salinatore (figlio o nipote del console che aveva deportato Livio Andronico a Roma) avrebbe dovuto impedire l'arrivo in Italia di Asdrubale, fratello di Annibale, con nuove leve Cartaginesi. Lo scontro poi si svolse sul fiume Metauro e fu un successo per Roma. Sull'Aventino, nel Tempio di Minerva, fu fondato il Collegium Scribarum Histrionumque, la Corporazione degli Autori e degli Attori, di cui Livio Andronico fu fatto Presidente onorario. In età piuttosto avanzata, infine, si cimentò nella traduzione in latino ed in saturni dell'Odissea omerica, a scopo prettamente didattico. Morì sicuramente prima del 200.

  1. La scelta di Andronico, fra i due poemi omerici, cadde sull'Odissea per quattro ragioni fondamentali:

I. Motivo letterario: in ossequio al gusto alessandrino per il meraviglioso ed il fiabesco, le peripezie d'amore ed il romanzesco, l'Odissea era il poema che si prestava meglio a soddisfare certe aspettative del pubblico colto romano;



II. Motivo etnico-leggendario: i Romani si ritenevano discendenti del troiano Enea e preferivano naturalmente seguire le avventure per mare di Ulisse, in qualche modo a lui assimilabile, che leggere di come Troia venne sconfitta e distrutta;

III. Motivo storico-sociale: Roma si stava espandendo nel Mediterraneo, stava conoscendo nuove culture e si appassionava a leggere delle vicende di navigazione Ulisse, per mari e luoghi esotici e lontani, a contatto con dei, ninfe e creature mostruose;

IV. Motivo morale: la pietas[4] di Ulisse e di sua moglie Penelope erano esemplari per i canoni etici della società romana.

Sicuramente non secondario, però, dovette essere anche il fatto che Omero era comunemente ed inconfutabilmente ritenuto dagli intellettuali latini ed ellenistici non solo l'iniziatore dell'epica, bensì il padre insuperabile dell'intera, più avanzata e raffinata cultura greca nel complesso: confrontarsi direttamente con lui rendeva Livio Andronico un "alter Homerus" nel mondo e nella cultura romani e segnava la nascita delle letteratura epica latina assolutamente sotto i migliori auspici.

La traduzione artistica, che Livio approntò, non fu affatto semplice: è con l'Odus(s)ìa, infatti, che si rendono necessari una nuova lingua poetica ed un nuovo stile, coraggiose scelte metriche, sintattiche e lessicali ed una creatività originale, capace di tradurre non solo il testo, bensì anche i valori, di cui questo fosse portatore, da una lingua ad un'altra e, quindi, da una cultura ad un'altra. Molti nomi, di eroi o dei, e molte situazioni, che i Romani avrebbero avuto difficoltà a capire e tollerare, furono alterati, sulla base dei dettami del mos maiorum, secondo un processo sistematico di "romanizzazione[5]" del testo omerico. Il lessico fu forzatamente arcaico, solenne e granitico, in ossequio alle antiche tradizioni preletterarie italiche. Tipicamente ellenistici, invece, furono il gusto per il pathos e l'enfasi drammatica della narrazione. L'Odusìa fu molto popolare, già appena fu pubblicata, e continuò per secoli ad essere insegnata e fatta imparare a memoria .

6. Della stessa generazione di Livio Andronico, Gneo Nevio (270 ca. - 201 a.C.) fu di condizione libera, di origini italiche, forse di provenienza campana e cittadino Romano. Dopo aver partecipato, da soldato, alla I Guerra Punica (264-241 a.C.), visse per lo più a Roma, esercitando il mestiere di poeta ed autore di drammi. Ebbe un temperamento vivace e libertario[7]. Fu molto caustico contro alcune fra le più potenti gentes del momento, soprattutto gli Scipioni ed i Metelli, cui condusse attacchi soprattutto attraverso il teatro. Nel 206 a.C. fu incarcerato per la violazione della legge sui mala carmina, che imponeva la prigione per chi praticasse incantesimi, ma anche si rendesse responsabile di diffamazione. Pochi anni dopo, il carcere gli fu commutato con l'esilio e la sua morte si colloca ad Utica, in Africa, nel 201 a.C..

Il Bellum Poenicum neviano fu il primo poema epico-storico, di argomento nazionale romano, composto negli anni della II Guerra Punica (219-202 a.C.), come carmen continuum in versi saturni e poi diviso in VII libri, nel corso del II secolo, e relativo al primo scontro fra Roma e Cartagine. L'intento generale dell'opera fu patriottico celebrativo. In seno alla vicenda di guerra, si svolgeva anche una parte storica, mitico-leggendaria, su Roma e le sue origini, definita archeologia, il cui raccordo con il resto del poema doveva o collocarsi dall'inizio, in maniera lineare e molto elementare, oppure, in corso d'opera, prendere spunto dalla descrizione (èkfrasis) delle sculture del Tempio di Zeus Olimpio ad Agrigento e svilupparsi per digressione, secondo un tòpos letterario estremamente caro al gusto alessandrino. L'epica neviana s'ispirò pienamente ai modelli greci, sviluppatisi negli indirizzi storico-geografico (ktìseis = fondazioni mitiche di città illustri) e storico-celebrativo. Frequenti, nonostante l'argomento strettamente storico, erano gli interventi delle divinità nello svolgimento delle imprese umane: l'intera storia di Roma si sostanziava così di forti significati provvidenziali, fin dalle sue più remote origini. I principi estetico-letterari che Nevio rispettò particolarmente furono la brevitas (o syntomìa) e la varietas (o poikilìa), di matrice prettamente alessandrina: in un unico poema della consistenza di circa 4-5000 versi erano infatti raccontate imprese belliche e le peripezie degli esuli troiani, materia iliadica e materia odissiaca, in maniera variegata e concisa. Il poema, tuttavia, mantenne anche uno stretto legame con la tradizione preletteraria latina dei carmina convivalia, degli elogia e delle laudationes, attraverso il metro saturnio, tipico dei vates, e la sobrietà ed essenzialità dei toni, con il ricorso, anche intenso, alle figure di suono, all'asindeto, alla paratassi e ad un lessico volutamente arcaizzante[8], solenne e pesante, che proseguiva la "romanizzazione" della materia greca avviata da Livio Andronico.





Dal greco aìtion, che significa causa, la poesia eziologia è quel filone dell'epica, particolarmente popolare in età ellenistica, che si approfondì nella ricerca minuziosa di miti o leggende rare, a giustificazione di toponimi, festività tradizionali ed altri elementi di storia e cultura dei luoghi e delle loro popolazioni.

Proprio di Livio Andronico fu, secondo la tradizione, il primo dramma in lingua latina, rappresentato a Roma nel 240 a.C..

Gli autori di teatro ed in generale gli scrittori sono ancora definiti, con parola italica, ed un po' avvilente, scribae e non ancora con il grecismo poetae.

Il concetto di pietas, nel mondo Romano, ha sempre difficile definizione: scrupolo religioso e familiare, si tratta del vincolo che fonda il legame del singolo con gli dei, con i propri antenati e con la propria famiglia, su valori morali di servizio, rispetto ed osservanza delle consuetudini.

L'esempio più eclatante si ha già da quello che è plausibilmente ritenuto il primo verso dell'opera, in cui l'omerico, e greco, Musa, viene sostituito dall'italico Camena, nome di una particolare tipologia di ninfe che fu poi presto associato alla poesia, sulla base di paretimologie che lo ricollegavano al verbo cano.

Cfr. Hor. Epist. II, 1, 69 sgg.: Orazio ricorda la propria fanciullezza a scuola, quando ancora il severo maestro Orbilio, a suon di vergate, lo costringeva ad imparare a memoria versi e brani interi dell'Odusìa liviana.

Nevio, in un frammento, si vanta proprio di parlare libera lingua e di considerare questa stessa libertà più preziosa del denaro.

Vi si possono persino trovare ablativi in -d (Troiad) o genitivi in -as (terras).






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