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Cesare - Vita ed Opere

latino



Cesare - Vita ed Opere

La vita
Caio Giulio Cesare (Caius Iulius Caesar) nacque a Roma nel luglio del 100 a.C. dalla nobilissima gens Giulia, che si diceva discendente di Enea. Nipote di Mario, il grande vincitore dei Cimbri e dei Teutoni, che aveva sposato sua zia Giulia, Cesare, da parte sua, sposò giovanissimo Cornelia. Dopo aver ricevuto un'accurata educazione letteraria a Roma alla scuola del retore Antonio Gnifone e a Rodi presso Apollonio Molone, prestò il servizio di leva in Asia e, tornato a Roma dopo la morte di Silla, ormai schierato nelle file del partito democratico, iniziò l'attività di oratore e nel 68 ottenne la carica di questore in Spagna. Ne 727j91h l 60 a.C. dall'intesa con Crasso e Pompeo, allora gli uomini più influenti sulla scena politica romana, costituì il primo triumvirato, un accordo segreto di carattere privato, che garantiva ai tre contraenti aiuto reciproco contro il senato per ottenere consistenti vantaggi politici. Cesare fu eletto console nel 59, poi proconsole in Gallia per un quinquennio: furono gli anni della gran parte delle campagne espansionistiche narrate nel De bello gallico. Nel 56 a.C. ricostituì a Lucca l'ormai vacillante triumvirato con Pompeo e Crasso. In questa occasione dimostrò un eccezionale talento diplomatico, riuscì a rilanciare su nuove basi quella logora alleanza politica. Infatti Pompeo e Crasso si sarebbero presentati insieme per il consolato successivo, inoltre Crasso avrebbe ottenuto il governo della Siria, mentre Pompeo quello delle province iberiche. Nel 53 a.C. Crasso muore nel tentativo di assoggettare il regno dei Parti. Così il triumvirato si infrange e nasce l'antagonismo tra Cesare e Pompeo, che culminerà nello scontro armato tra i due, di cui sono testimonianza i commentari De bello civili. Cesare sconfigge definitivamente Pompeo a Farsalo, ma deve condurre una difficile battaglia contro Tolomeo XIV, re d'Egitto, poi contro i resti dell'esercito pompeiano in Africo, sconfiggendoli prima a Tapso e poi in Spagna presso Munda. Cesare divenuto padrone assoluto della situazione, si fece eleggere console per quattro volte consecutive, contemporaneamente si fece nominare per cinque volte dittatore, inoltre ricopriva il pontificato massimo. Cesare, assunto il titolo di Imperator, nel corso del suo grandioso piano di riorganizzazione dello Stato romano, fu ucciso alle idi di marzo dell'anno 44 a.C. da una congiura conservatrice capeggiata da Bruto.
Le opere
Le opere di Cesare che si sono conservate sono: i Commentari del De Bello Gallico divisi in sette libri più un ottavo composto probabilmente dal suo luogotenente Irzio; Commentari De Bello Civili divisi in tre libri; un epigramma in versi su Terenzio. Tra le opere perdute ricordiamo: De Analogia, un trattato sulla lingua e sullo stile che sosteneva con grande rigidità i principi analogici di Gnifone in campo linguistico, diverse orazioni, fra cui le Laudationes e tre Ad Milites, dei componimenti giovanili, un poema sulla spedizione in Spagna e l'Anticato, diviso in due libri, che fu scritto da Cesare per replicare al Cato di Cicerone, una laudatio comparsa al fine di presentare il suicidio di Catone ad Utica come il rifiuto dell'uomo giusto per eccellenza di vivere sotto la tirannide di Cesare. Cesare si sforzò a smantellare dalle fondamenta la costruzione ciceroniana attraverso la denigrazione morale dell'Uticense. Tuttavia il suo tentativo fallì. Della corrispondenza di Cesare esistevano le raccolte Ad Senatum, Ad amiliarem e Ad Ciceronem.






Alcune versioni dal de bello gallico..


Libro1 paragrafo 7

Caesari cum id nuntiatum esset eos per provinciam nostram iter facere conari, maturat ab urbe proficisci et quam maximis potest itineribus in Galliam ulteriorem contendit et ad Genavam pervenit. Provinciae toti quam maximum potest militum numerum imperat - erat omnino in Gallia ulteriore legio una -; pontem qui erat ad Genavam iubet rescindi. Ubi de eius adventu Helvetii certiores facti sunt, legatos ad eum mittunt nobilissimos civitatis, cuius legationis Nammeius et Verucloetius principem locum obtinebant, qui dicerent sibi esse in animo sine ullo maleficio iter per provinciam facere, propterea quod aliud iter haberent nullum; rogare ut eius voluntate id sibi facere liceat. Caesar, quod memoria tenebat L. Cassium consulem occisum exercitumque eius ab Helvetiis pulsum et sub iugum missum, concedendum non putabat; neque homines inimico animo, data facultate per provinciam itineris faciundi, temperaturos ab iniuria et maleficio existimabat. Tamen, ut spatium intercedere posset, dum milites quos imperaverat convenirent, legatis respondit diem se ad deliberandum sumpturum; si quid vellent, ad Id. Apr. reverterentur.

Traduzione:

Essendo stato annunciato questo a Cesare, che essi tentavano di fare una marcia attraverso la nostra provincia, si affretta a partire dalla città (di Roma) ed a marce quanto più possibili, forzate, si dirige verso la Gallia transalpina e giunge a Ginevra. A tutta la provincia ordina il maggior numero possibile di soldati - nella Gallia transalpina c'era in tutto una sola legione -; comanda che il ponte che c'era presso Ginevra fosse tagliato. Quando gli Elvezi furono informati del suo arrivo, gli mandano come ambasciatori i più nobili della nazione, Nammeio e Veruclezio tenevano il ruolo principale di quella ambasceria, perché dicessero che loro avevano in animo di fare una marcia attraverso la provincia senza nessun danno, per il fatto che non avevano nessuna altra strada; chiedevano che col suo permesso fosse lecito fare questo. Cesare, poiché ricordava che il console L. Cassio era stato ucciso ed il suo esercito sconfitto dagli Elvezi e mandato sotto il giogo, non riteneva si dovesse concedere; neppure giudicava che uomini di animo ostile, concesso il permesso di fare una marcia attraverso la provincia, si sarebbero astenuti dall'oltraggio e dal danno. Tuttavia, perché potesse frapporsi un intervallo, fin che i soldati che aveva ordinato si riunissero, rispose agli ambasciatori che avrebbe preso il tempo per decidere; se volessero qualcosa, ritornassero il 13 aprile.


Libro2 paragrafo16

Cum per eorum fines triduo iter fecisset, inveniebat ex captivis Sabim flumen a castris suis non amplius milibus passuum x abesse; trans id flumen omnes Nervios consedisse adventumque ibi Romanorum exspectare una cum Atrebatibus et Viromanduis, finitimis suis - nam his utrisque persuaserant, uti eandem belli fortunam experirentur-; exspectari etiam ab iis Atuatucorum copias atque esse in itinere; mulieres quique per aetatem ad pugnam inutiles viderentur, in eum locum coniecisse, quo propter paludes exercitui aditus non esset.



Traduzione:

Cesare avendo fatto una marcia per tre giorni attraverso i loro territori, scopriva dai prigionieri che il fiume Sambre distava dai suoi accampamenti non più di 10 mila passi; che tutti i Nervi si erano insediati al di là di quel fiume e lì aspettavano l'arrivo dei Romani insieme con gli Atrebati ed i Viromandui, loro confinanti - infatti avevano persuaso entrambi questi a tentare la stessa sorte della guerra -; da parte loro si attendevano anche le truppe degli Atuatuci e che erano in marcia; le donne e quelli che sembravano inutili per la battaglia, li avevano riuniti in quel luogo, a cui non vi fosse un accesso per l'esercito a causa delle paludi.


Libro3 paragrafo4

Brevi spatio interiecto, vix ut rebus quas constituissent conlocandis atque administrandis tempus daretur, hostes ex omnibus partibus signo dato decurrere, lapides gaesaque in vallum conicere. Nostri primo integris viribus fortiter repugnare neque ullum frustra telum ex loco superiore mittere, ut quaeque pars castrorum nudata defensoribus premi videbatur, eo occurrere et auxilium ferre, sed hoc superari quod diuturnitate pugnae hostes defessi proelio excedebant, alii integris viribus succedebant; quarum rerum a nostris propter paucitatem fieri nihil poterat, ac non modo defesso ex pugna excedendi, sed ne saucio quidem eius loci ubi constiterat relinquendi ac sui recipiendi facultas dabatur.

Traduzione:

Passato breve intervallo tanto che a stento si dava il tempo per sistemare le cose che erano state decise ed organizzarle, i nemici da tutte le parti, dato il segnale, correvano giù, scagliavano contro la trincea pietre ed armi. I nostri dapprima con forze fresche resistevano aspramente e dalla postazione superiore non scagliano invano nessuna arma, come una qualsiasi parte degli accampamenti priva di difensori sembri sguarnita, corrono là e portano aiuto, ma erano vinti da questo che i nemici stanchi dal prolungamento della battaglia uscivano dallo scontro, altri con forze fresche li sostituivano; di quelle cose nulla si poteva fare da parte dei nostri soldati per la scarsezza, e non solo per uno stanco di ritirarsi dalla mischia, ma neppure ad un ferito era data la possibilità di abbandonare quel luogo dove si era messo e di ritirarsi.






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