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L'orazione "Contro Eratostene"
Narrazione dei fatti (XII, 5-20)
Quando i Trenta, essendo malvagi ed abbietti, salirono al potere, proclamando che bisognava rendere la
città pura dai malvagi e volgere i rimanenti cittadini alla virtù ed alla giustizia, pur dicendo ciò, non
ebbero il coraggio per fare queste cose, come io, parlando per prima cosa dei miei e dei vostri mali,
tenterò di farvi ricordare. Infatti, Teonide e Pisone dicevano, in una seduta dei Trenta sui meteci, che ce
n'erano alcuni ostili alla Costituzione; dunque (dicevano) che sembrava essere un bellissimo pretesto per
punirli, in verità per impadronirsi di ricchezze: infatti, (dicevano) che la città s'era impoverita del tutto,
ed il governo aveva bis 717i86h ogno di ricchezze. E senza difficoltà persuadevano gli ascoltatori; infatti,
giudicavano cosa da nulla uccidere qualcuno, mentre reputavano molto importante estorcere denaro.
Perciò, parve loro opportuno arrestare dieci meteci, fra cui due poveri per avere di fronte agli altri una
giustificazione, come se ciò fosse stato fatto non per denaro, ma come se ciò fosse giovevole allo stato.
Come se i Trenta avessero fatto qualcosa d'altro con buona ragione (per il bene dello Stato).
Distribuite le case, procedevano: presero anche me, mentre avevo a tavola degli ospiti, che furono
condotti fuori e mi portarono da Pisone. Gli altri, dirigendo verso il laboratorio gli schiavi, ne facevano
l'inventario. Io interrogavo Pisone se volesse salvarmi, qualora gli avessi lasciato delle ricchezze
(lasciandogli del denaro); quello accettò, se fossero state molte; dunque, dicevo che gli avrei dato un
talento d'argento effettivo; confermò che avrebbe fatto ciò. E' vero, sapevo che non credeva né agli dei
né agli uomini, tuttavia, mi sembrava che la cosa più necessaria fra quelle (che erano) presenti, fosse
ottenere una sua promessa; poiché, prendendo il talento, giurò di salvarmi, invocando l'estrema rovina per
sé e per i suoi figli, entrando nella stanza, apro il forziere. Pisone, essendosene accorto, entra e, vedendo
il contenuto, chiama due schiavi ed ordina di prendere le ricchezze nel forziere; poiché, o giudici, non
aveva (2 interpretazioni: sogg. può essere o Pisone o la cassaforte) quello che era stato pattuito, ma tre
talenti d'argento, quattro talenti di Cizico, cento darici e quattro urne d'Argira (d'argento), chiesi a lui di
darmi il necessario per il viaggio; lui mi disse che dovevo essere contento, se avessi salvato la pelle.
Usciti, Melobio ed anche Mnesotide s'imbattono in me e Pisone, usciti dalla fabbrica, e ci trascinano
verso di loro verso di loro sull'ingresso, e ci interrogano su dove andassimo. Pisone disse verso la casa di
mio fratello, affinché prendesse in considerazione anche le ricchezze in quella casa. Quello dunque
ordinava di andarci, e che io andassi insieme a loro verso la casa di Damnippo. Pisone, avvicinandosi, aveva
ordinato a me di tacere e di non temere, assicurandomi che sarebbe venuto là. Sono trascinato in quel
luogo, osservando fra gli altri Teognide. Consegnati a lui, al contrario, mi facevano andare. Trovandomi in
un tal frangente, mi sembrava opportuno di rischiare il tutto per tutto, già come considerando che la
morte era evidente.
Chiamando Damnippo, gli dico ciò: "Per caso mi sei utile, vado verso casa tua, non ho alcun torto, muoio
per colpa delle ricchezze. Dunque, tu, a me che soffro queste cose, metti a disposizione la tua forza
benevola per la mia salvezza". Quello promise di fare ciò. Gli sembrava che fosse meglio farne parola a
Teonide, credeva infatti che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, se qualcuno gli avesse dato dell'argento.
Poiché quello parlava con Teonide (infatti, ero per caso esperto della casa e già sapevo che aveva due
uscite) mi sembrò opportuno cercare di salvarmi in questo modo, considerando che, se fossi sfuggito, mi
sarei messo in salvo, se fossi stato catturato, pensavo che, se Teonide fosse stato (tanto) ardito da
prendere le ricchezze da Damnippo, non avrebbe cercato nulla meno, altrimenti sarei morto ugualmente.
Pensando ciò, fuggivo, poiché quelli avevano fatto la guardia alla porta principale. Essendoci tre porte,
che dovevo attraversare, per caso le trovai tutte aperte. Giungendo alla casa dell'armatore Archeneo, lo
mando ad Atene per informarsi su mio fratello; tornando, diceva che Eratostene, prendendolo in strada, lo
aveva condotto in prigione; ed io, avendo appreso ciò, la notte seguente passai navigando a Megara.
I Trenta annunciarono a Polemarco l'ordine, per loro consueto, di bere la cicuta, prima di leggere
l'imputazione qualunque a causa della quale stavano per ammazzarlo: tanto fu lontano dall'essere
processato e dal difendersi.
E, quando fu portato via morto dal carcere, anche se avevamo tre case, impedirono che si facesse il
trasporto funebre da una, ma, affittato un tugurio, vi esposero il cadavere; e, anche se avevamo molte
vesti, non diedero nulla a chi le chiedeva per la sepoltura, ma uno degli amici diede la veste, un altro il
cuscino, gli altri qualsiasi cosa a ciascuno capitò di offrire. E, pur avendo 700 nostri scudi, e, pur
avendone fra questi d'oro e d'argento, e bronzo, e gioielli, e mobili, e vesti femminili quante non mai
credevano di trovarne, e 120 schiavi, di cui presero i migliori, i restanti li diedero all'erario, giunsero a
tanta avidità e cupidigia e diedero prova dei loro modi; infatti, Melobio strappò dalle orecchie anche gli
orecchini d'oro della moglie di Polemarco, che lei indossava per caso, quando per la prima volta entrò (da
sposa) nella casa. E nulla, neppure la più piccola parte dei beni, ottenemmo che fosse conservata per
pietà, ma infierirono su di noi in questo modo a causa delle ricchezze, come avrebbero infierito altri che
avessero odio (verso di noi) per grandi ingiustizie.
(Contro Eratostene, XII, 5-20)
Voglio scendere (dalla pedana), dopo aver richiamato alla memoria poche cose a entrambe le fazioni, quelli
della città alta e quelli del Pireo, affinché, tenendo presente come modello le disgrazie capitatevi per
colpa di questi, emettiate un verdetto. E, per prima cosa, voi che siete oligarchici, considerate che a causa
di questi subiste una tirannia così ferrea che foste costretti a combattere una guerra (così) assurda
contro fratelli, figli e cittadini, nella quale, vinti avete gli stessi vantaggi dei vincitori, pur vincitori
sareste stati schiavi di questi (i Trenta). E questi, approfittando della contingenza, si sarebbero
impadroniti di grandi beni di fortuna privati, mentre voi, a causa della guerra civile, li avete inferiori;
infatti, non vi credevano degni di godere con loro dei vantaggi, vi costringevano a subire assieme a loro il
discredito, diffondendo a tal punto il disprezzo verso di voi che, pur non essendo generosi con gli uomini,
pretendevano la vostra fedeltà, ma credendo che voi foste lo stesso benevoli, mentre loro vi coinvolgevano
nei rimproveri. Ora, voi che siete al sicuro, vendicatevi di queste cose più che potete, (ma alcuni critici
mettono: vendicatevi di costoro) per voi stessi e per quelli del Pireo, tenendo presente che subiste una
tirannia da questi che sono i più vili, tenendo presente che ora con gli uomini migliori governate,
combattete per i cittadini e prendete decisioni sulla città, e ricordandovi degli ausiliari, che questi
posero a guardia, sull'acropoli, del loro potere e della schiavitù di ciascuno di voi.
E dico tutte queste cose a voi, anche se ci sarebbero ancora molte cose da dire. Quanto a voi che siete
democratici, per prima cosa ricordatevi delle armi, cioè che, pur avendo combattuto molte guerre in paesi
stranieri, foste disarmati di queste non dai nemici, ma dai Trenta in tempo di pace; ricordatevi poi, che
foste banditi dalla città che gli avi vi diedero, mentre voi fuggivate alle città che desideravate. Di questo
trattamento (oppure: contro i Trenta) adiratevi come quando eravate in esilio, ricordatevi degli altri mali
che avete sofferto da questi che, afferrandoli a forza, uccisero alcuni (prendendoli) dall'agorà e alcuni
dal tempio e, strappandoli, costrinsero alcuni con figli, prole o moglie ad uccidersi, e non permisero che
ottenessero esequie tradizionali, convinti che il loro potere fosse più forte della vendetta divina.
Quanti (tra voi) fuggirono la morte, ovunque in pericolo ed errando per molte città e banditi da ogni
luogo, pur essendo mancanti delle cose adatte (privi di tutto), alcuni dopo aver abbandonato i figli in una
patria divenuta nemica, altri in terra straniera, dopo molte traversie tornaste nel Pireo. Sebbene
l'impresa fosse molto rischiosa (molto e grande), mostrando il vostro valore, avete liberato gli uni e
ricondotto in patria gli altri. Se, invece, non aveste avuto successo e se aveste fallito in questa impresa,
avreste dovuto essere esiliati per non soffrire quelle stesse cose di prima, e, vittime della loro malvagità
(lett.: sottoposti a violenza per colpa del loro malcostume), non vi sarebbero stati d'aiuto né i templi né
gli altari, che sono mezzo di salvezza anche per i più malvagi; i vostri figli, quanti fossero rimasti in
Atene, a causa di queste cose avrebbero dovuto subire violenze, mentre quelli in terra straniera
sarebbero finiti schiavi per debiti irrisori per la mancanza di coloro che li aiutassero.
Ma ora non voglio raccontare quello che sarebbe potuto accadere, non potendo narrare le azioni di
questi: (questa) infatti, sarebbe impresa non per un accusatore, né per due, ma per molti. Nondimeno,
nulla di mia volontà è stato tralasciato sui templi, che questi in parte vendettero, in parte, essendo
presenti (con la loro presenza), profanarono, sulla città, che resero meschina, sugli arsenali, che hanno
distrutto, e sui defunti, per i quali voi, poiché non avete potuto difenderli da vivi, date, ora che sono
morti, il vostro sostegno. Credo che essi (i morti) ci ascoltino e vi riconosceranno quando darete il voto,
pensando che quanti di voi assolveranno questi (i tiranni), avranno condannato a morte loro, quanti
esigeranno giustizia, avranno fatto la loro vendetta.
Termino qui la mia accusa. Avete ascoltato, avete visto, avete sofferto, lo avete in vostro potere (il
colpevole): giudicate.
(Contro Eratostene, XII, 92-100)
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