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La scomparsa di un olivo sacro
autore: Lisia (Per l'olivo sacro 4-8)
Questo terreno apparteneva a Pisandro e poi, confiscati i beni di costui, Apollodoro di Megara lo ricevette come dono dal popolo e lo lavorò per il tempo successivo; poco prima dei trenta Anticle, comperatolo da lui, lo diede a mercede; io poi lo comperai da Anticle in tempo di pace. Penso pertanto sia mio dovere, o giudici, mostrare che da quando io acquistai quel podere non vi era in esso né un olivo né un recinto sacro. Ritengo infatti che per il tempo antecedente, anche se in esso ve n'erano infiniti, non dovrei esser giustamente punito, giacché se essi non sono spariti per colpa nostra, non conviene punto che corriamo pericolo d'una condanna per le malefatte altrui, come se fossimo noi i colpevoli. Infatti voi tutti sapete che la guerra fu causa di molti altri mali e fra l'altro che i poderi lontani vennero devastati dagli Spartani, i vicini furono saccheggiati dai nostri amici; cosicché in quel modo ora io dovrei giustamente pagare il fio per le sventure toccate allora alla città? Tanto più che questo podere, confiscato durante la guerra, rimase inveduto per più di tre anni. Non fa dunque meraviglia se allora si tagliavano gli olivi, in un tempo in cui non riuscivamo a difendere nemmeno le cose nostre. E voi sapete, o giudici, specialmente quelli tra voi che si curano di tali cose, che in quel periodo molti poderi eran folti di olivi privati e pubblici e che ora la maggior parte di essi è stata abbattuta e la terra è rimasta spoglia: e benché sempre gli stessi fossero i proprietari dei fondi sia in tempo di pace sia durante la guerra, voi non ritenete degno di punirli, perché altri furono coloro che le piante abbatterono.
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