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I principali materiali scrittori in uso presso gli antichi

greco



I principali materiali scrittori in uso presso gli antichi

La carta nell'antichità non era di certo un materiale di uso comune. Essa, già nota ai cinesi dal II sec. d.C., che la ricavavano da  una pasta di stracci, fu poi importata in occidente dagli 848b15i Arabi, al tempo della conquista della Spagna. Qui i Greci e i Romani utilizzavano diversi materiali scrittori a seconda delle necessità: per gli scritti che si intendeva conservare si utilizzavano materiali resistenti come il marmo, la pietra, il bronzo, mentre per gli scritti di carattere personale si potevano usare foglie di alberi o bucce di frutti.

Dopo la conquista dell'Egitto da parte di Alessandro si diffuse in Europa anche l'uso del papiro che si otteneva da una pianta che cresceva vicino ai fiumi ,da cui si estraevano i filamenti interni che, disposti verticalmente e orizzontalmente e lasciati essiccare al sole, si trasformavano in lunghissimi fogli (10 metri circa) che venivano arrotolati intorno ad un bastoncino rigido (omjaloV). La scrittura era disposta a colonne e del papiro veniva utilizzata solitamente solo la parte liscia (recto) ma poi, quando si cominciò a tagliare i lunghi fogli in fascicoli, nessuna parte restò inutilizzata e la scrittura occupò sia il recto che il verso (la parte posteriore). Per scrivere si usava il kalamoV, una penna di canna appuntita imbevuta di inchiostro e per cancellare si richiedeva l'uso di una spugna bagnata, la scrittura era continua e mancano segni diacritici (spiriti e accenti)  e di punteggiatura. Molto usate erano le abbreviazioni , soprattutto nei papiri documentari, mentre i papiri letterari con testi poetici vengono distinti dagli altri dato che alla fine di ogni verso si andava a capo. La maggior parte dei papiri è stata ritrovata in Egitto, dove, grazie alla secchezza del clima, si sono potute conservare meglio le suppellettili abbandonate dall'uomo al momento della fuga dinanzi all'invasione del deserto. Quindi essi si possono trovare o tra le rovine di edifici , o negli immondezzai pubblici o anche nelle tombe.



Oltre ai papiri egiziani, molto importanti sono i papiri della città di Duro, nel cuore dell'Asia Occidentale, purtroppo in gran parte inediti, di cui un gruppo notevole è costituito dai papiri latini. Anche nella città di Ercolano, distrutta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 a.C., sono rinvenuti papiri conservati grazie alla quasi completa carbonizzazione e che, mediante procedimenti chimici, sono stati srotolati e interpretati in piccolo numero rispetto ai 2000 ritrovati.

Il continuo studio dei papiri ha dato vita ad una vera e propria scienza , la papirologia, a cui spetta il compito di descrivere, illustrare, interpretare e raccogliere il materiale papiraceo. Essa non si interessa solo di papiri letterari, ma anche di carattere economico, amministrativo e politico. La conservazione delle opere è stata soggetta, inoltre, a continue selezioni che dipendevano soprattutto da tendenze, gusti e pregiudizi dell'epoca ma, per fortuna, ci sono rinvenuti testi letterari di età in cui non esistevano arbitrarie predisposizioni e attraverso questi vengono confermate delle predisposizioni letterarie di vari secoli, per esempio, che Omero fosse l'autore più letto e Platone il filosofo più studiato.

Nel II sec. a.C. ci fu la nascita di un nuovo materiale scrittorio, la pergamena, ottenuta dalla lavorazione di pelle di pecora; i fogli, tagliati e riuniti, erano racchiusi da un involucro di legno che dava al libro un aspetto molto simile a quello attuale.

Questi libri venivano chiamati "codici" proprio da queste speciali copertine in legno (codex = legno) ed erano per lo più raccolte di costituzioni e di leggi. Nei codici la scrittura era distribuita in due colonne ed era continua, senza interruzioni e mancavano, come nei papiri, i segni di interpunzione, inoltre c'era l'uso di grattare la scrittura sulla quale era sovrapposta un'altra (palimpsesto).

Oltre a questi due principali materiali scrittori, la pergamena e il papiro, furono utilizzati anche gli ostraka, cocci di anfore e vasi, dove si scrivevano ricevute o anche testi letterari e tavolette di legno, adibite a contratti, dichiarazioni o denunce di nascita.

La trasmissione dei testi e loro ricostruzione in edizioni critiche



Dei classici greci e latini non possediamo mai il testo originale, quello scritto direttamente dall'autore, ma solo copie di dubbia fedeltà. Infatti è compito della critica testuale ricostruire il manoscritto come l'originale perduto e, per far questo si serve della "tradizione", il processo attraverso il quale ci sono giunti i vari frammenti. Essa si distingue in "tradizione diretta", data dai codici manoscritti ,e "tradizione indiretta", sotto forma di citazioni che gli scrittori a volte riportavano nelle proprie opere. Se il numero delle fonti è unico la ricostruzione è più difficile, soprattutto se è sformato da lacune o errori o se è mutilo. Invece, se ci sono più elementi e testi su cui basarsi, si procede con la "recensio", cioè la scelta delle fonti più valide e sicure.

Si comincia prima di tutto dall'eliminatio codicum descriptorum che consiste nel confronto con altri manoscritti e l'eliminazione di uno se risultassero dipendenti l'uno dall'altro, quando per esempio si ha la coincidenza degli errori con in più almeno un errore proprio oppure quando l'originale risulta danneggiato e la copia in quel punto preciso omette parole.

Quindi si procede determinando le relazioni tra i vari manoscritti in base agli errori (e non in base all'età dato che i manoscritti recenti non sono sempre peggiori degli antichi).

Le relazioni fra i codici non sono sempre semplici e chiare, infatti ogni amanuense che trascriveva le opere, se era istruito e ne capiva il senso, era portato ad abbellirle; quindi i codici così alterati si dicono "interpolati", ma non per questo motivo si devono escludere dalla ricostruzione del testo. I criteri che determinano le scelte dell'editore sono quelli della lectio difficilior (la forma più difficile per il copista o l'editore) e l'usus scribendi dello scrittore. Fra le due la prima è di regola da preferirsi perchè più genuina. Quando le lezioni tramandate appaiono certamente errate si ricorre alla "emendatio" che consiste nel correggere per congettura l'errore della tradizione, essa però si basa solo su metodi di intuizione e riesce solo in casi eccezionali.

Le edizioni critiche di classici antichi presentano sempre una prefazione, in cui è descritta la tradizione, i rapporti fra i vari manoscritti e la storia del testo, si aggiunge, inoltre, a piè di pagina, l'apparato critico che si dice positivo se registra la lezione seguita dal testo, mentre è negativo se invece documenta le lezioni non seguite. Le righe sono numerate solitamente a intervalli di cinque e nel testo si fa uso di segni convenzionali: la parentesi quadra ( [ ] ) che designa l'eliminazione di lettere o parole, la parentesi uncinata (< >) indica l'integrazione, La croce ( ) e l'asterisco (*) che indicano rispettivamente un luogo insanabile e una lacuna.

Nonostante il continuo perfezionamento dell'edizione critica, non si è ancora raggiunto il testo in forma genuina, infatti rimangono sempre limitazioni dettate da forze maggiori, per esempio le edizioni moderne hanno rinunciato a produrre la grafia originale, adottando invece le caratteristiche proprie della scrittura in uso ai nostri tempi.

Per chiarire il concetto di tradizione, un maestro tedesco, P. Maas, l'ha paragonata ad un corso d'acqua che scorre sotto la vetta di un monte, esso si divide in veri rami che, scorrendo, accolgono di continuo sostanze che inquinano e spetta solo all'analisi chimica stabilire le impurità ed eliminarle, così anche alla critica testuale spetta il compito di riconoscere ed eliminare le impronte che ogni civiltà ha lasciato su ogni tradizione.






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