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CALLINO E TIRTEO - Esortazione al valore

greco



CALLINO E TIRTEO


La concezione della morte in Callino e Tirteo viaggia di pari passo con la concezione della patria;

Callino, nato ad Efeso, vide la sua mentalità influenzata dal tempo in cui visse: tempo delle invasioni dei Cimmeri e dei Treri, ch 444b14e e dalla Tracia, sotto l'incalzare degli Sciti, passarono in Asia e poi sulle coste ioniche; pare appunto che influenzato da questo particolare periodo compose elegie di ispirazioni patriottiche-guerresche, con appello ai giovani, impigriti dall'abrosunè, a prendere coscienza della grave situazione attuale e a combattere con coraggio contro i nemici. La sua visione della morte eroica e per la patria appare visibilmente nel suo primo frammento:


Esortazione al valore

E fino a quando starete a giacer, quando avrete il cuor forte,



giovani?non vi prende vergogna dei vicini

a rimaner così inetti?vivete ora come se fosse

la pace, ma la guerra tiene tutto il paese.

e ciascuno morendo scagli l'ultimo dardo.

E' veramente onorevole e bello ad un uomo lottare

per la patria, pei figli e la fedele sposa

contro i nemici. La morte verrà quando gli abbian le Moire

filato la sua fine. Ma presto ognuno or corra,

l'asta brandendo e di sotto allo scudo il magnanimo cuore

raccogliendo, sul primo ardere della mischia.

Poi ch'è destino per l'uomo, mortale, di non fuggire

la morte, anche se nacque da progenie immortale.

Spesso taluno, fuggendo la guerra e il fragore delle armi,

se no torna, ed in casa lo raggiunge la morte.

Ma non gradevole egli è né caro alla gente; per l'altro,

se gli accade qualcosa, piange il piccolo e il grande;

poi che nel popolo tutto rimane il rimpianto del prode,

morte, e se resta vivo, è pari a un semidio:

tutti dinanzi ai lor occhi lo vedono come una torre,

poi che gesta di molti eroi operò da solo.

(trad.Presta)


Questo frammento mostra chiaramente un'ispirazione patriottico-guerresca e un tono parenetico-gnomico. Di fronte alla sospesa fatalità della morte, il giovine può e deve illustrare la propria vita fino a divinizzarla, la propria morte fino a cingerla di un'aureola di gloria e d'universale compianto, ergendosi armato contro il nemico, dall'attacco della battaglia allo stremo delle forze, ardente il cuore di un coraggio suscitato dalla necessità (la guerra dilaga), dal pudor, dall'impegno di difendere ogni cosa più chiaramente diletta. L'eroe spicca dal coro del popolo e delle truppe, volge sotto lo scudo un cuore gagliardo, e nell'azione riscatta la sua mortalità.


Tirteo anche vede la propria concezione della morte influenzata dalle proprie vicende biografiche legate alla seconda guerra messenica, quando Sparta rischiò addirittura la sua esistenza e Tirteo con i suoi canti paiedeutici e d'assalto fu l'uomo che aiutò la polis a superare il terribile momento e a scongiurare il pericolo della sconfitta. In Tirteo traspare chiaramente un richiamo all'aretè non più individuale ma collettiva, vista come contributo comunitario nel momento di pericolo per la polis: non l'eccellenza sportiva, né la bellezza o la ricchezza costituiscono l'aretè, ma il valore in battaglia, il sacrificio della propria vita in difesa di una causa comune. Bella è la morte, per Tirteo, quando un uomo la incontri da eroe;e da eroe l'incontra morendo per la patria; solo questo pensiero conferisce alla sua fine il significato ideale di sacrificio per un bene superiore. Il tema della morte dell'eroe in guerra è ripreso nei suoi frammenti 6 e 7 delle Esortazioni:

Giacere morto è bello


Giacere morto è bello, quando un prode lotta

per la sua patria e cade in prima fila.

Abbandonare la città, le sue campagne

opime, e mendicare, vagolando

con la madre diletta, il padre vecchio, i bimbi,

la cara sposa, è la cosa più turpe.

Dove giunga sarà come un nemico l'esule

vittima del bisogno e dell'odiosa

miseria. E insozza la sua stirpe, guasta la figura,

ogni infamia lo segue, ogni viltà.

Se per chi va cosi ramingo non v'è cura,

non v'è rispetto o riguardo o pietà,

combattiamo animosi per la patria, e per i figli

moriamo. E non si lesini la vita.

Via, combattete gli uni accanto agli altri, giovani,

non date abbrivo a fughe turpi, al panico,

fatevi grande e vigoroso l'animo ne petto,

bandite il gretto amore della vita,

chè la lotta è con uomini: non lasciate, fuggendo,

chi non ha più l'agilità: gli anziani.

E' uno sconcio che un vecchio cada in prima fila

e resti sul terreno innanzi ai giovani,

con quel suo capo bianco e il mento grigio, e spiri

l'animo suo gagliardo nella polvere,

con le mani coprendo le pudende insanguinate

(spettacolo indecente,abominevole)

nude le carni: nulla c'è che non s'addica ad un giovine

finchè la cara età brilla nel fiore.

Da vivo, tutti gli uomini l'ammirano, le donne

l'amano; cade in prima fila: è bello.

Resista ognuno ben piantato sulle gambe al suolo,

mordendosi le labbra con i denti.

(trad.Pontani)


Il significato generale dato a questi frammenti è logicamente: è cosa bella giacer morti nelle prime file caduti combattendo per la propria patria;

E' bello lo spettacolo dei giovani caduti; è brutto vedere il disertore in esilio; è sconveniente vedere un anziano caduto al posto dei giovani caduti.




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