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RACCONTO NARRATIVO: "Angeli"

italiano




RACCONTO NARRATIVO "Angeli


Come sempre da un po' di tempo quella mattina era cominciata male.


Alzarsi era una vera tortura e ormai cominciavo a pensare che il resto della mia vita sarebbe stato cosi', che non avrei mai più provato la felicita' di una volta, che ormai avrei superato l'apogeo della mia esistenza ed ormai la strada degradava lentamente ma inesorabilmente verso la fine dei miei giorni.

Asserragliato in mezzo al traffico, con i miei pensieri sovrastati dal turbinare chiassoso dei claxon delle auto che tentavano disperatamente di aprirsi una via d'uscita in quella muraglia d'automobili, nella mia Mercedes da 50.000 $ con la testa appoggiata al volante, non potevo fare a meno di pensare che la mia vita era uno schifo, soprattutto dopo la sera del giorno prima.

Le uniche cose che mi ri 626c26g manevano erano la mia calda e costosa auto e il mio lavoro, il mio lavoro, il cancro che pian piano divorava la mia vita e la mia mente e che, ne ero sicuro, mi avrebbe portato alla tomba.



Ma io amavo il mio lavoro, e quel mio freddo ufficio in vetro e acciaio da cui potevo vedere tutta Manhattan. Lo diceva sempre anche lei che amavo più il mio impiego che la mia famiglia e mi accusava nottetempo di voler porre fine al nostro matrimonio. E alla fine come per voler dar ragione alle sue insinuazioni profetiche, se n'era andata.

Il labirinto di corridoi che portava al mio ufficio era grigio e freddamente illuminato e sotto quella squallida luce i soliti impiegatucci si indaffaravano per aggraziarsi il loro capo, ossia il sottoscritto. Una si volto'verso di me e mi poso' sopra il suo sguardo adorante.   Non passo' molto che squillo' nell'aria un saluto ossequioso "Buon giorno signore".

E una tonnellata di altre espressioni di circostanza mi raggiunsero da ogni dove "Dormito bene stanotte? La vedo in forma, stamattina! Ha fatto un ottimo lavoro con quelle azioni"!

Feci qualche cenno verso i miei torturatori e tirai dritto per poter finalmente giungere alla mia tana, l'unico luogo sulla terra in cui potevo trovare un po' di pace da quei leccapiedi senza spina dorsale.

Mi lasciai alle spalle la porta. Chiusa quella mi trovai come in una boccia di vetro niente rumori, niente pensieri, all'infuori del mio lavoro e di me stesso.

Distrattamente buttai la valigetta sul mio divano di vera pelle nera, circondato dall'alta società Americana quella si era vera gente non come qui pezzenti dei miei dipendenti che pensano solamente a salire di livello ma che comunque sarebbero rimasti la solita massa di ignoranti.

Seduto sulla mia poltrona vedevo Manhattan sovrastata dall'alta torre che rappresenta il volto di noi americani.

Due bei palazzi fissi nel vuoto. Ad un tratto una visione: una nuvola di fumo aveva coperto una faccia dell'America.

I vetri tremavano. Mi alzai in piedi di scatto, come se una forza soprannaturale mi avesse ordinato di farlo e mi avesse urlato: - Scappa! Ma qualcosa di ancora più forte mi trattenne davanti a quella vetrata, da cui centinaia di volte avevo guardato Manhattan con sguardo indifferente. Guardai verso l'alto: volute di fumo nero salivano dalle lisce pareti dell'altra torre.

Il mio cervello era vuoto, era come un sogno. In quell'attimo la mia segretaria irruppe nell'ufficio, sul suo volto si leggeva il terrore: "Signore! Ha visto?! Una bomba!".

Comincio' a raccontare ciò che lei e i suoi colleghi avevano visto. Ma le sue parole erano futili, era come se tutto d'un tratto si fosse messa a parlare in una lingua straniera, i miei neuroni si erano fermati. "Signore stanno cominciando l'evacuazione!"

Tornai in me: non so da quanto tempo lei aveva parlato prima che mi svegliassi, potevano essere passati minuti, ore o secoli: uscii nel corridoio, seguendo la segretaria che era fuggita verso l'ascensore. Passando davanti all'ufficio delle pubbliche relazioni vidi la televisione accesa sulla CNN: farneticava qualcosa su di un aereo e sul WTC, dove ci trovavamo: ci feci poco caso e continuai per la mia strada, in uno stato a meta' fra lo shock il coma. C'era una piccola folla davanti all'ascensore. Passavano i minuti e con essi scomparivano le persone davanti a me.

Alla fine fui trascinato dentro dalla mia segretaria.

Le porte si rinchiusero. L'indicatore sopra di esse comincio a scendere timidamente: la gente intorno a me non parlava. Guardando in faccia ognuno di essi mi parve di vedere dei fantasmi: non erano più persone, i loro occhi erano vuoti:. Qualcuno singhiozzava sommessamente in un angolo: arrivammo al 10ª piano: tutto comincio' a tremare, le luci si spensero l'ascensore si blocco':



Quel buio era caldo, una coperta che ammantava ogni mio pensiero. Intorno a me si alzavano le grida di terrore dei miei compagni. Ma anche se erano solo a pochi passi era come se fossero distanti chilometri. Quel buio era come se si stringesse attorno a noi, attorno a me e un senso di impotenza cresceva nel mio animo. Non riuscivo neanche a ipotizzare cosa stesse succedendo, non riuscivo neanche a pensare. Mi sedetti, con il volto tra le mani: Era la prima volta in vita mia che mi trovavo in una simile situazione e stavo talmente male da non capire neanche cosa mi stesse succedendo accanto: con il passare dei minuti la mia condizione mentale miglioro', nonostante l'atmosfera nell'ascensore si stava facendo sempre più opprimente: intorno a me c'era chi piangeva, chi farneticava, persino un paio di persone svenute oltre a uno che stava inventando piani fantascientifici per tirarci fuori da li. Intanto si accesero le luci d'emergenza che illuminarono di un tetro rosso quell'ascensore maledetto e riconobbi la gente che mi stava accanto: la mia segretaria giaceva a terra, non aveva retto lo stress, seduti ai lati della stanzetta c'erano alcuni giovani impiegati del mio ufficio. Probabilmente si erano trattenuti di più di altri incuriositi da quella terribile scena e forse ciò sarebbe costato loro la vita. Guardai l'orologio: erano minuti che eravamo bloccati in quell'ascensore. Appoggiai la testa alla parete.

Stavo per chiudere gli occhi quando una lama di luce percorse, l'ascensore: stavano aprendo la porta! Mi alzai di scatto e attraverso la fessura che si apriva sempre di più vidi i miei salvatori, un gruppo di pompieri, angeli vestiti di nero che stavano rischiando la vita per noi. Tutti rimanemmo abbagliati da quella luce tanto intensa. Ci portavano fuori aiutandoci uno alla volta e quando uno si avvicino' per trascinarmi fuori gli chiesi: "Cosa e' successo?": La sua risposta fu breve ed eloquente: "Attentato".

Finalmente arrivai all'esterno: guardai verso l'alto e vidi che ora entrambi i grattacieli espellevano nere torri di fumo. Il mio angelo mi porto' davanti ad una autoambulanza e corse subito dentro quell'inferno, senza paura apparente: mi trasportarono all'interno del mezzo medico e dissero che mi avrebbero trasportato ad un ospedale per maggiori accertamenti. Mentre ci allontanavamo riuscii a vedere un'ultima volte la torre che proprio in quel mentre crollo': l'inferno si era distrutto e aveva portato con se quell'eroico gruppo d'angeli. 











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