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LA VITA

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LA VITA


Manzoni nacque a Milano nel 1785 dal conte Pietro e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria che è l'autore di Dei delitti e delle pene. Il matrimonio dei genitori fu infelice e durò ben poco, si pensa che lo stesso Alessandro sia frutto della relazione extraconiugale della madre con Giovanni Verri. Dopo il divorzio, la madre di M. si trasferì a Parigi, dove convisse con Carlo Imbonati, mentre M. frequentò dapprima collegi retti da padri somaschi e barnabiti, dove ricevette un'educazione classica, poi dopo la morte di Imbonati egli raggiunse la madre a Parigi, dove si inserì negli ambienti culturali francesi. Nel 1809 sposò Enrichetta Blondel, donna di fede calvinista, la quale si convertì poco dopo al cattolicesimo. Anche il M., giansenista, che negli anni precedenti si era allontanato dalla fede sotto l'influenza delle idee illuministiche si convertì al cattolicesimo. Questa conversione avvenne, secondo la tradizione, in seguito ad un fatto particolare: durante lo scoppio dei fuochi artificiali accesi in piazza della Con 646g61g cordia il 2 aprile 1810 per celebrare le nozze di Napoleone e di Maria Luisa d'Austria, all'improvviso il M. perdette la moglie travolta  dalla folla. Spaventato entrò nella chiesa di san Rocco per pregare Dio di fargli ritrovare la moglie; uscito dalla chiesa la ritrovò subito sana e salva.

Nello stesso anno M. tornò a Milano; qui trascorse un'esistenza molto riservata, resa dolorosa dai gravi lutti familiari: la morte della prima e della seconda moglie e di alcuni figli.



Egli morì a Milano nel 1873 in seguito ad una caduta avvenuta sui gradini della chiesa di san Fedele all'uscita dalla messa.


IL PENSIERO


Anche il M., come il Foscolo e il Leopardi, ebbe una concezione dolorosa della vita. Tuttavia il suo pessimismo non è di natura filosofica, come in Foscolo e Leopardi (quando essi cercano di scoprire la causa del dolore, incolpano la natura, perché ha creato l'uomo desideroso di felicità pur sapendo che essa non sarà mai conquistata). Il pessimismo di M., invece, è di tipo morale, perché coinvolge la responsabilità individuale dell'uomo, il quale, pur comprendendo la negatività del dolore e del male, ama causarli agli altri per egoismo,nella speranza di allontanarli da sé. Le parole che Adelchi pronuncia morendo, SULLA TERRA NON RESTA CHE FAR TORTO O PATIRLO, rivelano l'essenza del pessimismo manzoniano.

M. del resto riesce a liberarsi dal pessimismo, aiutato dalla concezione cristiana della vita, secondo la quale il bene e il male coesistono nell'animo umano. Egli vede la vita come una milizia, un impegno a combattere per vincere il male che si annida in noi e il male che opprime il mondo.

Il cristianesimo manzoniano è attivo e impegna costantemente il credente: sul piano morale, nella scelta fra il bene e il male, e, sul piano politico, nella lotta per la libertà e la giustizia su questa terra.

La religiosità di M. è costituita da tre momenti:

  1. Il  primo momento è quello del CRISTIANESIMO CELEBRATIVO, durante il quale M. celebra le feste liturgiche, rilevando soprattutto il loro significato teologico (Inni sacri minori);
  2. Il secondo momento è quello del CRISTIANESIMO ELEGIACO o della GRAZIA, quando la meditazione sugli orrori della storia, porta il M. alla totale condanna di essa e alla sfiducia nella lotta per un mondo migliore (Tragedie);
  3. Il terzo momento è quello del CRISTIANESIMO AGONISTICO, o dell'OTTIMISMO, che vede la presenza del divino nell'uomo e impegna il credente a collaborare con Dio, per instaurare anche nella vita terrena il regno della libertà e della giustizia (Pentecoste, Odi civili e i Promessi sposi).



Secondo M.  la poesia e l'arte devono ispirarsi alle idee morali e religiose se vogliono continuare ad educare e ad elevare lo spirito come hanno sempre fatto in passato; inoltre, il sentimento e la fantasia devono essere sempre guidati dall'intelletto e dalla volontà, poiché abbandonati a se stessi, degenerano in sentimentalismi inconcludenti.

M. è definito romantico per:

  • La sua concezione della poesia come rappresentazione del vero, che porta al rifiuto della mitologia e delle regole della poetica classicistica;
  • La sua soluzione alla questione della lingua, che deve essere chiara, semplice, moderna e popolare;
  • Le sue idee politiche e sociali, perché egli propugna l'ideale di una patria libera e indipendente, ed eleva gli umili, dotati di grande ricchezza interiore;
  • La sua concezione della vita.

MANZONI E IL RISORGIMENTO


M. non partecipò direttamente alle lotte del Risorgimento, ma si limitò ad esortare gli italiani, con i suoi scritti, a combattere per la libertà e l'indipendenza della patria. Quando a Milano ricevette la visita di Garibaldi, gli disse che egli, convinto come Mazzini che al pensiero debba corrispondere l'azione, si sentiva inferiore all'ultimo dei garibaldini per non aver preso parte alle lotte. Ma come disse l'Alfieri "IL DIRE ALTAMENTE ALTE COSE è FARLE IN GRAN PARTE".

Il contributo più alto dato dal M. al Risorgimento fu, in ogni caso, la creazione di una nuova prosa che facilitò l'unificazione spirituale e culturale della nazione.

Nei Promessi sposi M. considera la guerra una FOLLIA FRATRICIDA; per questo padre Cristoforo rimprovera severamente Renzo tutte le volte che egli accenna a voler farsi giustizia da sé. Egli sa, per esperienza personale, che la vendetta è UN TERRIBILE GUADAGNO (cap.) e che UNA VITA PIENA DI MERITI NON BASTA A COPRIRE UNA VIOLENZA.


LA POETICA


Nella prefazione al Conte di Carmagnola M., rifiuta (come aveva già sostenuto Schlegel, un romantico tedesco) le unità aristoteliche di luogo e di tempo della tragedia; ammette solo l'unità di azione, ma la intende non nel senso di "unicità", ossia come rappresentazione di un fatto unico, me nel senso di un complesso organico di avvenimenti. Il M. evidenzia poi il carattere particolare dei cori da lui introdotti nella tragedia. A differenza dei cori del teatro greco, che erano parte integrante dell'azione, i cori manzoniani sono un cantuccio, un angolo riservato al poeta, in cui esprime il suo sentimento in un momento culminante dell'azione. In tal modo il poeta era sottratto alla tentazione di introdursi nell'azione e di prestare ai personaggi i propri sentimenti. Infine egli afferma che l'arte drammatica può educare ed elevare moralmente il popolo.


Nella lettera a Monsieur Chauvet (un classicista francese che lo aveva criticato perché non aveva rispettato le tre unità aristoteliche), M. risponde che le tre unità sono contrarie alla verità dei fatti che il poeta deve rispettare.

Per il M. storia e poesia hanno come oggetto comune il vero, ma lo trattano in modo diverso:

  • La storia indaga criticamente i fatti, studiandone le cause, lo svolgimento e gli effetti;
  • La poesia, invece, integra la storia, cercando di interpretare il verosimile psicologico e sociale, ossia come i popoli hanno vissuto gli avvenimenti della storia. Solo così lo scrittore potrà evitare il rischio del falso o del "romanzesco".

Come modello a cui rifarsi, per quanto riguarda il dramma, M. indica Shakespear.


La poetica manzoniana si precisa nella lettera Sul Romanticismo scritta al Marchese Cesare D'Azeglio, che, pur ammirando la poesia del Manzoni, aveva dichiarato di non condividere le sue teorie romantiche. Il M. risponde prendendo le difese del Romanticismo. Nella prima parte critica il Neoclassicismo, respingendone 3 punti: l'uso della mitologia, falsa e contraria alla morale religiosa; la fede in un ideale di bellezza immobile; il concetto di imitazione e di rispetto delle regole classiche.

Nella seconda parte M. formula il principio fondamentale della sua poetica: LA POESIA E LA LETTERATURA IN GENERE DEVE PROPORSI L'UTILE PER SCOPO (deve educare ed elevare spiritualmente il popolo), IL VERO PER SOGGETTO (deve trattare il vero storico), L'INTERESSANTE PER MEZZO (deve essere di interesse generale).

In seguito egli ridusse il proprio principio al solo VERO PER SOGGETTO: tutto ciò che è vero è anche utile e interessante.


LE TRAGEDIE


Del M. sono Il conte di Carmagnola, l'Adelchi e Spartaco (rimasto incompiuto). Queste tragedie rappresentano il primo esempio, in Italia, di teatro romantico.


IL CONTE DI CARMAGNOLA


Narra le vicende di Francesco Bussone, conte di Carmagnola, un capitano che era stato dapprima al servizio del duca di Milano, di cui aveva sposato la figlia, e che poi passa al servizio della Repubblica di Venezia, ostile al duca. Al comando dell'esercito veneziano, egli sconfisse i milanesi, ma ordinò di liberare alcuni prigionieri. Questo fatto convinse il Senato veneziano a ritenere il conte un traditore e a condannarlo ingiustamente a morte. La tragedia termina con l'addio del conte alla moglie e alla figlia.


Il protagonista è un personaggio storico, ma non mancano personaggi inventati. Il protagonista è un uomo di potere che vorrebbe rispettare le regole militari e morali in una realtà dominata dall'immoralità; il M. oppone così il giusto alla società ingiusta.


L'ispirazione del coro del Carmagnola è patriottica. Esprimendo la sua indignazione contro le guerre, M. intende esortare l'Italia a deporre le discordie e ad unirsi per far rinascere la patria.


ADELCHI


È un'opera più complessa del Carmagnola, ed è divisa in 5 atti.


Ermengarda, ripudiata da Carlo Magno, ottiene dal padre di ritirarsi in un monastero a Brescia, per dimenticare le sue sofferenze. Il ripudio peggiora il conflitto politico del re Desiderio con Carlo, che protegge il pontefice e cerca di spingere i Longobardi al di fuori delle terre della Chiesa. Desiderio dichiara, quindi, guerra ai Franchi, nonostante i consigli del figlio Adelchi, che lo esorta ad un accordo con il pontefice. Tuttavia i duchi longobardi sono disposti a tradire. Vani sono i tentativi di Adelchi di opporsi ai Franchi, mentre Ermengarda, alla notizia delle nuove nozze di Carlo, viene assalita dal delirio e muore. Dopo che Desiderio è fatto prigioniero, la tragedia si conclude con Adelchi morente che chiede al vincitore di essere pietoso verso il vecchio padre.


I personaggi e gli avvenimenti sono quasi tutti storici. Ermengarda e Adelchi sono i due protagonisti. Entrambi sono personaggi romantici, malinconici, divisi fra sentimento e dovere.

In uno dei cori M. svolge il tema del dolore sentito, seguendo l'etica cristiana, come PROVVIDA SVENTURA. Il dolore per il M. è in parte una conseguenza del peccato originale, in parte opera della Provvidenza: come col dolore punisce i malvagi, così con esso purifica da ogni colpa chi lo accetta con umile rassegnazione, seguendo la volontà di Dio. Quindi, la Provvida Sventura è quel dolore permesso dalla Provvidenza a fin di bene. Questo motivo ritornerà nell'"addio ai monti" di Lucia: DIO NON TURBA MAI LA GIOIA DEI SUOI FIGLI, SE NON  PER PREPARARNE LORO UNA Più CERTA E Più GRANDE.


IN MORTE DI CARLO IMBONATI


È un carme in endecasillabi sciolti, in cui M. rivela una nuova aggressività satirica: infatti, la spinta alla scrittura nasce proprio da un intento morale di polemica contro il "secol sozzo", e quindi da una netta presa di distanza dalla corruzione dei suoi tempi. Il poeta immagina che Carlo Imbonati (allievo di Parini, che gli ha dedicato L'educazione) gli appaia in sogno e gli dia utili insegnamenti per l'avvenire; lo esorta, infatti, a conservare pura la mano e la mente, a non farsi mai servo di nessuno, a non far tregua con i vili, a non tradire mai la verità e a non pronunciare mai una parola che plaudi il vizio e che derida le virtù.

IL SANTO VERO MAI NON TRADIR, Né PROFERIR MAI VERBO, CHE PLAUDA AL VIZIO, O LA VIRTù DERIDA.


INNI SACRI


Gli Inni Sacri dovevano essere 12 e celebrare le festività della Chiesa durante l'anno liturgico, ma il M. ne compose solo 5: LA RESURREZIONE, IL NOME DI MARIA, IL NATALE, LA PASSIONE e LA PENTECOSTE. Di un altro inno, l'OGNISSANTI, ci rimane solo un frammento. Gli Inni si possono studiare sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista religioso. Celebrando le feste liturgiche, infatti, M. non le considera solo come un'occasione di mistico rapimento, o di estraneità delle cose del mondo, ma le presenta come momenti del calarsi del divino nell'umano.

Tutti gli Inni, escluso La Pentecoste, sono costruiti su uno schema fisso: enunciazione del tema, rievocazione dell'episodio centrale, commento che affronta le conseguenze dottrinali e morali dell'evento. La Pentecoste (in greco=cinquantesimo-giorno dopo la Pasqua-), l'Inno di maggior rilievo, scritto tra il 1817 e il 1822, rompe lo schema, mettendo da parte i motivi teologici e l'episodio, e tratta dell'importanza della discesa dello Spirito Santo, culminando in un'invocazione affinché esso scenda ancora sull'umanità.

La divinità è presentata come un riparo, ma anche come terrore biblico.

Gli Inni nascono da una volontà di rinnovamento tematico-linguistico; M. voleva trovare una materia che interessasse un numero più amplio di lettori, dunque più popolare. La lingua degli Inni è popolare, vicina al fiorentino di Boccaccio.


LE ODI CIVILI


APRILE 1814, scritto in seguito alla cacciata dei francesi (Napoleone) dall'Italia;

IL PROCLAMA DI RIMINI, scritto per sostenere l'iniziativa di Murat che chiamava gli italiani alla lotta per l'indipendenza nazionale;

MARZO 1821, fu composta quando si diffuse la notizia (risultata poi infondata) del passaggio del Ticino da parte dei patrioti piemontesi, durante i moti del '21, per strappare con la guerra la Lombardia all'Austria. M. pubblicò quest'ode nel 1848, durante le Cinque Giornate di Milano. Il motivo ispiratore dell'ode è PATRIOTTICO: M. voleva incitare gli italiani a combattere per l'indipendenza e l'unità della patria. Egli riteneva che Dio avesse assegnato ad ogni popolo una patria e una missione da svolgere nella storia. Potrebbe accadere però che un popolo, indebolito dalla corruzione dei costumi e da discordie interne, cada sotto la dominazione di un altro popolo, prescelto da Dio come strumento della sua punizione. Tuttavia il popolo oppresso, purificandosi dalle sue colpe, può riscattarsi, trovando in Dio la forza per rivendicare la libertà.

In questa fase del pensiero manzoniano, la guerra è giustificata come strumento di libertà.

CINQUE MAGGIO


Scritto alla notizia della morte di Napoleone, riprende alcune caratteristiche dell'ode civile(i tratti epici = la rievocazione dei momenti culminanti della vita dell'imperatore), ma anche degli Inni Sacri (riprendendone il linguaggio lirico- religioso d'impronta biblica.

L'ode è strutturata in 3 parti:

  1. La prima parte tratta della morte di Napoleone e dell'atteggiamento del poeta di fronte all'evento; 1-4
  2. La seconda della vicenda di Napoleone; a sua volta essa è divisa in 2 parti: a) le imprese vittoriose; b) la sconfitta, l'esilio e la disperazione dell'eroe; 5-9    10-14
  3. La terza il soccorso della fede e il trionfo dell'eterno sulla gloria terrena.

Per M. Napoleone fu sotto tanti aspetti uno strumento della Provvidenza nell'evoluzione della storia europea, che grazie a lui abbandonò le vecchie strutture feudali e si avviò alla vita moderna. Ma egli, per orgoglio ed egoismo, spesso si allontanò dal fine assegnatogli e pagò con la sconfitta e l'esilio i suoi errori.

L'ispirazione dell'ode è soprattutto religiosa, come quella del coro che tratta della morte di Ermengarda (LA PROVVIDA SVENTURA). Napoleone ed Ermengarda sono entrambi spiriti toccati dalla Grazia, e trovano oltre la morte, il desiderio di infinito che ci tormenta in terra: L'AVVIò, PEI FLORIDI SENTIER DELLA SPERANZA.


STORIA DELLA COLONNA INFAME

Nel '600 la credenza popolare attribuiva la responsabilità della peste agli untori. L'operetta vuole essere un trattatello storiografico volto a ricostruire il processo che nel 1630 mandò a morte 5 innocenti. Il titolo deriva da una colonna commemorativa che il tribunale fa elevare sul luogo dove un tempo si ergeva la casa di uno degli imputati. L'opera non si può attribuire al campo storiografico. M. pone al centro della propria ricerca il vero storico, ma a lui interessa soprattutto il vero morale. Secondo M. i giudici erano colpevoli 2 volte: innanzitutto sul piano giuridico applicando la tortura, quando secondo le leggi allora vigenti, non avrebbero potuto farlo e poi sul piano morale perché si erano lasciati guidare dai pregiudizi dell'epoca.

Con quest'opera M. inventa un genere di scrittura che si collega al pamphlet morale, ma che se ne differenzia per il suo contenuto storico.


I PROMESSI SPOSI

La prima redazione del romanzo si intitolava Fermo e Lucia, fu poi revisionato e pubblicato con il titolo de "I promessi sposi". Nel 1840 uscì una seconda edizione ispirata al toscano parlato dalla borghesia colta fiorentina. L'opera comprende un'introduzione, 38 capitoli narrativi e in appendice La storia della colonna infame.

Il romanzo è diviso in 6 nuclei narrativi principali. I protagonisti sono Renzo e Lucia.

Nel primo nucleo si narrano gli ostacoli frapposti al matrimonio da don Rodrigo e don Abbondio; il tentativo fallito di padre Cristoforo di far ravvedere don Rodrigo; il tentativo, anch'esso fallito, del matrimonio di sorpresa ideato da Agnese; la fuga dal paese. Nella parte centrale del racconto i 2 fidanzati sono separati: prima Lucia a Monza, poi Renzo a Milano, Lucia dall'Innominato e da donna Prassede, infine ancora Renzo a Milano alla ricerca di Lucia.

Nell'ultimo il ritrovamento di Lucia nel lazzaretto da parte di Renzo, il suo ritorno al paese, il matrimonio e la fortuna economica di Renzo.

La grande protagonista del romanzo è la storia che M. ci presenta sia dal punto di vista dei grandi avvenimenti sia come piccola storia privata.

La grande storia è rappresentata come un trauma: la guerra, la carestia e la peste ne sono gli emblemi che M. analizza e critica in maniera molto lucida.

La storia si riflette anche sui destini individuali e M. scopre come protagonista della storia la folla che, abbandonata a sé, diventa distruttiva e irrazionale. Anche se nel romanzo la felicità terrena è possibile, sia pure in prospettiva domestica, la storia rimane una forza troppo grande per essere controllato.

IL SISTEMA DEI PERSONAGGI

L'autore costruisce un sistema di personaggi articolato ed equilibrato al tempo stesso. Si possono dividere gli 8 personaggi principali per similarità: Renzo e Lucia sono le vittime; padre Cristofaro e il cardinale Borromeo sono i protettori rappresentanti della chiesa buona; don Abbondio e Gertrude sono gli strumenti degli oppressori e rappresentanti della chiesa cattiva; don Rodrigo e l'Innominato sono gli oppressori.

Inoltre gli 8 personaggi rappresentano per metà il mondo laico(Renzo, Lucia, don Rodrigo e l'Innominato) e per l'altra metà il mondo ecclesiastico.

Sempre tra questi 8 personaggi, 4 provengono dal mondo popolare e borghese(Renzo, Lucia, don Abbondio, padre Cristofaro) e 4 da quello nobiliare(don Rodrigo, l'Innominato, Gertrude e il cardinale).

Il sistema di similarità e contrapposizione serve a comunicare il contrasto tra bene e male.

Le forze in gioco riguardano infatti il potere sociale rappresentato da don Rodrigo e dall'Innominato, il potere spirituale corrotto rappresentato da don Abbondio e Gertrude, e il potere spirituale autentico rappresentato da padre Cristofaro e dal cardinale.

LO STILE

M. non fa ricorso al simbolismo, ma all'allegoria, anche per questo usa di frequente la similitudine.

La rivoluzione linguistica di M. sta nel ricercare la varietà nella sintassi più che nel lessico, infatti l'autore usa un numero abbastanza ristretto di vocaboli e tende a preferire quelli di uso più comune derivante dal toscano parlato.

Il romanzo si rifà ad una carica morale e storica. Il realismo storico porta il narratore a creare non solo degli individui, ma dei tipi che rappresentano intere categorie sociali. L'ironia varia dalla parodia al sarcasmo che colpisce soprattutto i personaggi d'autorità. L'uso dell'ironia è un'eredità illuministica, in quanto fortemente critica e razionale, e poi è anche uno strumento di difesa psicologica,un modo del narratore per controllare le passioni senza farsi coinvolgere.




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