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Canto III

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Canto III

1-6 nonostante l'improvvisa fuga avesse sparpagliato le anime appena sbarcate per la pianura circostante, verso il monte dove la giustizia divina ci tormenta per purificarci, io mi avvicinai di più alla mia fidata guida: e come avrei potuto correre senza di lui? Chi mi avrebbe portato su per la montagna?

7-9 mi sembrava che Virgilio si rimproverasse da sé per la sua debolezza di poco prima: è proprio di una coscienza limpi 131h74b da e piena di dignità come la sua sentirsi duramente rimordere per aver commesso un piccolo errore.

10-15 quando Virgilio abbandonò la corsa che sottrae la dignità ad ogni azione, la mia mente, che prima era intenta a un solo pensiero, ampliò il suo orizzonte, per desiderio di nuova conoscenza, e il mio sguardo incontrò il monte, che, più alto della spiaggia circostante, si protende verso il cielo.

16-18 il sole, che sfolgorava di luce rossa alle mie spalle, rompeva i suoi raggi davanti alla mia persona, perché trovava in essa un ostacola.

19-24 mi votai spaventato di fianco, quando vidi proiettata davanti a me la mia ombra; ma la mia guida mi confortò, rivolgendosi premurosamente a me:"perché continui a non avere fede?non credi che io sia sempre con te e continui a guidarti?

25-27 è gia sera nel luogo dov'è sepolto il mio corpo, che un tempo faceva ombra sulla terra; ora si trova a Napoli, mentre prima era a Brindisi.



28-33 quindi, se nessuna ombra si forma davanti a me, non stupirtene più di quanto non ti stupisci che i cieli non impediscano l'uno all'altro il flusso dei raggi solari. La potenza di dio predispone questi corpi aerei a sentire l'effetto dei tormenti, del caldo e del freddo, ma non vuole che ci sia svelato come lo ottiene

34-36 chi si illude di poter comprendere con i mezzi della ragione umana la logica divina la quale fa si che tre persone siano una sola sostanza è matto.

37-45 perciò, stirpe umana, cerca di accontentarti dei fatti e non domandartene i motivi; perché, se tu avessi potuto vedere e capire tutto, non ci sarebbe stato bisogno che nascesse il figlio di Maria; inoltre vedesti desiderare la conoscenza uomini di tale ingegno che il loro desiderio, se a mente umana fosse stato possibile, avrebbe dovuto essere esaudito, e adesso invece questo desiderio insoddisfatto è la loro eterna pena: parlo di Aristotele e Platone, e di molti altri"; e a questo punto abbassò il capo, e tacque, e apparve turbato.

46-51 nel frattempo, mentre Virgilio parlava, arrivammo ai piedi del monte; qui la roccia era così ripida, che invano le gambe di qualsiasi uomo si sarebbero sforzate di salirvi. Anzi, sulla costa tra Lerici e La Turbia, il più selvaggio e dirupato pendio sarebbe stato, al confronto di quella parete, percorribile come una comoda scala.

52-54 fermandosi, il mio maestro disse:"e adesso chi sa da che parte il pendio diventa meno ripido, in modo che possa salirvi anche chi non ha le ali?"

55-60 così, mentre Virgilio, a testa bassa, pensava al percorso nella sua mente, e io rivolgevo lo sguardo in alto, verso la roccia, dal lato sinistro mi apparve una piccola folla di anime, che procedevano verso di noi, ma sembrava che fossero ferme, tanto erano lente.

61-66 dissi a Virgilio:"alza gli occhi, maestro: ecco qualcuno che ci darà le necessarie indicazioni, se non riesci a trovarle da te". Allora Virgilio guardò la schiera di anime e, con espressione di nuovo sicura, rispose: "andiamo loro incontro, perché camminano lentamente; e tu rincuorati, caro figliolo".

67-72 la folla di anime era ancora lontana, anche dopo che io e Virgilio eravamo andati avanti di molti passi, quanto il lancio di un sasso fatto da un abile tiratore, quando alla nostra vista esse si strinsero tutte alle rocce della ripida parete, restando ferme e vicine l'una all'altra, come si ferma a guardare chi cammina esitante.

73-78 Virgilio si rivolse così alle anime:" oh spiriti morti in grazia di Dio, spiriti ormai eletti, vi chiedo di dirci, in nome della pace che credo tutti voi aspettiate, in che punto la montagna ha un pendio dolce che permetta di salire; perché a chi ha maggiore conoscenza più dispiace perdere tempo".

79-87 come le pecore escono dall'ovile una, due, tre per volta, mentre le altre restano timorose, abbassando gli occhi e il muso; e ciò che fa la prima fanno anche le altre, stringendosi intorno a lei, se si ferma, docili a serene, senza saperne il perché; così allora io vidi muoversi e avvicinarsi l'avanguardia di quella schiera fortunata, umile nell'espressione e decorosa nell'andatura.

88-93 appena le anime procedevano per prime videro che alla mia destra la luce rotta del sole formava l'ombra, dalla mia persona fino alla roccia, si fermarono e si ritrassero un po', e così tutte quelle che venivano dietro di loro, pur non sapendo perché, fecero altrettanto.



94-102 "senza che me lo domandiate, vi rivelo che quello che vedete è un corpo umano; per la qual cosa la luce del sole appare interrotta sul terreno. Non stupitevi, ma crediate che noi cerchiamo di salire su questa parete senza l'aiuto di un potere divino". Così spiegò il maestro, e quella folla eletta ci disse, facendo segno col dorso della mano: "tornate indietro allora, se volete salire sul monte".

103-108 quand'ecco uno di quegli spiriti si rivolse a me: " chiunque tu sia, mentre cammini, voltati a guardarmi: cerca di ricordarti se mi hai visto nella vita terrena". Ubbidii e lo guardai attentamente: era biondo, bello, e aveva una figura elegante, ma il suo viso era deturpato da un colpo di spada che gli aveva tagliato in due il sopracciglio.

109-111 quando gli ebbi umilmente dichiarato che non lo avevo mai visto, replicò: "guarda allora", e mi mostrò una ferita nella parte superiore del petto.

112-117 quindi aggiunse sorridendo: " io sono Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza; perciò ti prego di andare, quando tornerai nel mondo, dalla mia bella figlia, madre dei due re di Sicilia e d'Aragona, e di dirle la verità sulla mia sorte, se altra è la diceria su di me.

Dopo che il mio corpo fu colpito da due ferite mortali, io mi affidai, piangendo di pentimento, a Dio, che è sempre disposto a perdonare. I miei peccati furono gravissimi; ma la bontà di Dio è infinita e accoglie tutti coloro che le si rivolgono.

124-129 se il vescovo di Cosenza, che alla mia morte fu mandato in cerca del mio corpo da papa Clemente, avesse valutato bene quest'aspetto di Dio, le mie ossa sarebbero ancora all'estremità del ponte presso Benevento, sotto la custodia del pesante mucchio di pietre.

130-132 adesso le mie ossa insepolte sono bagnate dalla pioggia e mosse dal vento, fuori dal territorio del regno, presso il corso del fiume Liri, dove il vescovo le trasportò con una processione a candele spente.

133-135 tuttavia, nonostante la scomunica con anatema lanciata dal papa, non si perde comunque la possibilità che ritorni l'eterno amore divino, finché c'è una sia pur minima speranza.

136-141 tuttavia, chi muore scomunicato, quindi fuori dalla chiesa, anche se si pente al momento del trapasso, deve aspettare fuori dal purgatorio trenta volte il periodo in cui si è ostinato nel suo peccato, a meno che questa prescrizione non diminuisca per preghiere pronunciate da persone buone.

142-145 ormai vedi se mi puoi accontentare, rivelando alla mia buona figlia Costanza che mi hai visto qui e non all'inferno, e anche che mi è vietato iniziare l'ascesa; perché nel purgatorio si ottiene molto per mezzo dei suffragi dei vivi".


MANFREDI DI SVEVIA era il figlio illegittimo di Federico II di Svevia morto durante la battaglia per difendere i suoi possedimenti dalle mire di Carlo d'Angiò. La sua figura è quella di un perfetto cavaliere che si mostra ormai distaccato dal suo destino terreno e si preoccupa solo di avanzare verso Dio. Sin dall'inizio del suo discorso non c'è traccia di rancore perché le anime del purgatorio guardano alla loro vita terrena con malinconia e nostalgia non con disperazione come le anime infernali.






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