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La scoperta dell'isostatia.
Dall'inizio del XX secolo sono stati messi in discussione i modelli fissisti che avevano dominato il pensiero del secolo precedente , secondo i quali, la crosta terrestre era una struttura statica, nella quale i continenti e gli oceani occupavano sempre la medesima posizione. Verso la fine dell'800 iniziarono a farsi strada le teorie secondo le quali grandi porzioni della crosta potessero essere soggette a rilevanti movimenti.
In quel periodo, accurate misure dell'accelerazione di gravità avevano permesso di rilevare dei valori anomali che si potevano spiegare solo se si accettava l'idea che la crosta non avesse densità a spessore uniformi. Questi dati sulla gravità avevano dimostrato che la crosta continentale era poco densa e aveva radici più profonde nel mantello rispetto a quella oceanica, più densa e sottile.
Nel 1855 un astronomo inglese (Airy) comprese c 222h78c he questi dati si potevano spiegare solo ipotizzando che la crosta, avendo minore densità, galleggiasse sul mantello sottostante (come un blocco di ghiaccio galleggia sull'acqua in quanto più denso).
Ciò è possibile perché il mantello si comporta come uno strato mobile in cui i diversi blocchi sprofondano in proporzione alla loro densità e al loro volume, permettendo il raggiungimento di un equilibrio di "galleggiamento". Questo equilibrio viene raggiunto nel rispetto del principio di Archimede per cui i blocchi di crosta oceanica, meno densi e più elevati, affondano maggiormente nel mantello rispetto ai blocchi di crosta continentale, più densi e meno elevati.
Secondo il principio dell'isostatia, la crosta può essere immaginata come un'insieme di prismi, che galleggiano sul mantello e raggiungono una condizione di equilibrio in base al loro peso.
Secondo questa teoria, ogni variazione della massa dei blocchi crostali dovrebbe dare luogo a uno spostamento verticale delle masse rocciose, fino al conseguimento di un nuovo equilibrio. I movimenti verso l'alto e verso il basso, con cui i blocchi reagiscono al cambiamento di equilibrio, sono detti aggiustamenti isostatici e provocano lo spostamento relativo a un blocco rispetto a quelli adiacenti.
I continenti si spostano.la teoria della deriva dei continenti
Nel 1912 Wegener formulò l'ipotesi nota come la deriva dei continenti secondo la quale circa 200 milioni di anii fa le terre emerse furono raggruppate in un unico, enorme continente che lo stesso Wegener denominò Pangea. Le acque contemporaneamente costituivano un solo sterminato oceano denominato Panthalassa
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Circa 180 milioni di anni fa
Lentamente i due supercontinenti, Laurasia e
Gondwana si ruppero in parti più piccole che andarono alla deriva sulla costa
oceanica fluida.
In seguito, il Sud America e l'Africa si erano già allontanati, e più tardi Europa ed America Settentrionale si separarono definitivamente come avvenne per il Sud America e per l'Antartide.
A sostegno della propria teoria, Wegener portò argomenti di varia natura, atti a fornire una spiegazione scientifica. Tali argomenti furono di natura:
geomorfologica: corrispondenza quasi perfetta dei margini della parte orientale del SudAmerica e delle sponde occidentali del continente africano, che si incastrano l'un l'altro come in un mosaico. " E' proprio - scrive Wegener - come se noi dovessimo mettere a posto le parti strappate di un giornale facendo combaciare i loro contorni e poi vedere se le singole righe di stampa si susseguono dalle due parti regolarmente. Se ciò si verifica, evidentemente non resta altro che concludere che tali parti erano effettivamente unite in questo modo";
paleontologica: Confrontando rocce e fossili sulle due sponde dell'oceano Atlantico si è potuto osservare che , in alcune località, sono sorprendentemente simili. E' il caso di rsti fossili animali e rettili come il Mesosauro, che viveva nei fiumi e nei laghi, ritrovati solo in una parte dal Sudamerica e nelle parte dell'Africa corrispondente. Per spiegare queste prove, gli oppositori di Wegener, ricorrevano all'ipotesi dell'esistenza di ponti continentali che in passato avrebbero collegato continenti ora separati e che poi sarebbero sprofondati nei fondali oceanici. Ma secondo Wegener questa teoria non ha alcun fondamento in quanto sui fondali oceanici non sono mai stati trovati resti di crosta continentale di cui sarebbero stati formati questi ponti.
paleoclimatica: conducendo ricerche anche sulla distribuzione dei climi del passato, rilevò che nei continenti meridionali, in regioni che oggi hanno un clima tropicale, c'erano condizioni di clima freddo, documentate dalla presenza di depositi glaciali risalenti a più di 300 milioi di anni fa.
Quindi l'unica vera conclusione che si poteva trarre era che i continenti oggi separati, si fossero staccati spostandosi lateralmente da un unico originario Supercontinente.
I fondali oceanici.strutture giovani con una morfologia caratteristica
Verso la fina del secolo scorso, le ricerche geologiche ebbero un nuovo impulso, in particolare l'oceanografia geologica progredì considerevolmente. Grazie alle nuove tecniche di ricerca e ai grandi mezzi messi a disposizione da alcune nazioni, furono intraprese molte campagne di studio, che consentirono di cartografare con estrema precisione i fondali oceanici. Si scoprì così che la crosta oceanica presenta una morfologia particolare. Gli elementi più significativi che vennero scoperti furono:
le dorsali
oceaniche:
sono rilievi che formano un sistema che attraversa gli oceani Atlantico,
Pacifico, Indiano e Atlantico, il mar Glaciale Artico e il mar di Norvegia con una
lunghezza totale di quasi
La dorsale inoltre non è realmente continua ma è formata da una successione di segmenti separati da fratture trasversali, dette faglie trasformi, che sono perpendicolari alla rift e interessano tutto lo spessore della litosfera. Ai due lati della dorsale il fondale si estende formando le pianure abissali , regioni pianeggianti molto estesee ricoperte da un sottile strato di sedimenti.
le fosse
oceaniche: sono profonde depressioni dei fondali lunghe e strette. Sono
lunghe migliaia di chilometri e raggiungono una profondità di
gli archi vulcanici: a una certa distanza dalla fossa e lungo una fascia parallela a questa, si osserva sempre un'intensa attività vulcanica, che genera edifici a cono distribuiti in modo da formare un arco vulcanico, cioè una catena di vulcani, che può essere disposta sul margine del continente o può formare una catena di isole.
La teoria dell'espansione dei fondali oceanici.
Nel 1961, gli scienziati iniziarono ad ipotizzare
che la dorsale rappresentasse un punto in cui il fondale oceanico si espandeva
attraverso la fuoriuscita di magma. Una conseguenza dell'espansione dei fondali
oceanici sarebbe però la continua formazione di crosta ai margini della dorsale
oceanica. Questa idea indusse alcuni scienziati a ritenere che l'allontanamento
dei continenti potesse essere semplicemente dovuto ad un aumento delle
dimensioni della Terra. In realtà questa ipotesi era poco credibile, la maggior
parte degli scienziati riteneva che
L'ipotesi formulata da Hess era la seguente: se la crosta terrestre si stava espandendo, in corrispondenza della dorsale medio oceanica, in qualche altro punto doveva essere riassorbita. Egli suggerì che la nuova crosta, originatasi a livello della dorsale, si allontanasse dal punto in cui si era formata e, dopo milioni di anni, essa raggiungesse le cosiddette fosse oceaniche: dei canyon molto profondi e stretti posti ai margini dell'Oceano Pacifico. Secondo Hess l'Oceano Atlantico si stava espandendo e il Pacifico restringendo. Mentre la vecchia crosta veniva riassorbita a livello delle fosse oceaniche, nuovo magma veniva eruttato lungo la cresta della dorsale oceanica per formare nuova crosta. Il fondale oceanico in questo modo veniva continuamente riciclato.
La teoria di Hess fu in grado di spiegare perché la terra non aumenta le proprie dimensioni nonostante l'espansione dell'Oceano e perché l'accumulo di sedimenti sul fondale oceanico è così limitato. L'ipotesi dell'espansione dei fondali oceanici apparve molto interessante fin dalla sua prima formulazione; mancava però la prova che ne potesse confermare l'attendibilità. Non passò molto tempo, perché un contributo decisivo venne dalle osservazioni paleomagnetiche.
Il Paleomagnetismo.
Negli anni '50, gli scienziati iniziarono a individuare, sui fondali oceanici, delle strane anomalie magnetiche. In questo tipo di ricerca vennero utilizzati particolari strumenti, definiti magnetometri, già impiegati dagli aerei durante la seconda guerra mondiale per individuare i sottomarini. La scoperta delle anomalie magnetiche non era del tutto inaspettata perché era noto che il basalto (la roccia vulcanica che costituisce il fondale oceanico), contenendo un gran numero di minerali magnetici, può localmente alterare l'orientamento della bussola. Fin dall'inizio del diciottesimo secolo, i marinai islandesi avevano osservato queste particolari anomalie nell'orientamento dell'ago della bussola.
All'inizio del ventesimo secolo, i paleomagnetisti, tra cui Bernard Brunhes in Francia (nel 1906) e Motonari Matuyama in Giappone (negli anni 20), scoprirono che le rocce, in base alle loro proprietà magnetiche, possono essere suddivise in due gruppi. Un gruppo viene detto a polarità normale ed è caratterizzato da minerali magnetici che hanno la stessa polarità del campo magnetico terrestre attuale. Un altro gruppo invece ha una polarità invertita cioè opposta a quella del campo magnetico terrestre attuale. Infatti i cristalli di magnetite, comportandosi come piccoli magneti, possono allinearsi al campo magnetico terrestre. Quando il magma basaltico si raffredda, per formare la roccia vulcanica solida, la disposizione dei cristalli di magnetite viene bloccata, ed in questo modo registra l'orientamento, ovvero polarità, del campo magnetico terrestre presente al momento del consolidamento.
Man mano che il fondale oceanico veniva mappato, le variazioni magnetiche rivelarono una disposizione regolare: sui due versanti della dorsale medio-oceanica si alternavano bande costituite da rocce con polarità normale (quella del campo magnetico attuale) e bande costituite da rocce con polarità invertita.
Andamento delle anomalie magnetiche osservate lungo la dorsale di Reykjanes, una parte delle lunga Dorsale Medioatlantica, a SW dell'Islanda. Le fasce bianche indicano anomalie negative, quelle nere anomalie positive
Due giovani geologi, Frederick Vine and Drummond Matthews, ed anche Lawrence Morley sospettarono che il "pattern zebrato" non fosse accidentale. Nel 1963, essi ipotizzarono che le bande magnetiche fossero prodotte da ripetute inversioni del campo magnetico terrestre.
Circa nello stesso periodo in cui veniva fatta questa scoperta, si stavano rapidamente sviluppando delle nuove tecniche per determinare l'età geologica delle rocce. Un team di scienziati composto dai geofisici Allan Cox e Richard Doell e dal geochimico Brent Dalrymple, ricostruirono la storia delle inversioni magnetiche degli ultimi 4 milioni di anni usando una tecnica basata sull'utilizzo degli isotopi del potassio e dell'argon. Cox ed i suoi colleghi usarono questo metodo per datare le rocce vulcaniche continentali di tutto il mondo. Essi misurarono anche l'orientazione magnetica di queste rocce utilizzandole per datare la più recenti inversioni del campo magnetico terrestre. Nel 1966, Vine e Matthews (e Morley lavorando indipendentemente) compararono questi risultati con le strisce magnetiche trovate sul fondo oceanico. Assumendo che il fondo oceanico si allontani dalla dorsale di qualche centimetro per anno, essi trovarono che ci fosse un correlazione tra l'età delle inversioni magnetiche della terra ed il pattern a strisce.
In corrispondenza o in prossimità della dorsale le rocce erano molto giovani e diventavano progressivamente più antiche man mano che ci si allontanava dalla dorsale, le rocce più giovani poste in vicinanza della dorsale mostravano la stessa polarità del campo magnetico terrestre attuale. Il fondale oceanico venne, quindi, interpretato come un nastro trasportatore in cui è registrata la storia delle inversioni di polarità del campo magnetico terrestre.
L' interpretazione delle anomalie magnetiche presenti nelle rocce del fondale oceanico, fornita da F. Vine e D. Matthews, diede un forte contributo alla formulazione della teoria dell'espansione dei fondali oceanici. Questa teoria rappresenta l'elemento necessario per giungere alla successiva definizione del modello della "tettonica delle placche".
Un ulteriore prova dell'espansione dei fondali oceanici venne fornita dai mezzi impiegati per la ricerca del petrolio. Infatti negli anni che seguirono la seconda guerra mondiale, le riserve continentali di petrolio si esaurirono rapidamente ed iniziò la ricerca di nuovi giacimenti petroliferi. Per svolgere questa ricerca le compagnie petrolifere realizzarono delle navi attrezzate con sistemi di perforazione molto efficienti in grado di trivellare per chilometri il fondale oceanico e recuperare campioni sotto forma di "carote". Questa particolare attrezzatura fu successivamente applicata alla nave di ricerca Glomar Challenger, appositamente creata per studi di geologia marina. Nel 1968 questa nave iniziò una spedizione (Deep Sea Drilling Project) durante la quale venne perlustrato il fondale oceanico dal Sud America all'Africa recuperando campioni prelevati in località specifiche poste ai due lati della dorsale medio-oceanica. Quando questi campioni furono datati, attraverso l'analisi dei radioisotopi, si ebbe la conferma dell'espansione del fondale oceanico.
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