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GRECIA, TRACIA E MOESIA: LA SCULTURA - La ritrattistica

geografia



grecia, tracia e moesia


La scultura

La ritrattistica

Atene rimane, nei secoli del dominio romano, un centro di cultura; ma è una cultura che vive sulla rendita di un antico e splendido capitale, senza acquisire nulla di nuovo. Nella scultura, le tendenze ad un'accentuata espressione e ad un colorismo barocco trovano un riflesso attenuato dalla classicità di forme. L'impulso culturale dato da Erode Attico, maestro di Marco Aurelio, che aveva fondato ad Atene una scuola ed era stato restauratore o committente di edifici pubblici in tutta la Grecia, ha un suo riflesso anche nella ritrattistica. Appartengono alle migliori espressioni d'arte i ritratti che si possono supporre di persone della sua cerchia; quello del giovane Polydeikes, quello di Memnone l'Africano. Polydeikes viene presentato in forme di contenuto plasticismo coerenti con la sua eleganza aristocratica velata di malinconia. Molto più efficace il ritratto di Etiope, trovato in terreni di proprietà di Erode, dove egli aveva fatto porre busti dei migliori discepoli. Il ritratto di Erode Attico stesso, identificato in base ad un'erma col suo nome, lo possediamo in varie repliche, delle quali la migliore (Parigi, Louvre) ci dà un'immagine delicata e pensosa, ispirata a mo­delli statuari del IV secolo a.C., ma trasformati da un contenuto sentimentale diverso.



Verso la metà del III secolo, anche la ritrattistica ateniese si anima di un chiaroscuro più mosso e di una più intensa espressione. Lo vediamo nella serie dei ritratti dei "cosmeti", i funzionari preposti all'educazione dei giovani.

I sarcofagi

Le cose migliori prodotte dalle officine di scultori della Grecia in questo tempo sono i sarcofagi. Monumentali, ricchi di figure, con una modellatura a forte rilievo, gli schemi iconografici 838d38i classici si conservano tenace­mente, ma si trova sempre la forza di ravvivarli in modo da render loro freschezza attraverso un'esecuzione nitida e incisiva. È entrato in uso il trapano corrente, ma viene adoperato soltanto per staccare le figure una dall'altra (come il braccio dell'Amazzone con la spada nel sarcofago di Salonicco) o nelle capigliature e nelle criniere.

Questi sarcofagi venivano esportati a Roma e in Occidente. Uno dei più belli, degli inizi del III secolo, è quello conservato nella cattedrale di Agrigento, con la storia di Ippolito e di Fedra. È da supporsi un precedente pittorico, ripetuto con scarse varianti in tutte le repliche. Specialmente la composizione della morte di Ippolito, relegata alla parte posteriore, appare d'invenzione pittorica. Il disegno delle figure, la loro collocazione in uno spazio pittorico, tutto è ancora secondo modi e ritmi di derivazione ellenistica. L'unico segno dei tempi si potrebbe riconoscere nell'intensità della partecipazione umana: la comprensione per il "dolore di vivere" rappresenta una delle componenti della nuova corrente artistica che ebbe inizio alla fine del II secolo.

Le sculture dell'arco di Galerio

La forma veramente tardo-antica, che porta alla rottura con la tradizione ellenistica, non si manifesta in Grecia prima della tetrarchia, ed anche allora ai margini della Grecia vera e propria. A Salonicco si trovano i resti di uno dei maggiori monumenti di questo tempo, l'arco quadrifronte, eretto per commemorare le vittorie contro i Persiani nella città dove Galerio aveva posto la sua residenza, Cesare nella prima tetrarchia (293-305), Augusto nella seconda (305-307) e nella terza (308-311). L'arco era d'insolita ampiezza, con grandi arcate a tutto sesto, in muratura, sulla via Egnazia (che congiungeva la costa adriatica al Bosforo). Lo spazio centrale era coperto da una cupola. L'arco era congiunto, su uno dei lati stretti, ad una via colonnata che ebbe in origine l'aspetto di un lungo peristilio coperto, che portava a una rotonda, aula palatina o mausoleo, chiusa da una cupola. Questa rotonda, più tardi chiesa di San Giorgio, alla fine del secolo IV fu trasformata da Teodosio in cappella palatina, aggiungendovi una navata circolare attorno ad un'abside ed un vestibolo; l'interno fu decorato da rivestimenti marmorei e da mosaici, che nella zona inferiore imitano stoffe di tipo persiano, con uccelli e palmette, e in alto presentano grandi figure di Apostoli, martiri e pa­triarchi, su fondo oro. È un'opera già di gusto bizantino e al di là dell'arte dell'antichità.

Le sculture dei due pilastri dell'arco di Galerio che ancora sussistono si rife­riscono alle campagne militari in Mesopotamia e in Armenia. Loro caratteristica è la mancanza di incorniciature architettoniche ai lati, il che è un ricordo delle colonne coclidi di Roma e particolarmente, per il risalto del rilievo, di quella di Marco Aurelio. Nuovo elemento compositivo è la pesantezza data alle cornici trasversali, che separano una scena figurata dall'altra, con fasce a motivi vegetali, che trovano riscontro nel grande cornicione terminale, in alto dei pilastri, ricco di forte aggetto e di chiaroscuro. Questi elementi architettonici incidono nell'articolazione dell'insieme con un'evidenza ignota all'architettura clas­sica, ma che diverrà consueta in quella medioevale.

I rilievi sono densi di figure, distaccati dal fondo, tuttavia privi di consistenza perché privi di una norma compositiva che ne renda chiara la lettura. Figure di proporzioni diverse si mescolano, ma non secondo criteri gerar­chici, bensì seguendo la preoccupazione dello spazio da colmare. Motivi iconografici tradizionali (nelle scene di combattimenti dell'imperatore) si mescolano a scene che derivano da notazioni d'ambiente colte durante le campagne (gruppi di animali esotici). Nelle cornici vi sono asso­nanze con le architetture del palazzo di Diocleziano a Split, ma soprattutto con i frammenti di fregio che rimangono del monumento con cinque colonne eretto a Roma ai tetrarchi nel Foro Romano. Anche le scul­ture fanno pensare ad un artista formatosi nell'ambiente provinciale del settore adriatico in contatto con Roma, il che coinciderebbe con l'origine illirica di Galerio.

Dal lato opposto a quello che apriva sulla via colonnata verso la rotonda, l'arco era in connessione con il palazzo residenziale. Dalle vicinanze provengono anche i frammenti di un piccolo arco in marmo ornato da medaglioni, sorretti da figure. In uno dei medaglioni vi è il ritratto di Galerio, importante documento iconografico, e nell'altro la testa della dea Tyche, protettrice della città.

Le stele funerarie macedoni

Accanto ai monumenti ufficiali, un'arte locale produce stele funerarie, tipiche per la Macedonia, con numerose teste-ritratto accostate insieme. Queste stele si congiungono con il materiale analogo della Tracia. Macedonia, Tracia e Moesia formano in questi secoli una stessa provincia artistica, che si distingue più per la tipologia che per le forme. La tipologia deriva dalla Grecia, mentre per l'Illiria, la Pannonia e la Dacia le tipologie si riconnettono con Aquileia. Qui le stele funerarie ripetono la composizione del defunto eroizzato disteso sul giaciglio in atto di banchettare, attorniato da familiari e servitori. Queste stele conservano corrette e fredde forme classicizzanti; ma sovente scadono a forme "provinciali" di notevole rozzezza. In queste si ripete il fenomeno tipico di ogni arte "plebea", nella quale la volontà di rappresentazione e di onoranza dei personaggi principali porta a non tener conto dell'armonia di proporzioni esistente nell'organica struttura naturale: ciò che conta è la testa, con un approssimativo intenzionale ritratto. Il piccolo busto nello sfondo accosta la stele del museo di Sofia alle stele di tipo macedone con i molti ritratti.

Il "Cavaliere Trace"

Particolare è in questa regione (Grecia settentrionale, Macedonia, Bul­garia) la ripetizione dell'immagine del "Cavaliere Trace", in migliaia di piccoli rilievi votivi e in stele funerarie, a partire dal II secolo. L'iconografia è di tipo ellenistico; ma si discute se la stessa divinità non avesse avuto precedentemente immagini di­verse, oppure il suo culto abbia avuto inizio allora. Il tipo ellenistico, però, si corrompe talora sino al grottesco, ricadendo nelle consuete deformazioni.

Accanto alle raffigurazioni del cavaliere, altre immagini analoghe dei "cavalieri danubiani" o di cavalieri tricefali. Formalmente si rimane nel medesimo cerchio di un povero arti­gianato privo di autonome capacità inventive.

Il monumento di Adamklissi

Dal fondo di questo artigianato sorge la produzione di uno dei com­plessi monumentali più impressionanti che il dominio romano abbia lasciato in queste province: il monumento-trofeo di Adamklissi in Dobrugia (Romania). Se si confronta il cavallo di un rilievo dell'eroe trace da Ezerovo e il cavallo di una delle metope del fregio di Adamklissi, si scorge la stessa matrice. Il monumento data all'età di Traiano, e almeno uno dei rilievi ci dà l'immagine di Traiano stesso. Il grande monu­mento trionfale veniva a trovarsi prossimo all'altare-cenotafio che conteneva i nomi dei caduti, dove si univa il ricordo della disfatta subita qui ai tempi di Domiziano.

Il grande monumento circolare, paragonabile nell'aspetto al mausoleo di Adria­no (Castel Sant'Angelo) a Roma, dominava l'incrocio delle principali vie che penetravano nella regione balcanica. Il nucleo in concreto cementizio ricoperto in pietra squadrata, era adorno in alto del tamburo da una merlatura dove ogni merlo recava la figura di un prigioniero. Le diversità etniche di queste figure possono dare indizi sulla costituzione delle masse combattenti. Nelle metope che formavano una serie di 44 rilievi racchiusi fra pilastrini scanalati o decorati da elementi vegetali, si hanno composizioni variate. Accanto a semplici figure di militari in marcia, a piedi o a cavallo, si hanno scene di battaglia di composizione insolita e di forte origi­nalità. Tra queste, la metopa XXXI nella quale in primo piano giace a terra il corpo di un Barbaro nudo decapitato, mentre in secondo piano un soldato romano armato di corazza, scudo e lancia aggredisce un Barbaro nudo rifugiatosi sopra un albero; la metopa XXIV, dove un groviglio di corpi di Barbari uccisi riversi sopra gli scudi rievoca alcune composizioni caratteristiche della Colonna Traiana. Queste assonanze persuadono di risolvere il problema della creazione di questi rilievi con l'ipotesi che da Roma e dall'ambiente artistico innovatore formatosi attorno al Maestro delle Imprese di Traiano fossero stati inviati dei disegni, e che questi fossero stati eseguiti da maestranze locali. Persuade a questa soluzione in modo particolare la metopa IX, con una famiglia di Barbari sopra un carro a due ruote tirato da un bovino. Nonostante la sem­plificazione delle forme, la composizione conserva un'impostazione prospettica: il carro avanza dal fondo secondo una linea obliqua, le ruote sono viste di scorcio. Anche la metopa con Traiano e un ufficiale ha un'impostazione prospettica, mentre sappiamo come, sia nella corrente plebea dell'arte di Roma, nell'arte incolta delle province si ricorra sempre, in analoghe raffigurazioni, alla presentazione frontale dell'immagine.

La stessa semplificazione di elementi classici mostrano le parti ornamentali del monumento, mentre i resti del trofeo che coronava il monumento cor­rispondono allo schema consueto di queste composizioni, che non poteva non esser stato suggerito da un modello romano: in alto una corazza fiancheggiata da scudi (sormontata da un elmo, del quale rimangono fram­menti), sotto la corazza il fusto del trofeo con gli schinieri appesi e in basso figure sedute di prigionieri, il tutto di grandi dimensioni.

Questo monumento ha, nell'insieme come nei particolari, nonostante i suoi barbarismi, una netta impronta romana. La cultura figurativa provinciale della Moesia, non differente da quella della Tracia, operava, invece, su schemi figurativi ellenistici, oppure cadeva in schematismi del primitivi o celtizzanti (stele del Museo di Varna).

Nei centri maggiori della Tracia s'incontrano anche il riflesso dell'arte occidentale, romana e, al tempo stesso, l'attività delle scuole dei marmorari dell'Asia Minore. Della presenza romana fanno testimonianza vari ritratti nei quali si trova il riflesso dello stile dell'età antonina, o degli inizi del III secolo (ritratto in bronzo di Gordiano III a Sofia) o dell'età tetrarchica (testa da statua, Museo di Sofia), quando Serdica (Sofia) fu residenza imperiale. Della presenza di maestranze microasiatiche, si hanno testimonianze negli elementi ornamentali di rivestimento di una villa presso Isvailovgrad, e in un fram­mento proveniente da Oescus, che si può mettere a raffronto con un particolare delle paraste della basilica di Leptis. Di officina microasiatica è anche la statua del museo di Costanza raffigurante una divinità femminile con cornucopia, nella quale si riconosce la protettrice Tyche della città di Tomi e del suo porto (simboleggiato dalla piccola figura in basso). Dall'inizio del III secolo, cui appartiene questa scul­tura, questo porto conobbe un grande impulso, come dimostrano le grandiose attrez­zature poste in luce e restaurate, databili all'età severiana.


Pittura e mosaico

Nel mosaico pavimentale, sia nella villa di Isvailovgrad, sia nei resti conservati a Stara Zagora, si ha in Tracia influenza di modelli e di maestranze occidentali. Lo stesso si può dire delle pitture di una piccola tomba a camera, della Moesia inferiore, presso la sponda destra del Danubio, a Silistra, databile alla seconda metà del IV secolo. I con­fronti che si possono istituire, sia per le figure, sia per l'ornamentazione della volta, indicano contatti con l'Occidente piuttosto che con l'Oriente. Le figurette di animali e di cacciatori nei riquadri del soffitto sono schizzate con mano leggera, e la finta prospettiva dei travicelli, insensata strutturalmente, conserva come motivo ornamentale un elemento spaziale di lontana origine.

Dall'Egitto giungono vasetti in bronzo a forma di busto, usati come bruciaprofumi. Una riprova dell'origine non locale e dell'importazione da Alessandria dei pannelli in intarsi di marmi sono i pannelli di paste vitree trovati a Kenchrai, porto meridionale di Corinto. Sono databili a circa il 350 e mostrano paesaggi di tipo nilotico, con immagini di Platone e di Omero, in un'epoca nella quale il neoplatonismo attraeva anche pensatori cristiani, e ad Omero veniva tributato quasi un culto nelle classi elevate del tempo, che ostentavano di sentirsi collegate alla grande cultura classica.

Il mosaico di Argo

Un estremo documento per la Grecia pro­viene da Argo: è il mosaico con raffigurazione dei mesi, appartenente al V secolo inoltrato. Nell'iconografia dei mesi si notano elementi tipici per il "ciclo orientale" ed altri tipici del "ciclo occidentale" dei calendari (come nella figura di Marzo, che presenta il tipo orientale del guerriero-Marte, ma anche nel vaso di latte e la rondine del repertorio occidentale). Predominano i motivi stagionali, ma non come raffigurazione di simboli. Gennaio è rappresentato da una figura consolare in toga, nel gesto di sollevare la "mappa" che dava il segnale dei giochi e di spargere monete. Il riscontro di motivi in un mosaico da Tegea, più bizan­tino, indica la costituzione, nella Grecia del V-VI secolo, di repertori formati da elementi disparati, ma autonomi. Le pietre che formano il mosaico sono tutte di origine locale. Questo mosaico occupava un portico a forma di L che dava sulla corte interna di una casa privata; altri pavimenti avevano soggetti dionisiaci e soggetti di caccia col falco e di caccia alle belve.

Formato da pannelli inquadrati in un ricco bordo a motivi vegetali animati, di tradizione siriaca, ancora classica, ogni residuo di forma antica si è perduto nelle figure, ma ancora non è penetrata la nuova forma stilistica bizantina. Circo­lano ancora modelli di carattere rustico facenti parte di un nuovo comune linguaggio artigiano lungo le coste del Mediterraneo.




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