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Il dopoguerra in Italia

varie




Tesina multidisciplinare

Per I.T.C.


Il dopoguerra in Italia











&       Il secondo dopoguerra


&       Cesare Pavese 


&       Trummerliteratur und Heinrich Boll 


&       La Costituzione Italiana 


&       La revisione del Titolo V della Costituzione  


&       L'IRAP e L'ICI   

















Il dopoguerra in Italia


Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l'Italia era totalmente sconvolta nella sua economia e nelle sue strutture politiche e amministrative. Le maggiori distruzioni avevano colpito le città, specie quelle che erano state obiettivo di gravi bombardamenti, come Torino, Milano, Genova, Bologna, Cagliari, Foggia. Le ferrovie erano per lunghissimi tratti danneggiate: circa il 65% dei locomotori e dei vagoni era andato distrutto o era stato trasportato in Germania insieme agli impianti di talune importanti industrie. Il tonnellaggio della marina mercantile era disceso a 600 mila tonnellate dai 3.300 milioni dell'anteguerra. I porti erano ridotti ad un cumulo di macerie e la rete stradale pressoché impraticabile. A sua volta l'agricoltura mancava di concimi, di macchine e di opere di irrigazione, ma soprattutto risentiva delle massicce requisizioni di prodotti e bestiame operati dai Tedeschi, specie negli ultimi anni di guerra, mentre una tremenda inflazione, dovuta ad una sconsiderata emissione di biglietti bancari (le cosiddette amlire dall'inglese <<allied military lira>>) stampati negli Stati Uniti e messi in circolazione da parte delle forze alleate oltre ogni tollerabile rapporto con le riserve auree dello Stato, faceva continuamente lievitare i prezzi, portando alla miseria la quasi totalità della nazione. Il problema della ricostruzione e della ripresa economica era dunque di un'estrema gravità: su di esso, pertanto - oltre che su quello della rinascita democratica e civile, altrettanto difficile dopo un ventennio di dittatura - si concentrarono gli sforzi dei primi governi del dopoguerra.

Un primo concreto aiuti, fatto di generi alimentari e materie prime, venne dagli Stati Uniti che tra il 1943 e il 1945 grazie all'Organizzazione per il Soccorso e la Ricostruzione delle Nazioni Unite (UNRRA) e poi tra il 1945 e il 1952 grazie al Piano Marshall dirottarono verso l'Italia consistenti quantità di denaro e di merci di ogni genere. Contemporaneamente però agli sforzi compiuti per la rinascita economica si verificava nell'Italia dell'immediato dopoguerra anche un vivace risveglio politico, avviato in un primo momento dal governo di unità nazionale o dei <sei partiti>> e poi dal governo Bonomi, istituito subito dopo l'entrata degli alleati a Roma.

Il governo Bonomi, che pure era riuscito a rendere meno pesante e sospettosa e pertanto più accettabile l'occupazione alleata, si trovò paralizzato da grandi dissidi interni riguardanti soprattutto due questioni: l'epurazione dai pubblici uffici del personale compromesso col fascismo e la funzione da attribuire ai CLN locali.

Di assai difficile soluzione si presentava il primo problema. Dopo un duro e serrato dibattito esso venne comunque affrontato sulla base di metodi e criteri ispirati a moderazione, secondo l'impostazione di democristiani e liberali e in contrasto con quella dei partiti di sinistra, favorevoli ad un'epurazione drastica e totale.

Anche sull'altra questione i due schieramenti si trovarono su posizioni contrapposte. Infatti, mentre i liberali e i democristiani tendevano a ridimensionare il ruolo dei CLN e puntavano ad un ritorno alla normalità politica e amministrativa, le sinistre miravano a trasformare i CLN in organi di controllo diretto di tutte le attività politiche e sociali, nell'intento di attuare così una partecipazione più attiva delle masse popolari alla gestione della cosa pubblica. A tale esigenza si cercò comunque di dare una sia pur diretta risposta, affiancando al secondo governo Bonomi - in carica tra il dicembre 1944 e il giugno 1945 - una Consulta nazionale di 440 membri, nominata su designazione del CLN e chiamata a collaborare sui grossi problemi di carattere istituzionale sino alla convocazione di un Parlamento democraticamente eletto.


Al secondo ministero Bonomi succedette il primo governo espresso dal CLN. Lo presiedette Ferruccio Parri, uno dei capi della Resistenza ed esponente del Partito d'azione. Vicepresidenti furono Manlio Brosio, liberale, e Pietro Nenni che assunse anche il ministero per la Costituente, dal 17 agosto.

Nel settembre del 1945 si insediò a Roma una Consulta nazionale, assemblea politica di 450 designati dai partiti e dai sindacati. Come embrione del futuro parlamento democratico, essa aveva il compito di esprimere pareri su questioni di ordine generale e di preparare la Costituente.

Governo di unità nazionale e insieme fortemente caratterizzato come espressione della lotta di liberazione, il ministero Parri durò fino alla fine del 1945.La sua crisi fu determinata da un'opposizione di destra assunta dai ministri liberali.


Monarchia o Repubblica?


Il 10 dicembre 1945 si formò un nuovo governo sotto la presidenza di Alcide De Gasperi, sulla base di un accordo raggiunto essenzialmente dai tre cosiddetti " partiti di massa ", mentre gli alleati affidavano definitivamente all'amministrazione italiana le regioni del Nord.

Si fissò la data delle prime elezioni generali per il 2 giugno 1946. Esse si sarebbero svolte contemporaneamente al referendum popolare sulla forma istituzionale dello stato. Furono mesi di intensa battaglia politica, sia sul tema della scelta tra repubblica (propugnata decisamente da PCI, PSIUP, Partito d'azione, oltre, naturalmente, al PRI) e la monarchia per le cui sorti si attuò una forte mobilitazione da parte di circoli e gruppi politici liberali e conservatori, mentre la Democrazia cristiana, pur pronunciandosi in talune assise per la soluzione repubblicana, restò sostanzialmente in una posizione agnostica. Per la prima volta nella storia d'Italia avrebbero votato anche le donne. Il 10 maggio 1945 il re Vittorio Emanuele III, seguendo il consiglio di amici della monarchia, abdicò in favore del figlio Umberto, che prese il nome di Umberto II.




I risultati del referendum recarono 12.717.923 voti alla repubblica e 10.719.284 alla monarchia (il 54% contro il 46%). La vittoria repubblicana fu assicurata dall'apporto massiccio di voti favorevoli delle regioni settentrionali e centrali mentre il Sud votò in prevalenza per il re.

La Corte suprema di Cassazione proclamò i risultati del referendum il 10 giugno (e successivamente, il 16 emise il verdetto conclusivo).


PROCLAMA di UMBERTO (testo integrale) (Ag. Ansa, ore 22.30)

13 GIUGNO ORE 22.30 - "Roma - Ecco il testo del proclama lanciato da Umberto II

agli italiani prima di partire: --- "Italiani! Nell'assumere la Luogotenenza generale del Regno prima, e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello stato. Eguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte di cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.

Di fronte alla comunicazione di dati provvisori o parziali fatta dalla Corte di cassazione; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta nel modo di calcolare la maggioranza, io ancor ieri ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.

Improvvisamente, questa notte, in spregio alle leggi ed al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con atto unilaterale ed arbitrario poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire violenza.

Confido che la magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono uno delle glorie d'Italia, potrà dire la sua libera parola; ma non volendo opporre la forza al sopruso, nè rendermi complice della illegalità che il governo ha commesso, io lascio il suolo del mio paese, nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come italiano e come re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta: protesta nel nome della corona e di tutto il popolo, entro e fuori i confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto. A tutti color che ancora conservano la fedeltà alla monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all'ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l'esortazione a voler evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e p 515h71f otrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Con l'animo sereno colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia Patria. Si considerano sciolti dal giuramento di fedeltà al re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove.

Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d'Italia e il mio saluto a tutti gli italiani. Qualunque sorte attenda il nostro paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli. Viva l'Italia!"


L'Assemblea Costituente


In base ai risultati del referendum, già il 13 giugno Umberto II di Savoia lasciava il suolo italiano e De Gasperi assumeva le funzioni di capo dello stato, finché, riunitasi la Costituente il 28, non veniva eletto, al primo scrutinio e a grande maggioranza Enrico De Nicola. Anch'egli assumeva, mancando ancora una costituzione, la figura di capo provvisorio dello stato. Le elezioni per l'Assemblea costituente sanzionarono la supremazia dei tre grandi partiti, situantisi nella topografia parlamentare tra il centro e l'estrema sinistra : la DC, il PSIUP e il PCI. Su quasi 23 milioni di votanti la DC ottenne 8.080.644 voti (e207 seggi), il PSIUP 4.758.129 voti (115 seggi) e il PCI 4.356.686 voti (104 seggi).

Sulla destra, la maggiore affermazione l'ottenne una lista di ispirazione liberale (l'Unione democratica nazionale) affiancata sulla sua estrema da un'altra lista espressa dal settimanale " L'uomo qualunque " (UQ) fondato dal commediografo Guglielmo Giannini, che univa una polemica esplicita nei confronti dell'ordinamento antifascista a una generica protesta contro la " partitocrazia ": motivi che passeranno nel gergo politico, appunto, come " qualunquisti " .

Dopo le elezioni il nuovo governo, formatosi sotto la presidenza di De Gasperi e con la partecipazione di Nenni, Macrelli, manteneva la coalizione " tripartita ". La democrazia cristiana si era ormai rivelata il partito di maggioranza relativa. Erede del vecchio Partito Popolare di don Sturzo, la DC, si dichiarava partito interclassista, aperto alle riforme sociali e politiche, ma si proclamava anche avversa a ogni sovversivismo con un'accentuazione anticomunista che si intensificò con l'andar del tempo.

Il concorso politico oltrechè sindacale di queste tre forze diede il suo maggiore risultato storico nell'elaborazione della costituzione della repubblica. I lavori della Costituente (giugno 1946 - gennaio 1948) culminarono nell'approvazione definitiva, a grandissima maggioranza, della carta costituzionale, promulgata da De Nicola il 27 -12 - 1947. Eguaglianza dei cittadini, pieno sviluppo della persona umana, condanna della guerra, promozione delle autonomie locali, funzione sociale della proprietà, diritto al lavoro e diritto di sciopero, autonomia della magistratura, furono tra i principi basilari della costituzione, la quale al suo art. 7 (votato anche dai comunisti, con l'opposizione dei socialisti e di alcuni liberali) inseriva nel nuovo ordinamento costituzionale i Patti Lateranensi (1929) e l'esilio dei Savoia.


I SAVOIA

8 MARZO 1947 - IL DIVIETO DI SOGGIORNO AI SAVOIA - " Roma - Ecco il testo del decreto approvato dal Consiglio dei ministri nella sua ultima riunione con cui, in conseguenza del cambiamento istituzionale, si è ritenuto necessario stabilire il divieto di soggiorno nel territorio dello stato per i Savoia.


Art. 1 - E' vietato il soggiorno nel territorio dello stato agli ex re Vittorio Emanuele e Umberto di Savoia ed ai loro discendenti maschi.

Art.2 - In caso di trasgressione alle norme dell'articolo precedente si applicano le disposizioni della legge di Pubblica sicurezza concernenti gli stranieri espulsi dal territorio dello stato.

Art. 3 - Sino a quando non sarà provveduto in modo definitivo in ordine ai beni degli ex re Vittorio Emanuele, Umberto di Savoia e dei loro discendenti maschi, è nullo qualsiasi atto che abbia per effetto il trasferimento dei beni predetti esistenti sul territorio dello stato, ovvero la costituzione di diritti reali sui beni stessi" (Ag. Ansa, 8 marzo 1947, ore 12.00)



La Costituzione indicava anche una prospettiva di riforme sociali da attuarsi gradualmente. Essa configurava in sostanza uno stato democratico fondato sul lavoro, a struttura parlamentare bicamerale. Era sancita anche l'elezione a camere riunite di un presidente della repubblica in carica per un periodo di sette anni. E si promuoveva la regione, un istituto che tuttavia, a lungo disatteso, venne per il momento limitato alle regioni a statuto speciale: la Valle d'Aosta, il Trentino - Alto Adige, il Friuli - Venezia Giulia, la Sicilia e la Sardegna (per l'istituzione delle regioni a statuto ordinario si sarebbe dovuto attendere fino al 1970). Veniva anche contemplato il referendum popolare.

Nonostante la collaborazione sul terreno costituzionale e programmatico la lotta politica si fece particolarmente aspra tra il 1947 e il 1948, provocando la rottura tra la DC e i due partiti di sinistra e la scissione nel campo dei sindacati dei lavoratori, mentre gli imprenditori si univano saldamente nella Confederazione generale dell'industria e in quella dell'agricoltura.





Nel frattempo la Costituente, sotto la presidenza del socialista Giuseppe Saragat e poi del comunista Terracini, era riuscita a portare a termine la stesura della Costituzione repubblicana entrata in vigore il 1°gennaio 1948 dopo essere stata approvata con 453 voti favorevoli e 62 contrari. Alla conclusione dei lavori l'Assemblea costituente si sciolse e per l'aprile dello stesso anno furono indette le prime elezioni generali politiche destinate a dare vita alla giovane repubblica la prima Camera dei Deputati e il primo Senato della Storia.




Uno dei maggiori autori del panorama letterario italiano, deluso dalle vicende politiche in atto, e che, in linea con la fase neorealista in corso dipinge nelle sue opere un ritratto della Resistenza, del dopoguerra e dell'avvio dell'Italia verso la Repubblica fu:

Cesare Pavese


1.La vita

Nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe cuneesi, dove la famiglia, ormai residente a Torino, si recava a trascorrere le vacanze. Ultimo di cinque figli, a soli otto anni aveva perso il padre. La sua educazione resta così interamente affidata alla madre, una donna energica e severa, che non riesce a far vincere al figlio, timido e introverso, le incertezze e le paure nei confronti della vita. Questa difficile situazione familiare è certo una delle ragioni che possono spiegare la fragilità psicologica dello scrittore, le difficoltà incontrate per imparare quello che egli stesso definirà "il mestiere di vivere". Frequenta le scuole medie in un istituto della ricca borghesia e vi si trova a disagio, per i suoi modi impacciati, di cui egli stesso accentua spesso il carattere provinciale. Dopo il ginnasio, Pavese frequenta il liceo D'Azeglio, dove ha come insegnante di italiano e latino il narratore e saggista Augusto Monti. Attorno a questa straordinaria figura di insegnante, si era venuto formando un gruppo di giovani intellettuali, uniti da una comunanza di interessi culturali e da un atteggiamento di avversione nei confronti del fascismo. È uno dei periodi più intensi e attivi della vita di Pavese, che si iscrive nel 1927 alla facoltà di lettere, dove si laureerà nel 1932 discutendo una tesi intitolata Interpretazione di Walt Whitman poeta. La scelta non era casuale ma rientrava in un più generale interesse per la letteratura degli Stati Uniti, la cui scoperta alimentò un vero e proprio "mito dell'America", come terra dell'individualismo e della libertà. Ricordiamo inoltre che nel 1932 esce la magistrale traduzione di Moby Dick di Melville.

Anche se, a differenza di molti suoi amici, non si occupa di politica, non riesce a evitare lo scontro con la brutale realtà del regime poliziesco. Durante una nuova persecuzione, nel maggio del 1935, viene trovato in possesso di alcune lettere compromettenti, che avrebbe dovuto recapitare ad un'altra persona. Al processo viene condannato a tre anni di confino, da scontarsi a Brancaleone Calabro, un piccolo paese sulla costa ionica. Da questa esperienza nascerà il racconto lungo Il carcere, inizia anche a tenere un diario, pubblicato postumo nel 1952 con il titolo voluto dall'autore Il mestiere di vivere. Rientrato a Torino nel 1936, dopo aver ottenuto una riduzione di pena, viene a sapere che la donna alla quale si sentiva sentimentalmente legato si era sposata. Questa esperienza colpirà profondamente Pavese che assumerà per certi versi i tratti del misogino vendicandosi così sulle donne dei suoi romanzi per la delusione subita alla quale si accompagna l'insuccesso della raccolta di poesie Lavorare stanca, uscita nel 1936 presso le edizioni "Solaria". Compone poi i primi "romanzi brevi": Il carcere (1938-1939), Paesi tuoi (1939), La bella estate (1940) e La spiaggia (1940-1941). Quando ci fu l'armistizio, l'8 settembre 1943, Pavese era a Roma per organizzare l'apertura di una sede dell'Einaudi. Al suo rientro a Torino non trovò più gli amici, che si erano dispersi per combattere la guerra partigiana. Pavese non ebbe la forza di seguirne l'esempio e, per sottrarsi ai bombardamenti, si rifugiò nel Monferrato. In questo isolamento Pavese attraversò un periodo di profonda crisi, che lo indusse ad assidue riflessioni sul significato del mito, della religione e dei valori della cultura classica, nel difficile sforzo di esorcizzare le paure, i sensi di colpa personali, la crudeltà della storia. Nel dopoguerra, quasi per compiere un gesto di riparazione, partecipando all'atmosfera di rinnovamento politico e sociale, si iscrive al Partito Comunista. Ad aggravare la situazione interviene un'ulteriore delusione sentimentale, né riesce ad essergli di conforto il suo successo di narratore, raggiunto con la pubblicazione di numerose opere: i racconti di Feria d'agosto (1946); Il compagno (1947); i Dialoghi di Leucò (1947) ispirati ai miti del mondo classico; Prima che il gallo canti (1949) che riunisce Il carcere (1938-1939) e La casa in collina (1947-1948); La luna e i falò (1950) composto in pochi mesi l'anno precedente, che si può considerare come un bilancio conclusivo della sua opera di scrittore.

Tutta la vita di Pavese si risolve in una tormentosa analisi di se stesso e dei rapporti con gli altri. Il senso di questo scavo interiore, che alla fine lo porta al suicidio in una stanza d'albergo a Torino il 27 agosto 1950 per effetto di una dose eccessiva di sonnifero, è seguito con ostinata tensione analitica nel suo diario, intitolato Il mestiere di vivere, terminato poco prima della morte con le famose parole:

"Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più"



2.La poesia: mito, poetica e stile

Pavese dichiara, nello scritto Il mestiere di poeta, di aver concepito ogni poesia come un racconto, "chiaro e pacato", dal momento che sentiva "di avere molto da dire e di non doversi fermare a una ragione musicale dei suoi versi, ma soddisfarne altresì una logica". Di qui il tentativo di costruire un particolare tipo di "poesia racconto", che rifiutando ogni chiusura all'interno dell'io, si apra verso l'esterno, stabilendo un più ampio rapporto di comunicazione con i lettori. L'impianto narrativo di questa poesia si basa sul "verso lungo", superiore come misura all'endecasillabo, che, richiamandosi addirittura alle forma epiche della letteratura delle origini, si sforza di collegare l'autonomia del soggetto poetante alla realtà delle cose, attribuendo alle immagini - racconto una peculiare e tangibile consistenza.

Il mito assume un'importanza centrale nella poetica pavesiana. Con tale teoria Pavese fissa e definisce le sue originarie intuizioni dell'infanzia e del paesaggio ad essa legato. L'infanzia appare come il momento privilegiato, in cui il mito viene vissuto spontaneamente e inconsapevolmente. Non solo, ma il mondo infantile è decisivo per lo sviluppo dell'individuo, in quanto lo determina. Di qui l'importanza che avranno per Pavese i concetti del "rustico", del "primitivo", del "selvaggio", proiettati nella regione delle Langhe, che si popolano di figure animalesche e ferine (fondamentale, in questo senso, è stato l'influsso di Giambattista Vico, che nella Scienza Nuova, del 1725, aveva paragonato la fanciullezza all'età della "barbarie eroica", in cui si formano i miti dell'umanità e le creazioni della fantasia poetica). La collina (la Langa) diventa così, per definizione il luogo mitico, comune, unico.

Inoltre a Pavese non interessa rappresentare la realtà esterna e oggettiva delle cose, ma i sensi molteplici e polivalenti di una "realtà segreta, che affiora". Il significato ultimo delle sue opere andrà quindi cercato al di sotto e al di là delle apparenze esteriori, nella trama di relazioni e di corrispondenze che fra queste si stabiliscono. Per definire il punto d'arrivo della sua ricerca narrativa, Pavese ha usato l'espressione di "realtà simbolica". In questa trama di corrispondenze, che strutturano in profondità il tessuto narrativo, consiste la particolare qualità del linguaggio metaforico di Pavese. La metafora, costruita su questi rapporti singoli, si limita d offrire un'immagine isolata della realtà che l'autore intende comunicare.

Sul piano del linguaggio e delle strutture formali, Pavese rifiuta le costruzioni elaborate e complesse, utilizzando modi e forme tendenzialmente vicine all'elementarità del discorso parlato con cadenze dialettali, spezzature del periodo, anacoluti, uso della paratassi.



3.Temi e motivi

Sin dall'esordio con Lavorare stanca cominciano a delinearsi le coppie opposizionali su cui Pavese strutturerà gran parte dell'opera successiva: campagna e città, collegate da una serie di passaggi e gradazioni intermedie (la collina torinese, il fiume, la periferia...); ozio e lavoro, insieme con le varianti evasione e impegno, individualismo e socialità; infanzia e maturità (la prima intesa come momento magico e privilegiato di una scoperta dei sensi e delle cose, la seconda come aspirazione a un difficile equilibrio interiore o, più spesso, come rimpianto dell'innocenza perduta, segno della colpa e del fallimento); uomo e donna, visti per lo più come antagonisti, nemici, in un contrasto che ha anch'esso evidenti motivazioni autobiografiche. Se la città rappresenta il luogo dell'autenticità e della solitudine, la campagna, al contrario, e la collina in particolare sembrano promettere una pienezza di manifestazioni vitali, diventando la sede dei valori perduti sotto l'incalzare di una opprimente civiltà industriale. L'immagine delle colline e delle Langhe ritorna, nella poesia di Pavese con una monotona e insistita evidenza, risolvendosi in una costante tematica che supera, per questa sua ossessiva presenza, il realismo pittorico- descrittivo e il naturalismo narrativo. L'antitesi campagna - città considerata come schema fondamentale, resta la più idonea per inquadrare il dissidio e la dissociazione psicologica dello scrittore. Il punto d'arrivo è sin d'ora costituito da una sofferta solitudine che assume accenti più acuti nelle poesie scritte durante il confino, tra cui si ricordi in particolare Lo steddazzu - la stella del mattino, nel dialetto calabrese, - in cui il rapporto fra l'uomo solo e il mare sottolinea l'incomunicabilità e l'inutilità della vita.


Cesare Pavese

Lo steddazzu

[lavorare stanca


L'uomo solo si leva che il mare è ancora buio

e le stelle vacillano. Un tepore di fiato

sale su dalla riva, dov'è il letto del mare,

e addolcisce il respiro. Quest'è l'ora in cui nulla

può accadere. Perfino la pipa tra i denti

pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo.

L'uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami

e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare

tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.


Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno

in cui nulla accadrà. Non c'è cosa più amara

che l'inutilità. Pende stanca nel cielo

una stella verdognola, sorpresa dall'alba.

Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco

a cui l'uomo, per fare qualcosa, si scalda;

dov'è un letto di neve. La lentezza dell'ora

è spietata, per chi non aspetta più nulla.


Val la pena che il sole si levi dal mare

e la lunga giornata cominci? Domani

tornerà l'alba tiepida con la diafana luce

e sarà come ieri e mai nulla accadrà.

L'uomo solo vorrebbe soltanto dormire.

Quando l'ultima stella si spegne nel cielo

l'uomo adagio prepara la pipa e l'accende.



4.Rassegna delle opere


q Paesi tuoi. Berto, operaio torinese, è dimesso dal carcere con il compagno di cella Talino, un contadino condannato per aver dato fuoco ad una casa. Personaggio insieme goffo e astuto, questi lo induce a seguirlo in campagna, con l'incarico di occuparsi della trebbiatrice durante la mietitura, ma in realtà perché ha paura e vuole essere protetto, temendo delle rappresaglie. Berto entra così in una realtà quasi primitiva e selvaggia, che gli è del tutto sconosciuta. Stabilitosi anch'egli nella cascina, ha modo di seguire con curiosa attenzione il comportamento dell'intera famiglia, composta dal vecchio padre Vinverra, dalla madre e dalle quattro sorelle di Talino. Si adegua alle loro consuetudini di vita e comincia a frequentare la più giovane delle ragazze, Gisella, fino a scoprire, più tardi, che il fratello l'aveva in precedenza violentata. Si definiscono per così dire, gli elementi di un "triangolo", morbosamente collegati da questa situazione incestuosa. Ma nulla, nonostante la forte tensione latente, succede. La tragedia giunge improvvisa e inattesa durante i lavori della mietitura, quando Gisella, recatasi ad attingere acqua porge il secchio a Berto perché si disseti. A questo punto si intromette Talino, che, eccitato dalla gelosia, dal caldo e dalla fatica, provoca la sorella e le conficca poi il tridente nel collo. Dopo essersi nascosto nel fienile, riesce a fuggire, ma tornerà a casa il giorno dopo per costituirsi. Frattanto, mentre Gisella è ancora agonizzante, Vinverra dà odine di riprendere i lavori.



Questo è il passo della tragica vicenda:


Cesare Pavese

La morte di Gisella

[Paesi tuoi


Tornato Vinverra, cominciano a scaricare. Il grassone aveva disfatto le corde che tenevano fermi i covoni, poi s'erano messi col tridente lui e Talino, sopra il carro, e piantavano delle forcate là dentro, come due facchini. Sotto, Ernesto e le ragazze prendevano in spalla i covoni e li gettavano sotto il portico.

Su e giù, su e giù, - gridava quello grasso, in mezzo alla polvere e la sole, - domani ballate per l'ultima volta.

A vedere Ernesto che s'era tolto la giacca e faceva il contadino, e la schiena piegata di quelle ragazze, e l'Adele che dalla finestra della sua stanza guardava e pareva che ridesse, mi viene vergogna e do mano a un tridente per aiutare anch'io. - Forza - grida Talino, - si mette anche il macchinista -.Parlava sghignazzando, il sudore e le vene del collo lo eccitavano. I covoni pesavano e Talino me li gettava sulla testa come fossero dei cuscini. Ma tenevo duro, dopo cinque o sei viaggi vedevo solo come un incendio e avevo in bocca un sapore di grano, di polvere e sangue. E sudavo. Poi mi fermo, arrivando sotto il portico. Quelle erano le gambe di Gisella. Il covone mi bruciava il collo come un disinfettante. E sento Talino che dice. - Gisella è venuta a vederti, forza!- Getto il covone sul mucchio e la vedo che passa ridendo col secchio, fresca ed arrabbiata. Mi asciugo il sudore, e Gisella era già contro il pozzo, che agganciava. Tanto io che Ernesto le lasciamo tirare su l'acqua, e poi corriamo a bere. - Uno per volta, - diceva Gisella, e gli altri si fermano lassù coi tridenti piantati.

Quando abbiamo finito, porta qui la bottiglia, - dice Vinverra traversando il portico. Mi ricordo che Gisella guardava dritto nel grano mentre bevevo. Guardava tenendomi il secchio a mani giunte, con fatica, come aveva fatto per Ernesto ma lui lo guardava, e con me stava invece come se godesse facendosi baciare. Quando ci penso, mi sembra così. O magari era soltanto lo sforzo, e il capriccio di avercene due intorno che bevevano. Non gliel'ho più potuto chiedere.

Ecco che saltano dal carro Talino e Gallea. Vengono avanti come due ubriachi, Talino il primo, con le paglie in testa e il tridente nel pugno.

Là si lavora e qui si veglia, - fa con la voce di suo padre.

C'è chi veglia di notte e chi veglia di giorno, - gli risponde Gisella. Ma lui dice: - Fa' bere, - e si butta sul secchio e ci ficca la faccia. Gisella glielo strappa indietro e gli grida: - No, così sporchi l'acqua -.Dietro vedo la faccia sudata dell'altro - Talino, - fa Ernesto, - non attaccarti alle donne.

Forse Gisella cedeva; forse in tre potevamo ancora fermarlo; queste cose si pensano dopo. Talino aveva fatto due occhi da bestia e, dando indietro un salto, le aveva piantato il tridente nel collo. Sento un grosso respiro di tutti; Miliota dal cortile che grida <<Aspettatemi>>, e poi Gisella lascia andare il secchio che m'inonda le scarpe. Credevo fosse il sangue e faccio un salto e anche Talino fa un salto, e sentiamo Gisella che gorgoglia. - Madonna! - e tossisce e le cade il tridente dal collo.

Mi ricordo che tutto il sudore mi era gelato addosso e che anch'io mi tenevo la mano sul collo, e che Ernesto l'aveva già presa alla vita e Gisella pendeva, tutta sporca di sangue, e Talino era sparito. Vinverra diceva <<d'un cristo, d'un cristo>> e corre addosso ai due e nel trambusto la lasciano andar giù come un sacco, a testa prima nel fango. - Non è niente, - diceva Vinverra, - è una goffa, alzati su -. Ma Gisella tossiva e vomitava sangue, e quel fango era nero. Allora la prendiamo, io per le gambe, e la portiamo contro il grano e non potevo guardarle la faccia che pendeva, e la gola saltava perdendo di continuo. Non si vedeva più la ferita.

Poi arrivano le sorelle, arrivano i bambini e la vecchia, e cominciano a gridare, e Vinverra ci dice di stare indietro, di lasciar fare alle donne perché bisogna levarle la camicetta. - Ma qui ci vuole un medico, - dico - non vedete che soffoca? Anche Ernesto si mette a gridare e per poco col vecchio non si battono. Finalmente parte Nando e gli grido dietro di fare presto, e Nando corre corre come un matto.

Altro che medico, - dice Gallea che ci guardava dal pilastro - ci vuole il prete.

E Talino? - fa Ernesto, con gli occhi fuori.

In quel momento l'Adele tornava col catino correndo e si fa largo e s'inginocchia. Mi sporgo anch'io e sento piangere e vedo la vecchia che le tiene la testa, e Miliota che piange e l'Adele le tira uno schiaffo. Gisella era come morta, le avevano strappata la camicetta, le mammelle scoperte, dove non era insanguinata era nuda. Poi la vecchia ci grida di non guardare. Mi sento prendere il braccio. - Dov'è Talino? - chiede ancora Ernesto.

Si fa avanti Galle. - E' scappato sul fienile, - ci dice tutto scuro, - gli ho levata la scala. Ernesto voleva salire. Gallea lo tiene e lo tengo anch'io. Batto i piedi in un manico. Era il tridente, tutto sporco sul manico ma non sulle punte. - Teniamo questo, - gli dico, - senz'arma Talino è un vigliacco. Poi sentiamo di nuovo tossire. Meno male, era viva. Il fango dov'era caduta col secchio faceva spavento, così nero; e la strada fino al grano era sempre più rossa, più fresca. Vinverra ricomincia a bestemmiare coi bambini, e si guardava intorno: cercava Talino. Si alza l'Adele e dice a Pina: - Tu va' avanti -. Poi chiamano Ernesto che venga ad aiutare. Io no, perché ero nuovo, e da quel momento mi cessò il sopraffiato e cominciarono a tremarmi i denti. La prendono Ernesto e Vinverra; e Miliota le teneva per un braccio. La vecchia mandava via i bambini. Attraversano adagio il cortile, e avevano coperto le mammelle, entrarono in cucina. Le vedo l'ultima volta i capelli che pendevano e una gamba scoperta. Poi la portano su.



q       La casa in collina. Durante la guerra Corrado, insegnante di suola media, si è rifugiato sulla collina torinese, per sfuggire ai bombardamenti. Qui vive presso una famiglia composta da due donne che lo proteggono con le loro assidue premure. Una specie d'ansia interiore tuttavia, lo spingere a conoscere altre persone che si riuniscono in una vecchia osteria. Presso costoro, che discutono di politica e di opposizione al fascismo, ritrova Cate, la donna che aveva amato un tempo e che aveva poi abbandonato. L'incontro pone la protagonista una serie di inquietanti interrogativi. In primo luogo Corrado avverte la necessità di un impegno e una partecipazione politica, alla quale non sa tuttavia risolversi. Il problema della famiglia inoltre, come dovere morale e sociale, viene avvertito adesso con urgente immediatezza, dal momento che Cate ha un figlio, Dino, del quale Corrado sospetta di essere padre. I mesi che seguono l'armistizio dell'8 settembre 1943, trascorrono in un situazione di calma angoscioso e di paura. Un mattino, alla fine, l'osteria è perquisita dai Tedeschi; Cate e gli amici vengono catturati. Corrado, che osserva nascosto lo svolgersi di questi avvenimenti, teme di essere anch'egli compromesso e decide di allontanarsi dalla città. Inizia la fuga del protagonista, più tardi raggiunto da Dino. Si ripropone così il rapporto essenziale fra questi due personaggi, che prelude tuttavia la loro definitiva separazione: mentre Dino si allontana per combattere con i partigiani, Corrado, ormai solo, decide di tornare al paese d'origine, nelle Langhe. Ma il ritorno alla casa natale, dopo aver incontrato ovunque immagini di desolazione e morte, non muta la precarietà della sua condizione esistenziale.





Di seguito, il capitolo conclusivo del romanzo.


Cesare Pavese

<<Ogni guerra è una cuerra civile>>

[La casa in collina


Abbiamo avuto dei morti anche qui. [..]

Ora si vanno diradando. Quest'è davvvero la vita dei boschi come si sogna da ragazzi. E a volte penso soltanto che l'incoscienza dei ragazzi, un'autentica, non mentita incoscienza, può consentire di vedere quel che succede e non picchiarsi il petto. Del resto gli eroi di queste valli sono tutti ragazzi, hanno lo sguardo diritto e cocciuto dei ragazzi. E se non fosse che la guerra ce la siamo covata nel cuore noialtri - noi non più giovani, noi che abbiamo detto <<Venga dunque se deve venire>> - anche la guerra, questa guerra, sembrerebbe una cosa pulita. Del resto, chi sa. Questa guerra ci brucia le case. Ci semina di morti fucilati piazze e strade. Ci caccia come lepri di rifugio in rifugio. Finirà per costringerci a combattere anche noi, per strapparci un consenso attivo. E verrà il giorno che nessuno sarà fuori della guerra - né i vigliacchi, né i tristi, né i soli. Da quando vivo qui con i miei, ci penso spesso. Tutti avremo accettato di far la guerra. E allora forse avremo la pace. [..]

Se passeggio nei boschi, se a ogni sospetto di rastrellatori mi rifugio nelle forre, se a volte discuto coi partigiani di passaggio (anche Giorgi c'è stato, coi suoi: drizzava il capo e mi diceva:<<Avremo tempo le sere di neve a riparlarne>>), non è che non veda come la guerra non è un gioco, questa guerra, che è giunta fin qui, che prende alla gola anche il nostro passato. Non so se Cate, Fonso, Dino, e tutti gli altri, torneranno. Certe volte lo spero, e mi fa paura. Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce - si tocca con gli occhi - che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione. [..]

Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.



q       La luna e i falò Il narratore, un trovatello cresciuto in un paese delle Langhe e soprannominato anguilla, ritorna nei luoghi d'origine a distanza di anni, dopo essere emigrato e aver fatto fortuna in America. Riaffiorano così nella memoria, gli anni dell'infanzia e della giovinezza, dopo che era stato accolto ed allevato da una povera famiglia, nel "casotto" sulla colina della Gaminella. Ma le persone da lui conosciute sono scomparse e i luoghi stessi sembrano mutati. È rimasto solo Nuto, il compagno di un tempo, con cui vengono rivissute le vicende del passato, quando Anguilla, passato al servizio di un ricco possidente, il sor Matteo, si recava alle feste dei paesi vicini, dove Nuto suonava il clarino. La presenza dell'amico, più vecchio e posato, si era rivelata decisiva: Nuto gli aveva insegnato "molte cose", dandogli il suo sostegno e aprendogli gli occhi di fronte alle dure realtà della vita. Adesso Nuto ha anche il compito di colmare il vuoto degli anni in cui il protagonista è rimasto lontano. Egli viene così informato delle sventure che hanno colpito le figlie del sor Matteo, in particolare la più giovane, Santa, che è stata uccisa dai partigiani. Ma neppure il dopoguerra ha portato la pace: il rinvenimento di alcuni cadaveri, che ispira a Nuto sentimenti di pietà, offre l'occasione per rinfocolare gli odi e le divisioni di parte. Nel frattempo il protagonista ha conosciuto Cinto, un povero ragazzo sciancato, che abita adesso nel casotto della Gaminella ed è costretto a subire i maltrattamenti del padre, il Valino. Questi, vittima della miseria e colpito da un'improvvisa crisi di follia, dà fuoco all'abitazione, solo Cinto riesce a salvarsi, assistendo nascosto alla scena, pronto a difendersi con il coltello che gli ha regalato lo stesso protagonista, al qual non rimane altro da fare che abbandonare il paese dopo aver affidato a Nuto l'avvenire di Cinto. Il proposito di sistemarsi definitivamente nella terra d'origine è dolorosamente fallito.


Cesare Pavese

Il falò della Gaminella

[La luna e i falò


Qualcuno correva sullo stradone nella polvere, sembrava un cane. Vidi ch'era un ragazzo: zoppicava e ci correva incontro. Mentre capivo ch'era Cinto, fu tra noi, mi si buttò tra le gambe e mugolava come un cane.

Cosa c'è?

Lì per lì non gli credemmo. Diceva che suo padre aveva bruciato la casa. - Proprio lui, figurarsi, - disse Nuto.

Ha bruciato la casa, - ripeteva Cinto. - voleva ammazzarmi.Si è impiccato. ha bruciato la casa.

Avranno rovesciato la lampada, - dissi.

No, no, - gridò Cinto, - ha ammazzato Rosina e la nonna. Voleva ammazzarmi ma non l'ho lasciato.Poi ha dato fuoco alla paglia e mi cercava ancora, ma io avevo il coltello e allora si è impiccato nella vigna.

Cinto ansava, mugolava, era tutto nero e graffiato. [..] C'incamminammo tenendolo per mano. La collina di Gaminella non si vede dalla Lea, è nascosta da uno sperone. Ma appena si lascia la strada maestra e si scantona sul versante che strapiomba nel Belbo, un incendio si dovrebbe vederlo tra le piante. Non vedemmo nulla, se non la nebbia della luna. Nuto, senza parlare, diede uno strattone al braccio di Cinto, che incespicò. Andammo avanti, quasi correndo. Sotto le canne si capì che qualcosa era successo. Di lassù si sentiva vociare dar dei colpi come abbattessero un albero, e nel fresco della notte una nuvola di fumo puzzolente scendeva sulla strada. Gente andava e veniva e si parlava, lassù al fico. Già dal sentiero, nella luce della luna, vidi il vuoto dov'era stato il fienile e la stalla, e i muri bucati del casotto. Riflessi rossi morivano a piede del muro, sprigionando una fumata nera. C'era un puzzo di lana, carne e letame bruciato che prendeva alla gola. Mi scappò un coniglio tra i piedi. Nuto, fermo al livello dell'aia, storse la faccia e si portò i pugni sulle tempie. - Quest'odore, - borbottò - quest'odore.

L'incendio era ormai finito, tutti i vicini erano corsi a dar mano; c'era stato un momento, dicevano, che la fiamma rischiarava anche la riva e se ne vedevano i riflessi nell'acqua di Belbo. Niente s'era salvato, nemmeno il letame là dietro. [..]

Tutti dicevano la loro; sedemmo Cinto nel prato e raccontò a bocconi la storia.

Lui non sapeva, era sceso a Belbo. Poi aveva sentito che il cane abbaiava, che suo padre attaccava il manzo. Era venuta la madama della Villa con suo figlio, a dividere i fagioli e le patate. La madama aveva detto che due solchi di patate eran già stati cavati, che bisognava risarcirla, e la Rosina aveva gridato, il Valino bestemmiava, la madama era entrata in casa per far parlare anche la nonna, mentre il figlio sorvegliava i cesti. Poi avevano pesato le patate e i fagioli, s'erano messi d'accordo guardandosi di brutto. Avevano caricato sul carretto e il Valino era andato n paese.

Ma poi la sera quand'era tornato era nero. S'era messo a gridare con Rosina, con la nonna, perché non avevano raccolto prima i fagioli verdi. Diceva che adesso la madama mangiava i fagioli che sarebbero toccati a loro. La vecchia piangeva sul saccone.

Lui Cinto stava sulla porta, pronto a scappare. Allora il Valino s'era tolta la cinghia e aveva cominciato a frustare Rosina. Sembrava che battesse il grano. Rosina s'era buttata contro la tavola e urlava, si teneva le mani sul collo. Poi aveva fatto un grido più forte, era caduta la bottiglia, e Rosina tirandosi i capelli s'era buttata sulla nonna e l'abbracciava. Allora il Valino le aveva dato dei calci - si sentivano i colpi -, dei calci nelle costole, la pestava con le scarpe, Rosina era caduta per terra, e il Valino le aveva dato ancora dei calci nella faccia e nello stomaco.

Rosina era morta, disse il Cinto, era morta e perdeva sangue dalla bocca. - Tirati su, - diceva il padre, - matta -. Ma Rosina era morta, e anche la vecchia adesso stava zitta.

Allora il Valino aveva cercato lui - e lui via. Dalla vigna non si sentiva più nessuno, se non il cane che tirava il filo e correva su e giù. Dopo un poco il Valino s'era messo a chiamare il Cinto. Cinto dice che capiva dalla voce che non era per batterlo, che lo chiamava soltanto. Allora aveva aperto il coltello e si era fatto nel cortile. Il padre sulla porta aspettava, tutto nero. Quando l'aveva visto col coltello, aveva detto " Carogna " e cercato di acchiapparlo. Cinto era di nuovo scappato.

Poi aveva sentito che il padre dava calci dappertutto, che bestemmiava e ce l'aveva col prete. Poi aveva visto la fiamma.

Il padre era uscito fuori con la lampada in mano, senza vetro. Era corso tutt'intorno alla casa. Aveva dato fuoco anche al fienile, alla paglia, aveva sbattuto la lampada contro la finestra. La stanza dove s'erano picchiati era già piena di fuoco. Le donne non uscivano, gli pareva di sentir piangere e chiamare. Adesso tutto il casotto bruciava e Cinto non poteva scendere nel prato perchè il padre l'avrebbe visto come il giorno. Il cane diventava matto, abbaiava e strappava il filo. I conigli scappavano. Il manzo bruciava anche lui nella stalla.

Il Valino era corso nella vigna, cercando lui, con una corda in mano. Cinto, sempre stringendo il coltelo, era scappato nella riva. Lì c'era stato, nascosto, e vedeva in alto contro le foglie il riflesso del fuoco.




In Germania, come in Italia, si venne a delineare, nell'immediato dopoguerra, una nuova fase  letteraria, nota come letteratura delle rovine e che trovò in Heinrich Böll uno dei maggiori esponenti.



LITERATUR DER NACHKRIEGSZEIT

Trummerliteratur



Nach 1945, der sogenannter "Stunde null" gab es in Deutschland die Literatur aus den Ruinen.

Die neue, auf den Trümmern entstehende Literatur, für die Heinrich Böll die Bezeichnung "Trummerliteratur" prägte, hatte die Aufgabe, die Vergangenheit kritisch zu bewältigen und die Erinnerung an den Krieg und dessen tragische Folgen wachzuhalten.

Die Autoren beschreiben in ihren Texten die tragischen Erfahrungen der Soldaten: Hunger, Unverständnis, Überlebenden und Heimkehrer und das schwierige Leben in den zerstörten Städten.

Die Kurzgeschichte ist die neue literarische Gattung.

Die Dichter der Nachkriegszeit haben den Begriff Trümmerliteratur akzeptiert, weil die Menschen, von denen sie sprachen, aus dem Krieg kamen. Nach 1945 waren in Deutschland nur Ruine und die Männer, die Frauen und die Kinder sehr verletzt. Leute mussten wieder von vorne anfangen und die Schriftsteller der Nachkriegszeit identifizierten sich mit deutschem Volk.

Nach Ende des Kriegs gab es keine idyllische Situation, weil Deutsche keineswegs in volligem Frieden lebten; Leute waren total zerstört, Männer, Frauen und Kinder waren gleich verletz. Der Generation, die zwischen 1916 und 1925 in Deutschland geboren wurde, gehörten die Leute, die ihre Jugend in der Nazizeit verbrachten. Diese junge Leute kämpften an der Front oder sie erlebten zu Hause in ständiger Lebensgefahr. Diese Generation war ohne Abschied, die Generation der gestohlenen Jugend, sie befand sich nach Kriegsende vor einer totalen Zerstörung, von Hunger und Trennung und sie wollten alles wieder neu beginnen.

Nach 1945 kamen die Intellektuellen nach Deutschland zurück. Eine der Hauptvertreter der Trümmerliteratur war Heinrich Böll.



H. BÖLL

Er wurde 1917 in Köln geboren und heute können wir sagen, dass er ein zeitgenössischer, antinazister und pazifister Schrifsteller ist.

In seinem Vaterhaus fanden ab 1933 Zusammenkünfte verbotener katholischer Jugendverbände statt. Er legte das Abitur ab und begann Germanistik und klassische Philologie zu studieren.Er desertierte im Jahre 1944 und wurde von Amerikanern und Briten gefangenommen. 1945 kam er nach Köln zurück, wo er sein Studium wieder aufnahm 1949 erschien sein erster Roman Der Zug war pünktlich. Er lebte dann als freier Schriftsteller. Bald setze er sich dem Aufbau einer Wohlstandsgesellschaft entgegen,die die Vergangenheit vertuschen wollte. Als Mitglieder der neugegründeten "Gruppe 47" erhielt er 1951 den gleichnamigen Preis.

Sein Kampf galt allen Erscheinungen einer Gesellschaft, die sich mit der Fassade von Anständigkeit und Wohlstand begnügte.

Er engagierte sich gegen die atomare Nachrüstung.

Er wurde mehrmals mit Preisen ausgezeichnet: 1972 bekam er den Nobelpreis für Literatur und dann wurde er auch mit der Carl-von-Ossietzky-Medaille der Internationalen Liga für Menschenrechte ausgezeichnet.

Er behandelte Themen des Menschlichen, wie das Wohnen, die Nachbarschaft, die Heimat, das Geld, Inflation, die Liebe, die Religion.

Heinrich Böll ist 1985 in Langenbroich (Eifel) gestorben.


Hauptwerke:

Erzählungen: Der Zug war pünktlich (1949); Wanderer, kommst du nach Spa.? (1950), Die verlorene Ehre der Katharina Blum (1974);

Romane: Wo warst du, Adam? (1951); Und sagte kein einziges Wort (1953); Ansichten eines Clowns (1963); Gruppenbild mit Dame (1971);

Lyrik: Gedichte (1972-75-81)




Wie wir gesagt haben, spricht Böll von Inflation. In seinem Leben hat er zwei Inflationenzeit erlebt: nach erste und zweite Welt Krieg. Wir können uns insbesondere auf seiner Text "Inflation" beziehen.


Hier beschreibt Böll die konkreten Folgen der Inflation und wie sie von dem Mann auf der Straße erlebt werden.



HEINRICH BÖLL, Inflation

Wenn Amerikaner und Deutsche oder Engländer und deuche über Inflation sprechen, ich weiß nicht, ob sie dann dasselbe meinen. Wenn Brot, Butter, Kaffee und Zigaretten plötzlich das Doppelte kosten würden, würde es mich noch nicht an die beiden totalen Inflationen erinnern, die ich erlebt habe.

Als ich dei - vier jahre alt war, begleitete ich morgens immer meinen Vater nach dem Frühstück die Treppe hinunter bis vor die haustür; von dort fuhr er per fahrrad in seine Werkstatt, und bevor er aufs Rad stieg - er war ein ltmodischer Radfahrer und stieg von einem Pinn, der am Hinterrad angebracht war, von hinten auf den Sattel (fast wie ein reiter aufs Pferd) -, steckte er mir manchmal einen Geldschein zu, für den ich mir im gegenüberliegenden Landen eine Handvoll Bonbons oder eine Zuckerstange kaufen durfte. Ich erinnere mich an ziemlich viel Nulen auf dem Geldschein, erfuhr später, daß es sich um eine milliarde oder gar eine Billion gehandelt hatte; der Gegenwert, den ich für diesen nullenreichen Schein bekam, mag fünf pfennige betragen haben. Das war in den Jahren 1921-22, wo ich morgens für ein- zwei Minuten Milliardär oder Billionär war. Es war keinesweges so, dass die Einkommem in entsprechend vielen milliarden bestnaden hätten; später erfuhr ich von meinen Lehrern, dass sie für ihr Monatsgehalt sich eine Vase oder, wenn sie Glück hatten, einen Regenschirm hatten kaufen können. Eine Milliarde, das war 10 Jahre vorher, etwa 1912, selbst für Krupp wahrscheinlich eine respecktable Summe - nun gabs dafür eine Handvoll Bonbons. Sobald das deutsche Geld wieder stabil wurde, gab es weniger davon. Es gab in den Jahren 1928 bis 1932 für eine Mark etwa zwanzigmal soviel Süßigkeiten wie sechs Jahre vorher für eine Milliarde. Es gab für eine Mark 40 Zigaretten der billigsten Sorte, 100 geschmuggelte höllandische, man konnte für eine Mark zweimal ins Kino gehen, bekam dafür zwei volle Spielfilme und einige Extras zu sehen, und in manchen kinos gabs noch ein Glas Bier dazu; man konnte für eien Mark zweimal ein Mädchen ins Cafè einladen und ihr sogar einmal ein Stück Kuchen spendieren (also: vier Tassen kaffee und ein Stück Kuchen für ein Mark), die Mark war stabil und knapp.


Die Angst der Deutschen und die Angst vor den Deutschen





Wir wissen, dass die Stabilität des Geldwertes im Wesentlichen davon abhängt, dass zwischen umlaufender Geldmenge und umsetzender Gütermenge ein gewisses Gleichgewicht besteht. Wird die Geldmenge, das Geldvolumen, zu stark vermehrt, ohne dass ihr ein größeres Güterangebot gegenübersteht, so kommt es zu einer inflaktorischen Entwicklung, d.h. einer allgemeinen wesentlichen Steigerung aller Preise.

Steigen der Preisen bedeutet Sinken der Kaufkraft, denn für die gleiche Menge Geld erhält man weniger Waren oder Dienstleistungen. Man misst diese Kaufkrafänderungen mit Hilfe sogenannter Indexziffern. Die wichtigste Indexziffer für den Verbraucher ist der Lebenshaltungskostenindex: er zeigt die Veränderungen der durchschnittlichen Lebenhaltungskosten eines 4-Personen-Arbeitnehmerhaushaltes.







La Costituzione Italiana



La Costituzione che attualmente vige in Italia, dunque è sostanzialmente la stessa entrata in vigore il 1°.1.1948, cioè quasi un secolo dopo l'emanazione dello Statuto che era avvenuta per opera del re Carlo Alberto il 4.3.1848. A differenza di quest'ultimo però, che era composto di 84 assai schematici articoli ed era una carta costituzionale flessibile, ma "ottriata" ossia concessa dal sovrano ai suoi sudditi, la nostra Costituzione si definisce rigida ed è frutto della volontà popolare in quanto deliberata dall'Assemblea Costituente.

Come detto, quindi:

Lo Statuto Albertino era una carta costituzionale flessibile in quanto l'attività diretta alla modificazione e integrazione delle sue norme era affidata, insieme con l'attività di legislazione ordinaria, alle due camere del Parlamento ed eventualmente al capo dello Stato;

La Costituzione attuale invece è definita rigida in quanto l'attività di revisione non è affidata agli organi della legislazione ordinaria, ma può essere modificata solo da una legge special approvata alla fine di una procedura particolarmente complessa e rigorosa.

Se si volesse fare un confronto fra l'attuale costituzione e lo Statuto Albertino, si dovrebbero porre in rilievo, oltre alle già citate differenze formali, le profonde diversità di significato e di contenuto, fra l'una e l'altra. Ma ciò deve essere interpretato alla luce della conoscenza che i due documenti sono prodotto di due cicli storici separati non soltanto dal tempo di un secolo, ma soprattutto da drammatiche esperienze politiche, economiche e sociali.

Nel nostro Paese, la Costituzione è il documento normativo più importante nella gerarchia delle fonti al quale sono subordinati tutti gli altri atti e fatti produttivi di norme giuridiche.


STRUTTURA

La Costituzione si compone di 139 articoli e di 18 disposizioni transitorie e finali. In particolare a queste ultime sono delle disposizioni che disciplinano il passaggio dal vecchio regime al nuovo ordinamento costituzionale: disposizioni sugli ex-re di casa Savoia, divieto di riorganizzazione del partito fascista, abolizione dei titoli nobiliari,...


a)    In apertura nei primi 12 articoli sono raccolti i "principi fondamentali" dell'Italia repubblicana e, per primo la definizione fondamentale "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Vi si proclamano inoltre solennemente la dignità della persona, il diritto al lavoro, le autonomie delle comunità locali, l'eguaglianza nella libertà di tutte le confessioni religiose, i particolari rapporti con la Chiesa Cattolica, il ripudio della guerra e l'accettazione delle limitazioni alla sovranità nazionale per forme internazionali e sopranazionali. La Costituzione italiana è poi suddivisa in due parti:


b)    La prima parte si occupa dei "diritti e doveri dei cittadini" trasformando così i pochi e antichi diritti delle vecchie carte in un elaborato e pressoché completo sistema dei diritti di libertà della nostra epoca. A sua volta si distinguono al suo interno: 


- titolo primo: rapporti civili

- titolo secondo: rapporti etico- sociali

- titolo terzo: rapporti economici

- titolo quarto: rapporti politici


c) La seconda parte intitolata " ordinamento della Repubblica", disciplina gli aspetti essenziali della forma di governo e della forma di Stato. Gli organi costituzionali sono 4: Parlamento, Capo dello Stato, Governo, Corte costituzionale, e 4 gli organi di rilievo costituzionale, cioè il consiglio Superiore della Magistratura (CSM), Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), consiglio di Stato e Corte dei Conti. Qui viene fissato il sistema di governo quale "governo parlamentare" in quanto il ministero o gabinetto per rimanere al potere ed esercitare le sue funzioni deve godere della fiducia del Parlamento.


PRINCIPI FONDAMENTALI

I tre principi più importanti su cui si basa la Costituzione italiana sono:

Il principio democratico, racchiuso nell'art. 1 Cost., secondo il quale : "l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Il 2°comma di questo articolo chiarisce il concetto di "Repubblica democratica". La democrazia è quell'ordinamento dello Stato nel quale tutti i poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) appartengono al popolo. Questi lo esercita direttamente nel caso della elezione a suffragio universale del Parlamento, così come in occasione dei referendum, mentre nel caso di legami indiretti i poteri della sovranità si intendono comunque esercitati "in nome del popolo".


Il principio della tutela della persona, della dignità umana e della garanzia dei diritti fondamentali, enunciato nell'art. 2 Cost, secondo il quale:" la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", ciò per tanto senza riguardo alla posizione sociale o a qualsiasi altro fattore.


Il principio di uguaglianza, enunciato all'art. 3 Cost. che diviene una norma-chiave nell'impianto della nostra Costituzione, rappresentando una delle guide più importanti per l'azione dello Stato in materia sociale. Al 1°comma è riconosciuta innanzitutto l'uguaglianza formale : "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Questa formulazione deriva direttamente dalla tradizione liberale e possiamo rinvenirla, in termini pressoché analoghi, in tutte o quasi le Costituzioni di questi ultimi due secoli. La Costituzione ha riconfermato il principio di uguaglianza formale per evitare nel futuro discriminazioni di qualunque tipo, ma ha contemporaneamente proclamato un principio di uguaglianza sostanziale. Al 2° comma leggiamo infatti: "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Uguali formalmente dinanzi alla legge infatti i cittadini hanno di fatto ricchezze, opportunità , livelli di vita differenti. Occorre perciò quanto meno attenuare una simile condizione, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di un'uguaglianza più incisiva. Da un'enunciazione astratta di principi si passa così al dovere di adoperarsi concretamente per le classi più deboli.


PROCEDIMENTO DI REVISIONE COSTITUZIONALE

Come già citato, la Costituzione stessa prevede che alcune materie non possano essere disciplinate da una legge ordinaria ma solo da una legge costituzionale e inoltre per modificare il qualche punto la nostra Costituzione si debba ricorrere alle leggi di revisione costituzionale. Entrambi i tipi di legge sono approvate con la stessa procedura, occupano insieme lo stesso gradino nella gerarchia delle fonti, sono indicate allo stesso modo (l.cost.).

In particolare esse devono essere approvate dal Parlamento mediante una complessa procedura infatti:

Devono essere approvate due volte da ciascuna Camera del Parlamento (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) e non una svolta sola come avviene per le leggi ordinarie: questo chiaramente per indurre i due rami del Parlamento ad una scelta meditata ed approfondita, impedendo in particolare la possibilità di un'approvazione da parte di una maggioranza parlamentare occasionale;

Tra le due deliberazioni di ciascuna camera deve inoltre intercorrere un intervallo di tempo non inferiore a tre mesi;

Nella seconda deliberazione il progetto di legge costituzionale o di revisione costituzionale deve essere approvato, sempre da ciascuna camera a maggioranza assoluta dei componenti (la metà più uno degli aventi diritto)

Dopo di che la legge costituzionale o di revisione viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ma non entra in vigore immediatamente, in modo da consentire un'eventuale pronuncia popolare sulla legge.

Entro tre mesi dalla pubblicazione infatti 1/5 dei membri di ciascuna camera, 500.000 elettori o 5 Consigli regionali possono chiedere che la legge venga sottoposta a referendum, cioè al giudizio dei cittadini italiani. Sei i cittadini si esprimono a favore della legge oppure trascorsi tre mesi senza che nessuno abbia chiesto il referendum, la legge è promulgata dal Presidente della Repubblica e quindi nuovamente pubblicata per entrare in vigore.

Se invece il referendum dà esito contrario al progetto di legge, il procedimento si chiude con un nulla di fatto. Se il parlamento ritiene davvero necessaria la legge costituzionale o di revisione, dovrà dunque iniziare il procedimento da capo. Se, a differenza nella seconda deliberazione ciascuna camera ha approvato il progetto di legge costituzionale a maggioranza dei 2/3 dei suoi componenti, il referendum non può essere chiesto.


Si ricorda che le leggi costituzionali e di revisione costituzionale sono subordinate comunque alla Costituzione sotto un duplice punto di vista:

a)    Sul piano procedurale in quanto sono vincolate al rigoroso procedimento stabilito dall'art. 138 Cost;

b)    Sul piano sostanziale in quanto tali leggi non possono in alcun caso modificare la "forma Repubblicana". Questo rappresenta l'unico limite esplicito al potere di revisione costituzionale del Parlamento.



In particolare prendiamo in esame il TITOLO V della Parte II della Costituzione, che è stato ripetutamente oggetto di progetti di revisione ancor oggi in corso ed ha per oggetto la disciplina degli enti locali e territoriali.

In Italia, l'importanza di questi enti è richiamata dai principi fondamentali della Costituzione, dove si afferma che "la Repubblica (...) riconosce e promuove le autonomie locali" (art. 5). Alla luce di questo solenne riconoscimento Comuni e Province appaiono non solo strutture amministrative decentrate a composizione elettiva, ma enti dotati di una propria rappresentatività democratica e, per il cittadino, nuove dimensioni di appartenenza. L'impegno a promuovere le autonomie locali e a perseguirne il rafforzamento costituisce criterio-guida per lo sviluppo dell'ordinamento statale. In questa direzione si è mossa la riforma degli enti locali attuata con la legge 142/1990, poi modificata nel 1993, che ha riconosciuto sia ai comuni sia alle province l'autonomia statutaria, ossia la potestà di adottare con deliberazione dei rispettivi consigli un proprio statuto che determini le attribuzioni degli organi, il funzionamento degli uffici e dei pubblici, le forme di decentramento, l'accesso dei cittadini alle informazioni. La legge del 1990 ha definito inoltre gli organi di governo, identificati in un'assemblea elettiva (consiglio), in un collegio esecutivo (giunta) e in un organo monocratico (sindaco o presidente della provincia); quella del 1993 ha invece accentuato i poteri del sindaco e del presidente della provincia, dei quali prevede l'elezione a suffragio universale diretto.

Nelle Aree metropolitane, in luogo della provincia, la legge del 1990 ha introdotto una nuova forma di governo locale, la città metropolitana. La stessa legge contiene una nuova disciplina delle Comunità montane, un particolare tipo di ente locale con popolazione non inferiore ai 5000 abitanti. Nel corso della XIV legislatura il Titolo V è stato nuovamente oggetto di un progetto di revisione costituzionale approvato l'8 marzo 2001 ma non ancora promulgato in quanto vi è stata la richiesta di pronuncia popolare da parte della regione Lombardia. Nell'attesa che la popolazione effettui il referendum, ora il progetto sarà affidato nelle mani della nuova legislatura.



Di seguito sono stati riportati il testo attuale e quello modificato presentato nel progetto con relativo commento agli articoli più significativi.




TESTO ORIGINARIO

TESTO MODIFICATO

COMMENTO

Art. 114. -La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni















Art. 115 -Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione.


Art. 116. -Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali.

















Art. 117. La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni:
ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; istituzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato.
Altre materie indicate da leggi costituzionali.
Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione.













































































Art. 118. -Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative.
La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici.









Art. 119 Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.
Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali in relazione a bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali.
Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali.
La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.



















Art. 120 -La Regione non può istituire dazi d'importazione o esportazione o transito fra le Regioni. Non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni.
Non può limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro.













Art. 121. Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente.
Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può fare proposte di legge alle Camere.
La Giunta regionale è l'organo esecutivo delle Regioni.
Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica.




Art. 122 Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.
Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo.
Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza.
I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta.


Art. 123. Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica
può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.
Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.


Art. 124. Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione soprintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione.









Art. 125. Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica. La legge può in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale.
Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione


Art. 126. Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.
Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione.
L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio.


Art. 127 Ogni legge approvata dal Consiglio regionale è comunicata al commissario che, salvo il caso di opposizione da parte del Governo deve vistarla nel termine di trenta giorni dalla comunicazione.
La legge è promulgata nei dieci giorni dalla apposizione del visto ed entra in vigore non prima di quindici giorni dalla sua pubblicazione. Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale, e il Governo della Repubblica lo consente, la promulgazione e l'entrata in vigore non sono subordinate ai termini indicati.
Il Governo della Repubblica, quando ritenga che una legge approvata dal Consiglio regionale ecceda la competenza della Regione o contrasti con gli interessi nazionali o con quelli di altre Regioni, la rinvia al Consiglio regionale nel termine fissato per l'apposizione del visto.
Ove il Consiglio regionale la approvi, di nuovo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il Governo della Repubblica può, nei quindici giorni dalla comunicazione, promuovere la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, o quella di merito per contrasto di interessi davanti alle Camere. In caso di dubbio, la Corte decide di chi sia la competenza.


Art. 128. Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.


Art. 129. -Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento.


Art. 130. Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione.


Art. 131.-Sono costituite le seguenti Regioni: Piemonte; Valle d'Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzo; Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna.


Art. 132. Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
Si può, con referendum e con legge della repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un'altra.


Art. 133. Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione.
la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni



Art.114 - La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.

Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento».









Art.115:ABROGATO




Art.116 - Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.

La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata».


Art.117 - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, monche dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato».





Art.118 Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».


Art.119 - I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un
fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti».


Art.120 - La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione».



Art.121-122:Invariati




































All'articolo della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali».




















Art.124:ABROGATO












Art.125, 1°comma: ABROGATO












Art.126:Invariato

























Art. 127. - Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge».
















Artt.128-129-130: ABROGATI


















Art.131:Invariato







Art. 132,2°comma: dopo le parole: «Si può, con» sono inserite le seguenti: «l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante».









Art.133: Invariato







Questa modifica rappresenta il primo passo verso il federalismo, attraverso il riconoscimento dell'autonomia a sotto-categorie quali le città metropolitane. Mediante essa è stata incorporata in un unico articolo anche l'art.115. L'azione dello Stato lontano dalle realtà di ogni comunità, si è rivelata inefficace nel tempo. Di conseguenza sono stati istituiti enti territoriali che devono raccogliere le istanze provenienti dalla popolazione locale e darvi concreta attuazione.






Sono state apportate alcune specificazione per quanto riguarda le regioni a statuto speciale che godono di maggiore autonomia. Tali aggiunte riguardano il riferimento alle forme e condizioni dell'autonomia e la possibilità di attribuire ad altre regioni l'organizzazione della giustizia di pace.

Il riconoscimento di forme particolari e più ampie di autonomia alle 5 Regioni indicate dalla norma è da tempo giusitficato dalla particolarità e diversità del loro patrimonio storico, linguistico e culturale e dalla posizione geografica di confine di alcune di esse.


Si noti in particolare che nel testo precedente venivano indicate le materie assegnate all'autonomia delle Regioni, mentre nel nuovo testo sono indicate le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva. In particolare aumenta la competenza legislativa delle regioni. Si segue infatti il principio secondo cui lo Stato esercita le competenze legislative solamente nelle materie che gli sono riservate, su tutte le altre la competenza è degli enti regionali, invertendo quindi il principio attuale.


















































































La funzione amministrativa viene spostata dall'esercizio delle regioni essendo attribuita ora in primo luogo ai comuni e, nel caso in cui sia necessario assicurarne l'esercizio unitario, anche alle Regioni, alle città Metropolitane, alle Province e Stato.












L'autonomia finanziaria non è più di esclusività delle Regioni ma è estesa a tutti gli enti territoriali. Viene istituito inoltre un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante. L'intervento dello Stato è perciò limitato al fine di ridurre gli squilibri territoriali, settoriali e sociali presenti sul territorio nazionale.






















Salvo restando l'autonomia e il divieto di istituire dazi che gravino sul passaggio delle merci da una Regione ad un'altra per favorire gli scambi commerciali nell'ambito del mercato nazionale, lo Stato si riserva di sostituirsi alle Regioni nel caso in cui vi sia il mancato rispetto di norme comunitarie o di trattati internazionali o di pericolo grave. Il divieto appare quanto mai attuale, considerato che la politica della Comunità europea a partire dal 1992 con il Trattato di Maastricht è orientata verso la libera circolazione delle merci e delle persone tra gli Stati membri.






































Viene attribuito allo Statuto, a cui era stata riconosciuta la natura di vera e propria legge regionale con la legge di revisione costituzionale del 1/99, anche la disciplina del consiglio delle autonomie locali.























Non è più da ritenersi necessaria la figura di un commissario del governo per ogni regione che sopraintenda e controlli l'andamento parallelo delle prerogative statali con quelle degli enti locali che era stata istituita con la legge Bassanini. Vengono inoltre eliminati i controlli di legittimità e merito che prima erano effettuali dallo Stato sulla totalità dell'attività locale.







































Il controllo di legittimità permane solo nel caso in cui una legge regionale ecceda la competenza regionale o viceversa se una legge statale o di un'altra regione eccede la sua sfera di competenza. Vengono quindi stabiliti tempi e modi per effettuare il controllo.











































Si deve precisare che la fusione e creazione di nuove regioni, modificando il numero di quelle previste dall'art.131, richiede un'approvazione mediante legge costituzionale. A differenza, il distacco e aggregazione di Province e Comuni può essere approvato con legge ordinaria.










IRAP



L'Imposta regionale sulle attività produttive, introdotta nel nostro ordinamento nel 1998, e revisionata nel corso del 1999 come già citato in precedenza, ha natura d'imposta a carattere reale, indeducibile dalle imposte sui redditi, che colpisce la ricchezza nella fase della sua produzione, in quanto applicata sul valore della produzione netta dall'attività esercitata nel territorio della regione.

L'istituzione dell'IRAP ha comportato, a partire dall'1.1.1998, la soppressione dei seguenti tributi, fino ad allora in vigore:

ILOR (imposta locale sui redditi)

ICIAP (imposta comunale sull'esercizio di imprese, arti e professioni)

Imposta sul patrimonio netto delle imprese

Contributo al servizio sanitario nazionale

Tassa di concessione comunale...


Sono soggetti passivi, in quanto esercitano un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o scambio di beni o prestazioni di servizi, e perciò obbligati a compilare il quadro IQ del modello Unico:

SPA, SRL, SNC, SAS

Le persone fisiche esercenti attività commerciali

I soggetti esercenti arti e professioni (titolari di redditi di lavoro autonomo)

Gli enti

I produttori agricoli (titolari di reddito agrario)


L'IRAP è un'imposta territoriale in quanto la base imponibile si calcola in funzione dell'attività svolta sul territorio regionale. Qualora il contribuente eserciti l'attività in più regioni mediante stabilimenti, uffici, cantieri o baci fisse, la base imponibile dovrà essere suddivisa in proporzione all'ammontare delle retribuzioni corrisposte:

Al personale dipendente

Ai collaboratori coordinati e continuativi

Agli associati in partecipazione addetti con continuità, per almeno tre mesi, ovvero superiori ma in maniera alterna, senza che alcun intervallo superi i tre mesi di permanenza, non sono tenuti a versare l'imposta alla regione in cui è ubicata la sede secondaria.

Infine, per alcune attività la ripartizione è effettuata secondo criteri particolari:

Per le imprese bancarie e creditizie in base ai depositi in denaro e titoli, nonché agli impieghi;

Per le imprese assicurative in relazione ai premi raccolti;

Per le imprese agricole con riguardo all'estensione dei terreni.


L'aliquota base è fissata al 4.25% e, a partire dallo scorso anno d'imposta (2000) è stato possibile la modifica da parte delle Regioni, in aumento o in diminuzione, fino ad un massimo dell'1%. La maggiorazione potrà essere differenziata per settori di attività e per categorie di soggetti passivi.


La base imponibile

Per le imprese la base imponibile è costituita dal valore della produzione netta derivante dall'attività esercitata nel territorio della regione. Per le persone fisiche che esercitano attività commerciale la base imponibile è determinata come differenza tra le componenti positive classificabili nelle voci del valore della produzione e le componenti classificabili nei costi della produzione, escluse le perdite su crediti e le spese per il personale dipendente. Lo schema da seguire per la determinazione di tale valore è il seguente:




a)  VALORE DELLA PRODUZIONE


Ricavi delle vendite e delle prestazioni

Variazione delle rimanenze di prodotti finiti, semilavorati e in corso di lavorazione

Variazioni di lavori in corso su ordinazione

Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni

Altri ricavi e proventi


b)  COSTI DELLA PRODUZIONE


- materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci

servizi

ammortamenti beni materiali ed immateriali

variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci

oneri diversi di gestione

VALORE DELLA PRODUZIONE NETTA (A-B)

risultante dal Conto economico




L'art.11 del D.Lgs. 446/97 detta inoltre una serie di disposizioni comuni per la determinazione della base imponibile, stabilendo l'indeducibilità delle seguenti poste di bilancio:

costi relativi al personale dipendente, quali salari e stipendi, oneri sociali, trattamento di fine rapporto (TFRL) e di quiescenza, altri costi e oneri diversi di gestione (escluse le spese relative agli apprendisti, al 70% dei contratti di formazione lavoro e ai premi INAIL);

i compensi per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, nonché le indennità e i rimborsi percepiti da soggetti che svolgono attività sportiva dilettantistica;

i costi di collaborazione coordinata e continuativa qualora non svolgano professionalmente tale attività, cioè con partita IVA;

i compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente;

gli utili spettanti ad associati in partecipazione il cui rapporto sai costituito esclusivamente da prestazioni di lavoro;

gli interessi su canoni di locazione finanziaria (leasing).

Restano esclusi dalla base imponibile i proventi e gli oneri di natura finanziaria.


L'acconto dell'IRAP è dovuto nella misura del 98% dell'imposta a debito, se tale importo supera L. 100.000.



Il versamento dell'acconto va effettuato in due rate:

la prima, pari al 40%, va versata entro il termine di presentazione della dichiarazione;

la seconda, pari al 60%, va versata nel mese di novembre.

La prima rata di acconto non va versata se il relativo importo risulta inferiore a L.200.000. Al contribuente è attribuita la facoltà di commisurare i versamenti in acconto sulla base dell'imposta che prevede di determinare per l'anno di competenza, ferma restando l'applicazione delle relative disposizioni sanzionatorie.



ICI


L'imposta comunale sugli immobili costituisce uno dei principali tributi propri nella finanza locale. Essa è stata introdotta nel 1993. Il presupposto è dato dal possesso di fabbricati, aree fabbricabili o terreni agricoli siti nel territorio nazionale dello Stato qualunque sia la loro destinazione. Soggetti passivi del tributo sono il proprietario di immobili, ovvero il titolare del diritto di usufrutto, uso o abitazione degli stessi, anche se non residenti nel territorio nazionale.

La base imponibile è costituita:

per i fabbricati dalle rendite catastali,

per le aree fabbricabili dal valore commerciale all'1/1 dell'anno d'imposizione;

per i terreni agricoli dal reddito dominicale moltiplicato per 75.

Sono previste condizioni particolari a favore della prima casa che gode di una detrazione fissata dal comune e delle aree agricole possedute da coltivatori diretti.

Il pagamento avviene in 2 rate, a metà e alla fine dell'anno.






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