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Il tempo in due autori latini
La concezione del tempo nell'opera di Seneca
"Esigua è quella
parte di vita che noi viviamo davvero.
Tutto il resto dell'esistenza in realtà non è vita vera, ma solo tempo." (De Brevitate Vitae 2,1-2)
"Non ha alcuna
importanza la quantità di tempo che viene assegnato;
se non c'è una base su cui poggi, essa passa via attraverso animi sconnessi e
bucati."
(De Brevitate vitae 10,5)
Il tempo nell'ottica
del saggio stoico e il tempo degli "occupati"
Solo il passato ci appartiene (De Brevitate vitae
10,2-5)
Il valore del tempo (Epistula ad
Lucilium 1)
La concezione del tempo nell'opera di Sant'Agostino
"Che è dunque il
tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domanda,
non lo so. Tuttavia affermo con sicurezza ch'io so che se nulla passasse non ci
sarebbe il passato; se nulla avvenisse, non ci sarebbe futuro; se nulla fosse,
non ci sarebbe presente."
(Confessiones XI,17)
"Forse sarebbe
più proprio dire: i tempi sono tre: il presente del passato, il presente del
presente ed il presente del futuro, che sono tutti e tre nell'anima, ma altrove
non li vedo."
(Confessiones XI, 26)
"Così la vita di cotesta mia azione si estende al ricordo per quello che ho detto, all'attesa per quello che dirò, sta presente la mia attenzione attraverso cui passa quello che era futuro per diventar passato." (Confessiones XI, 38)
Le Confessiones come
"storia dell'anima"
Dio come Essere e l'uomo come "essere nel tempo"
L'idea di un tempo relativo rispetto alla memoria individuale
Sant'Agostino
e il tempo dell'anima
Solo il passato ci appartiene
De brevitate vitae, 10, 2-5
[2] La vita è divisa in tre momenti: il passato, il presente, il futuro. Di questi momenti, quello che stiamo vivendo è breve, quello che dobbiamo ancora vivere è incerto, quello che abbiamo vissuto è sicuro. Su di esso infatti la sorte ha perso ogni diritto, esso non può essere sottoposto all'arbitrio di alcuno. [3] Ma gli uomini affaccendati lo pèrdono, perché non hanno tempo di volgersi indietro verso ciò che è stato, e del resto, se anche trovassero il tempo, non è piacevole ricordare ciò di cui si ha rimorso. Pertanto richiamano malvolentieri alla memoria il tempo che hanno male impiegato, e non osano ritornare su quelle azioni le cui manchevolezza, prima nascoste dalle attrattive del piacere presente, emergono riesaminandole. [4] Si volge volentieri verso il passato soltanto chi ha sottoposto tutte le proprie azioni alla censura della sua coscienza, a cui nulla sfugge; chi invece ha avuto molte brame ambiziose, ha disprezzato gli altri con superbia, ha vinto con prepotenza, ha ingannato con perfidia, ha rubato con avidità e dissipato con prodigalità, è inevitabile che abbia paura dei suoi ricordi. Eppure il passato è la parte del nostro tempo Sacra e intoccabile, posta al di là di tutte le vicende umane, sottratta al dominio della sorte; non possono turbarla né il bisogno né la paura né gli attacchi delle malattie; non può essere modificata né abolita; il suo possesso è perenne e senza rischi. Solo i singoli giorni costituiscono il presente, e soltanto istante per istante; invece tutti i giorni del tempo passato saranno presenti ogni volta che lo vorremo, si lasceranno esaminare e trattenere a nostro piacimento; ma gli affaccendati non hanno tempo per fare questo. [5] E proprio di una mente serena e tranquilla riandare ad ogni parte della propria vita; gli animi degli affaccendati, invece, come se fossero sottoposti ad un giogo, non possono voltarsi a guardare indietro. Pertanto la loro vita sprofonda in un abisso; e come non serve a nulla versare grandi quantità di acqua se non c'è sotto un recipiente che la raccolga e la conservi, così non ha alcuna importanza la quantità di tempo che viene concessa, se non ha una base su cui poggiare: passa attraverso animi scompaginati e bucati.
Nel dialogo La brevità della vita, dedicato al problema
del tempo, Seneca spiega quale deve essere il retto rapporto dell'uomo con le
tre parti in cui tradizionalmente viene suddiviso il tempo: presente, passato 525h79f e
futuro. Egli afferma che il passato, rispetto all'incerto futuro e al fuggevole
e quasi inafferrabile presente, ha il vantaggio di costituire un'acquisizione
definitiva ed immutabile.
È un'idea espressa da Seneca anche in altri passi (cfr. per es. Epistula 99,
4 "il tempo passato ci appartiene e nulla è più sicuro di ciò che è
stato"; Ad Marciam, 22, 1 "in questa realtà così instabile e
confusa niente è certo se non il passato"), e che troviamo già in Orazio:
"Vivrà padrone di sé e lieto colui che ogni giorno può dire: Ho vissuto.
Domani il padre Giove occupi pure il cielo con una nera nube, oppure faccia
splendere un limpido sole; in nessun caso renderà vano ciò che è stato, né
potrà cambiare, o far sì che non sia avvenuto ciò che una volta per tutte l'ora
fuggitiva ha portato" (Odi, III, 29, 41-48).
Ma il retto rapporto con il passato è possibile solo al sapiente, che rievoca
volentieri le azioni virtuose che ha compiuto. Gli occupati, invece, ossia gli
uomini stolti, sempre affaccendati in occupazioni inutili e insensate, non
hanno né tempo né voglia di rievocare il passato: qualora infatti si fermassero
per un istante a riflettere, raccogliendosi in se stessi, si accorgerebbero con
terrore di essersi affaticati tanto per non concludere nulla.
Il valore del tempo
Epistula ad Lucilium, 1
[1] Fa' così, caro Lucilio: rivendica a te il possesso di
te stesso, e il tempo, che finora ti veniva sottratto apertamente, oppure
rubato, oppure ti sfuggiva, raccoglilo e conservalo. Convinciti che le cose
stanno così come ti scrivo: una parte del tempo ci viene portata via, una parte
ci viene rapita furtivamente, una parte scorre via. La perdita più vergognosa,
tuttavia, è quella che avviene per la nostra negligenza. E se vorrai far bene
attenzione, ti accorgerai che gli uomini sprecano gran parte della vita facendo
il male, la massima parte non facendo nulla, la vita intera facendo altro.
[2] Chi mi troverai che fissi un prezzo al tempo, che dia valore ad un giorno,
che si renda conto di morire ogni giorno? In questo infatti c'inganniamo, che
vediamo la morte dinanzi a noi: ma gran parte di essa è già passata, tutto il
tempo che abbiamo dietro le spalle lo possiede la morte. Fa' dunque, caro
Lucilio, quello che mi scrivi di star facendo: afferra e tieni stretta ogni ora;
dipenderai meno dal domani se ti impadronirai saldamente dell'oggi. Mentre
rinviamo al futuro, la vita se ne va. [3] Tutto il resto, o Lucilio, appartiene
agli altri, solo il tempo è nostro; la natura ci ha dato il possesso di
quest'unico bene fuggevole e malsicuro, e da questo possesso ci scaccia
chiunque lo voglia. Ma la stoltezza dei mortali è tanto grande, che accettano
di farsi mettere in conto, se li hanno ottenuti, oggetti insignificanti e di
nessun valore, comunque sostituibili con altri, mentre nessuno ritiene di
essere debitore di alcunché per aver ricevuto in dono il tempo; eppure questo è
l'unico bene che neanche chi è riconoscente può restituire.
[4] Forse mi chiederai come mi comporto io che ti do questi consigli. Te lo
confesserò schiettamente: faccio come chi è spendaccione ma preciso: tengo i
conti delle spese. Non posso dire di non sprecare, ma ti potrei dire quanto
spreco e perché e come: ti potrei spiegare i motivi della mia povertà. Mi
capita però ciò che capita di solito a chi è caduto in miseria non per colpa
sua: tutti lo scusano, nessuno lo aiuta. [5] E allora? Non considero povero
l'uomo a cui basta quel poco che gli rimane; preferirei tuttavia che tu facessi
tesoro delle cose tue; e comincerai per tempo. Infatti, secondo il parere dei
nostri antichi, "è troppo tardi per risparmiare quando si è arrivati alla
feccia"; perché la parte che rimane sul fondo non è soltanto la più
piccola, ma anche la peggiore. Stammi bene.
É la lettera che apre l'epistolario. In essa Seneca propone a Lucilio due temi
fondamentali, strettamente connessi fra loro e continuamente ricorrenti nel
corso dell'opera: il tempo e la morte. Con essi s'intrecciano altri motivi cari
al filosofo: l'esortazione all'autopossesso, che equivale alla liberazione da
ogni condizionamento esteriore; la constatazione che "moriamo ogni
giorno"; l'ammonimento ad "afferrare ogni ora che passa" e a
"mettere le mani sull'oggi" (metafora giuridica: si metteva la mano
su di un oggetto o una persona per rivendicarne simbolicamente il possesso).
Quest'ultimo precetto è molto simile al carpe diem oraziano, con la
differenza che il poeta, simpatizzante dell'epicureismo, invitava a cogliere i
piaceri del momento, mentre lo stoico Seneca esorta ad attuare istante per
istante il dovere morale, ossia la virtù, unico vero scopo della vita umana. Il
Tempus animi Confessiones XI, capp. XIV-XXI
"Che cos'è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so [...] Se futuro è passato esistono, vorrei sapere qual è la loro sede. Se per ora non ci riesco, so però che, ovunque siano, non vi sono come futuro e passato, ma come presente; perché se anche là sono come futuro o come passato, o non vi sono ancora o non vi sono più. Quindi, ovunque siano, comunque siano, non vi sono che in forma di presente [...] Ciò che esiste è il presente, non il futuro. Perciò quando si dice che si vede il futuro, non si vede il futuro in se stesso, che non esiste ancora, ma si vedono forse cause o indizi suoi, già esistenti [...] Risulta dunque chiaro che futuro e passato non esistono, e che impropriamente si dice "Tre sono i tempi: passato, presente e futuro". Più esatto sarebbe dire: "Tre sono i tempi: il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro". Queste ultime tre forme esistono nell'anima, né vedo possibilità altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l'intuizione diretta, il presente del futuro è l'attesa. [...] Se possiamo farci un'idea del tempo, solo un punto può chiamarsi presente, quello che non si può più suddividere in parti, per quanto piccolissime: ma anche quel punto trasvola così rapido dal futuro al passato, da non avere estensione alcuna di durata. Perché, se l'avesse, sarebbe divisibile in passato in futuro: il presente non ammette estensione".
Il tempo in alcuni autori italiani
"Cielo, e non
altro: il cupo cielo, pieno di grandi stelle; il cielo, in cui sommerso mi
parve quanto mi parea terreno. E
E mi vidi quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella."
G. Pascoli
Alessandro Manzoni
Il tempo è grandezza infinita che perdura oltre la vita terrena
Ogni manifestazione della vita ha un senso solo nello scorrere del tempo
Il tempo consente la realizzazione di un disegno divino onnicomprensivo
Giacomo Leopardi
Il tempo è il responsabile dei piaceri e degli affanni
Il tempo dà piacere nelle rimembranze
Il tempo distrugge nel presente le speranze del passato svelando la vera realtà
Il tempo mostra la sua ambiguità in un futuro che nell'immaginazione è
piacevole,
ma che nella realtà risulta deludente
L'infinito
Giosuè Carducci
Il tempo è l'elemento capace di esaltare le nostre sensazioni in misura
della loro permanenza
Il passato si impone sul presente perchè più vivo
Il poeta vive nel presente e non può che rappresentare il conflitto fra passato
e futuro
Giovanni Pascoli
Il 10 agosto 1867
come data di arrivo del tempo: vivere nel futuro è vivere la vita del passato,
scoprire un mondo nuovo che permette di oltrepassare, con l'intuizione,
l'ostacolo altrimenti invalicabile della morte del padre
Nel percorso a ritroso il poeta trova le spiegazioni al dubbio di oggi nelle
certezze di ieri
fino a risalire all'anima originale di noi stessi, all'Adamo, al quale
bisogna tornare
per dare un senso e un perché alla vita
I futuristi
La vita è vivere nel
tempo, nella dinamicità di tutte le cose che ci circondano;
osservare il tempo che scorre è il sistema migliore per perdere tempo, per non
vivere.
L'arte è rappresentare la velocità, "il movimento aggressivo, l'insonnia
febbrile, il passo di corsa,
il salto mortale, lo schiaffo e il pugno"
IL TEMPO NELLA LETTERATURA MODERNA
ALESSANDRO MANZONI
Il poeta inizia osservando la storia e in particolare
concentra l'attenzione sul comportamento del singolo individuo, analizzando a
fondo i motivi che determinano le sue azioni e passioni, come si vede nelle sue
principali opere come Napoleone, il Conte di Carmagnola, Ermengarda ed I
promessi sposi.
Scavando così nell'animo dei personaggi Manzoni comprende lo scopo ultimo della
vita e, di riflesso, le vicende della storia passata, come si vede bene nei
"Promessi sposi" dove tutte le storie finiscono, poi, per avere uno
scopo a tempo dovuto e anche la più apparentemente insignificante di queste
partecipa alla realizzazione di un disegno divino che, alla fine, dà una
spiegazione a tutto.
In pratica il tempo serve a dare un senso alla vita: ci permette di sviluppare,
o comunque dì vedere sviluppato, un progetto superiore ai nostri limitati
orizzonti, che solo nella sua evoluzione chiarisce il suo scopo; a noi, poi, il
compito di dedurne la causa, l'effetto e il fine. Al Manzoni interessa proprio
il tempo perché ci permette di vedere i veri valori che danno un senso e un
fine alla nostra presenza nel mondo.
Con il Manzoni non assistiamo alla contrapposizione tra la realtà del poeta
(quella verticale) e il tempo, poiché questo è lo strumento necessario affinché
la realtà sveli il suo significativo messaggio; così ne consegue che tutto
sembra avere un senso a suo tempo.
Il tempo non è un "reo tempo", come sarà invece per il Leopardi, per
il Manzoni si parla di un tempo provvidenziale, perché ci permette di credere e
di sperare.
Anche nei casi in cui il dramma personale è tale da non farci vedere via di
uscita (come in Napoleone o in Ermengarda), per il M. è aperta la porta del
paradiso, secondo una regola del dare e del ricevere che non ci vede mai
perdenti; pertanto se il male subito non si riscatta in terra, come avviene a
Renzo e Lucia, è certo che dopo la vita avremo qualcosa di ancora più grande,
"che i desideri avanza".
Ecco quindi il punto centrale della poetica manzoniana: il tempo non termina
mai, continua anche dopo la nostra vita terrena ed il vero possesso della
realtà, l'infinito tangibile, l'attimo eternità si potrà avere solo dopo la
morte, perché non fa parte delle cose di questo mondo. Nel Manzoni non c'è
lotta contro il tempo perché questo non porta la fine definitiva di tutto, ma
solo della parte fisica, la meno importante; il tempo significa la fine di tutto
solo per chi non ha avuto la forza o la volontà di credere, come Don Rodrigo,
perché a tutti è data una opportunità di cambiare vita seguendo altri criteri,
come dimostrano le storie di Fra Cristoforo, dell'Innominato e del Manzoni
stesso, con la conversione.
Il M. ha osservato attentamente la storia e cercando le ragioni del dolore, tra
gli umili, nelle situazioni disperate, ha trovato quella forza per andare
avanti che proviene dalla certezza che il nostro travaglio terreno abbia un
senso: la forza che nasce dalla certezza.
Il Leopardi, al contrario, nel cercare una definizione della felicità, ha
trovato il deserto della non risposta, l'indifferenza del tutto, anche del suo
stesso dolore.
Il Manzoni dallo studio della storia trae la conclusione che il tempo serve a
dare uno scopo alla sofferenza e che questa, quando ha un senso ed una fine,
non è più una sofferenza; la prova evidente è che il dolore, una volta passato,
diventa una componente che arricchisce il presente e lo rende ancor più
piacevole.
Sarebbe come osservare al microscopio un piccolo oggetto: esso ci apparirà
enorme, mostruoso, ma sarà sufficiente allontanare l'occhio dalla lente per
riportare il piccolo particolare al complesso maggiore di appartenenza e allora
il piccolo "mostro" rivelerà la sua vera natura e funzione.
Allo stesso modo il tempo ci permetterebbe di staccare l'occhio dalla lente e
valutare le cose nella loro interezza, senza l'emotività che suscita in noi la
percezione fugace di un particolare.
GIACOMO LEOPARDI
In un primo momento per il Leopardi il tempo è una forza
negativa, antagonista delle speranze umane, che distrugge in continuazione e
senza motivo ciò che creiamo e tutto quello in cui crediamo.
In seguito però si distaccherà da questa visione "foscoliana" e troverà
nel tempo un prezioso alleato per arrivare alle risposte che sta cercando,
infatti diviene l'elemento che gli permette di vedere l'inutilità del presente
e dimostrare lo sbaglio del passato e, di conseguenza, l'inganno della vita.
L'uomo può ingannare il tempo impossessandosi di quella parte di passato che ci
interessa particolarmente conoscere e poi, grazie al ricordo, conservarla e
mantenerla viva, sottraendola alla istantaneità che il tempo conferisce a tutte
le cose.
Per il Leopardi assume particolare importanza il concetto di
"rimembranza", per usare un suo termine, intendendo che nel ricordo
c'è qualcosa in più, di struggente e suasivo, che rende piacevoli anche le cose
negative.
In effetti con il ricordo possiamo fermare il tempo e in questa ideale
situazione tanto le gioie come i dolori perdono la loro consistenza, diventano
puri, oggettivi modi di essere e non possono pertanto farci soffrire. Il tempo
inizia ad assumere il ruolo del vero responsabile dei nostri piaceri ed
affanni.
Nel "Sabato del villaggio" il Leopardi descrive una situazione di
festa: la vecchierella è contenta "novellando del suo buon tempo" la
donzelletta è entusiasta per quello che deve ancora venire, abbiamo due esempi
in cui la felicità del momento poggia su delle certezze che risiedono nella
dimensione del passato e del futuro.
Ma il tempo, cosi carico di aspettative che noi con la nostra fantasia
costruiamo nel prima o nel poi, non solo non viene mai, ma, se messo alle
strette, ci sopprime, a riprova del fatto che non sa e non può perdere, come
vediamo in "A Silvia", la quale "crolla all'apparir del
vero", oppure nel vecchierello del "Canto notturno", che trova
come punto d'arrivo al suo faticoso percorso "l'orrido abisso" che pone
fine alle sue sofferenze e al suo tempo.
Da queste considerazioni nasce la conclusione che sarebbe saggio non vivere il
tempo, ma lasciar scorrere la vita standosene seduti su di un sasso, come fanno
gli orientali, e lasciarla passare senza provare alcuna speranza o emozione, in
maniera apatica, poiché solo cosi evitiamo la delusione di vedere annullato
tutto quello che di bello abbiamo immaginato.
A questo punto però abbiamo la svolta: il crudele tempo ci ha, si, distrutto le
speranze del passato, ma ci ha anche svelato la verità, quella oggettiva, che
generalmente è nemica della poesia, ma che per lui, a quel punto, rappresenta
l'unica certezza, l'unica strada da seguire per dare un senso ed un fine ad
una, ricerca che gli è costata il prezzo della vita: se il tempo distrugge con
il presente tutte le speranze del passato, il poeta può ragionevolmente
affermare l'inutilità del futuro e addirittura usarlo come strumento di
verifica della sua teoria.
A complicare ulteriormente le cose c'è da dire che se per il Foscolo la
dimensione verticale della poesia veniva in aiuto al poeta sottraendolo, anche
se momentaneamente, alla tirannia del tempo, per il Leopardi la poesia non deve
ingannare chi la scrive e chi la legge (e su questo punto è polemico contro
l'ottimismo dei contemporanei) ma deve inevitabilmente registrare il fallimento
anche di se stessa, in quanto incapace di fornire risposte concrete ai bisogni
innati dell'uomo.
L'INFINITO
La poesia esprime mirabilmente l'ansia romantica di superare il limite
razionale delle cose materiali per proiettarsi nella dimensione parallela ed
irrazionale delle nostre emozioni.In questo componimento il Leopardi si getta
in una sensazione metafisica, atemporale, grazie all'effetto oscurante di una
siepe la quale, lasciando immaginare al di là "interminati spazi ...
sovrumani silenzi e profondissima quiete", determina la verticalizzazione
"io nel pensier mi fingo"; il poeta esce cioè dalla realtà dello
spazio e del tempo.
Il poeta vuole percepire la sensazione di assenza dal tempo nel momento in cui
ci si trova e non dopo, quando, avendo ripreso il contatto con la realtà
temporale, è automaticamente uscito da quella sensazione atemporale.
Leopardi riesce perfettamente a vivere la sensazione cosmica dell'infinito:
quando il rumore delle piante (realtà fisica) attiva la percezione acustica, il
poeta, che si trova nella realtà metafisica, al di là della siepe, riesce a
rimanere in bilico ("vo comparando") tra le due realtà, di qua e di
là dalla siepe.
Ecco allora la percezione dell'infinito: riuscire ad essere fuori dal tempo con
il pensiero, ed avere la prova tangibile (grazie al rumore delle piante) di
esserci.
Quello che il Leopardi scopre in questa nuova dimensione, è un infinito pieno,
dentro al quale il poeta naufraga piacevolmente spaziando nel passato e nel futuro.
padrone della situazione, alla scoperta di un mondo nuovo, enorme,
affascinante, smisurato che in seguito, purtroppo, si dimostrerà vuoto, privo
di un senso logico e di un senso storico.
Sembra che l'ansia romantica di vivere la vita analizzando a fondo tutte le
emozioni e il rigore illuminista di perseguire scrupolosamente il vero, abbiano
incanalato il Leopardi in una lotta drammatica e suicida contro il tempo, il
vero responsabile delle nostre emozioni quelle che danno un senso alla vita.
Senza il tempo ogni sensazione non avrebbe inizio né fine e sarebbe un0 normale
stato di essere senza distinzione da altre sensazioni. La stessa sensazione
(bella o brutta che sia poco conta) diventa piacevole, se inserita nel tempo
passato, nel ricordo; pessima nel presente, perché cosi rivela la sua vera
natura; ambigua se riferita al futuro, perché da una parte la fantasia la
concepisce bella, dall'altra la ragione non può prescindere dal dato oggettivo
del passato.
GIOSUÈ CARDUCCI
Bisogna premettere che il Carducci è un grande ammiratore e
conoscitore della civiltà classica; conosce bene, anche perché docente di
latino e greco i caratteri profondi di quella cultura e si sente talmente
vicino a quel mondo che il passato non gli appare morto, anzi, più vivo del presente,
più originale come proposta di vita, più valido come strada da seguire.
Egli vive in maniera conflittuale il rapporto passato/presente e non gli resta
facile trovare la sua precisa collocazione tra un mondo che non gli appartiene
più, ma al quale si sente profondamente legato, ed un altro nel quale, suo
malgrado, è costretto a vivere e confrontarsi.
Per di più il poeta non accetta compromessi: rifiuta sia le sdolcinatura
romantiche, oscillanti tra il sentimentalismo vuoto e l'eccessivo ottimismo cattolico,
sia le già viste verticalizzazioni le quali, non distinguendo esattamente i
confini tra fisico e metafisico, permettono al poeta di spaziare in maniera
arbitraria fuori dalla concretezza della realtà e dai sentimenti provati sulla
propria pelle.
Il poeta non può vivere a suo piacimento un po' qua e un po' là, prendendo da
entrambe quello che a lui più interessa in quel momento.
Il passato è morto, non possiamo risuscitarlo per illuderci in quella realtà
senza tempo; il poeta sta rigorosamente al di qua della siepe, le frequenti
reminiscenze del passato non gli impediscono di rimanere saldamente nel
presente, vivendolo, tuttavia, in funzione del passato.
In pratica è il passato stesso che vive ancora e che ritorna, che si ripropone
e si impone sul presente per la sua maggiore vitalità. Pertanto anche il
Carducci, come tutti i poeti, ferma il tempo, ma solo perché una concreta e
reale epoca passata si appropria della vita del poeta, del suo essere nel
presente, per manifestarsi in tutta la sua originalità.
Anche in questo caso siamo di fronte ad una verticalizzazione, tuttavia non
passiva, contemplativa ed immobile, ma viva, alla Manzoni, senza però la morale
cristiana, semmai una morale civile e politica il più possibile oggettiva.
Il passato entra in conflitto con il presente e si impone, mentre il poeta
finisce per rappresentare il teatro dì questo scontro.
In Comune rustico, ad esempio, la rustica virtù dell'epoca comunale si impone
su di uno squallido ed imbelle presente e mentre lo spirito vitale del
Medioevo, rivive tra le noci della Carnia, il poeta sembra che assista,
compiaciuto, a questa fantastica reminiscenza.
Il poeta vive nel presente la suggestione del passato, il tutto senza incorrere
nelle sdolcinature romantiche. Esaltare il sentimento non vuol dire scivolare
necessariamente nel sentimentalismo astratto ed artefatto. Ne è esempio Alla
stazione in una mattina d'autunno.
Il nero convoglio del treno si deforma lentamente in un mostro "conscio di
sua metallica anima", con occhi di fuoco, sbuffi ansimanti, sussulti
inquieti.
Questo mostro altro non è che la materializzazione del tempo, infatti getta il
fischio che "sfida lo spazio" e, complice il fumo, la pioggia, la
nebbia novembrina, si porta via inesorabilmente il piacere presente della vista
della sua donna, "del viso dolce di pallor roseo della sua amata Lida
sparisce dal presente portata via dal treno, da un simbolo di movimento che
rappresenta il tempo che, come sempre accade, nel suo scorrere porta con sé
anche alcune parti di noi.
Il tempo, per un materialista ateo come il Carducci, rappresenta lo spazio che
ci separa dalla morte, cioè dalla fine del tempo. Ecco allora spiegata
l'intensità delle passioni e dei sentimenti del poeta, esaltati proprio dalla
fugacità del tempo che abbiamo a disposizione e dalla certezza della fine del
tempo che ci è concesso.
Si racconta che gli antichi romani, durante i banchetti tenessero sempre ben in
vista uno scheletro e questo non certo per guastarsi la festa, anzi, semmai per
accrescerla, infatti solo costantemente al cospetto della fine si può
apprezzare il presente, vivere il durante, o almeno provarci. Questa lezione è
ben presente nel Carducci, infatti il richiamo di quelli di là è ossessivamente
presente nelle sue opere e questo motivo sottolinea l'attenzione che il poeta
dedica al tempo, l'unico elemento capace di esaltare le nostre sensazione in
misura della loro permanenza; il tutto compreso nell'arco di una vita
considerata solo dentro il perimetro della durata fisica che il tempo le concede.
GIOVANNI PASCOLI
Giovanni Pascoli è uno scrittore che per tutto il corso della
sua vita ha mantenuto con il tempo un rapporto di tipo conflittuale, nel senso
che vi instaura dei legami e delle complicità, che rendono originale, e sotto
alcuni aspetti anche geniale, la sua visione del mondo e della vita in genere.
Dobbiamo premettere che il Pascoli vive in un periodo storico-culturale nel
quale lo slancio ottimistico di poter spiegare i misteri del mondo
(Illuminismo) e l'inquietudine di allargare il perimetro delle nostre
conoscenze al di là del confine della ragione (Romanticismo), hanno già da
tempo ceduto il passo alla fredda ed inequivocabile constatazione della realtà
oggettiva (Realismo) che porta con sé tutta la delusione degli ideali non realizzati
o, comunque, solo parzialmente conseguiti.
In questo periodo di fine secolo, mentre il quadro politico-sociale è scosso da
numerose tensioni di varia natura e finalità, ecco che si aprono le porte del
Decadentismo, la risposta degli intellettuali ed artisti che non si rassegnano
ad accettare il dato oggettivo della realtà e continuano ad inseguire valori ed
ideali nuovi, pur avendo la percezione che non esistano più certezze assolute e
che, al massimo, si possa intraprendere una ricerca limitata al dato personale,
all'interno del proprio bagaglio affettivo e cognitivo.
In questo nuovo contesto di smarrimento, di assenza di punti di riferimento
stabili, lo scrittore si trova incanalato in una ricerca che lo porta ancor dì
più dentro se stesso e vicino a delle conclusioni, generalmente non previste o
dichiarate, che ruotano intorno alla definizione del tempo
Il 10 Agosto 1867, al non ancora dodicenne "Zìvanì",
Giovannino (cosi lo chiamavano in famiglia), venne a mancare la presenza fisica
e l'affetto del padre; da lì a poco altri gravi lutti familiari disgregarono
l'unità della famiglia Pascoli.
Da quel momento, per il nostro poeta, succede qualcosa di sconvolgente: quel
brutto momento si fissa dentro di lui e rappresenta un freno tenace al tempo
che scorre per gli anni a venire.
Il P. rifiuta la realtà futura a tal punto di vivere il resto degli anni
ancorato a quella data: continua a crescere, ma rimane sempre dentro quel
momento, cioè a dodici anni.
Quell'evento è cosi importante che non lo abbandona per tutto il resto della
vita, diviene un attimo-eternìtà che assorbe tutta la sua vita futura.
Il P. non ferma il tempo per uscirne momentaneamente fuori, per affacciarsi in
dimensioni più ampie e soddisfacenti, il poeta vuol vivere il tempo che scorre,
è attaccato alle vicende concrete della vita che scorre, solo che il tempo nel
quale è immerso si sviluppa in una dimensione parallela, non coincidente
assolutamente con quella degli altri e di tutto il resto.
Il P., come già abbiamo visto con gli altri poeti precedenti, non accetta la
dura legge del tempo che gli ha portato via il valore più grande che possedeva:
il calore dell'unità familiare.
Il poeta si trova pertanto a dover operare una scelta: oltrepassare il trauma
del 10 Agosto, affrontando il tempo futuro senza indugiare su quello trascorso,
oppure rimanere al di qua dell'ostacolo, verticalizzando la propria attenzione
alla ricerca di nuove certezze o risposte ai numerosi interrogativi: il poeta
sceglie la seconda strada ma elabora una teoria tutta sua.
L'ostacolo che ha interrotto il tranquillo scorrere della sua vita, la morte
del padre, determina un effetto boomerang, nel senso che (e qui sta la sua
peculiarità) trasporta il P. indietro negli anni trascorsi.
Il 10 Agosto rappresenta per lo scrittore il punto d'arrivo del tempo nel quale
vuole vivere; quello che viene dopo è un percorso a ritroso che procede nel
passato ricercando le cause e le risposte alle domande che non hanno avuto
spiegazione.
Il poeta va indietro nel proprio tempo, vivendo da adulto la realtà di quando
era fanciullo e, cosi facendo, scopre un mondo nuovo, che lo appaga, che gli
permette di oltrepassare, con l'intuizione, quell'ostacolo altrimenti
invalicabile; finalmente può affrontare la realtà di tutti i giorni con la
sensibilità e la comprensione folgorante del "fanciullino".
La cosa non avviene certo in maniera automatica ed immediata, infatti il poeta
cerca negli anni futuri di confrontarsi con i nuovi tempi e i nuovi ideali
dell'epoca, ma dopo il fallimento di questo incontro maturerà, gradualmente,
quell'effetto boomerang che caratterizza tutta la sua ricerca futura.
Più si allontana dall'ostacolo, più riesce a vedere oltre questo, la
comprensione aumenta col crescere della distanza: un regredire per progredire
nella conoscenza della verità e ottenere, magari, anche una spiegazione
altrimenti irraggiungibile.
Sono molte le poesie del P. (si pensi ad esempio a "Nebbia"), dove
l'ostacolo che impedisce' di vedere con gli occhi, ci permette di capire con la
mente.
La poesia offre al poeta la possibilità di continuare a vivere nella realtà a
lui congeniale e, magari, a suggerirgli anche qualche soluzione ai problemi che
affliggono da sempre l'esistenza; la poesia gli permette di scegliersi il tempo
in cui vivere e il P. coglie questa opportunità applicandola in pratica alla
propria vita. Nel percorso a ritroso il poeta trova le spiegazioni al dubbio di
oggi nelle certezze di ieri, fino a risalire all'anima originale di noi stessi,
all'"Adamo", come dice lui, dal quale tutti ci siamo allontanati. e
al quale tutti dobbiamo (il plurale adesso è d'obbligo) ritornare, se vogliamo
dare un senso e un perché alla vita.
La soluzione pascoliana consiste pertanto nell'aggiustare il tempo alla realtà
che viviamo e non, come generalmente avviene, il contrario.
In questa maniera il P. ottiene la tanto ricercata sintonia tra realtà e tempo,
una condizione ideale di estremo benessere che forse è alla base di tante
ricerche e speculazioni intellettuali, ma il dato ancor più significativo è che
non c'è' più contrasto tra l'uomo (nel tempo) e il poeta (fuori dal tempo) ora
l'uomo diventa poeta direttamente, non c'è più il distacco, la finzione poetica
tipicamente ottocentesca, ormai l'arte è vita e il poeta è l'uomo.
Da questa teoria pascoliana un dubbio tuttavia rimane e cioè perché il poeta
abbia scelto proprio un momento di grande dolore, voglia rimanere legato al
momento più brutto della sua vita, come si riscontra in moltissime sue poesie.
In effetti il passato nel quale il P. vive e si compiace di viverci, non è il
male, anzi, proprio l'opposto: è l'ultimo momento di una felicità che solo in
quelle eccezionali situazioni si manifesta a noi in tutto il suo potenziale
affettivo; il male è quello che è venuto dopo, quando il dolore ha lasciato il
posto alla rassegnazione per il dato di fatto. L'attesa per il padre
assassinato, che è alla base di tante e belle poesie, rappresenta l'ultimo
momento in cui è sentita l'unità familiare, la speranza ultima che esalta il
valore della famiglia unita, mentre la paura della sua disgregazione compatta
ed esalta ancor di più il valore di quella unione.
IL FUTURISMO (con riferimento ai Crepuscolari)
Con il Futurismo il nostro argomento arriva ad una svolta
sostanziale, infatti questi artisti pongono il tempo alla base della loro nuova
e rivoluzionaria visione della vita.
La protesta è indirizzata al passato perché tanto i romantici quanto i
decadenti (per citare solo quelli che abbiamo preso in esame), hanno fallito
nella loro ricerca: i primi, con miti ed ideali, i secondi con intuizioni ed
irrazionalità, entrambi non sono riusciti a congiungere il tempo interiore
delle proprie emozioni cori quello esterno delle percezioni, e proprio da
questo scarto doloroso avrebbero scritto le opere ben note.
I Futuristi propongono di vivere nel tempo, nella dinamicità di tutte le cose
che ci circondano; osservare il tempo che scorre in noi o nelle cose è il
sistema migliore per perdere tempo, per non vivere.
È inutile rincorrere la realtà in movimento per fermarla e ridurla al nostro
stato contemplativo, dobbiamo invece competere con la sua caratteristica
costitutiva, cioè il movimento.
In pratica i Futuristi, che ce l'hanno con "L'immobilità pensosa" del
passato, con i musei e le biblioteche, che cercano addirittura di fuggire dal
rigo della pagina, dopo aver eluso le regole della sintassi e della grammatica,
non ricercano una ribellione fine a se stessa, stanno solamente velocizzando il
punto di osservazione della realtà quotidiana, al fine di potersi congiungere
realmente con essa.
I futuristi avevano capito che per fermare il tempo bisognava correre più
veloci di questo; solo cosi, con il movimento, si poteva trovare il punto di
contatto con la realtà.
Sarebbe come quando con l'auto si percorre una strada parallela alla ferrovia:
solo se si raggiunge la stessa velocità del treno quell'interno, con le
persone, le stoffe, le luci, gli oggetti, si rivela a noi in tutta la sua nuda
realtà, solo allora le cose si manifestano in quello che realmente sono.
Se invece restiamo fermi e lasciamo passare il treno, quel determinato
scompartimento, appena percepito dalla vista e non ancora ben fissato dalla
mente, si arricchisce di una sensazione, mista di curiosità e mistero, così
veniamo trasportati dal fascino che acquistano le cose in movimento; un fascino
che da sempre ha determinato stupore, meraviglia è disparate congetture
mentali, da parte di chi osserva immobile il fenomeno, come si è visto, sin
dall'antichità, con il culto del sole e della luna.
Gli artisti del Futurismo volevano rappresentare la velocità, "il
movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale,
lo schiaffo e il pugno". Lo dicono chiaramente quando affermano che il
mondo si è arricchito di una bellezza nuova: "la bellezza della velocità"
e mi pare doveroso non appuntare l'attenzione solo sulla "velocità",
ma sulla "bellezza" della velocità.
Ci fanno capire, cioè, che solo nella velocità, essendo noi per primi in
movimento, possiamo cogliere quella sensazione che tutti abbiamo avvertito e
più intensamente soprattutto, quelli che si sono fermati ad osservare il fluire
del tempo sulla propria vita.
Secondo i futuristi non dobbiamo subire il tempo, racchiudere in noi stessi un
attimo passato per riviverlo, a nostro piacimento (verticalizzazione): più
subiamo il fascino del tempo, più ci allontaniamo dalla realtà.
Il Futurismo avrebbe dunque intuito una cosa rivoluzionaria, cioè che quella
sensazione struggente, che determina poi le creazioni artistiche nei vari campi
di espressione, non sarebbe derivata dalla realtà che viviamo, ma dal fatto che
questa sia nel tempo e più è percepito il tempo di quella realtà, più noi siamo
toccati da quel fascino.
Da qui la convinzione della inutilità della poesia e della necessità della sua
fine; questo il significato del titolo "Uccidiamo il chiaro della
luna" del manifesto del 1909.
La percezione del tempo determina in noi una sensazione panica estetica che si
spiega solo col nostro bisogno di capire il mistero del tempo che da sempre
affascina e stupisce tutti, poiché custodisce il senso della nostra stessa
esistenza.
L'esperienza del Futurismo è particolarmente importante poiché imposta il
problema in una ottica del tutto nuova, inoltre si trova spesso in contrasto
con tutta la tradizione precedente.
Questa grande originalità non ha però avuto un lungo seguito, un po' per gli
eventi bellici seguiti da li a poco, un po' perché non da tutti è stato
recepito il significato profondo, nascosto dietro le appariscenti e rumorose
espressioni di questi artisti; è significativo comunque il fatto che il
futurismo sopravviva, in quantità variabile, in quasi tutte le avanguardie
estetiche del '900 e che Futurismo non sia solo Marinetti o manifesti di
programmi stravaganti mai attuati.
Se prendiamo in esame il romanzo di Aldo Palazzeschi "Le sorelle
Materassi", notiamo ad esempio come la lezione del Futurismo sia
assimilata in maniera sostanziale e non ostentata in forma provocatoria.
Il racconto di Palazzeschi descrive la vita immobile delle sorelle velocizzata,
all'improvviso, dalla venuta del nipote. Le abitudini di vita e i valori
morali, immutati per molti anni, cadono di fronte all'accelerazione delle
vicende seguenti: Remo infatti rappresenta il nuovo, colui che sa cogliere al
volo le opportunità, che non dà tempo al tempo; cosi anche le tranquille
sorelle vengono trasportate dal turbinio degli. avvenimenti.
Alla fine poco importa se rimangono indebitate se, cioè, nessuna nuova certezza
sostituisce i vecchi valori: nelle sorelle rimane la nostalgia per quei movimentati
giorni, per aver vissuto ad una velocità superiore alle proprie possibilità.
Quando Remo sarà partito, la vita riprenderà il suo ritmo lento e si parlerà
ancora a lungo di lui, così come all'inizio della storia si ricordava
l'eccezionale incontro con il Papa e questa analogia, tra il sacro ed il
profano, non mi pare casuale.
Anche i poeti Crepuscolari sembrano aver intuito qualcosa di simile; con il
rifiutare tutto il materiale poetico tramandato, hanno finito per analizzare la
realtà nella sua essenzialità congenita, cioè senza il tempo; solo cosi,
infatti, hanno potuto' descrivere le cose a loro care scansando quella languida
sensazione determinata dal tempo.
I Crepuscolari, dal canto loro, hanno osservato la realtà alla sua stessa
velocità, ma, contrariamente ai Futuristi, non alle velocità
"nuvolaresche", bensì da fermi e loro possono a ben diritto
rivendicare quella posizione poiché per metà lo sono veramente: scrivono con la
loro metà ancora viva, quella legata alle sensazioni portate dal tempo ma
traggono ispirazione dall'altra, quella già morta, quella più vicina alla
verità delle cose, quella verità che si legge distintamente solo quando il
tempo si è fermato.
Questi poeti colgono della realtà gli aspetti immobili, quelli che si ripetono
monotoni, quelli che girano alla stessa velocità della loro vita. Si aggrappano
alle cose che svaniscono nel tempo, con maggior attenzione a quelle vecchie,
proprio perché sono più vicine alla distruzione abbracciano di slancio tutto
ciò che sta per finire come attratti dal destino comune.
Nessuno meglio di loro ha dato un volto al tempo, ha definito "l'odore del
passato": la polvere sulle cose, le foto ingiallite, la bellezza sfiorita,
un angolo di città visto dalla finestra, la musica ripetitiva dell'organino
dell'ambulante, la vita spiata al di là del vetro, da chi sente di non
appartenervi più ed essere già in gran parte nel passato.
Dal punto di vita artistico, quello dei Crepuscolari è un osservatorio
privilegiato, poiché possono sincronizzarsi con la realtà esterna, riuscendo a
percepire, da vivi, la condizione di sensazione determinata dal tempo.
I Crepuscolari, dal canto loro, hanno osservato la realtà alla sua stessa
velocità, ma, contrariamente ai Futuristi, non alle velocità
"nuvolaresche", bensì da fermi e loro possono a ben diritto
rivendicare quella posizione poiché per metà lo sono veramente: scrivono con la
loro metà ancora viva, quella legata alle sensazioni portate dal tempo ma
traggono ispirazione dall'altra, quella già morta, quella più vicina alla
verità delle cose, quella verità che si legge distintamente solo quando il
tempo si è fermato.
L'infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Schema interpretativo:
Il tempo della filosofia
|
Il tempo oggettivo |
Aristotele
"Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e
poi" (Fisica,
IV, 11; 219b)
Leibniz
" Il tempo è ordine delle
successioni" (Troisième lettre à Clarke, § 4)
Il tempo soggettivo
Sant'Agostino e il tempo dell'anima
Bergson
"La linea è già fatta,
mentre il tempo è ciò che si fa, anzi, ciò per cui si fa." (La pensèe et le mouvant)
La differenza tra il tempo
scientifico ed il tempo interiore
Kant
"Il tempo è la forma pura
a priori del senso interno" (Critica della Ragion pura)
Il tempo come condizione interna dell'uomo per rappresentare ogni fenomeno
Il tempo come struttura delle possibilità
Heidegger
"L'Esserci può automaticamente essere stato solo in quanto è ad
venire. Il passato scaturisce in certo modo dall'avvenire."
Il significato essenziale di ogni uomo è nel futuro intrinseco al suo
esistere
La temporalità originaria e il tempo ordinario
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