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Epilessia

generale




Conosciuta sin dai tempi remotissimi, l'epilessia è una patologia che è sempre stata vissuta in maniera assai particolare. Ciò è probabilmente dovuto, alla inspiegabilità della sua comparsa, alla totale imprevedibilità delle crisi, che colpiscono repentinamente chi ne è affetto, o forse, più semplicemente alla drammaticità di talune sue manifestazioni.

In tutto il Medio Oriente ed in tutta l'area del Mediterraneo si attribuiva ad essa un carattere "magico" ritenendo che le crisi epilettiche fossero dovute ad interventi di spiriti o divinità generalmente malefiche e conseguentemente era proprio nell'ambito dei rituali a carattere magico religioso che se ne ricercavano eventuali terapie.

Solo molto lentamente e grazie all'opera dei medici e di pensatori, si cominciò ad affrontare il problema in maniera via via sempre più scientifica e razionale.

Così, Ippocrate, fondatore, in Grecia, di una Scuola Medica che per prima cominciò ad occuparsi di Medicina su base prevalentemente scientifica, interessandosi anche, e forse soprattutto, della personalità del malato, delle sue reazioni con l'ambiente ed alla fisiologia, cercò di liberare l'epilessia dal carattere di sacralità che le era stato erroneamente attribuito. Tale carattere persisterà tuttavia ancora a lungo, sicuramente durante tutto il periodo cristiano, quando l'epilessia fu di volta in volta attribuita ai diavoli se non addirittura ai santi (ed infatti ancora ai nostri giorni soprattutto nel sud dell'Italia, l'epilessia è altrimenti della Morbo di San Donato).



Gli esorcismi andarono così a sostituire i riti magici che li avevano preceduti nel tentativo di "sedare" le crisi convulsive, ma sostanzialmente l'atteggiamento nei confronti della malattia rimase inalterato.

Solo molto tempo dopo, e precisamente agli albori del 1700, nuovi studi, sorti nell'ambito di un diverso orientamento, avviano ad un approccio più razionale, scientifico e sistematico del problema.

Un importante contributo in questa direzione è dato dal medico elvetico TISSOT, il quale per primo provvide ad elaborare una classificazione seppur elementare, delle cause principali determinanti le crisi epilettiche.

Così Tissot attuò una distinzione tra cause predisponenti (disponibilità e sensibilità epilettica del cervello), cause occasionali (fratture della testa o ancora irritazioni del cervello), ed infine cause permanenti (sforzi, stress alterati movimenti del sangue). Sulla scia dell'interesse dimostrato da Tissot, come pure da molti altri scienziati, si acquisiscono nuovi atteggiamenti nei confronti della patologia e delle sue manifestazioni anche a livello sociale.

Degna di particolare menzione è a questo proposito l'opera di JACKSON, il quale per primo riuscì ad individuare la stretta interconnessione tra la disfunzione neuronale e la sintomatologia clinica manifesta, permettendo così di differenziare le crisi in relazione alla specifica popolazione neuronale interessata.

Ma a Jackson va soprattutto il merito di aver contribuito in maniera sostanziale a stemperare i pregiudizi e le paure ancestrali che hanno a lungo caratterizzato l'epilessia, facendola vivere, come un qualcosa che pur essendo un entità clinica era al tempo stesso, qualcosa che la sorpassava, che ne andava al di là.

DEFINIZIONE

Il termine epilessia deriva etimologicamente dal greco e precisamente dal verbo EPILAMBANO che significa "essere colti di sorpresa".

Tale definizione sintetizza perfettamente i caratteri fondamentali della crisi epilettica, che si manifesta all'improvviso, cessa spontaneamente e tende solitamente a ripetersi, senza che, colui il quale ne è affetto, possa opporvisi.

Più recentemente il dizionario dell'Epilessia edito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha definito l'epilessia come "un'affezione cronica ad etiologia diversa, caratterizzata dalla ripetizione di crisi che derivano da una scarica eccessiva di neuroni cerebrali".

Per scarica eccessiva s'intende il fatto che i neuroni che vanno a costituire una popolazione neuronale si trovano simultaneamente tutti in una condizione capace di provocare la depolarizzazione di membrana. Ecco quindi che durante questi eventi particolari, che altrove abbiamo definito crisi, si ha la subitanea generalizzazione di una grande quantità di potenziali d'azione che attraverso le vie ed i circuiti nervosi, possono essere convogliati ad altre popolazioni neuronali. Appare chiaro a questo punto che il significato delle crisi epilettiche è diverso, a seconda se tale fenomeno interessa una limitata popolazione neuronale, o la popolazione neuronale cerebrale nella sua totalità.

In altre parole i caratteri clinici della crisi sono determinati dalla zona del cervello in cui viene a verificarsi la scarica ipersincrona di una popolazione di neuroni cerebrali.

Il definitiva l'epilessia può considerarsi come una sorte di disfunzione del sistema nervoso centrale provocata da un'improvvisa nonché anormale espressione parossistica di popolazioni neuronali, che si accompagna a delle alterazioni, più o meno gravi della personalità.

Di conseguenza si può asserire che più che una "malattia" in se stessa, l'epilessia è sintomo di una malattia cerebrale, ancor non perfettamente identificata.

Va altresì ricordato che, nonostante le indagini epidemiologiche siano estremamente ostacolate da vari motivi, primo fra tutti la reticenza, da parte dei familiari dei pazienti, per i motivi altrove descritti, le stime più recenti hanno dimostrato una più alta incidenza della malattia (1,5% ) in età evolutiva, rispetto alla popolazione generale, dove la percentuale è pari allo 0,7%.

La differenza di percentuale è dovuta essenzialmente al fatto che la maggior parte delle epilessie incomincia a manifestarsi durante i primi 20 anni di vita (età evolutiva dunque) per poi persistere solo in minor percentuale, anche nell'età adulta.

ETIOLOGIA

Premesso che la cronicità dell'epilessia si traduce nella ripetizione delle crisi convulsive, oppure delle diverse manifestazioni accessuali che possono essere motorie, sensitive, psichiche neurovegetative, è opportuno ovviare ad una prima seppur sommaria e per certi aspetti artificiosa, classificazione delle cause che determinano l'insorgenza della patologia stessa.

Distinguiamo in prima analisi le epilessie essenziali o primarie da quelle sintomatiche o secondarie.

Le prime, le epilessie essenziali sono quelle che hanno un'origine essenzialmente genetica, e che generalmente non sono provocate né da malattie primitive né da lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Statisticamente, appartengono a questo tipo di epilessia, circa il 20% di tutte le epilessie.

Le epilessie sintomatiche sono quelle in cui è invece riconoscibile una precisa causa cui imputare le manifestazioni epilettiche. A questa seconda categoria appartengono circa l'80% dei casi e chiaramente il numero è andato via via aumentando grazie all'affinamento delle varie 434j94e tecniche diagnostiche utilizzate, elettroencefalogramma e T.A.C. in primis.

Le epilessie primarie hanno come già detto, un'origine essenzialmente genetica. Si ritiene che in questi casi l'epilessia è determinata da un fattore ereditario e che sia conseguentemente trasmissibile secondo le leggi dell'ereditarietà. Ai nostri giorni si è più inclini a credere che ciò che si eredita realmente non è l'epilessia come malattia, ma piuttosto la "disposizione a convulsivare" e cioè la disposizione a rispondere con la convulsione epilettica a svariati fattori, di diversa natura, capaci di per sé di abbassare la soglia convulsivante dell'individuo.

Studi più recenti tendono tuttavia ad avvalorare l'ipotesi che anche nelle forme essenziali di epilessia, si possono ipotizzare alterazioni anatomiche del cervello, anche nei casi in cui la causa rimane ignota.

Inversamente le epilessie cosiddette secondarie e che hanno un'origine essenzialmente lesiva, sono determinate da una serie di fattori lesivi, diversamente classificabili a secondo del periodo d'insorgenza.

Più precisamente li distinguiamo in:

PRENATALI

Qualsiasi situazione anormale avvenuta durante la gestazione può essere stato causa interferente con lo sviluppo dell'embrione e del feto. E cioé:

malformazioni cranio-encefaliche

infezioni

intossicazioni

traumi

PERINATALI

Generalmente tutte quelle condizioni che provocano sofferenza encefalica, soprattutto al momento della nascita quali:

parto asfittico

encefaliti

lesioni

cicatrici

POSTNATALI

Nei casi in cui l'alterazione dell'elettrogenesi sopravvive dopo la nascita evidentemente in dipendenza di un processo formatosi. Tra i principali:

meningiti

encefaliti

cisti

tumori

Assumendo dunque a priori, che le crisi epilettiche sono sintomo di una cerebropatia, è di fondamentale importanza, ai fini di un'appropriata strategia terapeutica, un'attenta e corretta diagnosi etiologia dell'epilessia. Questa oltre a tener conto degli elementi anamnestici, più succitati, valorizzerà ed enfatizzerà anche il complesso di quegli altri dati, quali la consanguineità, la familiarità, eventuali malattie dismetaboliche, che contribuiscono in egual misura, ad agevolare l'interpretazione eteopatogenica dell'epilessia.

PATOGENESI

A questo punto della trattazione, si rende necessaria una pur breve parentesi destinata a descrivere, seppur sommariamente l'attività elettrofunzionale cerebrale.

L'elettroencefalogramma (E. E. G.) tecnica diagnostica assolutamente indolore, che consiste in una registrazione grafica dell'attività elettrica delle cellule nervose cerebrali, grazie a degli elettrodi che posti sul cuoio capelluto, permettono di "leggere" sul tracciato, l'elettrogenesi delle differenti regioni cerebrali, ha apportato in questa direzione, un prezioso contributo. La sua importanza risiede nel fatto che, grazie ad esso, è possibile registrare (eventuali alterazioni dell'elettrogenesi cerebrali anche quando non si raggiunge il parossismo, quando cioè non si verifica crisi) ma tuttavia si hanno fenomeni di scarica che hanno significato di epilettogenecità.

E' appunto grazie a questo esame che è stato dimostrato che in un soggetto sano, in condizioni normali, solo un determinato numero non elevato, di neuroni funziona all'unisono mentre contemporaneamente altri presentano un'attività elettrica risulta essere desincronizzata durante lo stato di veglia, sarà modicamente sincronizzata in un individuo a riposo, ed inversamente altamente sincronizzato durante il sonno.

Recenti ricerche neurofisiologiche hanno inoltre localizzato nella formazione reticolare del tronco encefalico, dei sistemi neuronali talamici in grado di regolare il ritmo dei potenziali corticali, in altre parole in grado di regolare e sincronizzare l'attività elettrica cerebrale.

Al contrario, nel soggetto epilettico, nello stato di veglia e durante una crisi, l'attività dei neuroni appare ipersincrona, cioè il tracciato elettroencefalico risulta essere sincronizzato.

In stretta connessione alla zona dalla quale origina l'attività convulsiva le crisi possono dividersi in crisi focali, crisi focali secondariamente generalizzate, crisi primitivamente generalizzate.

Le crisi focali possono interessare:

a) Strutture deputate a funzioni motorie

In tal caso la repentina attivazione dei neuroni motori, scatena una brusca iperattività dei muscoli funzionalmente dipendenti (clono muscolare).

b) Strutture deputate a funzioni sensitive

Ne derivano conseguentemente disturbi sottoforma di parestesia o, di allucinazione, o ancora crisi uditive (sensazioni di rumori assordanti, alterazione dei suoni stessi), crisi olfattive, gustative, vertiginose.

c) Gruppi di neuroni vegetativi

Ne conseguono corrispondenti manifestazioni di natura vegetativa.

Crisi focali secondariamente generalizzate

Si verificano invece quando la scarica di attività convulsiva, partendo dal focolaio primitivo, raggiunge successivamente il sistema centroencefalico. Si verificano in tal caso crisi generalizzate che comportano generalmente una brusca e totale sospensione dello stato di coscienza, turbe neurovegetative, fenomeni di natura motoria.

Crisi primitivamente generalizzate

Si verificano quando la scarica insorta, originariamente, a livello del sistema centroencefalico si generalizza in seguito, all'intero encefalo.

CLASSIFICAZIONE

Appare chiaro dunque, da quanto detto finora che esistono notevoli differenze tra le diverse espressioni dell'epilessia. Per questo motivo se ne è resa necessaria una classificazione, basata appunto sulla diversità clinica delle crisi.

Tra le varie proposte riportiamo qui di seguito quella elaborata dallo scienziato francese H. GASTAUT la cui validità e funzionalità è universalmente riconosciuta tanto da essere adottata oltre che dalla lega internazionale contro l'epilessia, anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

E' opportuno ricordare che, nell'elaborazione di questa classificazione, si è tenuto conto di vari fattori tutti estremamente importanti quali:

a) sintomi clinici

b) quadro critico dell'E. E. G.



c) quadro intercritico dell' E. E. G.

d) localizzazione anatomica responsabile dell'epilessia

e) etiologia

f) età caratteristica di ogni tipo di epilessia.

CRISI PARZIALI

Sono quelle crisi che hanno origine in una delimitata popolazione neuronale. In questo caso i quadri critici dell'E. E. G. sono ristretti ad una limitata regione corticale. La sintomatologia clinica di queste crisi può essere elementare o complessa.

A) Sintomatologia elementare

Non verificandosi un'alterazione della coscienza si può dire che il bambino "assiste alle crisi".

- MOTORIE

- SENSORIALI

- VEGETATIVE

- COMBINATE

Tra le più importanti, nonché frequenti bisogna citare:

1) Crisi somato-motorie o JACKSONIANE

Alla base di queste crisi vi sono quasi sempre lesioni provocate generalmente da traumi, encefalopatie, tumori. Consistono in contrazioni ritmiche, che hanno origine inizialmente in un determinato distretto muscolare per diffondersi poi rapidamente a tutto l'emilato.

La durata di queste crisi è estremamente variabile (va infatti da pochi minuti, ad ore se non addirittura a giorni).

2) Crisi avversative

Assai frequente soprattutto durante l'infanzia. Consistono nell'azione coniugata degli occhi, del capo e spesso anche del tronco verso il lato opposto a quello del cosiddetto focolaio epilettogeno.

3) Crisi afasiche

Caratterizzate da una temporanea incapacità di loquela, determinate dal fatto che il focolaio epilettogeno si localizzi in prossimità della zona verbo/motoria.

4) Somato sensitive

Costituite da parestesie, prima limitate, poi successivamente diffuse.

5) Sensoriali

Caratterizzate appunto da disturbi sensoriali di varia natura:

visivi, uditivi, olfattivi ed in rari casi anche vertiginosi.

B) Sintomatologia complessa

Durante queste crisi si ha invece una brusca degradazione dello stato di coscienza, che tuttavia non raggiunge i gradi più profondi. Si suddividono in.

- PERDITA DI COSCIENZA ISOLATA

- COGNITIVE

- AFFETTIVE

- PSICOSENSORIALI

- PSICOMOTORIE

- COMBINATE

Le manifestazioni esteriori di questo tipo di crisi sono estremamente complesse, quasi sempre comunque di natura psicopatologica. Si caratterizzano inoltre per la presenza di automatismi motori di tipo mimico, gestuale, deambulatorio. Generalmente i pazienti non serbano ricordo alcuno al risveglio, di quanto ha avuto luogo durante la crisi.

CRISI GENERALIZZATE

Sono quelle crisi in cui la scarica non ha origine in una ristretta area neuronale, ma se non in tutta la sostanza grigia, nella sua maggior parte, e comunque simultaneamente sui due emisferi.

Si caratterizzano per la perdita di coscienza, e per i disturbi motori bilaterali e quasi sempre simmetrici.

Le principali forme sono:

- CRISI CLONICHE

- CRISI TONICHE

- CRISI TONICO-CLONICA O "GRANDE MALE"

SEMPLICI

- ASSENZE

COMPLESSE

- CRISI ATONICHE

- CRISI ACINETICHE

Tra le forme più comuni di epilessia generalizzata, che si manifesta generalmente non prima del quarto anno di vita, con una sintomatologia clinica alquanto clamorosa, vi è la crisi tonico/clonica altrimenti definita di grande male.

Tali crisi sono clinicamente caratterizzate da un complesso di sintomi che generalmente si susseguono nel seguente ordine:

- perdita della coscienza, molto spesso accompagnata da un grido provocato dalla contrazione del diaframma con la forzata emissione dell'aria a glottide chiusa;

- caduta al suolo e successivi fenomeni motori generalizzati (fase tonica e clonica).

a) Fase tonica

E' una fase estremamente breve, della durata di 15/20 secondi, consistente in uno stato di contrattura muscolare generalizzata che di per sé provoca anche un temporaneo arresto del respiro con relativa cianosi.

b) Fase clonica

E' caratterizzata da brusche contrazioni dell'intera muscolatura con prevalenza degli arti inferiori e superiori. Si verificano poi contemporaneamente altri fenomeni quali:

- rotazione dei bulbi oculari verso l'alto;

- emissione di una bava sanguinolenta provocata dalle involontarie morsicature della lingua;

- incontinenza sfinteri (le crisi sono infatti quasi sempre accompagnate da perdita di urina).

Segue poi uno stato di generale ipotonia, di un sonno profondo di variabile durata. Il soggetto colpito al risveglio non ricorda nulla di quanto successo. In alcuni casi l'insorgere delle crisi può coincidere, o per meglio dire è facilitata dal sonno.

All'epilessia generalizzata, sono riconducibili anche le crisi cosiddette di "piccolo male" altrove trattato in questo lavoro.

CRISI UNILATERALI

Sono quelle crisi, caratterizzate da una scarica neuronale, se non completamente generalizzata comunque estremamente diffusa, che è comunque predominante in un emisfero ed alle relative connessioni circuitali, possono essere:

- CLONICHE

- ATONICHE

- COMBINATE

CRISI NON CLASSIFICABILI

Sono quelle crisi, che per carenza di conoscenza non sono in alcun modo classificabili.

Una nota a sé merita infine lo stato di male epilettico, condizione patologica di emergenza che porta, in taluni casi, anche alla morte del paziente. Tale stato è caratterizzato dal susseguirsi di crisi epilettiche che subentrano quando la crisi precedente non si è esaurita. Le crisi posso indifferentemente essere:

- GENERALIZZATE

- UNILATERALI O PARZIALI

- OPPURE COMBINATE.

PICCOLO MALE

Si tratta di una forma di epilessia generalizzata così definita nei primi anni dell'800 da ESQUIROL, per distinguerla dall'accesso convulsivo epilettico di grande male.

Con tale nome s'intendono crisi di breve o brevissima durata consistente per lo più in arresti o alterazioni della coscienza, talvolta accompagnate da una modesta partecipazione motoria.

Chi ne è oggetto può continuare automaticamente quanto stava facendo o, al massimo restare come "incantato", con lo sguardo cioè tipicamente assente. Possono verificarsi tuttavia cambiamenti di colorito, generalmente pallore o al contrario un repentino arrossamento, qualche movimento involontario non molto ampio, e più raramente, emissione di suoni. La ripresa della coscienza è immediata, non accompagnata solitamente da nessun disturbo. Le assenze poi si distinguono in SEMPLICI e COMPLESSE.

Quelle semplici sono state più su descritte. Quelle a sintomatologia complessa, sono poi ulteriormente classificabili in:

a) Assenze micloniche

Le miclonie, tra l'altro qualche volta presenti anche nelle assenze semplici, sono di più rilevante entità. Se riguardano gli arti inferiori possono comportare la caduta al suolo del soggetto colpito.

b) Assenze ipotoniche

Caratterizzate da una brusca e generalizzata ipotonia, che provoca generalmente un'abbassamento del capo ed un'afflosciamento degli arti.

c) Assenze con ipertono posturale

Caratterizzate da contrazioni tonico-posturali.

d) Assenze con automatismi

Semplici automatismi, caratterizzano infine, tale tipo di assenza. Il piccolo male è una forma di epilessia considerata benigna anche se talora può essere resistente alla terapia sintomatica. Le assenze hanno comunque una frequenza estremamente variabile da soggetto a soggetto: si va dalle poche in un anno, fino ad arrivare a casi in cui se ne verificano anche un centinaio al giorno (PICNOLESSIA).

Nell'ambito scolastico sono alquanto insidiose, in quanto per la mancanza di fenomeni clamorosi e per la loro durata estremamente breve, spesso non sono notate dai compagni, né dall'insegnante che le attribuisce erroneamente a distrazioni.

ASPETTI RELAZIONALI DELL'EPILESSIA

IL RAPPORTO INDIVIDUO AMBIENTE

Vista da una diversa angolazione, l'epilessia può dunque considerarsi come un handicap su base organica che limita ampiamente l'autonomia e la vita di relazione dell'individuo.

Per poter perfettamente comprendere i problemi suscitati non bisogna interpretarla in senso strettamente neurologico, bensì in una più ampia prospettiva che sia anche di ordine psicologico. Ed infatti quando si intende effettivamente accostarsi alla "persona epilettica" nella sua globalità e dunque non semplicemente al fenomeno della convulsività, bisogna voler affrontare una situazione clinica, che come abbiamo visto è estremamente complessa ed è al contempo di ordine sia neurologico che psicologico. In quest'ottica, la sintomatologia clinica, spesso drammatica e critica ,va intesa come uno, tra i tanti fenomeni della malattia, che può essere particolarmente utile soprattutto ai fini terapici, ma che non racchiude in sé tutta quanta la complessità della situazione. Come abbiamo visto in stretta relazione al tipo di epilessia, il soggetto colpito è più o meno attore e spettatore delle crisi, nel senso che assiste in prima persona, alla modificazione della propria immagine sia fisica che psichica, durante la crisi stessa, ma che la "vede" anche nello sguardo di chi gli sta intorno, di chi lo circonda e che viene coinvolto, spesso suo malgrado, in questi episodi caratterizzati soprattutto dall'imprevedibilità e della repentinità. Ne conseguono ovviamente alterazioni della personalità o per lo meno l'insorgenza di disturbi psicopatologici secondari.



Tali disturbi generalmente associati all'epilessia, consistono in alterazioni psichiche strettamente correlate al tipo di crisi e sono distinti dai vari autori in TRANSITORI o CRITICI e PERSISTENTI o INTERCRITICI.

I primi sono, come si evince dalla classificazione, strettamente collegati alla sintomatologia critica, i secondi sono invece disturbi psichici ma che generalmente si riscontrano al di fuori delle crisi.

La valutazione di questo secondo tipo di alterazioni è altamente influenzata oltre che da valutazioni di natura scientifica, anche e forse soprattutto, da considerazioni di ordine culturale in senso lato. Essi sono tuttavia riconducibili a due tipi essenziali, quelli cioè riguardante l'INTELLIGENZA e la PERSONALITA'. Si determinano dunque, generalmente dei problemi di comportamento che sono strettamente legati all'epilessia. Nell'ambito di questo capitolo mi occuperò sostanzialmente di quelli che ci riguardano più da vicino in qualità di insegnanti specializzati. Prima però, sarà necessaria una breve ma pur fondamentale parentesi, che cercherà di mettere in luce, le caratteristiche fondamentali della personalità dell'epilettico.

A prescindere dal diverso tipo e della maggiore o minore gravità della sindrome clinica, il soggetto "epilettico" vive solitamente in uno stato di dipendenza non solo del gruppo familiare, ma anche dei vari gruppi sociali che ne vicariano le funzioni. La sua condizione psicologica, ma anche psico-sociale è estremamente contraddittoria a causa di determinati fattori. Abbiamo definito l'epilessia come un handicap su base organica che costituisce in ogni caso, una menomazione dell'autonomia personale del soggetto colpito.

La condizione psicologica del soggetto epilettico è essenzialmente assai ambigua in quanto, tale soggetto non presenta tratti esteriori che manifestano visibilmente la sua condizione morbosa, come nel caso di soggetti Down o portatori di altre clamorose minorazioni psicosensoriali. In questi casi la menomazione rende palese la condizione patologica di chi ne è portatore, ne stigmatizza la diversità ed è indice al contempo dell'emarginazione sociale cui il soggetto è condannato. Tutto ciò non si verifica nel soggetto epilettico. Eppure nonostante tutto anche per lui, ancora oggi e molto più spesso di quanto non si creda, esiste in maniera concreta, la realtà dell'isolamento sociale. La spiegazione di tale fenomeno è in un certo senso assai semplice.

Nel caso specifico l'handicap non è costantemente preavvertito, ma può improvvisamente esplodere in tutta la sua drammaticità. Ed è proprio questa sua subitanea manifestazione che inibisce, nella maggior parte dei casi, una relazione matura tra il gruppo ed il soggetto.

Abbiamo già visto che la manifestazione più evidente dell'epilessia è rappresentata dalla crisi e che, questa è generalmente accompagnata da una perdita più o meno breve di coscienza. Il soggetto colpito dunque, perde anche se abbastanza brevemente il controllo della volontà del suo io. Queste alterazioni dello stato di coscienza determinano così una momentanea interruzione nel senso di continuità del suo vissuto personale. Egli non ha elementi per riempire questi "buchi neri" se non con quanto gli viene riferito con racconti venati di stupore, se non di repulsione, da chi gli era vicino. Nel suo tessuto emozionale è evidente a questo punto, una modificazione del senso di identità, del proprio io, e l'insorgenza di ostinati ed ambivalenti reazioni di difesa e sentimenti di colpa o meglio forse di impotenza nei confronti di quella forza intrinseca essenzialmente malvagia e distruttiva, che ha il potere di modificare gli stati d'animo oltre che le reazioni dell'ambiente e che percepita come minacciosa per la propria sicurezza.

Da tutto quanto detto emerge così che non esiste e che non si deve parlare di un "tipo psicologico epilettico" ma più correttamente di strutture di carattere diverse, determinate ovviamente dal proprio individuale vissuto, dai rapporti interpersonali intessuti, dalla maggiore o minore capacità di accettare il fenomeno per quello che è, ed infine dal tipo di epilessia caratteristica del soggetto.

IL SOGGETTO EPILETTICO E LA FAMIGLIA

Moderne teorie psicologiche, cosiddette "sistematiche" o "relazionali" insistono molto sulla necessità di considerare la famiglia come un tutto, come un "sistema" appunto, basato sulle relazioni interpersonali che si instaurano, che esistono tra i membri che la compongono.

Questo sistema di relazioni, obbedisce necessariamente a delle fondamentali leggi, prima fra tutte quella dell'OMEOSTASI. L'omeostasi può considerarsi come un sistema che tende a mantenere se stesso in condizioni di equilibrio e che si oppone a tutte quelle forze che tentano invece di agire operando sostanziali cambiamenti. L'omeostasi può tuttavia, in taluni casi, degenerare e manifestarsi per esempio in maniera eccessiva, creando così un irrigidimento altrimenti detto "blocco" del sistema.

Accreditati autori hanno poi dimostrato che, molto spesso, alla base di tale blocco c'è un "membro malato" o comunque svantaggiato dalla famiglia, che costituisce l'elemento nei cui confronti si definiscono le relazioni di tutti gli altri membri.

Appare superfluo poi, ricordare come il nucleo familiare di un individuo rappresenti contemporaneamente il brodo di cultura, soprattutto nell'arco dei primi anni di vita durante l'età evolutiva quando cioè l'esperienze vissute anche in relazione ai rapporti materni, paterni e fraterni, costituiscono il primo materiale elaborato dalla psiche per adattarsi alla realtà. Se questi rapporti sono sereni, la crescita equilibrata del bambino è chiaramente favorita ma laddove, la nascita di un figlio handicappato ne rappresenta un significativo esempio, si vengono a creare dei "problemi", l'equilibrio naturale cui il soggetto tende, viene ad essere conseguentemente compromesso. Alcune volte irrimediabilmente.

La nascita di un figlio epilettico, rappresenta per i genitori un vero e proprio "shock", diversamente superabile chiaramente in relazione alla classe sociale di appartenenza, al loro livello di cultura, ma anche ed essenzialmente sulle modalità d'insorgenza delle crisi e soprattutto in relazione alla maggiore o minore precocità delle manifestazioni patologiche. Nel caso in cui queste vengono ad insorgere in età pediatrica e tendono a cronicizzarsi, si condizionano pesantemente i rapporti, la dinamica emotiva ed il flusso affettivo che circola tra i vari componenti costituente il gruppo familiare. In particolare è la coppia genitoriale che risente in maniera più profonda della nascita di un figlio epilettico in quanto l'imprevedibilità e la cronicità della malattia lo sottrae, per certi aspetti al loro dominio, ledendo profondamente la loro autostima, maggiormente poi nel caso in cui si tratti del primo figlio. Essi tendono in un primo tempo a negare l'esistenza della malattia, ad ignorarla e soltanto quando ciò non è più possibile, ha inizio una seconda fase, non per questo meno dolorosa, di rassegnazione passiva che ha tempi diversi in relazione al grado di epilessia.

Appare evidente infatti, che le crisi tonico-cloniche di "grande male" non possono essere equivocate a lungo, data l'evidenza della loro fenomenologia. Ha inizio allora un nuovo rapporto comunicativo, più o meno drammatico caratterizzato dal fatto che il figlio non è più semplicemente figlio ma è il figlio "epilettico". E' soprattutto la madre che maggiormente soffre di questa nuova e dolorosa situazione venutasi a creare. Quest'ultima ritenendosi direttamente o indirettamente colpevole della condizione del figlio, genera in se stessa dei sensi di colpa che giocano un ruolo fondamentale nella progressiva esclusione attuata dalla società nei confronti non solo del soggetto handicappato, ma anche del nucleo familiare nella sua totalità.

Se inversamente l'epilessia si manifesta in età adulta la situazione evolve in una direzione che è fondamentalmente diversa, in quanto la personalità del soggetto compito è per lo meno nei suoi tratti caratteristici già strutturata.

Non mancano tuttavia una serie di problemi questa volta legati essenzialmente al repentino cambiamento dell'immagine di sé, del proprio schema corporeo, in una sola parola della propria individualità, dovute anche in questo caso all'improvvisa insorgenza della patologia.

Da quanto detto finora, appare chiaro dunque che se le relazioni interpersonali che interagiscono nell'ambito della famiglia risultano essere prevalentemente incentrate sulla "diversità" di un soggetto, siamo in presenza di una patologizzazione del gruppo, che non riesce più ad avere, per tutta una serie di fattori e di problematiche, esperienze normali anche e soprattutto con il mondo esterno, che ne impediscono la maturazione. Si adottano così i meccanismi difensivi che generalmente si caratterizzano per la loro perversità ed ambiguità, e che rendono, ove mai ciò sia possibile, la situazione ancor più difficile e dolorosa da accettare. Nella fattispecie, nei casi sopraindicati si tratta dell'assunzione da parte dei componenti familiari di meccanismi di iperprotezione assolutamente nocivi, soprattutto negli adolescenti in quanto limitanti ulteriormente la loro libertà di vivere individualmente la patologia da cui sono affetti.

Al soggetto epilettico dunque in virtù delle stesse caratteristiche dell'epilessia, vengono tassativamente proibite quelle espressioni di sé e quelle relazioni sociali che possono di fatto esporlo a dei rischi, ma che comunque tendono ad isolarlo, fino ad escluderlo dalla vita cosiddetta normale, che si traduce spesso in privazioni afferenziali che disturbano ulteriormente il suo carattere. Queste dinamiche complesse e devianti (l'aver citato soltanto l'iperprotezione non implica che non ne esistano altre altrettanto evidenti come per esempio il rifiuto del soggetto) sono estremamente diffuse tra i familiari degli scolari epilettici, e dovrebbero essere assolutamente rimosse. Soprattutto laddove non si ha un'oggettiva consapevolezza della situazione e si agisce particolarmente condizionati da inconsci fantasmi di colpa e di riparazione, che ritardano, quando non ostacolano in maniera definitiva, un loro felice inserimento nella realtà familiare prima, in quella sociale poi.

LO SCOLARO EPILETTICO

Lo scolaro epilettico è, nella maggior parte dei casi, uno scolaro come gli altri, che non presenta, né crea particolari problemi direttamente correlati alla propria infermità.

Molto spesso però gli erronei atteggiamenti ambientali nonostante tutto, fanno nascere intorno ad esso un'atmosfera che risulta essere di per sé disturbante. Ne consegue così che, le istituzioni scolastiche che pure tradizionalmente ed universalmente sono sede privilegiate di apprendimento ed al contempo di specializzazione, in una parola di continua crescita, rappresentano per il soggetto epilettico, un'ulteriore fonte di conflitti e frustrazioni, che sono direttamente proporzionali alla maggiore o minore accettazione della sua condizione da parte dell'intero gruppo classe e del team docenti.

La serenità con la quale l'alunno con tale tipo di problema si accinge a vivere questa nuova ed edificante esperienza dipende come abbiamo già visto, in larga misura dalla qualità dei rapporti interpersonali instauratisi in famiglia, ma anche e forse soprattutto, sono strettamente correlati agli atteggiamenti assunti dai genitori stessi nei confronti dell'istituzione scolastica. Atteggiamenti che molto spesso sono ambivalenti e che oscillano dal rifiuto della struttura scolastica od un atteggiamento di delega, o finanche ad una continua ed estenuante ricerca di alleanze con gli operatori scolastici. Recenti statistiche hanno dimostrato comunque che l'atteggiamento dei genitori di scolari epilettici più diffuso nei confronti dell'istruzione da effettuarsi nelle scuole comuni è essenzialmente quello del rifiuto.

Anche gli insegnanti rivestono dunque, nell'ambito dell'istruzione di tali soggetti un ruolo di primaria importanza in quanto essi rappresentano veicoli "privilegiati" per la comunicazione di stereotipi negativi e di pregiudizio, nei confronti degli epilettici!

Molto spesso essi si lasciano fortemente condizionare dal fatto che, un eventuale inserimento in classe normale è teoricamente utile, ma che numerosi e diversi ostacoli impediscono di fatto la sua effettiva realizzazione: carente preparazione professionale e mancanza di adeguati supporti medico-psico-sociali in primis. Estremamente vari sono così gli atteggiamenti da loro adottati in genere. In quei casi in cui lo scolaro epilettico presenta crisi di "grande male" o comunque evidenti manifestazioni esteriori, l'insegnante facilmente incorrerà in un atteggiamento di rifiuto del soggetto stesso, che ne comprometterà spesso irrimediabilmente, l'inserimento sociale e scolastico in senso stretto. E' opportuno ricordare che l'atteggiamento assunto dall'insegnante nei confronti dell'alunno con crisi epilettiche è di fondamentale importanza. Ed infatti sarà al suo comportamento che si confermeranno quelli degli altri alunni. Se egli ne avrà paura (e questo sentimento potrà essere provocato in lui da tutta una serie di fattori che possono andare dai semplici pregiudizi fino ad una possibile paura di conseguenze legali) trasmetterà automaticamente al resto del gruppo classe questa sua condizione.

Di conseguenza lo scolaro epilettico sarà "irrimediabilmente" escluso dalla classe, vittima una volta di più, delle difficoltà emozionali di chi gli sta vicino, nel caso specifico, dell'insegnante. Se al contrario, e generalmente questo secondo atteggiamento si verifica laddove le manifestazioni della malattia non sono spettacolari, le assenze nella fattispecie, l'insegnante assumerà un atteggiamento iperprotettivo e pietistico, ne conseguirà, ancora una volta l'esclusione, anche psicologica, dell'individuo dal gruppo.

L'atteggiamento degli operatori scolastici di fronte alle crisi epilettiche è determinante per la qualità della percezione degli altri alunni. Se egli si pone in maniera serena e rassicurante nei suoi confronti, sdrammatizzando non solo a parole ma anche a fatti la situazione, allora e non solo allora l'epilettico non costituirà più oggetto di repulsione, scherno o peggio ancora, di commiserazione. Ecco perché si rende necessario che anche l'insegnante curricolare, oltre a quello di sostegno abbia un minimo di precise conoscenze sull'epilessia e sulle condizioni psichiche di chi ne è affetto, e che sia in grado di erudire i compagni del bambino sulla genesi della malattia ed i suoi eventuali risvolti.

Esaminiamo infine, alcune caratteristiche che riguardano l'apprendimento dei soggetti epilettici che potremo forse definire in relazione alla loro presenza, abbastanza frequenti, anche se non assolutamente costanti. Per quanto riguarda le capacità intellettuali di tali soggetti, attualmente si può asserire con cognizione di causa che lo scolaro epilettico ha un'intelligenza del tutto normale, e che anzi, in molti casi, risulta essere superiore alla media.

Molte volte abbiamo visto che l'epilessia è determinata da lesioni cerebrali più o meno diffuse che sono allo stesso modo, responsabili di un'insufficienza mentale. Ne conseguono chiaramente delle difficoltà di apprendimento strettamente correlate all'indice dell'insufficienza stessa. Tuttavia al di fuori di questi casi specifici le prestazioni intellettive globali non si discostano dalla media della popolazione coetanea. Esse possono essere inversamente, parzialmente e temporaneamente ridotte per svariati motivi, fra i più importanti dei quali, l'effetto psicoinibitore dei farmaci antiepilettici usati nella terapia, oppure più semplicemente causate dalla limitata autonomia personale del soggetto, spesso privo, o comunque relativamente più povero di stimoli psicoevolutivi.

Caratteristiche alquanto comuni degli scolari epilettici sono:

- labilità attentiva dovuta sia a situazioni psicologiche determinate appunto dalla terapia usata, sia da cause organiche direttamente dovute all'epilessia;

- bradipsichismo direttamente proporzionale alla percentuale delle crisi che possono generare un rallentamento delle reazioni del soggetto;

- prevalenza del pensiero concreto, che soventemente può accompagnarsi a difficoltà di sintesi e reversibilità del pensiero.

E' tuttavia utile ricordare a questo proposito che tutti i fenomeni descritti, che sono generalmente ascrivibili oltre che all'andamento della malattia stessa, anche alle terapie farmacologiche possono essere parziali e comunque transitorie, per cui bisogna essere estremamente prudente i limiti delle capacità dei soggetti epilettici.

Va infine notato che, contrariamente a quel che si crede essi non hanno brevi tempi di sopportazione della fatica mentale, ma al contrario la stimolazione e l'impegno ad essi richiesti, possono avere benefici effetti, soprattutto laddove possono servire a stemperare l'ansia diffusa, che pur soventemente li attanaglia.

In conclusione si può affermare che il precoce inserimento dei soggetti epilettici nelle scuole comuni è di primaria importanza per due fondamentali motivi: da un lato essi potranno in questo modo beneficiare di quelle stimolazioni che a loro, come agli altri sono fondamentali per il naturale sviluppo delle potenzialità. Dall'altro perché i compagni impareranno a superare pregiudizi ed immotivate paure.

PRESENTAZIONE DEL CASO

Ho seguito con particolare interesse il caso di B. un ragazzo di 12 anni, regolarmente frequentante, la seconda media.

DIAGNOSI SANITARIA

DIFFICOLTA' PRESTAZIONALI IN SOGGETTO AFFETTO DA EPILESSIA DEL TIPO PICCOLO MALE

Gli episodi clinici si sono manifestati, così come specificato dai genitori già pochi mesi dopo la nascita, con fissità dello sguardo, irrigidimento della nuca e revulsione dei bulbi oculari. Attualmente le crisi hanno una scarsa ed irregolare periodicità (generalmente non più di 1 - 2 al mese). Anche grazie alla terapia farmacologica effettuata, che controlla la comparsa della crisi.



B. ha così frequentato sia la Scuola Materna che quella Elementare sempre seguito da un insegnante di sostegno, per un totale di 4 ore e1/2 settimanali. Gli interventi individualizzati hanno luogo generalmente nell'ambito della classe non numerosa ma alquanto difficile in relazione al trascorso socio-scolastico dei componenti. Gli alunni sono infatti 25, quattro dei quali ripetenti e per nulla motivati allo studio e con comportamenti altamente disturbanti. Oltre a B. anche un altro alunno è seguito dall'insegnante specializzato per 9 h. settimanali, mentre, almeno altri due presentano turbe caratteriali e difficoltà dell'apprendimento, non riconosciute dai genitori e pertanto non segnalate all'U.S.L. di appartenenza.

Il comportamento degli alunni in classe è estremamente mutevole il relazione alla disciplina di studio ed al rapporto instaurato con i rispettivi insegnanti; prevalgono comunque la figura dell'insegnante di matematica altamente autoritaria e quella dell'insegnante di italiano che è forse stato l'unico in grado di instaurare con i ragazzi, un rapporto educativo veramente edificante.

ANAMNESI FAMILIARE

Particolarmente sintomatica e complessa risulta essere la situazione familiare di B. Le sue origini sono alquanto modeste: suo padre C. di anni 38 è netturbino, mentre sua madre G. di qualche anno più giovane del marito è casalinga, anche se saltuariamente accudisce una donna anziana che vive nello stesso stabile.

Sposatisi dopo un lungo fidanzamento, i genitori avevano fortemente desiderato la nascita di un figlio, per cui la gravidanza di B. rappresentò il coronamento di una felice unione. Il parto fu eutocico ed a termine il bambino era apparentemente sano. Pochi mesi dopo però iniziarono a manifestarsi i primi episodi critici, caratterizzati dai sintomi sopra descritti e che assunsero poi via via verso i 16 anni, i connotati del "piccolo male". Nei confronti della malattia del figlio, i genitori adottarono sin dall'inizio atteggiamenti estremamente ambivalenti che solo recentemente hanno, almeno in parte, migliorato. La madre in particolare era estremamente preoccupata ed attendeva con ansia la crisi, immaginando i sentimenti di umiliazione e la vergogna del figlio, laddove le crisi si fossero manifestate in presenza di estranei, ma temendo anche per il suo futuro sviluppo. Per questo circondava il bambino con mille cure ed attenzioni, cercando di evitargli anche il minimo sforzo sia fisico che mentale, credendo erroneamente che questo potesse evitargli le crisi, conducendolo presso vari medici chiedendo continue quanto impossibili rassicurazioni sulla scomparsa delle crisi, e sottoponendo il figlio ad una infinità di analisi. Il padre invece, all'opposto ha adottato fin dall'inizio un atteggiamento di negazione, di rifiuto della malattia, completamente agli antipodi dunque, a quello iperprotettivo materno, ma comunque generato da sentimenti di frustrazione susseguenti alla nascita di un figlio "problematico". La situazione iniziale è andata però via via migliorando in relazione alla periodicità delle crisi e dalla nascita di un secondo figlio, F., perfettamente sano. B. è stato molto felice della nascita del fratello che comunque lo "sottrae" dalle cure eccessive della madre, e con il quale ha instaurato, a della dei genitori, un rapporto sereno ed affettuoso. Entrambi i genitori di B. sono in possesso della licenza elementare: nonostante tutto cercano di trasmettere ai figli interesse per lo studio e per la cultura in genere. Essi cercano sempre di migliorarsi e comunicano almeno con gli estranei in un italiano se non proprio perfetto comunque efficace.

ANAMNESI SOCIALE

B. abita in un quartiere "a rischio", estremamente deprivato e deficitario, privo di spazi verdi e di centri di ritrovo socio-culturali, spesso teatro di scorribande di malintenzionati e tossicodipendenti.

La scuola rappresenta quindi un'oasi, in tanta disgregazione, disponendo di un giardino abbastanza grande e di una palestra ben attrezzata. I laboratori scientifici sono stati invece "adattati" a classe normale in quanto a scuola si effettuano, vista la mancanza di aule i doppi turni.

QUADRO DELLE OSSERVAZIONI SISTEMATICHE

AREA DELLO SVILUPPO PERCETTIVO E SENSOMOTORIO

La percezione visiva dell'alunno rientra nella norma: B. generalmente stabilisce e mantiene il contatto oculare con l'interlocutore. Riesce a discriminare oggetti uguali, per forma e colore in un insieme, ed a raggrupparli in base alla dimensione, alla forma ed al colore. Anche la percezione uditiva non evidenzia problemi di natura specifica: Egli infatti esegue dei semplici comandi anche impartiti in maniera "mascherata", si gira se chiamato per nome e voce, sia alta che bassa. Ha una notevole memoria uditiva: riconosce il rumore di oggetti familiari e non; sobbalza ai rumori improvvisi, che generano in lui una forte ansia. Le percezioni tattili, così come quella gustativa ed olfattiva rientrano nella norma.

Notevoli problemi emergono invece a livello della strutturazione dello schema corporeo (quegli stessi problemi che stanno alla base di difficoltà psico-motoria e della limitazione dell'esperienza). B. non ha infatti acquisito lo schema corporeo: non conosce ancora completamente le varie parti del corpo e non riesce perfettamente a localizzarle ed a dominarle, soprattutto sugli altri. Recentemente ha imparato a riconoscere la destra e la sinistra oltre che su se stesso anche sugli altri. L'orientamento spazio-tempo è invece adeguato mentre le sue capacità di attenzione e di perseveranza sono limitate, molto probabilmente anche a causa degli effetti collaterali della terapia farmacologica adottata per ridurre l'insorgenza delle crisi. Così dopo periodi non lunghi di discreta concentrazione ed attenzione, B. generalmente si "disperde" infastidendosi e dando fastidio, spesso non portando a temine le attività precedentemente iniziate.

AREA DELLO SVILUPPO SOCIO-AFFETTIVO

Ad un'attenta osservazione del comportamento B. si presenta instabile, inibito, poco partecipe alla vita della classe e generalmente intollerante alle frustrazioni. Spesso a causa diretta dei rallentamenti delle normali attività didattiche, a causa della sua agitazione. Le proibizioni e le minacce addotte dagli insegnanti ma non mantenute non sortiscono alcun effetto positivo in quanto l'alunno, si serve proprio dell'opposizione, che è comunque palesemente scatenata da vissuti di inadeguatezza ed insicurezza per affermare il suo valore e la sua autonomia. Nell'ambito del gruppo classe ha stabilito una buona intesa con l'altra alunna seguita dall'insegnante di sostegno, anche se generalmente predilige lo starsene solo e le attività individuali a quelle del gruppo. Con gli insegnanti che hanno saputo valorizzare le sue capacità, B. ha instaurato un sereno rapporto di collaborazione, mentre con gli altri, sostanzialmente quelli che non tendono a valorizzare, né a gratificarlo, assume invece atteggiamenti indolenti e poco costruttivi. Non esita tuttavia a chiedere spiegazioni oltre che agli insegnanti anche agli altri alunni, ogni qualvolta si trova in difficoltà, e non sa come comportarsi. Ha imparato, soprattutto negli ultimi tempi a gestire le sue emozioni, e non si lascia più andare a certi scatti d'ira quando lo si contraddice.

ABILITA' COMUNICATIVE

Il sistema pneumo-fono-articolatorio è integro per cui non si evidenzia nessun tipo di disturbo specifico del linguaggio. Le capacità linguistiche di B. risultano tuttavia essere caratterizzate da un lessico alquanto ridotto, scarno, poco forbito e dalla rilevante difficoltà di formulazioni di frasi con nessi sintattico grammaticali più complessi. Generalmente l'alunno si esprime usando frasi nucleari, semplici, non ben strutturate, ma comunque nel complesso riesce ad esprimere adeguatamente il suo punto di vista, il suo pensiero e le sue opinioni. Appena sufficienti sono invece le capacità comprensive: B. riesce infatti a comprendere facilmente racconti brevi caratterizzati da semplici nessi logici, mentre presenta qualche difficoltà nella comprensione di racconti più complessi. Parallelamente alla capacità di scrittura, anche quella di lettura risente delle limitazioni linguistiche: l'alunno riesce tuttavia a leggere e rielaborare in tempi relativamente brevi, semplici racconti. Inoltre è in grado di fare riassunti scritti di brani che egli legge o che gli si raccontano, anche se con notevoli semplificazioni. Adeguate sono le attività grafico-pittoriche verso le quali l'alunno dimostra una spiccata inclinazione.

ATTIVITÀ' COGNITIVE E LOGICO MATEMATICHE

L'alunno ha buone capacità di associazione e di differenziazione: egli riesce infatti, senza esitazioni, a differenziare o al contrario di associare vari oggetti in relazione al colore, alle dimensioni ed alle funzioni. Adeguate sono inoltre le sue capacità di astrazione, seriazione e classificazione. B. ha ormai quasi completamente acquisito le capacità di operare calcoli con le addizioni e le sottrazioni, mentre incontra ancora qualche difficoltà con le moltiplicazioni e le divisioni, difficoltà dovute tutt'oggi alla sua completa interiorizzazione delle tabelline. Risolve invece semplici problemi aritmetici meglio se basati sul quotidiano e la realtà concreta, mentre non predilige quelli che prevedono la costruzione di figure geometriche. Riconosce e scrive correttamente i numeri nell'ambito delle migliaia, ed il valore posizionale delle cifre.

ABILITA' SOCIALI

Secondo quanto esplicitamente rilevato agli insegnanti dai genitori, B. soprattutto in seguito alla nascita del fratello è andato via via acquisendo una sempre maggiore autonomia individuale. Egli è infatti capace di badare a se stesso, ad avere cura della sua persona in relazione alla pulizia personale, al bere, al mangiare ed al controllo sfinterico. Recentemente anche grazie all'opera dell'insegnante di sostegno, i genitori hanno preso a responsabilizzarlo ulteriormente, concedendogli anche di svolgere determinate mansioni, dalle quali precedentemente lo escludevano sistematicamente, nel terrore dell'insorgenza della crisi, come uscire per i negozi a fare spese. Per quanto concerne la vita di classe, B. ha adottato come già altrove esposto, un comportamento essenzialmente ambivalente, a secondo delle persone con le quali di volta in volta interagisce. Tale atteggiamento pare sia stato in parte provocato da un'errata accettazione del bambino, soprattutto nell'ambito della scuola elementare (dove pure le assenze si registravano più frequentemente) generate dall'angoscia della maestra che temeva probabilmente la repentinità delle crisi e le sue imprevedibili conseguenze. Per questo motivo B. era sistematicamente affidato alle cure dell'insegnante di sostegno, unica responsabile del suo processo "educativo", mentre durante le altre ore l'alunno assisteva passivamente alle lezioni. I suoi attuali compagni, così come la maggior parte degli insegnanti hanno invece ben compreso la natura della patologia di cui egli è affetto, per cui la situazione è andata via via "normalizzandosi". Anche se i risultati conseguiti non sono stati sempre all'altezza della situazione, B. ha preso indiscriminatamente parte a tutte le attività scolastiche proposte, anzi questo è stato il fine ultimo cui ha mirato la programmazione degli interventi educativo-didattici.

INTERVENTO PROGRAMMATO

All'inizio dell'anno scolastico, in occasione dell'insediamento del consiglio di classe, l'insegnante di sostegno, che quest'anno ha seguito B., ha edotto gli insegnanti sulla diagnosi e sulla fenomenologia della patologia di cui l'alunno è affetto, onde evitare che quest'ultimo venisse ingiustamente richiamato per disattenzione o per scarso interesse, quando è in atto una crisi. Ha inoltre, sempre nella stessa sede, illustrato l'opportunità di evitare particolari e pericolosi atteggiamenti pedagogici di rifiuto, o al contrario di eccessiva indulgenza, responsabili di ulteriori compromissioni dell'attività dell'alunno, ed infine, dopo aver collegialmente valutato le reali ed effettive capacità dello stesso è stato redatto un curriculo educativo e didattico che tenuto in debito conto tutte queste variabili. E' stata soprattutto valutata e sottolineata l'importanza di attuare azioni di rassicurazione, di incoraggiamento e valorizzazione delle capacità dell'alunno, nonché della sua "responsabilizzazione" da esplicarsi attraverso un sistematico quanto costante atteggiamento di disponibilità e di accettazione permettendo così a B. di sperimentare contatti umani autentici e gratificanti, privi di forzature.

L'azione di valorizzazione e degli incentivi si è delineata affidandogli compiti adeguati alle sue capacità, considerando che nulla smorza la motivazione ad apprendere quanto l'insuccesso, e tenendo sempre presente la fondamentale importanza del "rinforzo" inteso come elemento gratificante che può determinare la stabilizzazione di comportamenti adeguati e desiderati. Sollecitandolo alle iniziative, proponendogli scelte e domandandogli giudizi ed iniziative, si è invece attuata un'edificante opera di "responsabilizzazione" in senso lato.

Contemporaneamente sono state programmate tutta una serie di attività didattiche miranti soprattutto a colmare quelle lacune, che ancora oggi inficiano il suo rendimento scolastico. Particolare rilievo è stato dato all'importanza dell'acquisizione dello schema corporeo dell'alunno. A tale fine sono stati programmati esercizi miranti a moltiplicare l'esperienze visive, tattili, posturali, cinetistiche curando che vengono interiorizzate mediante la verbalizzazione da parte dell'alunno, verbalizzazione consapevole e non meccanica, seguita anche d espressione grafica e pittorica (costruzione di piccole marionette o semplici figure da ritagliare sul cartoncino). Il corpo del bambino diventerà così l'oggetto privilegiato di un intenso interesse, opportunamente valorizzato dall'insegnante, che dapprima favorirà esercizi che permettono la rappresentazione del proprio corpo in posizione statica (da svolgersi dinanzi ad uno specchio), poi in posizione dinamica.

Particolare rilievo è stato dato anche all'arricchimento del patrimonio linguistico dell'alunno, che presenta un linguaggio di livelli inferiore alla norma come struttura o perlomeno più povero per quanto riguarda il patrimonio lessicale. Il deficit si riferisce essenzialmente alla lingua italiana, in quanto B. è capace di esprimersi con sufficiente chiarezza nel proprio dialetto. A tal fine sono stati attuati tutta una serie di esercizi con l'ausilio di quotidiani, riviste fumetti. Spesso B. è stato "guidato" ad analizzare situazioni ed immagini, mentre altre volte gli si chiedeva di integrare ai disegni gli opportuni testi scritti. Ciò ha favorito non solo l'esposizione scritta ma anche quella orale. Gli interventi sopra citati sono stati condotti nell'ambito del gruppo classe, chiedendo molto spesso l'attiva partecipazione della totalità degli alunni.

VERIFICA DEI COMPORTAMENTI IN USCITA

Nel complesso i risultati raggiunti dall'allievo possono considerarsi soddisfacenti, soprattutto per quanto riguarda l'integrazione" nell'ambito del gruppo classe, della gestione dei propri sentimenti, di una attiva partecipazione alla vita della scuola nonché dell'acquisizione delle principali norme scolastiche.

B. vistosi "responsabilizzato" e continuamente sollecitato a far meglio, a far di più, si è progressivamente impegnato ed ha acquistato un comportamento più consono alla vita della scuola.

Permangono alcune lacune nell'ambito dell'espressione scritta ed orale, ma l'interesse dell'alunno dimostrato nei confronti delle varie attività proposte dall'insegnante, lascia presagire un parziale se non totale recupero delle disabilità iniziali. Questo suo inserimento è stato senz'altro favorito da un'atmosfera di calma e di serenità che tutti, insegnanti, alunni e di riflesso anche i genitori, hanno contribuito a creare intorno a lui, giorno dopo giorno. La stimolazione e la soddisfazione di interessi personali, sono state di sostegno nel convogliare e neutralizzare l'ansia diffusa, che precedentemente erano una concausa nella non partecipazione dell'alunno alle varie attività didattiche proposte. In altre parole l'inserimento, ma soprattutto la totale integrazione verso la quale B. sta lentamente avviandosi è stato favorito oltremodo non solo dalle continue sollecitazioni che sono state indispensabili per lo sviluppo delle sue potenzialità ma anche dall'altrui superamento di pregiudizi e paure.

CONCLUSIONE

I problemi sollevati dai portatori di handicaps e dal loro inserimento nelle scuole comuni a prescindere dalla loro natura, sono sempre estremamente complessi ed articolati. Parte di questi problemi sono però generati, molto più spesso di quanto non si pensi, da fin troppo semplici generalizzazioni e da un inadeguato approfondimento delle caratteristiche particolari di ognuno. Questo accadeva e continua ad accadere nonostante i progressi straordinari compiuti in campo medico e scientifico e la straordinaria divulgazione di tali informazioni, attraverso tutti i canali di comunicazione possibili. E ancora attualmente per l'epilessia, handicap specifico caratterizzato da un'alta percentuale di incidenza, soprattutto in età evolutiva e dunque essenzialmente in età scolastica.

Tutt'oggi, infatti, l'epilessia suscita tutta una serie di problemi psicologici in gran parte sottovalutati o semplicemente ridotti a problemi di natura psicopatologici e neuropsicologici.

Gran parte del mistero suscitato dalla patologia epilettica è da attribuire, come abbiamo visto, all'insorgenza repentina e spesso spettacolare delle crisi, che possono facilmente impressionare colui che suo malgrado, vi assiste. Tali sensazioni sono però essenzialmente dovute ad una scarsa conoscenza della malattia stessa e delle sue possibili conseguenze. E' fondamentale dunque, che tutti gli operatori scolastici, si impegnino a far sapere che le crisi non sono mai dolorose per chi le subisce, né pericolose per chi vi assiste. Ma soprattutto nell'evidenziare che lo scolaro che presenta crisi epilettiche è uno scolaro come tutti gli altri, che non crea problemi particolari dovuti alla sua situazione e che per questo nella quasi totalità dei casi può, anzi deve assolutamente frequentare al pari di tutti, la scuola comune.







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