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TUCIDIDE - Archeologia - Il discorso di Pericle - La peste di Atene

greco



TUCIDIDE

Tucidide nacque ad Atene attorno al 460 a.C. Suo padre Oloro,apparteneva ai Filaidi, una delle famiglie aristocratiche di Atene, e possedeva miniere in Tracia, dove gli Ateniesi avevano insediato colonie. All'inizio della guerra del Peloponneso, troviamo Tucidide impegnato politicamente e posto a capo di una spedizione di soccorso inviata in Tracia nel 424 a.C. per impedire agli spartani di impadronirsi di Anfiboli. Ma la spedizione capeggiata da Tucidide arrivò tardi e Anfiboli cadde.Per questo motivo Tucidide fu esiliato. Dalla tradizione apprendiamo però, che Tucidide continuò a vivere in Atene, ma fu escluso dalla vita politica. Così egli poté dedicarsi alla stesura della storia di questa guerra che egli aveva appreso anche da un punto di vista politico. Morì dopo la fine della guerra e dopo la restaurazione del regime democratico nel 403°.C. Secondo la tradizione fu assassinato da mano ignota e fu seppellito accanto a Cimone.


E' con lui che la storiografia classica raggiunge il suo acme, sia per l'alto spessore dei concetti a cui si ispira, sia per la snellezza e l'essenzialità del suo stile. Non solamente scrittore storico, ma anche autore di una grande opera di arte letteraria.

Gli otto libri delle sue Storie trattano le vicende della guerra del Peloponneso (fra la lega spartana e quella ateniese), sino - ma la narrazione si interrompe - a quella che fu poi la definitiva rovina di Atene e della grandezza della Grecia antica. Mancano i discorsi che sono una caratteristica della storiografia tucididea.Evidentemente l'opera fu interrotta per la morte dell'autore, come ben appare dalla stesura non rivisitata dell'ultimo libro.Essa venne continuata nelle Elleniche di Senofonte.



Da quanto leggiamo nel 1° libro delle sue Storie, che di tutta l'opera costituisce un vero ed espositivo prologo, è lo stesso Tucìdide che si prende cura di sottolineare che non si è limitato, nella stesura, a riferire eventi sotto l'influenza della propria opinione, né di aver reperito notizie da chiunque fosse; ma che la sua esposizione è il risultato di un vaglio scrupoloso di opinioni e testimonianze: un esame e una cernita di fonti e notizie ben difficoltoso, soprattutto se si tien conto che molti degli eventi o personaggi contemporanei alla narrazione potevano certamente soffrire dell'influenza del giudizio, partigianamente positivo o negativo, di chi ne testimoniava. Esattamente quello che accade anche oggi con la storia mondiale del nostro ultimo cinquantennio: siamo proprio sicuri che la verità storica sia quella che ci raccontano i lorsignori di turno?

Come in Cesare e soprattutto in Tacito, a 656b17g nche in Tucìdide la storia è essenzialmente una disciplina scientifica, volta alla ricerca e alla scrupolosa cernita di cause e fatti, senza l'orpello di quelle fantasticherie forse care al lettore (dei suoi tempi, s'intende), ma dannose per la scientificità e attendibilità dell'opera. Concezione della storia sicuramente moderna, e in decisa polemica con il lavoro di Erodoto: la storia non come narrazione di vicende sovrastate da una imperscrutabile mano estranea all'uomo, ma fatto esclusivamente umano, quindi razionalmente indagabile.

Forse ateo, Tucidide: e di conseguenza la storia da lui concepita è un fatto "laico", da analizzare e proporre sotto la lente di un laico impersonale microscopio.

La Storia di Tucidide maturò in ambiente socio-culturale diverso rispetto a quello di Erodono; quella di Tucidide è una narrazione politica e militare. Tucidide seleziona con decisione ciò che può appartenere alla tradizione storiografica e può essere quindi oggetto di un'indagine scientifica, tradizioni folklorostiche risultano quindi del tutto estranee alla concezione storiografica.Erodono aveva affermato che era sua compito riportare tutto ciò degno di memoria e tutto ciò che si possa dire meraviglioso, ma anche il "meraviglioso" resta fuori dalla prospettiva di Tucidide. Per lui la storia deve essere una scienza precisa, un'analisi, un'anamnesi del passato rivolta alla diagnosi del futuro. Essa si pone come un ctema es aiei "possesso per l'eternità", cioè un documento dove studiare gli eventi passati rivolto a un pubblico colto, di kalokagaqoi de cui lui stesso faceva parte.Tucidide considerava fondamentaler per la storia contemporanea lo scontro fra la democrazia imperialistica ateniese e il tradizionale sistema oligarchico che vedeva in Sparta la sua roccaforte. Lo storiografo vede Atene come la protagonista e la illumina con straordinaria lucidità i meccanismi dell'Atene democratica, preteso a valutare se e in che modo questo sistema può condurre a un decisivo incremento del potere dello stato. Le assemblee cariche di emotività e ferocia, gli uomini politici costretti ad assecondare le richieste e le speranze del popolo , il popolo sovrano che tiranneggia la polis e tuttavia è capace di assumersi collettivamente le più gravi responsabilità costituiscono un fatto nuovo nella storia mondiale e trovano in Tucidide il loro più acuto analista . Tucidide, per, quanto ogni storico pretenda di essere imparziale, scrive secondo l'ateniese moderato, contrario allo strapotere del popolo con il quale è costretto a venire a patti.L'orizzonte di Tucidide è completamente laico:lasciati da parte gli eventi trascendentali, la storia è regolata da forze che trattengono la loro origine solo nella natura dell'uomo , e in primo luogo nella legge del più forte:"è sempre stata una norma che il più debole sia assoggettato dal più forte" e con ciò giustifica qualsiasi azione.L'idea che deriva dalla sofistica, viene sviluppata da Tucidide con grande coerenza, in alcuni passi di fondamentale valore ideologico. L'insegnamento sofistico risulta potentemente operante nell'opera:sono tratti tipicamente sofistici il porre l'uomo e le sue opere al centro della storia. I discorsi ricorrono in tutta l'opera, tranne nell'incompleto ultimo libro, e formano dense pagine di analisi politica in cui vengono messe in luce tutte le motivazioni di tutte le parti. I discorsi, come afferma Tucidide, sono stati modificati solo per una forma di verosimiglianza, ma sono gli stessi fatti dagli stessi personaggi. Ma la storia di Tucidide non si conclude in una mera vicenda di potere, a determinare il corso degli eventi entra in causa anche l'imponderabile che cambia il fine e le conclusioni dei fatti che l'autore analizza con grande dovizia. Tucidide, quindi, con il raccolto della guerra avverte la faccia più feroce della psiche umana e vede la destabilizzazione della democrazia ateniese. L'arte di Tucidide si avvale di un linguaggio complesso, denso e artificioso tipico di una tradizione non orale. Ma la sua narrazione avverte un'estremo pathos e analizza gli eventi con chiarezza e precisione. Tucidide quindi crea uno stile del tutto nuovo, e rende esemplare ogni sua pagina facendo emergere con forza i drammi della storia.


Archeologia

Tucidide scrive una storia contemporanea, eppure la sua opera inizia con un excursus su quella passata, dalle origini fino alle guerre persiane. Questo incipit esprime tutta l'arte e i propositi Tudididei contrapposti all'arte dei suoi predecessori. Tucidide non scrive per un pubblico pronto ad ascoltare, ma la sua opera lui stesso la definisce "ktema es aiei" cioè un possesso per sempre.

Tucidide fece dell'età periclea un quadro omogeneo, di una precisione straordinaria quindi appare il modello della civiltà moderna.Tucidide, eliminando tutti gli elementi irrazionali che dilettavano l'auditorio Erodoteo, si confronta con il mito e riesce a dimostrare, secondo la sua filosofia sofistica per la quale la storia si basa sui rapporti di forza tra gli stati, che la guerra d Troia non è stato un evento capitale della storia quanto lo scontro contemporaneo che vide la Grecia spaccarsi in due durante una guerra ventennale.L'antropologia Tucididea, quindi, procede inversamente rispetto al mito e quindi a quella Erodotea.A differenza di Esiodo ed Erodono, Tucidide non pone all'origine l'età dell'oro, ma bandendo "il mito dell'eterno ritorno" basa la storia sul progresso dell'uomo e quindi sul suo progressivo miglioramento. Sostanzialmente le fasi ripercorse da Tucidide sono esatte: da una vita pastarole e nomade a uno stanziamento che sfrutta l'allegamento e l'agricoltura.Tucidide liquida la guerra di Troia come un evento militare secondario, mentre è significativo il suo impiego del mito per presupporre in epoche remote una talassacrozia cretese. Anche sulle migrazioni Tucidide riteneva avendo ragione che nella Grecia in origine si fossero stanziati degli altri popoli e solo in un secondo momento.


Tucidide scrisse della guerra tra i Peloponnesiaci e gli Ateniesi: previde dai primi sintomi che sarebbe stata una guerra più grande delle precedenti; lo dedusse dal fatto che entrambi i popoli entravano in guerra al culmine delle loro forze e i popoli restanti si univano, o avevano intenzione di unirsi, all'una o all'altra parte. Questo è stato il più grande sconvolgimento verificatosi fra i Greci e tra gli altri popoli, anche perché, a distanza di molto tempo, non si riescono ancora a capire tutti i motivi scatenanti. È chiaro che la regione oggi chiamata Ellade, in passato è stata abitata da popolazioni nomadi che andavano via sotto pressione di un popolo più forte o più numeroso. Questi vivevano soli e indipendenti senza timore di lasciare il territorio perché sicuri di trovare un'altra terra fertile. Sopratutto le terre più fertili erano soggette a un cambio continuo di popoli. L'Attica rimasta dai tempi più lontani libera dalle discordie a causa dell'aridità del suolo ebbe sempre gli stessi abitanti. Un esempio importante a garantire che le migrazioni impedirono lo sviluppo omogeneo è che i più potenti scacciati dai loro territori si rifugiarono presso gli Ateniesi e accrebbero la loro potenza.è anche un segno importante della debolezza degli antichi: prima della guerra di Troia questi sembra non si fossero mai uniti. Inoltre-ci avverte Tucidide- la regione non aveva neanche il nome di Ellere, ma ognuno dava un nome differente al suo territorio, solo quando Elleno, figlio di Deucalione divenne molto potente gli abitanti iniziarono a chiamarsi Elleni.. D'altronde anche Omero non attribuisce loro il nome di Elleni, ma li chiama Danai, Argivi e Achei.Inoltre, Omero, non parla neanchedi barbari in quanto i Greci non erano stati identificati come popolo unitario e quindi non poteva indicare il contrario. Solo quando, uno dopo l'altro, presero il nome di Elleni si capirono e si unirono fino a combattere insieme la stessa causa. Minosse fu il primo a possedere una flotta e ad aver il controllo su gran parte del mar greco;ottenne il dominio delle Cicladi e da queste scacciò i Cari e mise a capo i suoi figli. Tra i Greci e alcune popolazioni barbare si diffuse poi la pirateria, cioè dei saccheggi a scapito di città senza cinta murarie che andavano a sostenere i pirati e i più deboli, inoltre questo non era ancora causa di vergogna, ma dava gloria ai suoi artefici. Ma ancora ai tempi di Tucidide praticare la pirateria non era del tutto illecito,tanto è vero che molti lo domandano ai viandanti senza condannarli. Tramite i pirati, poi, la Grecia portava le armi, non essendo le abitazioni e le comunicazioni tra gli uomini sicure.Furono per primi gli Ateniesi a lasciare le armi e a mostrare il loro lato più aristocratico, portando delle vesti e delle acconciature con fermagli di cicale d'oro. Presso i Lacedemoni, invece, si avvertiva meno la differenza tra i più ricchi e la massa, furono sempre questi che iniziarono a spogliarsi in pubblico durante le gare di corsa o di pugilato, con una sola cintura che copriva loro i genitali; questa usanza si adottò presto presso altri popoli e anche presso molte popolazioni barbare. Se la città dei Lacedemoni venisse rasa al suolo, dopo alcuni anni si dimenticherebbe la loro grandezza, eppure governano due quinti del territorio!ma il loro dominio è meno visibile perché diviso in numerosi villaggi, se invece succedesse la stessa cosa agli Ateniesi nessuno dimenticherebbe la loro grandezza e forse questa apparirebbe addirittura accresciuta perché i loro insediamenti sono compatti e ben visibili.

Tucidide poi, ci offre un'analisi della poesia Omerica e ci parla delle navi appartenenti alla flotta della grande spedizione. In questa, Tucidide, trova che l'equipaggio sia stato numeroso ma, vinta la battaglia, si diedero alla pirateria per mancanza di approvvigionamenti. Per questo i Troiani poterono resistere per dieci anni contro i Greci che erano sparpagliati: avevano forze a sufficienza a combattere quelle che il nemico lasciava a combattere. Se non si fossero dedicati all'agricoltura e alla pirateria, avrebbero certamente preso la città in molto minor tempo. Dopo la guerra di Troia, i Greci fecero molte altre migrazioni e stabilirono molte altre colonie ma dopo molto tempo riuscirono a stabilirsi in pace e stabilità.

Man mano che la grecia accresceva il suo potere si insediavano nuove tirannidi nelle città più potenti e la Grecia allestiva potenti flotte per il dominio marittimo. La più antica battaglia navale di cui abbiamo notizia è quella dei Corinzi contro i Corciresi. I Corinzi infatti, essendo la loro città sull'istmo, erano da tempo un importantissimo scalo commerciale che vedeva il passaggio continuo di tutti i Greci che, in un primo momento, commerciavano soprattutto via terra. Questi diedero l'epiteto di "ricca" alla regione e sconfissero la pirateria dilagante nei loro mari. Anche gli Ioni ebbero una grande flotta all'epoca del re Ciro e di suo figlio Cambise sconfiggendoli. Policrate, tirannop di Samo, con la sua flotta sconfisse grandi isole e i Focesi furono vincenti sui Cartaginesi in un famosa battaglia navale.Queste erano le flotte più potenti anche se possedevano poche trireme e si avvalevano ancora di pentecontori e navi lunghe.Altre flotte importanti furono quelle dei tiranni di Sicilia poco prima della morte di Dario.Le flotte, dunque erano forti e potenti, mentre gli scontri a terra avvenivano tra popolazioni confinanti perché i tiranni pensavano soprattutto al controllo della loro città senza spingersi troppo oltre, per questo la Grecia non appare troppo intraprendente nelle azioni delle singole città.

Tucidide afferma che gli avvenimenti da lui narrati sono degni di nota e veridicità in quanto lui stesso ha selezionato e analizzato le fonti, inoltre, egli stesso, ci avverte che probabilmente i fatti da lui raccontati non saranno altrettanto divertenti e persuasivi come quelli ricchi di favoloso di Erodono, ma il suo primo proposito è quello di creare un possesso veritiero per sempre dal quale apprendere e sul quale studiare.

Il discorso di Pericle

Ogni anno in Atene si celebravano pubblicamente le esequie dei caduti per la patria. Nel 431 a.C. fu chiamato Pericle che era stato il fautore del conflitto. Tucidide riporta il discorso che questi tenne e nel quale si spiega l'assenza di Atene all'apogeo del suo splendore.

Il discorso di Pericle riporta una visione piuttosto idealistica dell'organizzazione politica, economica e culturale di Atene ma ciò è comprensibile trattandosi di un discorsi propagandistico.Il genere dell'epitafio aveva dei suoi contenuti fissi e quindi richiedeva un appello alla memoria di gesta passate e un encomio della città nel suo complesso. L'elogio ai caduti era piuttosto formale e cercava, nel suo insieme, di consolare i parenti con parole e espressioni di circostanza.. Pericle però fa una sorta di manifesto del "miracolo ateniese" e dei successi del sistema democratico pronunciato da colui che era stato il principale artefice della potenza ateniese nei decenni precedenti. È evidente, quindi, che la celebrazione dei defunti diventa solo il pretesto per una riflessione sulla superiorità ateniese rispetto alle altre città Greche e una giustificazione al suo imperialismo. È Tucidide che attribuisce a questo discorso un importanza notevole ponendolo all'inizio delle Storie, nonostante esso si verifichi alla fine, ed è ancora Tucidide che decide il succedersi degli argomenti in tutto il discorso.Nella visione Tucididea questo era anche un elogio al grande Pericle: appartenente alla democrazia moderata che secondo l'autore era il sistema più adatto per tenere a bada gli impulsi eversivi delle masse. Pericle ricorda gli antichi splendori nell'attese dei prossimi sconvolgimenti bellici. Pericle rappresentava la classe media e pur non approvando appieno la democrazia se n'era messo a capo, e la massa accettava il governo di questi aristocratici perché il loro patrimonio culturale risultava determinante per la gestione della cosa pubblica.


Tucidide ci espone come avvengono i funerali e gli onori ai caduti:tre giorni prima venivano erette delle tende e lì riposte le osse dei caduti, i parenti vi portavano delle offerte. Ognuno delle quattro tribù porta un bara di cipresso e ci depongono le ossa dei propri caduti. Inoltre,viene portata una lettiga con degli stracci per ricordare i dispersi.Dopo averli seppelliti, un uomo distintosi nella società pronuncia un discorso appropriato e dopodiché se ne vanno. Facevano tutto ciò ogni qual volta potevano durante la guerra. Quando fu scelto Pericle, questi salì su un podio affinché tutti potessero sentire, iniziò il suo discorso ricordando chi prima di lui l'aveva tenuto e le memorabili gesta fatte da quei corpi ora senza vita.Pericle invita tutto l'auditorio a credere alle sue parole e a ricordare le gesta anche se, tutti gli uomini, sentendo gesta più grandi e valorose di quelle che loro stessi potrebbero compiere sono subito colpiti dall'invidia e sono portati a non credere. Così, Pericle inizia un lungo elenco delle vicende che avrebbe ricordate per dovere e quelle che avrebbe tralasciate perché appartenenti al sapere comune. Con toni aulici e dignitosi Pericle descrive la democrazia ateniese, basata sull'eguaglianza e sul benestare della comunità; egli afferma pure che questa è, e deve essere modello per gli altri popoli. Inoltre ricorda che i giochi e le gare rallegrano la mente e sono motivo di svago ed ancora, che data la grandezza della città sono costretti ad importare gran parte dei beni di cui godono come dei propri. Pericle continua ad esaltare i valori di questa democrazia citando i suoi valori quali la moderazione in tutte le cose, la riservatezza, la tenacia e riconoscendo la lealtà degli abitanti che pur conoscendo il piacere non rifuggono dalle fatiche e dai pericoli. Ricordando queste cose, Pericle elogia i caduti che con la loro audacia e il loro coraggio hanno reso possibile un simile stato. In conclusione conforta i parenti dei caduti dedicandogli parole commosse e piene di rammarico, ricordandogli la grandezza dei loro figli e delle loro gesta, e intimandogli di rallegrarsi per le loro opere e per aver goduto della loro vicinanza nei tempi passati, infine ricorda gli onori e i privilegi che avranno e dopo aver finito di compiangerli di tornare alla loro consuetudine


La peste di Atene

Subito dopo il discorso di Pericle, Tucidide descrive l'epidemia che si abbatté su Atene nel secondo anno di guerra. Con straordinaria tensione drammatica si vedono contrapposte l'Atene idealizzata nell'epitaffio e quella in preda alla più temibile delle epidemia:la peste.

La strategia di Pericle escludeva uno scontro contro l'esercito spartano: ogni anno gli Spartani invadevano l'Attica e devastavano i campi;i cittadini venivano sfollati per farci ritorno solo in autunno; nel frattempo la flotta ateniese compiva incursioni in territorio nemico. Pericle prevedeva che in questo modo le forze spartane si sarebbero logorate invano e gli Ateniesi avrebbero potuto sferrare il colpo decisivo.

Forse il piano avrebbe avuto successo se la peste non si fosse abbattuta su Atene. Nella città sfollata di profughi si diffuse un'epidemia portata dall'Egitto. Dalle testimonianze non è chiaro se si tratta sse di peste, dai sintomi descritto da Tucidide sembrerebbe più tifo o vaiolo o, ancora, una forma virulenta del morbillo;comunque si trattò di una malattia contagiosissima e sconosciuta ai medici del tempo. L'epidemia fece più di 4500 vittime, ci racconta Tucidide e lo stesso Pericle morì cosicché venne a mancare la mente politica di Atene.Questo imprevisto spiega al meglio il concetto dell'incommensurabile che, repentino, sconvolge i piani degli uomini. Tucidide racconta la peste con estrema precisione,chiarezza e dovizia di particolari, tenendo la tensione drammatica e il carattere della narrazione storica. Ma oltre ai sintomi Tucidide ci racconta gli effetti psicologici dell'epidemia sulla popolazione, dando un quadro più che autentico della situazione sviluppatasi in Atene.Su questi temi si sviluppa il discorsi Tucidideo che riflette sull'atteggiamento di una società terrorizzata e sofferente che prende atto della propria precarietà.


Tucidide ci racconta minuziosamente i sintomi della malattia che attaccò dapprima l'Etiopia e poi si spanse in tutte le città della Grecia. L'epidemia si insinuò dalle campagne arrivando sin nelle acropoli della città e colpì i cittadini in tutte le parti del loro corpo, portando forti malesseri e terrore. I medici del tempo non trovarono alcun rimedio a questa sconosciuta malattia, così che si ebbero migliaia di vittime e i pochi superstiti presero atto della loro precarietà e smisero di fare ciò che era onesto e di dedicarsi al culto della loro religione nel vano tentativo di godersi al meglio gli sgoccioli della loro esistenza.



Il dialogo dei Meli


A Melo, un'isola colonizzata dagli Spartani, nell'Egeo sud-occidentale, nel 416 a.C. si svolse un dibattito tra gli inviati ateniesi e i rappresentanti dei Meli. Questi ultimi, infatti, dopo essersi rifiutati di aderire alla lega delio-attica, volevano rimanere neutrali.Essi cercano di convincere gli Ateniesi dell'utilità di una condotto clemente, fanno appello al diritto, alla protezione divina e persino all'aiuto degli spartani.  

Ma gli Ateniesi cedettero di dare segno di debolezza acconsentendo alle richieste dei Meli, così che smantellarono tutte le loro argomentazioni con logica ferrea di chi è consapevole della propria forza. Ai Meli dunque non restò che un vano tentativo di difesa, prima di essere soppressi dalla superiorità bellica di Atene. L'episodio,seppur non diverso da molte altre sottomissioni, viene fatto risaltare alla fine del quinto libro e Tucidide,evidentemente, lo cita come esempio di quanto dura avrebbe potuto essere la sorte dei disertori. Tucidide mette a nudo il dispotismo Ateniese e lo analizza alla luce del più spregiudicato realismo politico. Dionigi di Alicarnasso, nel suo scritto Su Tucidide, biasima lo storico per le parole sconvenienti che questo ha messo in bocca agli Ateniesi. Ma Tucidide ,avvalendosi delle teorie sofistiche, giustificò appieno gli arbitrii e le prevaricazioni del popolo Ateniese.

Come ci racconta Tucidide, anche gli ambasciatori Ateniesi cercarono di spiegare ai Meli che la sopraffazione, di cui loro rimanevano vittime, era il frutto della legge del più forte che dominava sia gli uomini sia gli dèi. La visione Tucididea potrebbe apparire fuorviante: anche se manifesta il suo interesse per la parte psicologica e morale egli ,pur non condannando l'imperialismo Ateniese, ne individuò la pericolosa degenerazione. Tucidide mette in evidenza questo episodio e ,differentemente dagli altri, lo propone sotto forma di dialogo drammatico, cioè senza continuità, ma frammentato posto ad individuare ogni principe che partecipò alla discussione. La particolarità del dialogo ha suggerito a molti tra gli studiosi che si trattasse di un opera a se stante e composta per la recitazione, inoltre le allusioni a una possibile sconfitta degli Ateniesi hanno fatto pensare a una composizione tarda, ma in realtà non era necessario attendere la fine del conflitto per ipotizzare i rischi che Atene stava correndo. Il dialogo presenta una grande forza drammatica, specialmente la dove i Meli lasciano trasparire che in caso di sconfitta gli Ateniesi, mostratisi spietati nei loro confronti, subiranno la vendetta dei nemici. L'arroganza con cui gli Ateniesi rispondono sembra quasi evocare lo schema della ubris che verrà poi punita dalla giustizia divina,cioè dalla forza che in campo di guerra non sempre fa vincere i più potenti. È cosi che la loro speranza di deboli isolani, sarà ripagata più tardi con la totale disfatta del potente nemico.


Gli Ateniesi mandarono una spedizione sull'isola dei Meli per trattare e discutere prima di attaccarli e sottometterli con le armi. I messi furono accolti dalle autorità locali. Lontano dalle masse iniziò la loro discussione e subito, i Medi dissero di star trattando per poter rimanere neutrali, mentre gli Ateniesi affinché quelli si facessero assoggettare da loro. I Meli chiesero di poter rimanere amici e nemici a tutti,alleati di nessuno, ma gli Ateniesi spiegarono che mentre la loro amicizia era segno di debolezza e sottomissione, il loro odio era segno di potenza e quindi inaccettabile per loro. Dopo lungo discorrere, con varie argomentazioni e giustificazioni i Meli affermarono di non voler cambiare opinione e di aver deciso di rimanere neutrali così gli Ateniesi risposero che come loro avevano avuto grande fiducia in un futuro sconosciuto, avrebbero subito anche una grande sconfitta.


I Misteri eleusini

I Misteri erano feste segrete a cui presiedevano gli anziani dopo riti purificatori e che avevano il dovere di tacere su ogni cosa che avevano visto o sentito durante il rituale .I riti misterici divennero sempre più presenti col passare dei secoli, ma già in età arcaica sono attestati riti simili legati all'iniziazione tribale della varie città. Alcuni riti facevano parte del culto cittadino e venivano organizzati dalla polis. Questo fu il caso dei misteri eleusini che, si diceva, fossero stati istituiti dalla dea Demetra e continuarono a esser celebrati per più di mille anni. A sopprimerli fu l'imperatore Teodosio, alla fine del IV sec. E poco dopo venne smantellato anche il santuario di Eleusi presso Atene, dai Goti. I Misteri si celebravano in autunno, sotto il patronato dell'arconte re, con il rito si adoravano le due dee, vale a dire Demetra,dea della fecondità e sua figlia Persefone. Percorrevano un cammino di circa trenta chilometri e lungo questo celebravano altri piccoli riti. Arrivatio al santuario celebravano le cerimonie e poi,"coloro che sono tenuti a tacere" venivano fatti introdurre dal padrino detto "mistagogo". Gli iniziandi avevano partecipato prima a delle cerimonie purificatrici, in particolare il sacrificio di un porcellino. Prima di entrare bevevano il "ciceone" una zuppo d'orzo, vino e altre erbe:probabilmente erbe allucinogene capaci di far avere delle visioni ai fedeli.Le cerimonie, di cui non c'è dato sapere sul contenuto, si tenevano al buio e raggiungevano il loro apice durante la visione della dea.Questo dava al defunto iniziato la felicità della rinascita in una vita beata, ricordando il ciclo della vita e della fertilità. I Misteri quindi erano una sorta di religione personale che metteva ad intimo contatto l'iniziato e la sua divinità. Così la religione misterica eliminava le barriere sociali e creava nuove forme di solidarietà, dal momento che vi erano ammessi tutti, uomini, donne, stranieri e schiavi.


Lo scandalo delle erme

In una notte d'estate, quando la flotta Ateniese stava per salpare per Siracusa, del 415 a.C. si verificò un misterioso intrigo politico che produsse fatali conseguenze. In quella notte un grande numero di Erme, cioè quelle statue di Ermes che sorgevano nelle case e nelle piazze,furono mutilate.Il sacrilegio, che gettava un'ondata di infausti presagi sulla spedizione, generò una generale indignazione che Tucidide riporta fedelmente nelle sue Storie.Il motivo di questo vandalismo non si seppe mai, ma questo venne ritorto contro l'uomo politico più potente della città,Alcibiade, che era a capo della spedizione ed era noto per la spregiudicatezza dei costumi e il sospetto di ateismo,in seguito gli fu fatta un accusa ancor più grave, ossia di aver parodiato i misteri Eleusi. In questo cli ma di caccia alle streghe molti furono arrestati, torturati e uccisi. L'episodio è un chiaro esempio di come l'Atene democratica, in quegli anni di guerra, fosse fittamente intrisa di superstizione e quindi di come le masse fossero manipolabili da politici spregiudicati.

Del resto, vennero compiuti molti atti di spregio verso la religione soprattutto in ambito aristocratico.Gli adepti si definivano "membri di un club satanista", il nome era stato scelto per farsi beffa dei costumi e degli dèi Ateniesi. Essi si riunivano nei giorni infausti e ostentavano il massimo disprezzo per le credenze religiose. Per questi circoli di atei mutilare le statue di culto o parodiare i misteri era solamente un gioco di società. Ma il gioco fu molto rischioso, perché Alcibiade, dopo lo scandalo delle erme, venne privato della sua spedizione e rifugiatosi a Sparta divenne nemico della sua città, e la spedizione contro Siracusa si trovò privata del suo miglior condottiero.






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