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GIOVANNI PASCOLI (San Mauro di Romagna 1855 - Bologna 1912)

italiano



GIOVANNI PASCOLI (San Mauro di Romagna 1855 - Bologna 1912)

Figlio quartogenito di Ruggero e di Caterina Vincenzi Alloccatelli, visse i suoi primi anni nella tenuta "La torre" dei principi di Torlonia, di cui il padre era amministratore. La sua infanzia fu ben presto turbata da un evento tragico: l'uccisione del padre in una imboscata. Dopo la morte della madre, i fratelli dovettero attraversare un periodo di forti ristrettezze economiche. Costretto ad abbandonare il collegio e trasferitosi con i fratelli a Rimini, conseguì a Cesena la maturità, e, successivamente, vinse una borsa di studio che gli permise l'iscrizione all'Università di Bologna, al 828g67i la facoltà di lettere, dove ebbe come insegnante Giosuè Carducci. Dopo la morte dell'amato fratello Giacomo, si buttò a capofitto nella lotta politica. Nel 1878 venne arrestato durante una dimostrazione a favore degli anarchici. Uscito dal carcere abbandonò la passione politica per dedicarsi completamente alla carriera universitaria. Intanto nel 1981 pubblicò la prima edizione di Myricae, raccolta di poesie per lo più giovanili in cui è ricercata la purezza e l'ingenuità delle piccole cose. Nel 1897 pubblica "Primi poemetti", ai quali seguono nel 1903 "I Canti di Castelvecchio", nei quali rievoca i momenti trascorsi con la sorella Mariù. I "Poemi conviviali" tentano una rappresentazione moderna dell'esperienza classica. In "Odi e inni" (1906), "Nuovi poemetti" (1909), "Poemi italici (1911), "Poemi del Risorgimento", si cimentò con temi civili e storici. Numerose le prose raccolte prima in "Miei pensieri di varia umanità", poi in "Pensieri e discorsi" (1907). Un posto particolare occupano, nella produzione critica di Pascoli, i tre volumi di ermeneutica dantesca: "Minerva Oscura" (1898), "Sotto il velame" (1900) e "La mirabile visione": si tratta di un tentativo esegetico di indubbia serietà, nonostante la presenza di particolari contestabili e cavillosi. Muore nel 1910, colpito da un male inguaribile.




Profilo di Pascoli e commento di alcune poesie

Pascoli è da considerare per così dire uno spartiacque che segna l'inizio del Novecento. I suoi rapporti col decadentismo, meno vistosi di quelli di D'Annunzio, sono in compenso più profondi e la sua influenza sulla posteriore poesia italiana sarà determinante. È essenziale distinguere in Pascoli la novità che si cela e si confonde con il rispetto o la prosecuzione di temi e di forme di quella produzione veristica che per i primi due/tre decenni del secondo Ottocento era stata egemone: i "quadretti di genere", le rappresentazioni di scene della vita dei campi, che troviamo in Myricae e che paiono rimandare a tanta produzione letteraria di quei decenni, in realtà sono per Pascoli lo scenario su cui proiettare inquietudini, smarrimenti, un senso del vivere fatto di ansiose perplessità. Di conseguenza i dati realistici presenti nelle sue liriche si caricano di significati e di simboli. Con questa prima fondamentale verità Pascoli per un verso si inseriva in un orientamento presente a livello europeo in quegli anni (il simbolismo), per un altro trovava le modalità più adatte e suggestive per esprimere un senso della vita sotteso da turbamenti adolescenziali, da incertezze e da paure di fronte alla realtà storica e contemporanea, e di conseguenza tutto proiettato verso il vagheggiamento del proprio nido familiare, verso la contemplazione della campagna come idilliaco rifugio, verso l'ossessivo ricordo dei morti. Una tematica, questa, che è collegata alla dolorosa esperienza biografica del poeta, e che di frequente dà luogo a sbavature sentimentalistiche. Ma a parte ciò, il processo di rinnovamento si manifesta, oltre che nella dimensione simbolica della poesia, anzi tutto sul piano linguistico: egli adotta, infatti, un lessico nel quale o entrano termini tecnici, gergali, relativi al mondo della campagna, o c'è posto per termini che sono al di qua della comunicazione, privi di senso, pregrammaticali, ma carichi di valenze fonosimboliche, di suggestioni evocative (le onomatopee, per esempio). Inoltre, Pascoli apparentemente rispetta la prosodia e le forme metriche tradizionali, ma in realtà il singolo verso o la struttura strofica sono dissolti e disarticolati dal di dentro nella loro compattezza armonica tradizionale, al posto della quale subentrano e si insinuano una versificazione e una musicalità frantumate dalle cesure, dilatate dagli enjambements, o rotte da pause, da attoniti spazi di silenzi. Ma la produzione di Pascoli presenta anche aspetti che non sono stati fertili di sviluppi. Nei "Poemi conviviali" ad esempio realizza componimenti raffinatamente letterari che traggono spunto da capolavori del mondo classico (l'Odissea) e si distinguono per la ricercatezza di un linguaggio antiquario, sono cioè un'opera di letteratura che nasce da una preesistente letteratura. Nei componimenti di Odi e Inni affronta la celebrazione delle idealità civili e patriottiche e si trasforma in un poeta vate, sull'esempio di Carducci e D'Annunzio: una metamorfosi collegata ad un confuso itinerario ideologico, che fa sì che questo poeta inizi la sua carriera come cantore del chiuso nido familiare e la concluda come celebratore della conquista della Libia.

Commento relativo alla lirica Dieci Agosto e alla tematica del "nido"

di Giorgio Barberi Squarotti

"Nella dissoluzione della società che non sa dare misura e valori e propone costantemente la volgarità e la pena, il dolore o il male, l'estremo e unico rifugio appare al Pascoli il nido familiare, a cui partecipano, legati dagli affetti e dalle complicità irrazionali del sangue, i vivi e i morti della famiglia, costituendo il luogo caldo ed accogliente di un rifugio di fronte ad una storia che presenta immagini di orrore, d'oppressione, di morte, e di fronte ad una condizione umana che è dominata dal terrore onnipresente della morte, che rende illusioni i gesti degli uomini, e ne segna di inutilità ogni tentativo di emergere. I rapporti sociali si riducono al nucleo privato, avulso da ogni contatto che è il nido. Dapprima il nido è solo quello familiare, popolato di pochi vivi e di un'infinità di morti dolenti e aggressivi, fra i quali sono anche la madre, le sorelle, i fratelli, tutti ugualmente connotati dal pianto e da un inesauribile rancore. In essi domina, custode, la madre: che è la depositaria delle ragioni del sangue e della terra, quella che convoca il figlio al rito crudele dell'investitura della vendetta contro l'assassino del padre (La cavalla storna), quella che viene con la voce stanca, smarrita, col tremito del batticuore a rimproverare più che a confortare il figlio tentato di morire".






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