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A. Gramsci: Coscienza critica di un secolo di storia del nostro Paese
Gramsci, ha scritto Togliatti, con lui
fondatore del PCI nel 1921, è "la co scienza critica di un secolo di
storia del nostro Paese".
Per questo, mezzo secolo dopo che il cervello e la penna di quest'uomo si sono
ferma te, le sue riflessioni si rivelano profondamente attuali e suscitano
l'interesse dei giova ni, così che la sua opera assume per noi il valore di un
classico.
Egli ha scritto: "Tutti voglio 747j94h no essere aratori della storia, avere parti
attive. Nes suno vuol essere concio della storia. Ma può ararsi senza prima
ingrassare la terrà dunque, ci deve essere l'aratore ed il concio".
Il concio, il letame per concimare la terra, è questo che Gramsci è stato.
E da concio arriva a fertilizzare il terreno fino a noi, aprendoci un
eccezionale orizzon te conoscitivo su processi storici, da lui colti allo stato
germinativo, ma di cui aveva intuito gli sviluppi.
È, infatti, lo specchio critico in cui leggiamo le caratteristiche essenziali del
Novecento.
In particolare, egli si pose il problema della costruzione dell'egemonia,
dell'evocazione del più ampio consenso possibile, consapevole dell'ormai
inarrestabile irruzione delle masse sul terreno della storia e del profondo
legame tra politica ed economia, tra Stato e Società civile, nell'età del
capitale di monopolio.
Le direttrici di fondo della riflessione gramsciana sono costituite dal
ripensamento teorico del marxismo e dalla originale ed acuta analisi delle
specifiche forme della conquista del potere in Italia.
È per questo che Gramsci è considerato uno dei più significativi rappresentanti
del marxismo teorico del Novecento ed insieme il fondatore della "via
italiana al socialismo".
In primo luogo, Gramsci rilesse Marx attraverso la lezione di Lenin,
riconducendolo alla radice hegeliana e ponendo l'accento sulla centralità della
dialettica.
Egli difende la specificità del marxismo, opponendosi tanto alla deformazione
positivistica operata dalla Seconda Internazionale, che riduceva il marxismo a
teoria economica, considerando la storia esclusivamente come storia di rapporti
materiali di produzione, tanto al neoidealismo crociano ed al suo concetto di
storia etico-politica.
Se contro i revisionisti Gramsci fa valere il principio della dialettica,
contro la filosofia crociana, la filosofia prevalente presso gli intellettuali
laici e liberali del nostro Paese, fa valere il principio della "Storia
integrale".
Scrive Gramsci: "La storia etico-politica, in quanto prescinde dal
concetto di blocco storico, in cui contenuto economico-sociale e forma
etico-politica si identificano concretamente nella ricostruzione dei vari
periodi storici, è nient'altro che una presentazione polemica di filosofemi più
o meno interessanti, ma non è storia".
La "storia integrale" è insieme storia dei rapporti materiali di
produzione e storia etico-politica, cioè è storia del rapporto dialettico tra
prassi e teoria.
Infatti, scrive Gramsci, "le idee non nascono da altre idee, le filosofie
non sono partorite da altre filosofie, esse sono l'espressione rinnovata dello
sviluppo storico".
In questa ottica, "prevedere" significa "vedere bene il presente
ed il passato in quanto movimento". Vedere bene, cioè identificare con
esattezza gli elementi fondamentali e permanenti del processo. Ma è assurdo
pensare ad una previsione puramente oggettiva, ossia fondata solo sul movimento
di forze economiche, prescindendo dall'azione soggettiva di uomini ed
istituzioni.
Col concetto di "Blocco storico", Gramsci intende la dialettica inscindibile
di teoria e prassi.
Infatti, egli scrive: "Le forze materiali non sarebbero concepibili
storicamente senza forma, e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza
le forze materiali."
Contenuto del Blocco storico è la sottostante struttura economica; la
sovrastruttura ideologico-politica ne è la forma.
È così che per Gramsci il marxismo si configura come "Filosofia della
prassi", cioè come teoria di rapporti reali che si traduce in azione. La
teoria ha un legame vivente con la prassi, è "ideologia organica".
È la sovrastruttura, necessaria perché storicamente determinata, capace di
organizzare le masse umane, formando il terreno in cui gli uomini si muovono,
acquistano coscienza dei conflitti di struttura e lottano.
È il campo della presa di coscienza degli antagonismi ed insieme il luogo della
cementazione sociale, dell'egemonia, della produzione e della trasmissione
della cultura.
Le idee nascono dallo sviluppo storico del reale, ne sono l'espressione, ma
nello stesso tempo hanno il potere di cambiare la storia. Ecco perché le idee
non sono figlie di idee, ma nascono da rapporti storici reali.
Nel momento in cui il capitalismo è entrato nella fase monopolistica, e le
grandi masse sulla scena della storia, il problema della sovrastruttura diviene
determinante.
Prendere il potere significa, innanzitutto, occupare le "casematte dello
Stato", cioè quegli apparati della Società civile, come la scuola, i
partiti, i sindacati la stampa, che hanno il compito di inculcare nelle menti
delle grandi masse i valori della classe dominante.
Secondo Gramsci la supremazia di un gruppo sociale nel mondo contemporaneo non
può attuarsi solo col dominio e con la forza.
Gli apparati coercitivi della società politica non sono più sufficienti,
occorre avvalersi degli apparati egemonici della società civile, occorre
evocare il consenso più ampio. Il potere non è più dominio, è egemonia, intesa
essenzialmente come capacità di direzione intellettuale e morale.
"Un gruppo sociale deve sforzarsi di diventare dirigente già prima di
conquistare il potere e diventare dominante. Dopo, quando esercita il potere,
diventa dominante, ma deve continuare ad essere dirigente."
Invece, la borghesia italiana di inizio secolo, pur essendo ancora dominante,
stenta ad essere dirigente, avendo perso la capacità di risolvere i problemi
delle grandi masse.
Gramsci insiste particolarmente su questo punto, affermando che l'egemonia
tende a formare un blocco storico di forze differenti, tenute insieme
dall'ideologia.
È per questo che il cemento del blocco storico è l'intellettuale.
Analizzando la storia italiana del suo tempo, egli individua un blocco storico
dominante costituito dagli industriali del nord e dagli agrari del sud, il cui
cemento è rappresentato dall'intellettuale crociano.
A questo blocco storico occorre contrapporne un altro formato da operai
settentrionali e contadini, il cui cemento è l'intellettuale organico.
Gli intellettuali assumono, così, un ruolo centrale.
Essi non sono visti come un gruppo sociale autonomo e ristretto, bensì come
l'insieme dei quadri dirigenti che elaborano e trasmettono le idee-guida nei
vari settori della produzione, della politica e dei partiti, della cultura e
dell'educazione.
Secondo Gramsci "tutti gli uomini sono intellettuali, ma non tutti gli
uomini hanno nella società la funzione di intellettuali"."Ogni uomo,
all'infuori della sua professione, esplica una qualche attività intellettuale,
è cioè filosofo, artista, uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo,
ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o
a modificare una concezione del mondo, a suscitare nuovi modi di pensare".
Ogni classe sociale tende a produrre i propri intellettuali organici connessi
ai propri bisogni ed alla propria mentalità.
Intellettuale organico delle classi subalterne è, per eccellenza, secondo
Gramsci, il partito, che, rappresentando la totalità degli interessi e delle
aspirazioni della classe lavoratrice, si configura come la sua guida politica,
morale ed ideale.
Per questa sua capacità unificatrice delle istanze popolari e per il suo fermo
tendere verso un supremo fine politico, egli denomina il partito comunista
"moderno Principe", con l'avvertenza che, mentre per Machiavelli esso
si identifica in un individuo concreto, per i comunisti si tratta di un
organismo in cui si concreta la volontà collettiva della classe rivoluzionaria.
Quanto alla strategia rivoluzionaria, coerentemente con la sua dottrina
dell'egemonia, Gramsci afferma che lo scontro rivoluzionario non può essere
frontale e "limitato alla trincea", cioè alla "facciata dello
Stato", deve piuttosto dirigersi in profondità, mediante una
"snervante guerra di posizione", contro le "fortezze" e le
"casematte" del nemico, ossia contro l'insieme delle istituzioni
della Società civile.
Si tratta di logorare progressivamente la supremazia di classe della borghesia,
conquistando i punti strategici della società civile, e ponendo così le
premesse per la conquista del potere e la realizzazione della propria egemonia.
La conquista dello Stato borghese, in quest'ottica, avviene dall'interno della
società, attraverso una "battaglia delle idee" e sulla base di una
prospettiva sociale, economica, politica, intellettuale e morale, che sia in
grado di ottenere il consenso delle masse.
Ancora una volta risulta centrale la funzione dell'intellettuale organico,
dell'intellettuale che ricuce la frattura tra cultura e vita, tra cultura e
masse, operata dall'intellettuale tradizionale, membro di una casta separata
dal popolo-nazione.
L'intellettuale organico deve essere portatore di una " cultura
nazional-popolare", che rappresenta il cemento del rapporto tra dirigenti
e diretti, tra governanti e governati.
Perché, si chiede Gramsci, il popolo ha avuto nel Risorgimento una parte
marginale, ed in ogni caso subalterna, così che l'unificazione italiana si è
caratterizzata coma" conquista regia", e non come prodotto popolare?
Perché mancava una coscienza nazionale che non poteva certo nascere dalla
cultura dominante, ancora legata ad una tradizione cosmopolita ed alla
convinzione che le idee nascono da altre idee.
In questo vuoto di coscienza nazionale e nella estraniazione del popolo al
nostro moto unitario, i moderati cavouriani hanno diretto il processo di
unificazione secondo i propri fini, fino alla costituzione di uno Stato dalla
fisionomia di "dittatura borghese".
Il vizio d'origine dello Stato italiano, la causa della sua debolezza e del
permanere di tentazioni reazionarie, è l'assenza di "spirito
giacobino" nel movimento che gli ha dato vita.
Secondo questa linea di lettura la "questione meridionale" diviene
una "questione nazionale", perché la classe operaia italiana ha la
possibilità di farsi classe dirigente solo facendo della questione meridionale
una questione nazionale.
Infatti, il proletariato, solo se riesce ad ottenere il consenso delle masse
contadine può creare quel sistema di alleanze di classe, che gli permetta di
mobilitare contro lo stato borghese la maggioranza della popolazione
lavoratrice e diventare classe dirigente e dominante.
Di fronte al blocco dominante formato da industriali ed agrari, per effetto
dell'egemonia dei moderati nel processo di unificazione del nostro Paese,
neppure il Partito d'Azione, di impronta mazziniana e garibaldina, ha saputo farsi
"giacobino", cioè legarsi alle masse rurali e porre la questione
agraria.
Di qui la necessità di saldatura politica e culturale tra salariati
settentrionali e contadini meridionali, che implica lo sforzo di strappare le
masse rurali all'egemonia della borghesia e della Chiesa, ponendo in primo
piano la questione degli intellettuali.
"È da notare - scrive Gramsci - che la massa dei contadini, quantunque
svolga una funzione essenziale nel mondo della produzione, non elabora propri
intellettuali organici e non assimila nessun ceto di intellettuali
tradizionali, quantunque dalla massa dei contadini altri gruppi sociali tolgano
molti dei loro intellettuali, e gran parte degli intellettuali tradizionali
siano di origine contadina".
Ma porre in primo piano la questione degli intellettuali significa porre in
primo piano la questione della cultura e della scuola.
Qui, oltre che nell'acuta analisi della storia italiana, si rileva la grandezza
e l'attualità della riflessione di Gramsci, che pone l'accento sull'analisi
degli strumenti, i "media", attraverso i quali l'"egemonia
attiva" crea "consenso passivo" in una società di massa.
Egli avverte che bisogna smettere di concepire la cultura come sapere
enciclopedico, in cui l'uomo è solo un recipiente da riempire con dati
empirici, nozioni e fatti bruti e sconnessi, che saranno incasellati nel
cervello come in un dizionario, e poi utilizzarli all'occorrenza.
L'élite intellettuale borghese è ermetica ed astratta, perché la cultura
borghese è separata dalla vita e dalle masse.
La cultura, invece, deve "aderire al presente" che noi stessi abbiamo
contribuito a creare, avendo coscienza del passato e del suo continuarsi.
Rimproverare al passato di non aver compiuto il compito del presente è come
rimproverare ai padri di non aver fatto il lavoro dei figli.
Aderire al presente significa anche unire, nella formazione intellettuale,
"la tecnica-scienza e la concezione umanistico-storica, senza la quale si
rimane specialista e non si diventa dirigente".
Il dirigente deve avere, oltre che una cultura umanistica, anche una cultura
scientifica.
Occorre superare la parcellizzazione delle scienze e puntare su una scuola
istruttiva, ma soprattutto formativa della personalità. La lezione non sarà
cattedratica, ma seguirà il modello circolare del seminario, in cui il rapporto
tra maestro ed allievo è fondato sull'interazione.
La scuola deve essere unitaria fino ai sedici anni e bisogna dare importanza
all'educazione civica, fornendo le prime nozioni dello Stato e della Società,
come elementi primordiali di una nuova concezione del mondo.
Bisogna formare l'autodisciplina intellettuale e l'autonomia morale, attraverso
un metodo di insegnamento attivo che favorisca la creatività.
L'allievo non è un recipiente da riempire, in una scuola che abbia superato la
frattura tra istruzione ed educazione, e che ha un rapporto strutturale con la
vita reale.
Il giovane partecipa attivamente alla scuola solo se essa non è separata dalla
vita.
Certo, "occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere,
con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche
muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo
sforzo, e anche la sofferenza".
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