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La poetica leopardiana e la sua evoluzione

ricerche



La poetica leopardiana e la sua evoluzione;

dalla formazione tradizionalmente classicistica alla ricerca di una forma più ampia ed intensa di classicità, dalla teorizzazione dell'impossibilità per i moderni di produrre vera poesia alla composizione dei "grandi idilli"; infine l'abbandono delle poesie di memoria per l'approdo ai versi "socialmente impegnati" degli anni successivi al 1830.




Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798, a Recanati da una benestante famiglia nobile della zona. La sua totale devozione per la letteratura si manifesta fin da bambino facilitata dalle possibilità del padre che fornisce al giovanissimo Giacomo l'accesso alla biblioteca personale ben fornita di testi di ogni genere. Con ogni probabilità l'apertura, tipica di una mente giovanile, ai vari concetti lettera 626h72g ri, filosofici, storiografici e poetici appresi è una componente fondamentale della concezione ideologica inizialmente espressa nelle sue opere. Effettivamente si riscontra che all'interno di un contesto cattolico - aristocratico, impressogli dall'ambiente famigliare, l'entusiasmo verso l'Illuminismo e la correlata fiducia nella scienza moderna è il risultato di un'erudizione che lo porta all'apprendimento di una conoscenza immensa ma senza " il filtro" critico di una mente con propri ideali da sfruttare come unità di misura per le nuove nozioni. I critici concordano che tra il 1815-16 si fosse verificata la cosiddetta "conversione letteraria" ovvero l'apertura dell'autore verso la figura del letterato non visto soltanto come un erudito ma in senso più moderno di intellettuale presente sulla scienza poetico, stilistico ideologica.



Nei primissimi anni in cui Leopardi cercò di inserirsi nel dibattito intellettuale egli incontrò difficoltà nell'esprimere i propri ideali che, frutto del periodo degli studi d'infanzia basati sull'approfondimento riguardante testi classici, non potevano che essere antiromantici. Il poeta italiano si distacca con decisione da chi voleva una poesia trascendente dai sensi, invisibile e troppo sublime ed artefatta. Egli invoca l'imitazione degli antichi, ultima civiltà umana con un rapporto armonico con la natura in quanto l'unica via per riavvicinarsi a quest'armonia stessa visto che la civiltà moderna non ne ha più la possibilità con mezzi né strumenti propri.

Va riconosciuto a Leopardi un grande contributo alla filologia, scienza neonata in quell'epoca che richiedeva un procedimento analitico ed un'eccellente conoscenza delle lingue antiche; ricordiamo che il poeta padroneggiava il latino, il greco antico, l'ebraico ed i sanscrito. In questo modo egli è da ritenersi l'unico filologo italiano di quelli anni visto che questa disciplina inizialmente si sviluppò nell'Europa settentrionale, in Germania in particolare. Proprio contro quest'ultima (filologia tedesca) Leopardi "insorge" nei suoi ultimi scritti al riguardo visto che in un'epoca di "incubazione" delle teorie imperialistiche si voleva le lingue classiche discendenti dal tedesco.

Il distacco dai contenuti romantici descritti coincide con la conciliazione con alcuni autori romantici nord europei come Coleridge o Heine, anch'essi sensibili verso la scissione dell'individualità poetica rispetto al mondo e dell'uomo in generale nei confronti della natura. Il classicismo di Leopardi assume un aspetto di polemica verso un presente in cui vorrebbe rispecchiarsi attraverso il riscontro di ideali nell'esperienza esistenziale. Si avverte quindi un certo richiamo a valori concreti, sociali. Il culmine di questa fase poetica si ha negli idilli composti tra il 1818-20. Dall'altra parte, negli anni successivi sorge nell'evoluzione poetica dell'autore una riflessione sulla poetica vaga, corrispondente a quell'indeterminatezza che è presente nell'uomo come immaginazione e che necessita una tale espressione in anteposizione ad un linguaggio della ragione - quello filosofico, tecnico, logico e concreto. La poesia si colloca qui da intermediario tra l'immaginazione che trae origine dalla memoria e tende al desiderio, l'invocazione di questo con i versi diventa più intensa e quindi esalta il piacere delle sensazioni.

Le opere del poeta non possono certamente prescindere dal suo credo ideologico, dalle sue convinzioni e pensieri. Così a partire dal 1823 la crisi di valori avvertita da Leopardi si riflette sulla sua creatività. Il venir meno dell'ammirazione ma soprattutto della fiducia nella natura primitiva, l'abbandono della poesia intesa come musa invocante le grandi illusioni di armonia civile culmina con l'abbandono della poesia stessa. Ne è il culmine la prosa delle Operette Morali volta addirittura contro le illusioni ed evidentemente contro la poetica. Nello stesso periodo anche le sporadiche composizioni poetiche esaltano il vero rispetto alle illusioni.

Questa concezione non dura oltre i cinque anni; infatti nel 1828 l'autore riprende a comporre versi richiamando molti concetti poetici già adoperati come il cogliere spunto dalla memoria come è testimoniato in " a Silvia" addirittura considerato tra le più intense opere di prospettiva volta ai ricordi memorizzati. In questa fase di maturità il poeta non può protrarre ulteriormente la scissione tra la poesia delle illusioni e la filosofia come riflesso della ragione: le illusioni ed il giudizio su di esse sono quindi riunite tanto più che le illusioni stesse sorgono da un bisogno razionale che in un secondo momento le può giudicare.

L'ultima fase ideologica di Leopardi coincide con un periodo pessimista, volto ad una critica spregiudicata delle illusioni, viste come l'unico aggancio alla speranza di un esistenza migliore quando il presente non può soddisfare l'uomo. Questo è il fondamento dell'ultima posizione, anch'essa piuttosto pessimista, espressa dall'autore. In un'epoca che per le sue ragioni storiche ha proposto alla civiltà europea grandi illusioni, Leopardi malinconicamente ne rimpiange la realizzazione ma si augura maggior successo possibile per le prospettive ottimiste. Nel "Dialogo di Tristano e di un Amico" (1834)addirittura la morte viene vista come ultima speranza di salvezza dalla sofferenza. Questa risulta essere una forte contrapposizione rispetto all'idealismo ottimista che dominava la scena filosofico letteraria in quelli anni giustificata senz'altro dalla condizione sociale di un uomo malato, non amato e depresso.




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