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COMPUTABILITÀ DEL MONDO

comunicazione



Computabilità del mondo


Se l'universo è esso stesso il prodotto di un calcolo ne deve conseguire che ogni processo naturale, ogni processo fisico, comprese la vita e l'intelligenza umane, possono essere simulati usando un computer. Anzi, ciò implicherebbe che l'intero universo potrebbe essere simulato e il nostro destino calcolato: implicazione ritenuta vera da alcuni ricercatori del tipo 'computazionalisti'. Lo studio dei sistemi non lineari ha mostrato che è possibile assoggettare al calcolo anche i fenomeni apparentemente meno meccanicistici: dagli uragani all'evoluzione. Come si è potu 414g62e to vedere dal vivo interesse suscitato dalla teoria del caos, anche i fenomeni culturali e sociali rivelano a volte certe loro strutture che, almeno a livello di generalizzazione statistica, sono computabili. Gli automi cellulari hanno dimostrato che la stessa vita potrà forse rivelarsi computabile. La maggior parte del mondo in cui viviamo è destinata, se non in pratica almeno in linea di principio, a prestarsi alla simulazione. Di più: la sfera del mondo fisico potrebbe essere considerata tutta come una simulazione di una realtà più pura e più profonda, una realtà virtuale. I paladini della realtà virtuale ne sono più che convinti. Per essi il display a cuffia di Ivan Sutherland è qualcosa di più di uno schermo televisivo superlativo. Esso rappresenta la via maestra che condurrà in un mondo nuovo e inesplorato: il ciberspazio. Il fatto stesso che la tecnologia non sia un processo costante di invenzioni appare buona prova dell'esistenza di un qualche ordine dell'universo. Forse ancor più rimarchevole della sua stessa esistenza è il fatto che questo ordine sembra essere di natura matematica. Ogni epoca non fa in realtà che confrontare l'universo con il tipo di macchina più recente. Si tratta soltanto di metafore create per opportunismo.



Schrodinger pensava che la materia vivente, pur non essendo indipendente dalle leggi della fisica, dovesse essere il prodotto di altre leggi non ancora scoperte. Il motivo era, secondo lui, che diversamente dalla materia inanimata, gli organismi viventi si mantengono in uno stato ordinato ma instabile, senza mai raggiungere, mentre sono in vita, uno stato di equilibrio. Le cose viventi sono in uno stato costante di flusso organizzato (nutrimento, escrezione, inalazione, esalazione, crescita, movimento) che contravviene al principio secondo il quale tutto procede verso uno stato di informe disordine. Mentre le cose inanimate si consumano e perdono forma e struttura, quelle viventi in un certo modo le creano. La maggior parte delle 'scoperte' fatte dalla teoria del caos e che hanno attirato l'attenzione degli scienziati, riguardavano esclusivamente le proprietà di una certa classe di equazioni matematiche. La geometria dei frattali è stata definita da Mandelbrot (con una certa grandiosa magniloquenza) la 'geometria della natura', ma prove in proposito non ce ne sono. La natura resta sdegnosamente silenziosa sull'argomento. Ciò che Shakespeare chiamava il 'libro infinito' della natura si può dunque ridurre a pochi caratteri. Questo sembra dirci due cose: la prima è che la natura è di gran lunga più semplice di quanto non appaia; la seconda, che una procedura esclusivamente di calcolo, in altre parole di pura matematica, è in grado di decodificarla, può cioè svelarne automaticamente e meccanicamente la struttura. Di pari passo con la teoria della scienza si è sviluppata la potenza della matematica, la si è dimostrata capace di far fronte a qualsiasi richiesta che gli scienziati si sentano di farle. È un fatto per il quale non esiste una spiegazione soddisfacente: tutto quello che si può dire è che funziona. La matematica ha una qualche connessione molto stretta col mondo e il computer è capace di dominare quella matematica. Ma la realtà platonica non sembra potersi esplorare servendosi solo del computer, se si vogliono scoprire veramente i suoi segreti. La coscienza e l'intelligenza non possono essere oggetto di una definizione precisa, né tanto meno di una spiegazione, né certamente di misurazione, come tuttora credono i difensori dei test del Quoziente Intellettuale.

I teorici dell'antropologia culturale e gli strutturalisti, nella loro analisi della condizione postmoderna, considerano i simboli come la forma principale di rappresentazione. Tutto, anche le cose che non avremmo mai pensato potessero essere delle rappresentazioni, non è che un 'testo': i film, i palazzi, le città, ecc.. Tutta quanta la realtà è una costruzione linguistica, compresa la realtà che la matematica ci rivela. Ma dal punto di vista della scienza si tratta di due linguaggi fondamentalmente diversi: l'uno è il linguaggio degli umani e l'altro (parafrasando Galileo) è il linguaggio della natura. Forse non dovremmo stupirci se per i postmodernisti la realtà risiedesse tutta nel linguaggio, mentre per gli scienziati ci viene rivelata dalla matematica. Per il realista virtuale e per il postmodernista la realtà non esiste. Il postmodernista crede che i valori razionali della verità e della certezza siano in via di distruzione. Il realista virtuale è convinto di saper fare qualcosa di meglio e crede veramente che i sogni possano essere trasformati in realtà. Per quest'ultimo, non solo la matematica può aiutarci a indagare la realtà, ma il calcolatore, grazie alle sua capacità di simulazione, ci offre una prova rassicurante della sua esistenza. Ciò che invece veramente stupisce è che l'industria informatica abbia tentato di cavalcare entrambe le posizioni, sperando di realizzare la loro felice unione nella realtà virtuale. Alla base di tutte le speculazioni sul futuro della realtà virtuale c'è infatti la speranza che sia possibile impiegare la matematica per esplorare il regno dell'umana immaginazione. L'informatica è al tempo stesso una tecnologia e una scienza. Il tecnologo si occupa di progettare e perfezionare il calcolatore come strumento pratico; lo scienziato lo vede come strumento di scoperta. Attribuire al computer il potere di 'scoprire' il regno dell'immaginario è assurdo quanto attribuire a una macchina per scrivere il potere di scoprire il mondo della letteratura. Altra cosa, invece, sono le prospettive scientifiche aperte dal computer in quanto specchio che guarda nel 'Paese delle Meraviglie della Matematica'; qui si può parlare della capacità di svelare una realtà in precedenza nascosta. La più interessante fra le possibili configurazioni è forse quella che ho preso il nome di 'costruttore universale', capace di riprodurre qualsiasi altra configurazione, compresa la sua medesima, in altri termini capace di autoriprodursi. L'idea di tale configurazione l'ebbe per primo John von Neumann, e la scelta del termine riecheggia intenzionalmente l'idea del calcolatore universale di Turing. Von Neumann agiva in risposta al crescente interesse per l'automazione dei cicli produttivi che andava manifestandosi nel dopoguerra.

Nel corso degli anni Ottanta le vecchie ambizioni di arrivare a una vera intelligenza artificiale ripresero corpo in certe attività che vennero promosse come una sorta di sostituto alla corsa allo spazio fra America e Giappone. Obiettivo: arrivare al primo computer pensante di 'quinta generazione'. In ogni caso nessuna delle due potenze riuscì a compiere il passo da gigante che il mondo si attendeva. Anche l'Europa tentò di escogitare una risposta all'interno del suo progetto comunitario di ricerca: l''Esprit'. Nessuno di questi tentativi è riuscito a produrre una macchina che possa dirsi capace di pensare e certamente nessuno ha prodotto un serio candidato da presentare al test di Turing. Però il matematico John Conway inventò un gioco: 'Life'. Esso generava un universo che sembrava possedere una sua vita propria, nel senso che poteva esser lasciato a svilupparsi per suo conto, producendo risultati che non si sarebbero mai potuti prevedere dalla posizione di partenza. Le visualizzazioni della NASA elaborate sulle immagini provenienti dalle due spedizioni 'Voyager' partite il 1990 con obbiettivo Giove, Saturno, Urano e Nettuno, anche se esigono un certo sforzo d'immaginazione da parte degli scienziati, (primariamente per colmare le lacune dei dati disponibili, ma anche a causa dei falsi colori usati allo scopo di dare rilievo a elementi significativi dell'immagine), e anche se possono esservi errori nei dati o nel modo in cui essi vengono elaborati, queste visualizzazioni possono vantare a buon diritto di rappresentare una specie di realtà, in quanto sono il prodotto algoritmico di un modello matematico, cioè sono state generate da processi che in ultima analisi sono indipendenti da ogni intervento umano. Così Benjamin Wolley in 'Mondi virtuali' (non riportiamo fedelmente): La prima volta che ho indossato l'attrezzatura (casco, guantone ecc.) necessaria a vivere la realtà virtuale, il problema della realtà non mi ha neppure sfiorato la mente. Mi sentivo a disagio, le immagini che avevo davanti agli occhi mi sembravano prive di senso. Era tuttavia un'esperienza che trovavo emozionante, o meglio, intellettualmente stimolante. Gli oggetti che vedevo sembrava avessero una sorta ai esistenza indipendente, che purtroppo le manchevolezze della tecnologia mi permettevano solo di intravedere più che sentire.

Ma se le immagini generate dal computer rappresentavano una 'realtà' di un certo genere, ciò avveniva perché esse erano un prodotto della simulazione, ossia di un procedimento algoritmico meccanico.

Venivano generate grazie all'applicazione di leggi fondate su princìpi matematici. Le case che esploravo in queste dimostrazioni di realtà virtuale, grossolanamente dipinte con colori primari, erano solo dei modelli tridimensionali formalmente identici a veri edifici. Il loro aspetto, da qualunque punto di vista le si guardasse, era il risultato di un calcolo meccanico e non dell'immaginazione umana: ne della mia, né del grafico che le aveva progettate.





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