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FARE AFFARI IN CINA
Nel 2003,
Le società straniere, tuttavia, tendono a sottovalutare le difficoltà
di penetrare nel mercato cinese. Secondo uno studio condotto dal China's
Institute of Research on International Trade and Economic Co-operations,
delle quasi 400mila società straniere che hanno investito in Cina, nel 2002
solo un terzo è riuscito a realizzare profitti. E solo due prodotti stranieri -
Coca Cola e Pepsi - vengono acquistati in ogni angolo della Cina.
Le difficoltà incontrate dagli investitori stranieri possono essere ricondotte
a tre fattori principali. Primo, il mercato cinese è tutt'altro che
unitario e omogeneo. In Cina vi sono 31 province, 656 città, 48mila
distretti, 7 lingue e 80 dialetti. Clima, geografia, reddito, educazione e
stile di vita variano enormemente, dalle gelide province del nord a quelle
semi-tropicali del sud. Il mercato urbano e quello rurale sono nettamente
distinti e le infrastrutture di trasporto sono molto arretrate. Tutto ciò rende
difficile per le società straniere promuovere e distribuire i propri prodotti
su scala nazionale.
Secondo, il contesto competitivo è particolarmente agguerrito,
non solo per la presenza di quasi tutte le principali multinazionali, ma anche
per l'emergere di nuove imprese cinesi. Un caso particolarmente interessante è
quello dell'industria delle bevande. Negli anni Ottanta, il mercato cinese è
dominato da Coca Cola e Pepsi. Nel 1987, nasce Wahaha, con un prestito di
140mila yuan e 3 dipendenti. Nel 2001, Wahaha vende 2,5 milioni di tonnellate
di acqua, latte e bevande gassate - a fronte di 1,3 milioni di tonnellate di
Coca Cola e 900mila di Pepsi - per un giro d'affari pari a 6,2 miliardi di
yuan.
Il terzo ostacolo incontrato dalle società straniere che investono in Cina
riguarda le leggi e la burocrazia. Oltre alle marcate differenze
culturali e di mentalità, gli stranieri devono far fronte a un apparato
burocratico inefficiente, a un sistema legislativo ambiguo e scarsamente
applicato e a una diffusa corruzione dei pubblici funzionari.
Gli investitori stranieri che
sono sbarcati in Cina attratti dalle enormi potenzialità del suo mercato
interno fanno dunque fatica a realizzare profitti. Risultati ben più positivi
vengono invece raggiunti dalle società che hanno investito per beneficiare
del basso costo della manodopera cinese nella produzione di componenti
o beni per l'esportazione. Alcune multinazionali, al fine di ridurre i costi in
maniera più radicale, stanno addirittura pensando di trasferire in Cina le
linee di produzione più avanzate e le attività di ricerca.
Per mantenere un forte richiamo nei confronti degli investitori stranieri e
prolungare così il miracolo economico degli ultimi anni, il governo cinese
dovrà però modernizzare il sistema legale e burocratico,
prendendo esempio dalla sua provincia più efficiente - Hong Kong. L'ex colonia,
infatti, avendo ereditato le regole commerciali della tradizione britannica, ha
raggiunto standard di trasparenza più che accettabili per l'investitore
straniero.
UniNews ha approfondito l'argomento con Menzie Chinn,
professore di Economia e Relazioni Pubbliche presso University of Wisconsin,
Madison
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