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le concezioni religiose
la religione come interpretazione del mondo
Il mondo religioso degli Egizi ci appare come un ricchissimo e intricato sistema di culti e di divinità dalle molteplici forme, in cui sembrano convivere aspetti incoerenti e contraddittori. In realtà, la visione che abbiamo della religiosità egizia è in parte falsata dal significato stesso che il pensiero occidentale attribuisce a questo termine. Quella che noi chiamiamo "religione", per gli Egizi non era altro che un modo di comprendere il mondo e di rapportarsi ad esso. Cercando di dare una spiegazione ai fenomeni naturali, gli Egizi li interpretavano come manifestazioni del divino.
A differenza degli dei di molte altre civiltà antiche, quelli egizi non dominavano le forze della natura, ma erano in esse "immanenti". L'enorme numero di divinità presenti nel pantheon egizio si spiega con il fatto che le manifestazioni della natura sono innumerevoli. Gli dei principali corrispondevano agli elementi ed ai fenomeni più evidenti e importanti; anche i concetti più astratti del comportamento umano trovavano la loro spiegazione nella presenza divina. La religione egizia deriva dall'osservazione del mondo e tenta di dare una spiegazione a tutti gli avvenimenti attraverso il mito, e allo stesso tempo cerca di placarne la potenza tramite le preghiere e i testi magici.
i miti della creazione del mondo
Gli Egizi non avevano tutti la stessa visione del mondo, soprattutto per quanto riguardava la sua origine. Nei maggiori centri religiosi del Paese, in particolare a Hermopolis, Heliopolis e Menfi, furono elaborate cosmogonie differenti.
L'antico nome di Hermopolis, Khemenyu, "La città degli Otto", deriva da un gruppo di otto divinità, l'Ogdoade, che si riteneva fosse all'origine del mondo. Queste otto entità, suddivise in quattro coppie, di cui gli elementi maschili avevano forma di rana, mentre quelli femminili di serpente, esistevano prima della creazione e costituivano aspetti diversi del Nun, l'oceano primordiale. I loro nomi significavano "acqueo", "infinito", "oscuro" e "nascosto", caratteristiche rapportabili al mondo non ancora creato. Lo stato di tensione tra le forze negative del caos primordiale e quelle positive della creazione era all'origine del mondo.
A Heliopolis fu elaborata una teoria cosmogonica incentrata sulla figura del dio demiurgo Atum. Questi giaceva all'interno del Nun, in uno stato d'inerzia totale fino a quando si sollevò ergendosi sulla collina primordiale, ove il sole era sorto per la prima volta. Tramite la masturbazione o lo sputo, Atum creò la prima coppia divina Shu e Tefnut, l'aria e l'elemento umido. Questi generarono Geb, la terra, e Nut, il cielo, che a loro volta diedero alla luce Osiride, Iside, Seth e Nefti. L'insieme di queste nove divinità, chiamato Enneade, corrispondeva alle principali forze dell'universo, fo 737d37h ndamentali per il prosieguo della creazione.
Menfi fu il centro di elaborazione di un'altra cosmogonia, che illustrava il modo in cui il mondo fu creato. Si tratta di una speculazione teologica che trova paralleli in altre religioni. Secondo questa cosmogonia, fu Ptah a creare il mondo in seguito ad una volontà natagli nel cuore ed espressa attraverso la parola. La creazione parte da una "percezione" per poi attuarsi attraverso l'"annunciazione", legata al concetto di forza creativa della parola, tipico del pensiero egiziano.
È possibile riscontrare tratti comuni a queste teorie cosmogoniche: innanzitutto la presenza di un unico dio creatore, che generò l'universo partendo da uno stadio iniziale di caos, nonché la dinamicità del cosmo e della creazione, che non è avvenuta una sola volta in un passato remoto, ma si ripete ciclicamente. Le forze del male che si oppongono alla creazione devono essere sconfitte ciclicamente, attraverso l'azione del sovrano. La regalità stessa è interpretata come una manifestazione divina: il dio Horus la incarna, e il sovrano la attua sulla terra. Nell'Antico Egitto, Stato e religione non possono essere distinti: il potere regale è un'espressione della religione, nello stesso modo in cui questa è una sorta di organizzazione politica. La monarchia stessa era considerata alla stregua di un fenomeno naturale, che non poteva essere sostituita con un'altra forma di governo, perché era la sola a garantire ordine e stabilità sulla terra. Il sovrano era colui che, come il dio demiurgo, metteva ordine nel caos.
A partire dalla XVIII dinastia, si cominciò ad elaborare a Tebe una speculazione teologica che riconosceva ad Amon, il dio dinastico, la prerogativa di essere all'origine di tutti i fenomeni e gli aspetti del mondo. Si andava prefigurando un dio creatore, che non era "immanente" nelle forze della natura come le altre divinità primordiali, ma "trascendente". Tuttavia, gli Egizi continuarono a adorare le altre divinità in forma umana e animale, apparentemente senza alcuna contraddizione.
dei universali e dei locali
La proliferazione di immagini di dei dalla testa o dall'aspetto animale deriva dal fatto che molte specie animali erano viste come manifestazioni fisiche del divino, che restava solo parzialmente rappresentabile, essendo più un concetto che una realtà tangibile.
Un'altra caratteristica della religione egizia è il sincretismo, che corrisponde alla combinazione di più divinità in una sola ed è giustificato dal fatto che gli Egizi erano consci che molti fenomeni naturali erano collegati tra loro, e spesso non erano altro che differenti aspetti di un medesimo. Il sincretismo fu un elemento di continuità nello sviluppo della civiltà egizia attraverso i secoli, e permise l'accettazione di divinità straniere nel pantheon del Paese, interpretate come forme differenti delle proprie. È il caso di Astarte, di origine siriana, il cui culto fu introdotto in Egitto durante la XVIII dinastia, o di Baal e di Reshep, il primo siriano e l'altro cananaico, legati alla guerra. In età tolemaica, il sincretismo religioso fu alla base della politica di adattamento alle tradizioni locali effettuata dai sovrani. Il dio Serapide, fusione dell'egizio Osiris-Apis con varie divinità del mondo ellenistico, divenne la divinità maschile più importante del periodo e l'anello di congiunzione tra due culture profondamente differenti.
Ogni città e villaggio riconosceva un ruolo e un'importanza particolare al proprio dio cittadino, inserendolo spesso in miti e tradizioni locali che ne complicano l'identificazione. Si effettua spesso una divisione tra dei "universali" e "locali", anche se questa non tiene conto del fatto che molte divinità "locali" assunsero un'importanza nazionale.
Le divinità "universali" sono quelle legate alle principali manifestazioni delle forze della natura, considerate all'origine della creazione del mondo e dotate di caratteristiche tali da coprire ambiti differenti. È il caso della principale triade divina adorata in Egitto, formata da Osiride, Iside e Horus. Le vicende che li vedono protagonisti di molti miti dell'Egitto faraonico influenzarono l'immaginazione di Plutarco che, con il suo "De Iside et Osiride", consacrò alla posterità la coppia divina. Osiride e Iside furono, secondo la cosmogonia eliopolitana, la terza coppia di dei ad essere messa al mondo. Osiride insegnò agli uomini le arti e l'agricoltura, mentre la sua sposa-sorella si occupava delle attività femminili. Dopo la sua uccisione da parte del fratello Seth e la sua resurrezione, Osiride divenne il dio dei morti per eccellenza. Con questo ruolo entrò nei grandi cicli funerari come garante della vita eterna, e in quelli del mondo naturale come simbolo del perenne ritorno della vita. Iside incarnava tutte le prerogative legate al mondo femminile: era la sposa fedele e la madre premurosa. Generò con Osiride il figlio Horus, che una volta adulto avrebbe vendicato il padre. Iside fu adorata anche come divinità funeraria assieme alla sorella Nefti, e le furono attribuiti grandi poteri magici. Queste sue molteplici caratteristiche ne assicurarono il culto per molti secoli anche al di fuori dell'Egitto.
Le divinità locali sono numerosissime. Dio principale di Elefantina e della I cateratta era Khnum, rappresentato con testa di ariete. Considerato fin da epoca molto antica come dio creatore, che plasmò l'uomo su una ruota da vasaio, era collegato anche alla crescita delle acque del Nilo. Legate all'inondazione erano le sue compagne Satis e Anukis, custodi delle frontiere meridionali del Paese: la prima è riconoscibile dal copricapo costituito dalla corona bianca affiancata da due corna di gazzella, mentre la seconda porta un copricapo dalle lunghe piume.
A Edfu era adorata una forma del dio Horus, legato all'astro solare ed al cielo, rappresentato come falco o come disco alato.
El-Qab era il centro di culto principale dell'antichissima dea Nekhbet. La dea, in forma di avvoltoio, era la protettrice dell'Alto Egitto e, assieme alla dea Uadjet, la divinità tutelare del potere monarchico.
Nella regione tebana, fino all'inizio del Nuovo Regno, il dio più importante era Montu, che appariva in forma di falco. Divinità associata alla guerra, aveva diversi centri di culto nella zona, in particolare Armant, dove si trovava la necropoli dei tori Bukhis, a lui consacrati. A partire dal Nuovo Regno, Amon soppiantò il culto di Montu, divenendo il dio dinastico. Fu adorato in associazione con moltissime altre divinità, divenendo un dio universale e riunendo in sé tutte le forze della natura. Il suo tempio principale si trovava a Karnak, dove erano adorati anche la sua sposa Mut e il loro figlio Khonsu. La dea, rappresentata come donna con le spoglie di avvoltoio sul capo e la doppia corona, assunse presto il ruolo di madre divina del sovrano, come Amon ne era il padre. Il figlio Khonsu, rappresentato come bambino recante sul capo un corno di luna sormontato dal disco solare, era adorato come divinità legata alla luna.
A Coptos era venerato Min, dio della fecondità, rappresentato come un uomo itifallico avvolto in un sudario bianco mentre regge il flabello.
Dendera fu uno dei massimi centri di culto della dea Hator, soprattutto in epoca greco-romana. La dea ricopriva un ruolo celeste in molti miti, ed era allo stesso tempo adorata come divinità funeraria nella necropoli tebana. Poteva essere rappresentata in forma di vacca oppure come donna recante sul capo il disco solare incorniciato da due corna bovine.
Ad Abydos era adorato Khentyimentyu, una divinità funeraria, come si evince dal suo nome che significa "Colui che è a capo degli Occidentali", ovvero dei defunti. Fu soppiantato da altre divinità legate al mondo dei morti e in particolare da Osiride, che ne aggiunse il nome ai suoi epiteti già dall'Antico Regno.
Asiut era il centro di culto di un'altra divinità funeraria, il dio canide Upuaut. Il suo nome, che significa "Colui che apre le strade", esplicita il suo ruolo di accompagnatore dei defunti nel mondo dell'Aldilà.
A Hermopolis era adorato Thot, il dio della scrittura e del sapere. Tra le sue prerogative vi era anche quella di divinità lunare. Era rappresentato come ibis o babbuino, animali a lui consacrati.
Nella depressione del Fayyum il dio principale era Sobek sotto forma di coccodrillo, legato alle acque ed alla fecondità.
Menfi era la sede del culto di Ptah, uno degli dei demiurghi. Rappresentato in forma di mummia, portava sul capo una calotta che sembra ricordare quella portata dagli artigiani egizi di cui era il patrono. Sua sposa era Sekhmet, la dea in forma di leonessa, che incarnava la potenza distruttrice e quella benefica, al punto da essere adorata come protettrice dei medici. Anch'essa era adorata a Menfi, insieme con Ptah e con il figlio Nefertum.
Heliopolis era la sede del culto di Atum, il dio demiurgo che diede origine all'umanità, e di Ra, cui fu associato. Quest'ultimo era la massima divinità solare dell'Egitto antico, e fu assimilato a quasi tutte le principali divinità del pantheon.
A Letopolis era adorata un'altra forma del dio Horus, mentre Sais era il centro del culto della dea Neith, dove veniva ritenuta anche divinità creatrice. Era una dea legata al potere regale, oltre che alla caccia e alla guerra, come si desume dalle insegne che porta: arco e frecce in mano o sul capo. A Buto dominava Uadjet, la dea cobra, protettrice del Basso Egitto e del potere monarchico assieme alla dea Nekhbet. Busiris fu, in origine, il luogo di culto di una divinità dai forti caratteri pastorali, soppiantata da Osiride che ne prese le insegne. A Bubastis era adorata Bastet, una dea dall'aspetto felino, dolce come dea dell'amore e della gioia ma crudele come dea della guerra.
la vittoria della vita sulla morte
L'idea che la civiltà egizia fosse ossessionata dalla morte deriva dalla grande quantità di testimonianze rimasteci relative alle pratiche di sepoltura ed alle concezioni legate all'Aldilà. In realtà, il popolo egizio era permeato da un fortissimo attaccamento alla vita, e la volontà di non volerla abbandonare lo spinse verso l'elaborazione di pratiche funerarie complesse. La religione funeraria egizia era una rivincita sulla morte, una maniera di esorcizzarla, attraverso rituali e pratiche di conservazione, come la mummificazione, che avevano lo scopo si preservare il defunto dall'annullamento totale. La particolarità di questo tipo di concezione prevedeva non solo una vita dopo la morte, ma il mantenimento della personalità, del ruolo e dei beni e possedimenti dell'individuo nell'Aldilà. A causa di tutte queste aspettative, la transazione dalla vita alla morte era vista come un momento drammaticamente difficile, al qual bisognava arrivare preparati ed equipaggiati, per affrontare tutti i pericoli che potevano presentarsi nel mondo degli inferi.
i principali testi funerari
Per ovviare alla complessità del percorso verso la "nuova vita", gli Egizi sentirono il bisogno di elaborare delle raccolte di testi funerari che avevano lo scopo di aiutare il defunto e di assicurargli, attraverso formule magiche e rituali, le conoscenze necessarie a superare gli ostacoli.
La raccolta più antica è costituita dai "Testi delle Piramidi", così chiamati perché incisi sulle pareti delle camere interne delle piramidi di alcuni sovrani e regine del III millennio a.C., a partire da Unis, ultimo re della V dinastia. I temi su cui si incentrano questi testi sono la resurrezione del sovrano, la sua dipartita dalla dimensione terrena e la sua ascesa verso il cielo tra le stelle per raggiungere le altre divinità. Ad essi si affiancano un insieme di formule e preghiere che affondano le proprie radici in credenze e culti arcaici, trasmessi oralmente per secoli prima della codificazione finale e messa per iscritto del testo.
I mutamenti delle concezioni legate all'Aldilà che caratterizzarono il I Periodo Intermedio trovano riscontro nei "Testi dei Sarcofagi", il cui nome deriva dal fatto che erano iscritti sulle pareti interne dei sarcofagi. Durante l'Antico Regno, la promessa di rinascita coinvolgeva solo il sovrano e pochi eletti da lui designati, ma con la fine del III millennio a.C. questa si allargò a tutti gli uomini che avevano vissuto secondo regole di giustizia e rettitudine. I "Testi dei Sarcofagi", in uso per tutto il Medio Regno, sono un adattamento dei più antichi "Testi delle Piramidi" alle necessità dei nuovi destinatari. Il corpus non è omogeneo, ed è fortemente caratterizzato da credenze e rituali locali, legati alla zona da cui proveniva la persona che ne faceva uso.
A partire dal II Periodo Intermedio si assiste alla diffusione di un'altra grande silloge funeraria, il "Libro dei Morti", chiamato dagli Egizi "Formule per uscire al giorno", ovvero uscire dall'oscurità della morte per ritrovare una nuova vita. Questo insieme di formule magiche e preghiere si diffonde nel Nuovo Regno e in Epoca Tarda, alla quale risale la versione canonica che comprende circa 200 sezioni o capitoli. Uno dei capitoli più importanti è il CXXV: vi si descrive la psicostasia, ovvero la "pesatura dell'anima", un passaggio fondamentale per l'accesso all'Aldilà. Il defunto veniva condotto davanti ad un tribunale divino presieduto da Osiride, e il suo cuore era posto sul piatto di una bilancia, mentre sull'altro si trovava la piuma della dea Maat, simbolo di verità e di giustizia. Il cuore avrebbe dovuto avere il suo stesso peso, dimostrando la rettitudine dell'esistenza dell'individuo. In caso contrario, questo sarebbe stato divorato da un mostro che si trovava presso la bilancia, con il conseguente annullamento totale del defunto, che non avrebbe mai più potuto accedere all'Aldilà.
Parti del "Libro dei Morti" compaiono tra i testi funerari scelti per la decorazione delle pareti delle tombe della Valle dei Re risalenti al Nuovo Regno, in cui s'illustra la topografia dell'Aldilà. Si tratta di grandi e complesse raccolte di testi magico-religiosi destinati ad assicurare un esito positivo al viaggio del sovrano nel mondo dei morti, identificato con il viaggio del sole. Vi trovano spazio diverse concezioni teologiche, in particolare quella osiriana e quella della rigenerazione solare, secondo le quali il re era assimilato al dio Ra, che procedeva nel mondo sotterraneo di Osiride, il dio dei morti per eccellenza. Ra era identificato con Osiride e viceversa. Si pensava che Ra al tramonto si inabissasse ad Occidente e navigasse come Osiride sulla sua barca notturna per poi ritornare se stesso al mattino. Al faraone, identificato con queste divinità, era garantito un destino di rigenerazione eterna.
Uno dei più celebri libri funerari, attestato dall'inizio della XVIII dinastia, era il "Libro dell'Amduat", ovvero il libro di "Ciò che è nella Duat", termine antico-egiziano per indicare l'Aldilà, come spazio percorso dal sole nel suo periplo notturno attraverso gli inferi. Era incentrato sul viaggio del sole verso la rigenerazione mattutina, dopo che la divinità che lo incarnava aveva riacquistato energie al contatto con le forze primordiali. Dello stesso argomento trattava il "Libro delle Porte", che deve il suo nome alle dodici porte che si credeva separassero le dodici ore della notte. Comprendeva una serie di formule magiche che permettevano l'apertura delle porte custodite da geni funerari in veste di guardiani, per accedere alla rinascita eterna. Un altro testo, che fece la sua comparsa nella decorazione delle tombe reali alla fine della XIX dinastia, era il "Libro delle Caverne", nome derivatogli dagli spazi cavernosi che si pensava caratterizzassero gli inferi. Oltre a questi testi ve ne erano molti altri, come le "Litanie di Ra", in cui il dio sole era adorato nelle sue 74 forme, il "Libro della Terra" e il "Libro della Vacca Celeste", che venivano riportati in tutto o in parte all'interno della sepoltura.
la mummificazione
Gli Egizi non si occuparono solo della conservazione dello spirito, ma anche di quella del corpo. In epoca molto antica, i defunti erano sepolti in semplici fosse scavate nel deserto, ed erano il clima caldo e secco, i componenti chimici e l'incoerenza del terreno ad operare un processo di mummificazione spontanea. Dall'osservazione di questo fenomeno, gli Egizi dedussero che il corpo doveva rimanere integro per sopravvivere nell'Aldilà. Quando i defunti cominciarono ad essere sepolti in tombe scavate nella roccia, oppure a grande profondità, il processo di mummificazione non poteva più avvenire naturalmente. Si ricorse a tecniche d'imbalsamazione sempre più raffinate, modificate nei secoli. Una svolta decisiva si ebbe nella IV dinastia, quando furono riconosciute le forti capacità essiccatorie del natron, un componente minerale presente in natura. La salma, privata dei visceri, veniva ricoperta con natron secco per un periodo di tempo variabile, in media di 40 giorni.
L'eviscerazione costituiva la prima fase del processo. Tra gli organi considerati particolarmente deperibili vi era il cervello, che veniva estratto attraverso il naso, un gesto meno distruttivo della trapanazione del cranio. Dopo l'ablazione del cervello si versava nella scatola cranica una resina calda tramite una specie di cucchiaio con due beccucci che venivano posti nelle narici. Questa resina aveva uno scopo magico-protettivo della testa, che doveva restare attaccata al corpo per l'eternità. Le narici e le orecchie erano in seguito chiuse con tamponi di stoffa, per impedire il deflusso della resina, e talvolta si ponevano nel naso dei grani di pepe, conservanti e tarmicidi.
Le viscere venivano estratte attraverso un'incisione praticata sul fianco sinistro del defunto. Se gli intestini si possono estrarre con facilità anche da questo lato, risulta più complicata l'estrazione del fegato e dei polmoni. Tuttavia, il lato sinistro era scelto per ragioni rituali, dal momento che corrispondeva per gli Egizi all'Oriente, dove il dio sole risorgeva al mattino. Questa incisione era poi richiusa o con una cucitura o con una colata di cera o, nel caso dei sovrani, con una placca in bronzo o in oro sulla quale era inciso l'occhio di Horus, simbolo di integrità, che doveva proteggere e cicatrizzare la ferita. Le viscere venivano essiccate e bendate, quindi poste all'interno dei vasi canopi. Questi contenitori, realizzati in calcare, presentano, a partire dal Nuovo Regno, coperchi riproducenti le fattezze dei quattro "figli di Horus", geni funerari a testa di uomo, di babbuino, di sciacallo e di falco. La loro funzione era quella di proteggere gli organi insieme con le dee Iside, Nefti, Selkis e Neith. La funzione pratica dei vasi canopi venne meno quando, in Epoca Tarda, l'estrazione dei visceri non era più praticata abitualmente. Si continuò, tuttavia, a deporre nelle tombe degli pseudo-vasi canopi, pieni all'interno.
Il cuore, ritenuto la sede del pensiero, della memoria e dei sentimenti, era lasciato nella sua cavità originaria e posto sotto la protezione di un amuleto in forma di scarabeo, detto "scarabeo del cuore". Questo era uno degli amuleti funerari più importanti, fondamentale in quanto impediva al cuore di testimoniare contro il defunto al momento della psicostasia.
Il corpo veniva poi lavato e unto con oli per ridare l'originaria elasticità alla pelle, quindi avvolto in centinaia di metri di bende di lino. Tra queste venivano posti, in punti precisi, amuleti a scopo apotropaico, mentre i sacerdoti leggevano varie formule magiche per la loro attivazione. In alcune epoche, il volto del defunto era coperto con maschere, che ne riportavano le fattezze, molto spesso realizzate in cartonnage, un materiale costituito dalla sovrapposizione di strati di lino o di papiro incollati e ricoperti di gesso.
Vi erano vari tipi di mummificazione, che avevano costi differenti ed erano destinati a persone di diversa condizione sociale. L'eviscerazione totale e l'ablazione del cervello, il riempimento del corpo con particolari sostanze e la deposizione degli organi nei vasi canopi erano operazioni riservate ai sovrani ed alle persone più abbienti. Per i membri delle classi sociali inferiori vi erano metodi più sbrigativi. Le persone più povere continuarono ad essere sepolte nelle fosse scavate nel deserto, e si mummificavano naturalmente.
Le moderne tecniche d'indagine hanno portato ad una conoscenza più approfondita delle mummie e degli antichi abitanti della Valle del Nilo. Si sono potute determinare la loro aspettativa di vita nonché le principali cause di morte e molte malattie.
il corredo funerario
Credendo in una vita dopo la morte e immaginandola simile a quella terrena, gli Egizi dotavano le tombe di corredi funerari, diversi a seconda delle epoche e della condizione sociale del defunto. In quelle dei più agiati si trovano stele iscritte con il loro nome e quello dei loro familiari, statue e tavole per ricevere le offerte, oltre a mobili, tessuti, oggetti di vita quotidiana e gioielli.
Tra gli elementi fondamentali del corredo funerario figurano i sarcofagi, che mutarono nel corso del tempo per forma e materiali. Nelle epoche più antiche si trattava di una semplice cassa di legno. Durante l'Antico Regno erano in pietra e potevano essere decorati con un motivo a sporgenze e rientranze che richiamava la facciata del palazzo reale, nel caso dei sarcofagi dei sovrani e dei loro familiari. Nel corso del Medio Regno, la cassa, spesso in legno, presentava decorazioni e iscrizioni riportanti il nome e i titoli del defunto, oltre ai "Testi dei Sarcofagi". A quest'epoca risale la pratica di porre sul volto del defunto una maschera che ne riproduceva le fattezze. Da quest'usanza derivò la forma antropomorfa per l'intero sarcofago, realizzato interamente in cartonnage e in seguito in legno. A partire dalla XIX dinastia, anche i privati adottarono la pratica di utilizzare più sarcofagi l'uno inserito nell'altro. Anche le decorazioni si fecero più ricche, ispirate a temi tratti dalle grandi sillogi funerarie. In Epoca Tarda, il materiale prediletto per la realizzazione di sarcofagi antropomorfi fu il cartonnage, che venne largamente utilizzato in epoca tolemaico-romana.
La destinazione ultima del defunto nell'Aldilà era concepita come una distesa di campi presieduti dal dio Osiride, detti campi di Iaru, che dovevano essere coltivati dai defunti per l'approvvigionamento di cibo per l'eternità. A partire dal Medio Regno iniziarono a comparire nel corredo funerario statuine che avevano lo scopo di svolgere magicamente i lavori agricoli al posto del defunto. Queste statuine sono chiamate ushabti, dal verbo antico-egiziano usheb, "rispondere", perché avrebbero dovuto rispondere positivamente alla chiamata d'aiuto rivolta loro dal defunto. La maggior parte degli ushabti è iscritta con il capitolo VI del "Libro dei Morti", una formula magica che li animava e indicava i compiti che avrebbero dovuto svolgere nel regno dei morti. Il "Libro dei Morti" ne prevedeva , uno per ogni giorno dell'anno, più un certo numero di capisquadra fino ad arrivare ad oltre 400 unità. I privati si accontentavano di un numero assai più ridotto di ushabti, che erano così numerosi solo nel caso delle sepolture più ricche o di quelle regali.
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