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LA CONDIZIONE FEMMINILE A ROMA

greco



LA CONDIZIONE FEMMINILE A ROMA


A differenza dei Greci che tenevano le loro donne chiuse in casa e, se liberi dagli affari, non passavano il tempo in famiglia, ma erano sempre in giro a chiacchierare per le botteghe, i Romani sentirono profondamente l'attrattiva della vita domestica. E' questo uno dei lati più caratteristici della loro civiltà, e tale che avvicinava i Romani al costume ed ai sentimenti della nostra età. La moglie appare in ogni età la compagna e la cooperatrice dell'uomo romano; gli sta vicino nei ricevimenti e nei banchetti, cosa che ad un Greco sarebbe sembrata addirittura scandalosa, e divide con lui l'autorità sui figli e sui servi, partecipando anche della dignità che ha il marito nella vita pubblica. Questa libertà di vita non si scompagnava da un senso di austerità e di riservatezza, specialmente nell'età repubblicana: pure intervenendo al convito, la donna romana vi stava seduta e non sdraiata; non partecipava alla comissatio (fase finale del banchetto, in cui i commensali si abbandonavano al vino) e non beveva vino, ma mulsum (vino mescolato a miele).

Anche l'educazione femminili si ispirava a criteri di prudente larghezza: nell'età infantile bambini e bambine crescevano insieme in promiscuità di vita e di giochi. Le scuole elementari dove si imparava a leggere, scrivere, far di conto e stenografare, erano comuni ai due sessi. Cessati i primi stud 949f54j i le signorine di buona famiglia continuavano privatamente ad istruirsi sotto la guida di praeceptores che le addestravano nella conoscenza della letteratura latina e greca; contemporaneamente imparavano a suonar la cetra, a cantare, a danzare. Questa complessa educazione intellettuale, che negli ultimi tempi della repubblica e durante l'impero è usuale nelle famiglie più agiate, non distoglieva la donna dall'occuparsi dei lavori femminili. Sorvegliavano e guidavano le schiave e attendevano esse stesse ai lavori più fini; come la donna greca era esperta nella tessitura, la donna romana aveva grande amore per il ricamo (acu pingere). In età meno recente la matrona filava con le ancelle, ma tutto fa credere che si tratti di un uso antico. Famosa è divenuta l'epigrafe sepolcrale che ricorda il lanificio come virtù propria della donna romana: casta fuit, domum servavit, lanam fecit. L'uso romano di dar marito alle figlie quando erano ancora giovanissime imponeva alle fanciulle una vita ritirata allorché divenivano adulte: cioè nell'età in cui, donate le bambole ai Lari, cominciavano ad attendere che il padre cercasse loro uno sposo. Nella buona società romana il flirt, come lo intendiamo noi, doveva esser rarissimo; tra l'altro ne mancava l'occasione. L'unione dei giovani dipendeva quasi esclusivamente dai loro padri. Col matrimonio, invece, la donna romana acquistava una relativa libertà di vita e di movimento. Più fortunata anche in questo della donna greca dell'età classica, la quale, sposandosi, passava dallo star chiusa nella casa del padre a star chiusa nella casa del marito; padrona delle schiave, ma schiava di fatto anche lei. Le matrone romane godevano della fiducia dei loro mariti, e nessuno le costringeva ad un regime di clausura: uscivano, si scambiavano visite, andavano in giro per i negozi a fare spese. La sera accompagnavano i loro mariti al banchetto e rincasavano tardi.



Un esempio dell'emancipazione di alcune donne romane può esserci dato da una donna aristocratica vissuta ai tempi di Augusto: Sulpicia.

A lei appartengono le uniche poesie composte da una donna romana che ci sia dato di leggere, anche se certamente non fu la sola ad averne scritte. Le donne, in virtù della loro condizione nella società, non avevano molte occasioni per far conoscere i loro scritti e probabilmente, nella maggior parte dei casi, neppure ci pensavano. Inoltre, la trasmissione dei testi antichi non favorì certamente la conservazione della produzione letteraria femminile. Il caso di Sulpicia ne è un' evidente dimostrazione: le sue poesie, infatti, ci sono giunte sotto il nome del poeta Tibullo, al quale vennero attribuite. In questa poesia, Sulpicia appare come una donna emancipata ed autonoma, colta e sensibile, che non si preoccupa delle convenzioni e parla liberamente della sua vita sentimentale:


"E' giunto Amore finalmente.

Nasconderlo

sarebbe ancora più grave

vergogna che svelarlo.

Commossa dai miei versi,

Venere lo portò sino a me,

tra le mie braccia, compì

la sua promessa.

I miei peccati li narri

chi si dirà non ebbe

suoi.

Io quasi non

Vorrei neppure

scriverli:

prima di lui,

temo

li legga un altro.

Ma giova

aver peccato.

Mi disturba

atteggiare il mio volto

alla virtù.

Si dirà che son degna

di lui, e lui di me."


LA CONDIZIONE FEMMINILE A SPARTA

"La mancanza di regole sul comportamento femminile è dannosa allo spirito della costituzione e alla felicità della poliV; allo stesso modo in cui l'uomo e la donna sono parti essenziali della casa, così la poliV deve essere considerata come divisa tra la massa degli uomini e quella delle donne. Di conseguenza in tutte le costituzioni dove la condizione delle donne non è ben definita, metà della poliV deve essere considerata senza leggi"




Così scrive Aristotele nella Politica, commentando la costituzione spartana e quindi aggiunge:

" Questo è esattamente quello che è accaduto a Sparta. Volendo regolare la vita di tutta la città , il legislatore lo ha fatto per gli uomini ma non si è preoccupato delle donne. E così queste vivono nella sregolatezza morale e nella mollezza".




E' vero quel che scrive Aristotele ? Ovviamente, ai suoi occhi era vero. Ma egli era un Ateniese, e come tale non poteva capire davvero la cultura spartana.In effetti la condizione delle donne spartane era molto particolare. A differenza delle altre donne greche che trascorrevano la loro vita nelle loro case e le lasciavano solo per partecipare ad alcune festività religiose , esse venivano educate a vivere liberamente all'aria aperta; anche se sposate, non erano tenute a dedicarsi né ai lavori domestici, cui provvedevano le schiave, né alla crescita dei figli, affidata alle nutrici. Le donne erano libere di dedicarsi al canto, alla danza e soprattutto agli esercizi ginnici, cui erano addestrate fin dalla più tenera età. L'importanza della ginnastica e della vita libera , nell'ideologia che ispirava l'educazione femminile ,era strettamente legata alla convinzione che unica funzione delle donne fosse quella di dare figli robusti alla patria . Non arrivando a comprendere la cultura spartana, gli altri Greci favoleggiavano della libertà anche sessuale delle donne di questa città e del loro presunto potere sugli uomini. Narra Plutarco a questo proposito che un giorno una straniera disse a Gorgo, moglie del re di sparta Leonida: "siamo le sole che generiamo uomini". Per quanto riguarda la pretesa libertà sessuale delle donne spartiate , va considerato che sparta era una società militare , organizzata dagli uomini e per gli uomini, ai quali- per loro scelta- non restava spazio per la vita familiare. Di conseguenza gli Spartiati non avevano interesse a rinchiudere le loro donne in casa.


LA CONDIZIONE FEMMINILE AD ATENE


Dice Demostene che l'uomo ateniese poteva avere tre donne :la moglie "per la procreazione dei figli legittimi";la concubina "per la cura del corpo",vale a dire per avere rapporti sessuali stabili, e infine l'etera, "compagna", "per il piacere". Egli, in altre parole non era tenuto ad essere fedele alla moglie , poiché la fedeltà era un dovere solo femminile .

L'uomo greco usava accompagnarsi ad una donna che , pur concedendoglisi a pagamento, sarebbe tuttavia impreciso definire una prostituta. Questa donna era appunto l'etera , una donna colta ,che conosceva la musica , il canto , la danza ,e che accompagnava l'uomo nei luoghi di socialità (come i banchetti)nei quali non era consentito recarsi né con la moglie né con la concubina. Per i rapporti veramente occasionali , l'uomo aveva a disposizione una quarta donna , la h, " la prostituta",che esercitava il suo mestiere nelle strade o nelle case di tolleranza,e che era considerata al livello infimo nella scala sociale. Infine , per completare il quadro delle possibili compagnie femminili ,va ricordato che le schiave erano a disposizione dei padroni, ai cui desideri non potevano in alcun modo sottrarsi. Di fronte a un simile quadro non è difficile capire le ragioni per le quali la polis è stata definita una città di uomini fatta per gli uomini. Le donne, in realtà, servivano per soddisfare le diverse esigenze maschili e la loro vita era rigidamente determinata dalla classe sociale a cui appartenevano.

Se erano donne destinate a ricoprire il ruolo di mogli (cioè figlie legittime di un cittadino) venivano promesse in spose quando erano ancora bambine , a sei/ sette anni, e verso i dodici anni iniziavano la loro vita di donne coniugate , vale a dire cominciavano a dare al marito i figli necessari per la perpetuazione del gruppo familiare. Altri compiti non erano assegnati alla donna greca. Essa, infatti, se apparteneva a una classe sociale elevata ,non si occupava dell'allevamento dei figli che venivano affidati, nei primissimi anni di vita,alle schiave, e quindi destinati a vivere con gli uomini al di fuori delle mura domestiche e dell'influenza materna. In considerazione di questo, gli Ateniesi ritenevano che le donne non dovessero ricevere un'educazione :a cosa sarebbe loro servita dato che avrebbero trascorso comunque la loro vita in casa ( o meglio nella parte della casa a loro riservata ,il gineceo), e da questa sarebbero uscite solo per recarsi ai funerali dei parenti più stretti e ad alcune celebrazioni religiose? Le mogli ateniesi non solo erano ammesse ai banchetti , ma in generale non erano in alcun modo partecipi del mondo della cultura.

Quanto alla condizione giuridica femminile, oltre alle limitazioni in campo politico, va ricordato che le donne non avevano il diritto di ereditare il patrimonio paterno, che si trasmetteva solo ai discendenti maschi. Tutto quel che spettava alla donna era una dote che al momento del matrimonio veniva consegnata al marito, il quale ne poteva disporre a piacimento, salvo restituirla al suocero in caso di divorzi.











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