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IL BAROCCO LECCESE

storia dell arte




IL BAROCCO LECCESE


Durante il '600 la dominazione spagnola, che si affermò sulle rovine di quella aragonese, fece assumere all'arte nuove forma e la costrinse ad adattarsi ai tempi, allontanandosi dall'antica forma classica. Il nuovo stile aveva lo scopo di sorprendere e di stimolare l'immaginazione e la fantasia.

In merito al barocco salentino i giudizi dei critici sono stati spesso in contrasto tra loro: alcuni si sono espressi con parole di disgusto mentre altri trovarono in quella nuova arte grandi qualità estetiche .

Il barocco leccese fiorì verso la fine del '500,esplo 646c28g se nella seconda metà del XVII, perdurando per buona parte del '700. Esso si diffuse in tutta la provincia favorito dal contesto storico e dalla qualità della pietra locale impiegata, la tenera e compatta pietra leccese dai toni caldi e dorati.



Anche se legato all'arte romana e napoletana, il Barocco leccese seppe mantenere, e imporre, un'impronta personale e molto originale.

Lecce si affermò come centro aristocratico in cui il patrimonio artistico si arricchì per opera della classe dirigente( grandi feudatari e nobili latifondisti) ma soprattutto per iniziativa della Chiesa che volle suggellare il proprio potere e prestigio.

Tra le molte opere realizzate possiamo ricordare: la Cattedrale di Gallipoli, la Chiesa di San Domenico a Nardò, la Chiesa di Sant' Irene e la Basilica di Santa Croce a Lecce.

Tra gli artisti più noti segnaliamo: Gabriele Riccardi, Antonio Zimbalo, Giuseppe Zimbalo detto lo Zingarello, Mauro ed Emanuele Manieri, Andrea Coppola.














CHIESA DI SAN MATTEO


Nell'alta facciata ostenta il rapporto convesso - concavo dei due ordini attuato da Francesco Borromini nel romano San Carlo alle Quattro Fontane nel 1667, che è anche l'anno d'inizio dei lavori della chiesa leccese, definita dal Gregorovius il "Pantheon del barocco leccese". Fu costruita su disegno di Achille Larducci per le Terziarie francescane e fu completata nel 1700.
























Il prospetto, sistemato in un'area a cuneo dinanzi alla stretta via che curva a gomito e in prospettiva alla piazzetta regina Maria, si staglia con brio monumentale e vivace risalto scenografico sulle circostanti costruzioni, poiché il Larducci risolse a vantaggio della chiesa l'angustia del distretto topografico e la mancanza di uno spazio circostante e concepì il S. Matteo come una slanciata mole apprezzabile per prospettive di scorcio, di tra le quinte delle viuzze laterali.

Nel primo ordine bugnato si apre, tra due colonne, l'elaborato portale, sul quale posa l'edicola sormontata dallo stemma dell'ordine francescano. Aggettanti mensole a gola rovescia, percorse a solchi verticali a mo' di triglifi, coronano l'ordine inferiore sul quale si flette il secondo piano, la cui zona centrale ospita la serliana. Il mistilineo, svettante fastigio raccoglie e conclude le accentuate onde degli smussi laterali.

L'interno ha una vasta navata ellittica percorsa da paraste - lungo le quali sono le interessanti statue dei dodici Apostoli, scolpite in pietra locale da Placido Buffelli di Alessano - e solcata da brevi cappelle che accolgono altari, sulle quali corrono dieci bifore, una volta protette da grate, dietro le quali le religiose assistevano alle funzioni.

Dagli inizi del secolo l'aula è ricoperta dall'attuale soffitto che sostituì l'originario eseguito in legno.

Sul tamburo della porta è il ligneo involucro scolpito e dorato di un organo proveniente dalla Chiesa di S. Croce, donde derivano i due altari al maggiore altare.

Ispirati all'elegante gusto del Cino ed attribuirli a lui e agli artisti della sua bottega sono gli altari caratterizzanti della frastagliata , brulicante decorazione della macchina ad una coppia di colonne tortili.










L'altare maggiore che, con quelli delle chiese di Gesù e di S. Chiara, è tra i più sontuosi dei templi leccesi per la sfavillante decorazione plastica e la spumeggiante grazia chiaroscurale, ha una policroma statua lignea di S. Matteo scolpita nel 1691 da Gaetano Palatano da Napoli, al di sopra della quale il dipinto in cornice mistilinea sostituisce un coretto, mentre desta curiosità l'affresco della Vergine col bambino per il cornetto di corallo dipinto al collo di Gesù. Proveniente da Venezia e risalente ad epoca anteriore al 1634 è il restaurato gruppo ligneo e policromo della Pietà.


























SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE

Nel 1638 il priore dell'ordine dei trinitari scalzi commissiona al Borromini la ricostruzione del convento e della chiesa di S. Carlo alle quattro Fontane.

La piccola comunità religiosa esigeva un progetto rappresentativo e prestigioso, ma in grado anche di risolvere il problema dell'esiguità dello spazio a disposizione, adeguandolo alle esigenze concrete e quotidiane della vita comune.

Prima opera autonoma è il chiostro: in esso riduce lo spazio, già esiguo, con le forti colonne del portico; evita la simmetria e distribuisce gli intervalli con un ritmo alterno, più larghi e più stretti, elimina gli angoli perché il ritmo giri tutt'intorno , li trasforma in corpi convessi come se la superficie si incurvasse nella stretta di una morsa. Nell'interno della chiesa ellittica (ma con l'asse maggiore nel senso lunghezza: con un effetto di contrazione opposto a quello , di espansione, che cercherà il Bernini in Sant'Andrea) pone un unico ordine di colonne. Sono volutamente sproporzionate allo spazio ristretto, e lo stringono ancor più; ma la loro forza plastica costringe le superfici a inflettersi, la stessa cupola ovale si direbbe deformata , schiacciata dalle curve tangenti degli archi.

La facciata viene distinta nettamente in due parti, superiore e inferiore, che si contraddicono in un gioco di antitesi: alternanza di settori concavi e convessi, articolarsi dei cornicioni, inversione delle parti chiuse e aperte.














































































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