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Storia dell'Arte - L'arte durante i regimi totalitari - L'arte nel regime fascista

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Storia dell'Arte


L'arte durante i regimi totalitari


Tutti i regimi totalitari ebbero in comune la sottomissione dell'individuo alla collettività e l'identificazione con capi carismatici, capaci di ottenere il consenso attraverso le armi dell'oratoria e della propaganda.

All'influsso di questa atmosfera non poteva sfuggire di certo l'arte, dominio della comunicazione visiva, potente strumento di diffusione dei valori e degli ideali del regime.



L'arte nel regime fascista


Nel '23 Mussolini affermò: <<E' lungi da me l'idea di incoraggiare qualcosa che possa assomigliare all'arte di Stato>>. Ben presto, però, il duce intuì le potenzialità politiche delle manifestazioni artistiche e attraverso un discorso ampolloso intervenne a favore di un movimento artistico designato come Novecento.

Il Novecento si avvaleva dell'uso di tecniche tradizionali; tuttavia non presentava un programma preciso e in effetti all'interno del gruppo i disaccordi erano continui. Si manifestarono sia tendenze celebrative, sia tendenze intimiste.




Uno degli artisti più appoggiati dal fascismo fu Mario Sironi, la cui vasta produzione si divise tra illustrazioni, architettura, pittura su tela e soprattutto murale, la più adatta a educare il pubblico. Nel 1930 ricevette da Mussolini l'incarico di affrescare l'Aula Magna dell'Università di Roma. Una vasta parte della sua produzione artistica è dominata da una spiccata tendenza alla monumentalità, che lo porta ad esiti retorici e celebrativi; più apprezzabili sono piccole opere più liriche, ispirate alle periferie piene di ciminiere, gasometri, palazzi dormitorio. Sia i paesaggi che i ritratti femminili appaiono caratterizzati da un forte impianto geometrico di ispirazione classicista.


Alle mostre di Novecento partecipavano moltissimi scultori, in quanto il loro linguaggio artistico era più adatto a celebrare i fasti del Fascismo e soprattutto la figura carismatica del Duce. I risultati, pertanto, furono per la maggior parte accademici e ripetitivi.

Pochi artisti si distinsero per autonomia di poetica: tra essi Arturo Martini e Marino Marini che, contrari ad una scultura celebrativa, ripresero alcuni temi classici della scultura privandoli di ogni aspetto monumentale. Nell'Angelo della città di Marini (Venezia) si ha il ribaltamento del tema della statua equestre: il cavallo ha zampe troppo esili in confronto al suo corpo tondeggiante, e il cavaliere ha gambe troppo corte e braccia allargate come ali. Più che un condottiero, il soggetto rappresentato sembra una sorta di angelo disorientato.




L'architettura fascista di questi anni ha notevoli somiglianze con quella contemporanea nazista (pur con le diversità dovute alle tradizioni locali): entrambe vogliono esprimere lo stesso senso del potere assoluto.

Il Fascismo tuttavia tollerò che l'architettura italiana si confrontasse con le altre correnti artistiche che si andavano affermando in ambito europeo.


Ad opere innovative che sottintendono fermenti di libertà, il fascismo preferì architetture tradizionali, ispirate genericamente al classicismo. Infatti da un lato tali opere possedevano un equilibrio in grado di comunicare un senso di compostezza e di ordine, dall'altro richiamavano la Roma antica (l'<<Urbe>>, come viene latinamente definita), nel nome della quale il regime sosteneva di voler restituire all'Italia il ruolo di dominatrice (che le competerebbe di diritto come erede di Roma).

Interprete principale di questa politica architettonica fu Marcello Piacentini.

Opere come il Palazzo di Giustizia a Milano, o la Città degli Studi a Roma, o gli edifici che Piacentini costruì per l'Esposizione Universale romana del 1942 (non realizzata a causa della guerra) sono espressioni della monumentalità trionfalistica richiesta dal regime.

All'architettura del Ventennio si devono i piani regolatori di città create ex novo, come quelle dell'<<agro pontino>> (Latina, Sabaudia, Pomezia, Aprilia, Pontinia); più discutibili furono alcuni interventi nei centri storici, che suscitarono numerose polemiche in quanto modificarono profondamente l'aspetto di alcune zone di grande interesse.

L'intento era quello di isolare monumenti di fondamentale importanza e farli <<giganteggiare nella necessaria solitudine>>, come disse Mussolini. In questo modo, però, furono eliminati gli ambienti che si erano creati intorno a tali monumenti nel corso dei secoli, demolendo interi quartieri antichi, come la "spina dei borghi" a Roma (di fronte piazza San Pietro), per creare vie scenografiche come Via della Conciliazione o la Via dell'Impero (oggi Via dei Fori Imperiali); quest'ultima fu realizzata per collegare significativamente Piazza Venezia (con il Vittoriano e Palazzo Venezia) al Colosseo (simbolo della grandezza imperiale), e comportò la divisione in due dell'area archeologica dei fori.

Interventi di questo genere interessarono anche altri centri storici, come Firenze, Brescia, Genova, Bolzano.



L'arte nel regime nazista


Il 15 novembre 1933 il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels formò la Camera della Cultura del Reich (Reichskulturkammer), che di fatto stabiliva quali artisti potevano lavorare e cosa si potesse mostrare al pubblico: una ferrea censura costrinse i pochi artisti non allineati rimasti in Germania al silenzio.

Negli anni '20 e '30 la Germania aveva generato scrittori, pittori e storici di ogni tendenza, ma i bersagli principali del regime furono coloro che si occupavano di arti figurative. Questo perché il nazismo aveva subito capito l'importanza e il fascino che esercitavano sulla massa le immagini, tanto da sfruttarle intensamente nella sua propaganda: Hitler voleva che la popolazione fosse circondata da simboli di potere. Da giovane egli stesso avrebbe voluto affermarsi come pittore e architetto, ma non riuscì mai, nonostante numerosi tentativi, ad essere ammesso all'Accademia di Vienna.


L'arte moderna fu definita dal Fuhrer nei suoi discorsi pubblici "la beffa culturale ebreo-bolscevica". I movimenti dell'arte moderna - Cubismo, Dadaismo, Futurismo e anche Impressionismo - senza distinzioni, furono presto definiti "degenerati" e "corrotti". I nazisti ritenevano che i pittori astratti contemporanei trasmettessero una concezione della vita antieroica, che avrebbe ostacolato il ritorno della Germania alla supremazia in Europa, e che inquinassero con le loro rivoluzionarie soluzioni e tecniche la presunta bellezza fisica e spirituale del vero tedesco.

Finanche l'Espressionismo, frutto tipicamente tedesco (molti suoi protagonisti erano morti in guerra o facevano professione di nazismo), finì nel mirino di Hitler, che rigettava, in quanto "deforme" e poco comprensibile alla massa, qualunque manifestazione artistica che non rappresentasse un tipo fisico ariano o si servisse di tecniche sperimentali.


<<Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell'arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all'espressione del "primitivo" nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali "barbari" >> [dal discorso di Hitler durante il congresso sulla cultura, 1935]


L'arte fu messa al servizio del potere: furono realizzati grandi viali per consentire trionfali parate militari, o gigantesche cupole in grado di accogliere centinaia di migliaia di persone per le cerimonie ufficiali.


I musei tedeschi furono depurati dal Nazismo delle opere cubiste, astrattiste, dadaiste, espressioniste. Vennero prelevati seimila tra quadri e sculture, in parte venduti all'asta, in parte destinati al rogo. Nel 1937, a Monaco, fu inaugurata addirittura una mostra di "Arte degenerata". Le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e dall'indicazione dell'altissimo prezzo che i musei avevano pagato agli speculatori ebrei; l'apertura ebbe luogo il giorno dopo l'inaugurazione di una Grande Rassegna d'Arte Germanica che esponeva opere gradite al regime.

Per un imprevisto effetto boomerang, la mostra di Arte degenerata attirò un pubblico tre volte più vasto di quella di arte ufficiale, e la sua apertura dovette essere prolungata. Il pubblico complessivo fu il più vasto mai raccolto fino ad allora da una mostra: un milioneduecentomila persone. Il risultato fu un'enorme pubblicità all'estetica "degenerata", pronta a diffondersi ovunque solo pochi anni dopo, a Nazismo finito.











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