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LA PRIMA COLONIA - I governi autonomi delle colonie

storia



LA PRIMA COLONIA

La prima colonia britannica in terra americana nacque il 13 maggio 1607 ad Hampton Roads: qui un gruppo di soli uomini fondò Jamestown: un fortino, una chiesa, uno spazio e qualche capanna. Poco più di tre secoli dopo da quell'embrione sarebbe nata la più grande potenza mondiale. Il villaggio fu dominato dittatorialmente dal già citato John Smith: la coltivazione del tabacco stimolò lo sviluppo della colonia. Dodici anni dopo, però, la popolazione non della sola Jamestown, ma di tutta la Virginia, era ancora di soli duemila abitanti: fu così che venne deciso - e questa è storia e non leggenda - di far arrivare dall'Inghilterra una nave con a bordo novanta ragazze, destinate a diventare le mogli di quei coloni che si fossero potuti permettere le spese del viaggio del 333g67d le future consorti.
Il 30 luglio 1619, nella chiesa di Jamestown, nasceva il primo governo rappresentativo della storia d'America: la prima assemblea decise la propria composizione, e cioè un governatore, sei consiglieri e due cittadini eletti da ogni piantagione. Quello stesso anno, ad agosto, giunsero i primi schiavi di colore, portati da una nave olandese: la Virginia cominciava a sviluppare il proprio sistema di monocultura e schiavismo, che due secoli dopo l'avrebbe portata a combattere contro il Nord industrializzato nella Guerra Civile (1861-1866).
I governi autonomi delle colonie
I coloni si organizzavano, naturalmente secondo i principi e le leggi della Madrepatria: la mentalità liberale inglese, le radici di un popolo che aveva combattuto per la libertà sin dalle prime lotte per i diritti civili nel XIII secolo (la Magna Charta) non potevano che fiorire in una terra che offriva nuove opportunità. La prima Carta della Virginia recitava che i coloni avrebbero goduto delle libertà "come se fossero nati e domiciliati in questo nostro Reame d'Inghilterra". Common Law e Magna Charta regolavano quindi la vita sociale e giuridica delle colonie.
La lotta per un forte sistema rappresentativo delle colonie, nei confronti della Corona britannica, non fu però facile. La prima assemblea legislativa fu quella della Virginia, nel 1619, che si scontrò subito con il re e con il suo massimo rappresentante in loco, il governatore. L'assemblea della Virginia stabilì il principio - importantissimo - che il governatore non poteva imporre tributi senza il placet dell'assemblea, che essa stabiliva l'entità delle tasse, e che i membri dell'assemblea dovevano godere di immunità, parlamentare diremmo oggi.


Il primo embrione di una Costituzione scritta redatta da una comunità americana (e in effetti il primo in tutto il mondo occidentale) sono invece gli Ordinamenti fondamentali del Connecticut, realizzati nel 1639: con essi le istituzioni ammesse diventavano il Governatore, i suoi assistenti e una Camera bassa composta da quattro deputati per ogni città, eletti dal popolo. Trent'anni più tardi, il Connecticut ottenne dalla Corona (la restaurazione degli Stuart) eccezionali libertà: i coloni potevano governarsi indipendentemente, sempre che avessero rispettato le regole vigenti nel Regno Unito. Nelle stesse particolari condizioni si vanne a trovare il Rhode Island. Connecticut e Rhode Island divennero così le uniche due colonie perfettamente autonome, democratiche e popolari: le altre colonie erano o di proprietà (privata o delle Compagnie) o "regie". In ognuna di esse - questa la grande trasformazione che avrebbe condizionato gli eventi successivi - il Governatore proveniva dall'Inghilterra, ma i membri delle Camere erano cittadini americani.

Questi "americani" avevano ora in mano tre vittorie: innanzitutto gli ordinamenti scritti, cioè "contratti costituzionali", che garantivano le proprie libertà (in Inghilterra, si sa, non esiste una Costituzione scritta), poi un potere legislativo che ben controllava quello esecutivo del Governatore, e infine il potere di controllo delle spese e di conseguenza della tassazione.
"Non è esatto -recita
La storia degli Stati Uniti di Nevins-Commanger - affermare che le colonie britanniche fossero tiranneggiate; in sostanza, esse godettero di una libertà politica sconosciuta nei secoli XVII e XVIII in tutte le altre parti del mondo; indubbiamente subirono però a lungo il governo di caste. La teocratica Nuova Inghilterra aveva un'oligarchia che occorreva abbattere: nel Sud, invece, nobili proprietari terrieri e mercanti cercavano di assicurarsi un monopolio politico".
Chiesa e Stato nelle colonie - Sete di libertà politiche e tolleranza religiosa si dimostravano due caratteri fondanti della società americana. Le colonie accoglievano sette religiose provenienti da ogni parte del Vecchio mondo. Nel Massachussettss e nel Connecticut, però, la Chiesa puritana per molto tempo era stata tutt'uno con lo Stato. Soprattutto nel primo vigeva un vero e proprio governo teocratico, basato su le seguenti regole: chi non era puritano non aveva diritto di voto, ogni cittadino doveva essere praticante religioso, potevano esistere altre confessioni ma dovevano subire l'approvazione della Chiesa principale. Fino al 1691 il Massachussetts restò ancorato a queste rigide regole: in quell'anno una Costituzione concesso da Guglielmo d'Orange rese il Massachussettss un provincia regia e la teocrazia decadde. " La teocrazia ebbe al suo attivo un solo grande merito - scrivono Nevins e Commanger - L'austera e arcigna organizzazione puritana resistette all'invadenza di Carlo II con una fermezza accanita, che influì potentemente sullo sviluppo della libertà politica del Nuovo Mondo. Questa resistenza spianò notevolmente la strada all'idea dell'indipendenza politica raggiunta poi nel secolo successivo".
SCOPPIA LA GUERRA
ED È INDIPENDENZA - L'identità americana


La nazione americana nasceva intorno ad alcuni valori condivisi da tutte le colonie: innanzitutto l'uso della lingua inglese, largamente predominante, la presenza di un governo e di un assemblea rappresentativi (le colonie francesi e spagnole erano semplicemente emanazioni della Corona oltreoceano e non avevano assemblee popolari) e una diffusa tolleranza religiosa e civile, che comprendeva come valori fondamentali la libertà di espressione, di stampa, di riunione. A questi valori va aggiunto lo spirito di iniziativa individuale, percepito come primaria libertà della persona nei confronti dell'Autorità e del Monopolio: nessun potere, politico o economico, avrebbe potuto limitare l'individuo. Da questo principio sarebbe derivato quello supremo enunciato nella ventura Costituzione, secondo cui i cittadini americani, qualora il potere non li avesse più rappresentati, avrebbero avuto il diritto di rovesciarlo.

Questo spiccato individualismo avrebbe costituito una base egualitarista, vista come concessione delle stesse opportunità ad ognuno: da questo punto di partenza sarebbe cioè partita la concorrenza, la corsa "al benessere e alla felicità". Ovviamente queste libertà - che nella Costituzione sarebbero state enunciate come diritti dalla nascita, non concessi cioè dall'Autorità ma naturali - erano percepiti come un patrimonio da condividere tra i coloni, e non includevano gli schiavi di colore che, ad ondate sempre più consistenti venivano sbarcati in Virginia.
I motivi della rivoluzione
La Rivoluzione Americana nasce, indubbiamente, come lotta per la libertà economica, e non è assolutamente un caso che, negli Stati Uniti (aggiungiamo noi: giustamente) il principio di libertà economica sia indissolubilmente intrecciato con quello della libertà tout court. Dalla libertà di decidere dei propri soldi sarebbero venute tutte le altre libertà: è questo il grande insegnamento dell'unica Rivoluzione che non sia stata sbugiardata dalla Storia, e che non sia passata dagli ideali al Terrore.
STATI UNITI
LA MARCIA DALL'ATLANTICO AL PACIFICO



Che cosa rappresentano gli Stati Uniti nella moderna civiltà

In un certo senso potremmo considerare gli Stati Uniti come un "prolungamento » dell'Europa, dalla cui matrice essi derivano, attraverso le scoperte, la- conquista, la colonizzazione, l'indipendenza. Con l'Europa hanno in comune la tradizione linguistico-culturale e quella religiosa; tuttavia la cultura e le istituzioni europee hanno trovato nel continente americano un loro sviluppo autonomo, assai significativo, che si è espresso soprattutto con l'affermarsi di un sistema politico fondato sui principi della democrazia e cioè di uguaglianza dei cittadini e di governo rappresentativo.

La democrazia in Europa era sempre stata piuttosto utopia di pensatori che realtà di condizioni umane, platonica aspirazione piuttosto che contesto istituzionale e sociale.
(nei primi anni dell'800, in Europa, tra gli statisti, solo Napoleone, ammirava la democrazia degli Stati Uniti. E se dopo Waterloo, invece che tornare a Parigi, e farsi arrestare dagli inglesi, fosse andato in America, fli States l'avrebbero accolto a braccia aperte)

In America la democrazia è divenuta realtà; ha fatto scomparire le vecchie aristocrazie feudali di tipo europeo; le istituzioni si sono sempre più avvicinate a quell'ideale di « eguaglianza dei diritti e delle opportunità» che ha toccato il suo punto più avanzato nella recente legge sull'esercizio dei diritti civili da parte delle minoranze di colore.
L'America è stata ed è un Paese che ha realizzato i principi dell'eguaglianza, del governo rappresentativo, dei diritti fondamentali della persona sul piano pratico, e cioè nel contesto delle istituzioni e delle forme comuni di vita. Questo è stato certamente facilitato dal suo graduale trasformarsi da società rurale in società industriale, dalla modifica dei tipi tradizionali di lavoro, dal grande sforzo di educazione generalizzata che la società industriale esige per avere uomini capaci, intellettualmente e psicologicamente, di adeguarsi alle prestazioni delle macchine che assicurano lo sviluppo dei processi industriali.

La nuova società. È nata quindi una società americana nuova, ricca, fiera delle sue capacità economiche e imprenditoriali: essa ha esaltato queste capacità fino al massimo livello possibile; il denaro e la ricchezza diventarono, in certo senso, pur non essendo fine a se stessi, la misura del valore dell'uomo che si cimenta nell'agone e nella competizione per produrre nuovi beni e nuove ricchezze. Il cittadino americano è stato educato a considerare il successo economico come la misura del suo valore e delle sue capacità; e questo spiega il carattere espansivo e vitalistico di una società in cui il denaro (capitale) assume il ruolo più importante, e spesso esclusivo, nell'articolare i rapporti sociali.
Il sistema competitivo-capitalistico, il riconoscimento dell'iniziativa libera individuale, l'eliminazione quasi assoluta di ogni forma di costrizione collettiva o esterna sul piano economico, anche se gradualmente superati da forme di intervento e di regolazione da parte dei pubblici poteri, hanno dato quindi il loro sigillo caratteristico alla società americana, e spiegano in gran parte la posizione economica e competitiva, i mezzi finanziari enormi di cui dispone, i beni e la ricchezza che produce.

E l'Europa ?
Gli stati europei guardano con ammirazione ma anche con sospetto questa prepotente vitalità, considerandola talvolta come espressione di una certa rozzezza culturale; gli stati afro-asiatici la considerano spesso come un pesante intervento che maschera forme di imperialismo e di esclusivismo economico in luogo di quello politico, anche se formalmente sorretto da intese, trattati, aiuti economici e tecnici.
Non è quindi difficile comprendere come questo Paese, proprio per quello che esso dà sul piano economico, ottenga talvolta l'effetto contrario a quello sperato, e cioè di suscitare più rancore e odio che non ammirazione e cordialità di rapporti. Esso rappresenta tuttavia una forza gigantesca, che riempie della sua presenza una parte notevole della scena mondiale e che forse, nell'avvenire, dovrà assolvere compiti ancora più ardui.
Della storia di questo popolo e di questo continente, crogiuolo di razze, di lingue, di popoli e di religioni, e che tuttavia ha saputo assorbire nel breve volgere di pochi decenni, l'eterogeneo aggregato della sua popolazione, trasferendo in esso un senso autentico di patriottismo e di lealtà verso il Paese di cui pure non era originaria, cercheremo di ripetere brevemente le vicende che nel giro di due secoli l'hanno portato ad essere uno dei massimi protagonisti della vita e della storia mondiale.

Le due guerre mondiali

Dal tempo in cui erano tutti presi dall'impegno di dare un volto politico ai loro territori, gli Americani avevano prestato poca attenzione al resto del mondo. Le loro energie erano state tutte dedicate allo sviluppo materiale e politico dei loro vasti territori e gli stessi Presidenti Washington, Jefferson e particolarmente Monroe avevano ripetutamente consigliato di tenersi lontani dagli affari politici delle altre nazioni del mondo (la dottrina di Monroe).
Ma, come il progresso industriale, scientifico e commerciale portò inesorabilmente a contatto tutti i popoli della terra, anche gli Stati Uniti si trovarono implicati nel nuovo corso della storia umana. Intervennero soltanto nell'ultimo anno del primo conflitto mondiale (1914-18) a fianco dell'Inghilterra, della Francia e dell'Italia contro la Germania e l'Impero Austro-Ungarico.
Dopo la vittoria, gli Stati Uniti decisero di estraniarsi dalle contese dei Paesi europei, rifiutando di partecipare alla Lega delle Nazioni (pur essendo un progetto geopolitico del presidente Wilson).

Lo scoppio della 2a guerra mondiale determinò un secondo intervento a fianco della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica contro la potenza del Tripartito. Dopo la terribile esperienza delle due ultime guerre è ormai diventato evidente alla maggior parte degli Americani che il mondo d'oggi è basato su rapporti d'interdipendenza per cui il benessere degli Stati Uniti è in gran parte legato agli eventi e alle condizioni delle altre nazioni.
La nuova frontiera e la grande società

L'America aveva concluso, alla fine del secolo scorso, la sua fase di espansione continentale; quando il Presidente Kennedy assunse la carica nel 1960, egli lanciò una stimolante parola d'ordine: quella della «nuova frontiera »; non più una frontiera fisica, al di là della quale vi fossero territori da conquistare, ma una frontiera ideale, oltre cui v'erano gli impegni per creare una società più giusta, per aiutare lo sviluppo degli altri Paesi, per lanciare la grande sfida a tutte le altre ideologie, in nome del successo e dei risultati che avevano caratterizzato la vicenda storica degli Stati Uniti.




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