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Burke, Edmund (Dublino 1729 - Beaconsfield, Bukinghamshire 1797), pensatore politico e uomo di stato irlandese.

storia



Burke, Edmund (Dublino 1729 - Beaconsfield, Bukinghamshire 1797), pensatore politico e uomo di stato irlandese.


Nel 1757 pubblicò Indagine filosofica sull'origine delle nostre idee sul sublime e sul bello, in cui individuava nella guerra l'origine dell'idea di sublime e nell'amore la fonte della concezione del bello.

Trasferitosi in Inghilterra, venne 353j91d eletto alla Camera dei Comuni britannica nel 1765. La sua elezione coincise con le prime avvisaglie del conflitto fra la Gran Bretagna e le colonie d'oltreoceano, sfociato poi nella guerra d'indipendenza americana. Fin dall'inizio Burke sostenne ardentemente la politica non interventista propugnata dal partito Whig, di cui divenne il più noto ideologo (Pensieri sulle cause dello scontento presente, 1770). In seguito denunciò i peggiori difetti dell'amministrazione britannica, esposta al duplice rischio dell'eccessiva influenza del monarca sul governo e della corruzione dei governanti, sottolineando anche la differenza costitutiva fra questo tipo di prassi politica e l'orientamento whig.


Il sostegno dato alla politica di conciliazione con le colonie americane, condotto attraverso una serie di noti discorsi parlamentari, lo rese famoso per le sue idee liberali in gran parte del mondo anglosassone e nei futuri Stati Uniti d'America. La sua fama aumentò quando prese a occuparsi dei metodi criminali usati dall'amministrazione inglese nel governo dell'India e quando appoggiò apertamente la causa dei cattolici irlandesi. Con la pubblicazione, nel 1790, delle Riflessioni sulla rivoluzione francese si affermò come uno dei più acuti critici dell'ideologia rivoluzionaria sviluppata in Francia. Ai principi astratti e razionalistici dei giacobini, che a suo parere avrebbero distrutto l'ordine sociale e politico nel tentativo di ricrearlo ex novo, Burke contrappose i pregi della Costituzione britannica, fondata sulle consuetudini e sulla tradizione, difendendo un progetto riformista basato sulla conoscenza accurata dei luoghi, della popolazione e delle istituzioni.




Il filosofo e statista britannico Edmund Burke è spesso considerato il padre del conservatorismo moderno; simpatizzò con gli indipendentisti americani in lotta per l'affrancamento dal controllo inglese, e divenne famoso grazie alle Riflessioni sulla Rivoluzione francese del 1790, in cui l'evento storico è sottoposto a dura critica.


Burke: il pensiero

Gran parte dell'attività pubblica burkiana è impegnata a difendere da un lato la Chiesa anglicana dagli attacchi dei "liberi pensatori" e dei riformisti protestanti radicali, dall'altro i cattolici e i dissenzienti protestanti, lesi nei propri diritti dalla politica assolutistica del governo londinese. Ragione di quest'azione politica non è un concetto "latitudinario" di libertà religiosa, ma una visione d'insieme della natura umana e dei rapporti fra lo Stato, i corpi sociali intermedi e i singoli individui minacciati dall'assolutismo moderno. Obiettivo di Burke è garantire uguali diritti a tutti i sudditi britannici, ovunque si trovino e qualunque fede religiosa professino: diritti concreti, acquisiti storicamente in virtù della secolare tradizione costituzionale e consuetudinaria britannica - i "benefici" -, e - a partire dal 1789 francese non a caso in aspra polemica, fra l'altro, con le "libertà inglesi" - contrapposti alle astrazioni illuministico-razionalistiche della Loi e del "diritto nuovo". Lo statista diviene e rimane celebre per quattro "battaglie parlamentari". La prima, a tutela dei diritti costituzionali tradizionali dei coloni britannici in America, si oppone alla tassazione arbitraria, imposta dal governo londinese, e difende l'autentico significato della Costituzione "non scritta" britannica. Con lungimiranza, Burke si accorge della miccia che tale politica va innescando nella polveriera nordamericana e fa di tutto per allontanare lo spettro della perdita delle Colonie. Mai favorevole all'indipendenza che queste dichiarano nel 1776, una volta scoppiato il conflitto armato fra esse e la Corona britannica, egli giudica gli eventi come una "guerra civile" interna all'Impero - non una rivoluzione -, presto sanabile. La seconda battaglia parlamentare è quella condotta contro l'amministrazione pubblica, che impedisce questa volta ai sudditi irlandesi di fruire dei diritti costituzionali britannici, anche se in tema di libertà religiosa Burke non riesce ad avere altrettanto parziale successo in difesa dei compatrioti cattolici. In terzo luogo, lo statista chiede la messa in stato d'accusa di Warren Hastings (1732-1818), governatore generale dell'India britannica, per il suo malgoverno, ma non è ascoltato. L'ultima tenzone parlamentare burkiana ha a tema la Rivoluzione francese. Nelle "Reflections on the Revolution in France" ("Riflessioni sulla Rivoluzione francese") - una delle opere più commentate e influenti della storia inglese moderna, pubblicata poco dopo la "presa della Bastiglia", il 14 luglio 1789 -, l'uomo politico anglo-irlandese intuisce, analizzando le premesse filosofiche che aveva visto dipanarsi lungo i decenni precedenti, l'intero corso degli eventi rivoluzionari, dal regicidio alla dittatura militare napoleonica, stigmatizzandone la natura. Per lui, la Rivoluzione costituisce l'avvento della barbarie e della sovversione di ogni legge morale e di ogni consuetudine civile e politica. Sull'interpretazione di tale evento, del resto, lo stesso partito whig si spacca, insanabilmente diviso fra i new whig liberali di Charles James Fox (1749-1806) e gli old whig guidati appunto da Burke, i quali finiscono per stringersi in lega politica con i tory di William Pitt il Giovane (1759-1806). Proprio alla difesa burkiana del "commonwealth cristiano d'Europa", a cui la Francia giacobina e atea si è sottratta e contro il quale essa combatte accanitamente - Burke afferma che, negli anni della Rivoluzione, la Francia autentica risiede all'estero -, si deve quell'appoggio parziale che, in alcuni momenti, il governo britannico fornisce alla causa contro-rivoluzionaria francese. Il lume della filosofia politica burkiana è, infatti, la difesa dell'ethos classico-cristiano, fondamento della normatività che il pensatore ravvisa nelle consuetudini giuridiche e culturali del suo paese, parte della "società delle nazioni" cristiane europee. Il rapporto burkiano fra diritto naturale morale e istituzioni civili vede queste ultime come tentativo storico di incarnare il primo, secondo una logica che unisce morale personale e morale sociale. La "filosofia del pregiudizio" - ossia della tradizione e della consuetudine storica - è la grande arma del "common sense" britannico burkiano. Nella sua rilettura revisionista della Rivoluzione francese, la requisitoria di Burke contro i pericoli di dispotismo insiti nei progetti che vogliono ricostruire l'uomo comincia ad apparire quanto mai profetica. La descrisse come "la crisi più stupefacente mai avvenuta al mondo". Coerentemente con i suoi antichi princìpi le si oppose, mentre i suoi alleati di un tempo, coerenti o no con i loro, la sostennero. La sua posizione "antirivoluzionaria" lo "trasformò" in conservatore contro i suoi antichi princìpi al punto da immaginare che nel XIX secolo si sarebbe trovato più a suo agio nel partito dei Tories, che in quello dei Whigs ormai trasformato in partito liberale. Nella sua polemica contro la Rivoluzione, Burke elogia il sistema politico inglese perché "in giusta corrispondenza e simmetria con l'ordine del mondo", mentre la preoccupazione per il fanatismo della ragione, che potrebbe distruggere tutti i vincoli sociali, lo portò a voler difendere la religione statuita , per poter così difendere la società statuita.



"Non escluderei del tutto le alterazioni, ma anche se dovessi mutare, muterei per preservare, grave dovrebbe esser l'oppressione per spingermi al mutamento. E nell'innovare, seguirei l'esempio dei nostri avi, farei la riparazione attenendomi il più possibile allo stile dell'edificio. La prudenza politica, un'attenta circospezione, una timidezza di fondo morale più che dovuta a necessità, furono tra i primi principi normativi dei nostri antenati nella loro condotta più risoluta". (Riflessioni sulla Rivoluzione francese).

Le critiche di Burke, dunque, non sono indirizzate solo alla rivoluzione francese , ma alla rivoluzione in sé, che pretende di interrompere l'evoluzione della storia di una nazione; non solo al giacobinismo che dominava in Francia nell'anno II della repubblica, ma al giacobinismo come categoria politica. Scrive ancora Burke, nelle sue " Riflessioni sulla Rivoluzione francese":

"Fare una rivoluzione è una misura che prima fronte richiede una giustificazione. Fare una rivoluzione significa sovvertire l'antico ordinamento del proprio paese; e non si può ricorrere a ragioni comuni per giustificare un così violento procedimento. Vediamo un organismo senza leggi fondamentali, senza massime stabilite, senza norme di procedure rispettate, che niente può vincolare a un sistema qualsiasi. Nella "palude Serbonia" di questa vile oligarchia tutti saranno asorbiti, soffocati e perduti per sempre."

Burke, certo del prossimo successo dei giacobini anche in terra inglese, vuole che la località della propria inumazione sia tenuta segreta, per paura che i nemici possano un giorno giungere a dissacrare il luogo del riposo delle spoglie mortali del loro primo e radicale avversario.







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