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Napoli e dintorni Da "Liternum " a "Neapolis "

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Napoli e dintorni

Da "Liternum " a "Neapolis "





La pianura campana





<<La pianura intorno a Capua>>, ci dice lo Schick nella sua traduzione delle "Storie" polibiane (III, 91, 2-7), <<è la più rinomata d'Italia per la sua fertilità, la sua bellezza, i comodi porti di cui dispone, ai quali approdano quanti vengono in Italia da quasi ogni altra parte del mondo. In essa si trovano pure le più belle e famose città della penisola. Sono situate sulla costa le città di Sinuessa , Cuma, Dicearchia , quindi Napoli, ultima Nocera. Nell'entroterra sono situate Cales e Teano verso nord, Daunia e Nola verso oriente e mezzogiorno. Proprio al centro della pianura si trovava la città di Capua, che era allora la più fiorente di tutte. E' comprensibile come si sia formata la leggenda che i mitografi narrano riguardo a questa pianura, chiamata Flegrea come altre pianure famose: che gli dei, cioè, se la siano particolarmente contesa a causa della sua bellezza e fertilità.>>


E, dopo circa due secoli, ecco come ce la descrive Plinio :

<<Crebros enim imbres percolat atque transmittit, nec dilui aut madere voluit propter facilitatem culturae, eadem acceptum umorem nullis fontibus reddit, sed temperate concoquens intra se vice suci continet. Seritur toto anno, panico semel, bis farre. Et tamen vere segetes, quae interquievere, fundunt rosam odoratiorem sativa. Adeo terra non cessat parere, unde volgo dictum, plus apud Campanos unguenti quam apud ceteros olei fieri. Quantum autem universas terras campus antecedit, tantum ipsum pars eius, quae Leboriae vocantur, quem Phlegraeum Graeci appellant. Finiuntur Leboriae via ab utroque latere consulari, quae a Puteolis et quae a Cumis Capuam ducit.>>

<<Infatti essa [la pianura] filtra le piogge frequenti e le lascia passare, né è solita diluirsi od inzupparsi, per cui permette una coltivazione feconda; essa non rende a nessuna fonte l'umidità che riceve, ma, assimilandola in giusta quantità, la conserva al suo interno come un succo. Si semina durante l'intero anno, una volta a panico, due a farro. E tuttavia quei campi che nel frattempo hanno riposato danno in primavera una rosa che ha più profumo di quelle coltivate. A tal punto la terra non cessa di generare, e per questo comunemente si dice che si produce più profumo in Campania che olio nelle altre regioni. Di quanto poi questa campagna è superiore a tutte le altre, di tanto è superiore ad essa quella parte detta Leborie , che i Greci chiamano Campi Flegrei. Le Leborie sono delimitate da entrambi i lati da vie consolari che portano a Capua, l'una da Pozzuoli e l'altra da Cuma.>> [tr. AA.VV.]
































Literno e Cuma


PoleiV d|epi men th Jalatth meta thn Sinoessan Liternon, opou to mnh-ma to SkipionoV tou prwtou prosagoreuJentoV Ajrikanou\ dietriye garentauJa to teleutaion, ajeiV taV politeiaV kat|apecJeian thn proV tinaV.

Pararrei de omwnumoV th polei potamoV. WV d|autwV kai OuoultournoV omwnumoV esti th par|auton polei ejexhV keimenh\ rei d|outoV, dia Ouenajrou kai thV KampaniaV meshV. TautaiV d|ejexhV esti Kumh, Calki- dewn kai Kumaiwn palaiotaton ktisma\ paswn gar esti presbutath twn te Sikelikwn kai twn Italiwtidwn. Oi de ton stolon agonteV, IppoklhV o KumaioV kai MegasJenhV o CalkideuV, diwmologhsanto proV sjaV au- touV, twn men thn apoikian einai, twn de thn epwnumian\ oJen nun men prosagoreuetai Kumh, ktisai d| authn CalkideiV dokousi. Proteron men oun hutucei h te poliV kai to Flegraion kaloumenon pedion,en w ta peri touV GigantaV muJeuousin ouk alloJen, wV eikoV, all|ek tou perimach- ton thn ghn einai di|arethn, usteron d|oi Kampanoi, kurioi katastanteV thV polewV, ubrisan eiV touV anJrwpouV polla\ kai dh kai taiV gunaixin autwn sunwkhsan autoi. OmwV d|oun eti swzetai polla icnh tou Ellhnikoukosmou kai twn ierwn kai twn nomimwn. WnomasJai d|enioi Kumhn apo twn kumatwn jasi\ raciwdhV gar kai prosechV o plhsion aigialoV. Eisi de kai khteiai par|autoiV aristai. En de tw kolpw toutw kai ulh tiV esti Jamnw- dhV epi pollouV ekteinomenh stadiouV, anudroV kai ammwdhV, hn Gallina- rian ulhn kalousin. EntauJa dh lhsthria sunesthsanto oi Pompeiou Sextou nauarcoi, kaJ| on kairon Sikelian apesthsen ekeinoV.


<<Le città sul mare dopo Sinuessa cominciano con Literno, dov'è la tomba del primo Scipione, soprannominato l'Africano. Egli trascorse infatti lì l'ultimo periodo della sua vita, dopo aver abbandonato gli affari pubblici per l'avversione che nutriva nei confronti di alcuni. Presso la città scorre il fiume omonimo . Così allo stesso modo anche il Volturno è omonimo alla città che sta ad esso vicina: quest'ultimo fiume attraversa Venafro e passa in mezzo alla Campania.

Dopo queste città viene Cuma , fondazione assai antica dei Calcidesi e dei Cumani: è la più antica di tutte le colonie di Sicilia e d'Italia. Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, che erano a capo della spedizione coloniale, si erano messi d'accordo fra loro che la città fosse colonia dei Calcidesi, ma portasse il nome di Cuma: per questo anche ora è chiamata Cuma pur avendola, come sembra, colonizzata i Calcidesi. La città dunque all'inizio era prospera e così la pianura chiamata Flegrea, dove viene localizzata la leggenda dei Giganti non per altra ragione se non per il fatto che questa terra, per la sua fertilità, era atta a suscitare contese. Più tardi i Campani , resisi padroni della città, esercitarono ogni tipo di violenza sugli abitanti e infatti andarono perfino a vivere con le loro donne. Tuttavia restano ancora tracce dell'ordinamento dato dai Greci sia per quanto riguarda le cerimonie sacre sia le norme legislative. Alcuni dicono che Cuma prenda il nome da kumata : infatti la spiaggia vicina è scogliosa ed esposta ai venti. Ci sono nei pressi anche ottimi luoghi per la pesca di pesce grosso. Nel golfo medesimo c'è anche un bosco di piccoli alberi, che si estende per molti stadi, senza acqua e sabbioso: è conosciuto sotto il nome di Silva Gallinaria. Là i capi della flotta di Sesto Pompeo riunirono gli equipaggi di pirati al tempo in cui egli sollevò la Sicilia contro Roma.>> [tr. A. M. BIRASCHI]



<< Sic fatur lacrimans classique immittit habenas

et tandem Euboicis Cumarum adlabitur oris.

Obvertunt pelago proras; tum dente tenaci

ancora fundabat navis et litora curvae

praetexunt puppes. Iuvenum manus emicat ardens   5

litus in Hesperium: quaerit pars semina flammae

abstrusa in venis silicis, pars densa ferarum

tecta rapit silvas inventaque flumina monstrat.

At pius Aeneas arces, quibus altus Apollo

praesidet, horrendaeque procul secreta Sibyllae,    10

antrum immane, petit, magnam cui mentem animumque

Delius inspirat vates aperitque futura.

Iam subeunt Triviae lucos atque aurea tecta. 42

Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum,

quo lati ducunt aditus centum, ostia centum,

unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.>>


<<Così dice piangendo e dà le briglie / a la flotta, ed alfin tocca l'euboiche / spiagge di Cuma. Voltano le prore / a l'alto mar, poi l'ancora col dente / tenace assicurava al fondo i legni; / le curve poppe fanno siepe a riva. / Balzano ardenti i giovani sul lido / esperio: e chi sprizzar fa la scintilla / ascosa entro la selce, e chi percorre, / folte dimore de le fiere, i boschi / e i corsi addita de' trovati fiumi. / Ma il pio Enea le vette, cui presiede / l'alto Apollo, ricerca ed il riposto / asilo, immensa grotta, de l'augusta / Sibilla, a la qual dona il Delio vate / larghezza e fiamma d'ispirata mente / e le apre l'avvenir. Quelli già sono / sotto il bosco di Trivia e a l'aureo tetto. [.] / E' l'ampio fianco de l'euboica rupe / cavato in antro, e cento larghe entrate / v'adducon, cento porte, escono a cento, / de la Sibilla oracoli, le voci.>> [tr. G. ALBINI]


Miseno e Baia


<< [21] Talis in Euboico Baiarum litore quondam 710

saxea pila cadit, magnis quam molibus ante

constructam ponto iaciunt; sic illa ruinam

prona trahit penitusque vadis inlisa recumbit:

miscent se maria et nigrae attolluntur harenae;

tum sonitu Prochyta alta tremuit durumque cubile  715

Inarime Iovis imperiis inposta Typhoeo.>>


<<Tale di Baia su l'euboico lido / cade talor pilone di macigno, / che su gran massi preparato avanti / gettano in mare; così giù rovina / e percosso ristà ne l'imo fondo: / s'agitan l'acque e bruna si solleva / la sabbia; al tonfo Procida alta trema / e ne trema Ischia per voler di Giove / imposta a Tifoèo duro giaciglio.>> [tr. G. ALBINI]




<<Plhsion de thV KumhV to Mishnon akrwthrion kai en tw metaxu Ace-rousia limnh, thV JalatthV anacusiV tiV tenagwdhV. Kamyanti de to Mish-non limhn euJuV upo th akra, kai meta touton egkolpizousa hiwn eiV ba- JoV, en h ai Baiai kai ta Jerma udata, ta kai proV trujhn kai proV Jera- peian noswn epithdeia.>>


<<Vicino a Cuma si trova il promontorio Miseno e, in mezzo, la palude Ache 838f54i rusia, una specie di espansione acquitrinosa del mare . Chi doppia Capo Miseno trova, subito sotto il promontorio, un porto ; poi la costa si incurva in un golfo profondo, nel quale c'è la città di Baia e le sue acque termali, adatte per chi ama l'agiatezza e per la cura di alcune malattie.>> [tr. AA.VV.]


L'Averno


<<Talibus [26] ex adyto dictis Cumaea Sibylla

horrendas canit ambages antroque remugit

obscuris vera involvens: ea frena furenti  100

concutit et stimulos sub pectore vertit Apollo.

Ut primum cessit furor et rabida ora quierunt,

incipit Aeneas heros: "Non ulla laborum,

o virgo, nova mi facies inopinave surgit:

omnia praecepi atque animo mecum ante peregi.   105

Unum oro: quando hic inferni ianua regis

Dicitur et tenebrosa palus Acheronte refuso,

ire ad conspectum cari genitoris et ora

contingat, doceas iter et sacra ostia pandas."


<<Con tali detti la cumèa Sibilla / da l'antro sacro fiere ambagi intuona / e rugge, d'ombre ravvolgendo il vero: / così scote le briglie a la fremente / e con gli sproni entro la punge Apollo. / Quando allentò il furore e la schiumosa / bocca fu cheta, prende a dir l'eroe: / "Nuova, o vergine, a me né inaspettata / faccia non è di mali alcuna: tutti / li pregustai, li consumai nel cuore. / Prego sol: poi che qui dicon la porta / del rege inferno e la palude buia / cui riversa Acheronte, a me sia dato / a la presenza andar del padre mio, / la via m'insegna, il sacro adito m'apri.>> [tr. G. ALBINI]




<<...o AornoV , cerronhson poiwn thn apolambanomenhn mecri Mishnoughn apo thV pelagiaV thV metaxu KumhV kai autou. LoipoV gar estin oli- gwn stadiwn isJmoV dia thV diwrugoV ep|authn Kumhn kai thn proV authn Jalattan. EmuJeuon d|oi pro hmwn en tw Aornw ta peri thn nekuian thn Omhrikhn\ kai dh kai nekuomanteion istorousin entauJa genesJai, kai Odussea eiV tout|ajikesJai. Esti d|o men AornoV kolpoV agcibaJhV kai artistomoV, limenoV kai megeJoV kai jusin ecwn, creian d|ou parecomenoV limenoV | dia to prokeisJai ton Lokrinon kolpon probrach kai polun. Perikleietai d|o AornoV ojrusin orJiaiV uperkeimenaiV pantacoJen plhn tou eisplou, nun men hmerwV ekpeponhmenaiV, proteron de sunhrejesin agria ulh megalodendrw kai abatw, ai kata deisidaimonian kataskion epoioun ton kolpon. ProsemuJeuon d|oi epicwrioi kai touV orneiV touV uperpeteiV ginomenouV katapiptein eiV to udwr, jJeiromenouV apo twn anajeromenwn aerwn, kaJaper en toiV PloutwnioiV. Kai touto to cwrion Ploutwnion ti upelambanon, kai touV KimmeriouV entauJa legesJai\ kai eisepleon ge oi proJusamenoi kai ilasamenoi touV katacJoniouV daimonaV, ontwn twn ujhgoumenwn ta toiade ierewn hrgolabhkotwn ton topon.>>


<<.il golfo Averno che forma una penisola della terra compresa fra Cuma e l'Averno stesso fino a Capo Miseno; infatti, attraverso la galleria sotterranea, non resta che un istmo di pochi stadi fra l'Averno da una parte e Cuma stessa ed il mare contiguo dall'altra . Raccontavano i nostri predecessori che nell'Averno fossero localizzate le storie favolose relative alla Nekyia omerica; lì inoltre ci sarebbe stato anche un oracolo dei morti presso il quale venne Odisseo. Il golfo Averno è profondo e di facile accesso, ha le dimensioni e le caratteristiche di un porto ma non si usa a questo scopo perché c'è davanti il golfo Lucrino, poco profondo e molto esteso. L'Averno è chiuso tutt'intorno da ripide alture che dominano da ogni parte, ad eccezione dell'entrata del golfo. Ora, grazie all'opera dell'uomo, sono state messe a coltura, ma un tempo erano coperte da una foresta di grandi alberi, selvaggia, impenetrabile e tale da rendere ombroso il golfo, favorendo così la superstizione. Gli abitanti del luogo favoleggiavano che anche gli uccelli che vi passano sopra in volo cadono nell'acqua , colpiti dalle esalazioni che si levano da questo luogo, come avviene alle Porte degli Inferi . E ritenevano appunto che questo luogo fosse una Porta agli Inferi e vi localizzavano le leggende dei Cimmeri ; entravano qui navigando quelli che avevano offerto sacrifici e fatto suppliche agli dei infernali e c'erano sacerdoti che davano indicazioni in proposito e che avevano appunto questa incombenza sul luogo.>> [tr. AA.VV.]

Lucrino, Pozzuoli e la Solfatara


<<O de LokrinoV kolpoV platunetai mecri Baiwn, cwmati eirgomenoV apo thV exw JalatthV oktastadiw to mhkoV, platoV de amaxitou plateiaV, o jasin Hraklea diacwsai, taV bouV elaunonta taV Ghruonou\ decomenond|epipolhV to kuma toiV ceimwsin wste mh pezeuesJai radiwV, AgrippaV deepeskeuasen. Eisploun d|ecei ploioiV elajroiV, enormisasJai men acrh-stoV, twn ostrewn de Jhran ecwn ajJonwtathn. [...] exhV d|eisin ai peri Di-kaiarceian aktai kai auth h poliV. Hn de proteron men epineion Kumaiwn ep|ojruoV idrumenon, kata de thn Anniba strateian sunwkisan Rwmaioi kaimetwnomasan PotiolouV apo twn jreatwn\ oi d|apo thV duswdiaV twn udatwn\ apan gar to cwrion ekei mecri Baiwn kai thV KumaiaV oti Jeiou plhreV esti kai puroV kai Jermwn udatwn. TineV de kai Flegran dia touto thn Kumaian nomizousi klhJhnai, kai twn peptwkotwn Gigantwn ta kerau-nia traumata anajerein taV toiautaV procoaV tou puroV kai tou udatoV. H de poliV emporeion gegenhtai megiston, ceiropoihtouV ecousa ormouV dia thn eujuian thV ammou\ summetroV gar esti th titanw kai kollhsin iscu-ran kai phxin lambanei. Dioper th caliki katamixanteV thn ammokonian,proballousi cwmata eiV thn Jalattan, kai kolpousi taV anapeptamenaV hionaV wst|asjalwV enormizesJai taV megistaV olkadaV. Uperkeitai de thV polewV euJuV h tou Hjaistou agora, pedion perikekleimenon diapuroiV ojrusi, kaminwdeiV ecousaiV anapnoaV pollacou kai brwmwdeiV ikanwV\ to de pedion Jeiou plhreV esti surtou.>>


<<Il golfo Lucrino si estende fino a Baia, separato dal mare aperto da un terrapieno della lunghezza di 8 stadi e della larghezza pari a quella di un carro: dicono sia stato costruito da Eracle, quando spingeva i buoi di Gerione . Ma poiché durante le tempeste le acque inondavano la sua superficie sicchè era difficoltoso attraversarlo a piedi, Agrippa lo costruì più alto. Il golfo permette l'ingresso solo ad imbarcazioni leggere; è inutilizzabile come ancoraggio, ma offre, abbondantissima, la pesca delle ostriche . [.] Vengono poi i promontori intorno a Dicearchia e la città stessa . Dicearchia era in origine porto dei Cumani costruito su un'altura, ma i Romani, al tempo della spedizione di Annibale, vi si insediarono e cambiarono il nome in quello di Puteoli, per l'abbondanza di pozzi; alcuni invece fanno derivare questo nome dal cattivo odore delle acque , dal momento che tutto il luogo fino a Baia e Cuma è pieno di esalazioni di zolfo, di fuoco e di acqua. La città è diventata un grandissimo emporio, dal momento che ha ancoraggi artificiali grazie alle qualità naturali della sabbia: infatti essa è costituita nella proporzione ideale di calce ed acquista una forte compattezza e solidità. Così, mescolando l'insieme di sabbia e calce con pietre, gettano moli che avanzano verso il mare e così trasformano in golfi le spiagge aperte di modo che le più grandi navi mercantili possano con sicurezza entrare in porto. Subito sopra la città si estende l'agorà di Efesto , una pianura circondata tutt'intorno da alture infiammate, che hanno in molti punti sbocchi per l'espirazione a guisa di camini che mandano un odore piuttosto fetido; la pianura è piena di esalazioni di zolfo.>> [tr. AA.VV.]



<<.admiscetur creta, quae transit in corpus coloremque et teneritatem adfert. Invenitur haec inter Puteolos et Neapolim in colle Leucogeo appellato, extatque divi Augusti decretum, quo annua ducena milia Neapolitanis pro eo numerari iussit e fisco suo, coloniam deducens Capuam, adiecitque causam adferendi, quoniam negassent Campani alicam confici sine eo metallo posse. In eodem reperitur et sulpur, emicantque fontes Araxi oculorum claritati et volnerum medicinae dentiumque firmitati.>>

<<.si mescola [alle aliche] della creta, che vi s incorpora e le rende candide e tenere. Questa creta si trova fra Pozzuoli e Napoli, nel colle detto Leucogeo , e ci è pervenuto un decreto del divino Augusto nel quale egli comandava di pagare per esso ai Napoletani 200.000 sesterzi all'anno, prelevandoli dalla sua cassa privata, quando dedusse una colonia a Capua: ed aggiunse quale ragione di questo contributo il fatto che i Campani avevano detto che senza quel minerale non era possibile trattare l'alica. Nella stessa zona si trova anche lo zolfo, e ne sgorgano le sorgenti dell'Araxus , utili per rendere limpida la vista, curare le ferite e rinforzare i denti.>> [tr. AA.VV.]


<<Est locus exciso penitus demersus hiatu

Parthenopen inter mgnaeque Dicarchidos arva,

Cocyti perfusus aqua; nam spiritus, extra

qui furit effusus, funesto spargitur aestu.  70

Non haec autumno tellus viret aut alit herbas

caespite laetus ager, non verno persona cantu

mollia discordi strepitu virgulta locuntur,

sed chaos et nigro squalentia pumice saxa

gaudent ferali circum tumulata cupressu 75

<<C'è un luogo quasi sommerso in un profondo abisso,

fra Napoli ed i territori della grande Pozzuoli.

Lo bagna l'onda di Cocito; infatti il vapore che ne esala

violento, è impregnato d'una funerea umidità [45].

Questa terra mai verdeggia d'autunno, né i suoi campi mai

nutrono liete erbe fra le zolle; di primavera i delicati virgulti

non echeggiano mai di teneri canti che risuonino in diversa armonia,

ma il caos e le rocce rivestite di nero squallore

trovano nota di gioia solo nello svettare, tutt'intorno, di ferali cipressi.>>

[tr. A. MARZULLO]

Napoli


<<Meta [46] de Dikaiarceian esti NeapoliV Kumaiwn (usteron de kai Calki- deiV epwkhsan kai PiJhkoussaiwn tineV kai AJhnaiwn, wste kai NeapoliV eklhJh dia touto), opou deiknutai mnhma twn Seirhnwn miaV, ParJhnophV, kai agwn sunteleitai gumnikoV kata manteian. Usteron de Kampanwn tinaV edexanto sunoikouV dicostathsanteV, kai hnagkasJhsan toiV ecJistoiV wVoikeiotatoiV crhsasJai, epeidh touV oikeiouV allotriouV escon. Mhnuei de ta twn dhmarcwn onomata, ta men prwta Ellhnika onta, ta d|ustera toiV EllhnikoiV anamix ta Kampanika pleista d|icnh thV EllhnikhV agwghV en- tauJa swzetai, gumnasia te kai ejhbeia kai jratriai kai onomata Ellhni-ka kaiper ontwn Rwmaiwn. Nuni de pentethrikoV ieroV sunteleitai par|au- toiV mousikoV te kai gumnikoV epi pleiouV hmeraV, enamilloV toiV epijane- statoiV twn kata thn Ellada. Esti de kai enJade diwrux krupth, tou meta-xu orouV thV te DikaiarceiaV kai thV NeapolewV upergasJentoV omoiwV ws-per epi thn Kumhn, odou te anoicJeishV enantioiV zeugesi poreuthV epi pol-louV stadiouV\ ta de jwta ek thV epijaneiaV tou orouV, pollacoJen ekko-peiswn Juridwn, dia baJouV pollou katagetai. Ecei de kai h NeapoliV Jer-mwn udatwn ekbolaV kai kataskeuaV loutrwn ou ceirouV twn en BaiaiV, polu de tw plhJei leipomenaV\ ekei gar allh poliV gegenhtai, sunwkodo- mhmenwn basileiwn allwn ep|alloiV, ouk elattwn thV DikaiarceiaV. Epitei-nousi de thn en Neapolei diagwghn thn Ellhnikhn oi ek thV RwmhV anacw- rounteV deuro hsuciaV carin [...]>>


Dopo Dicearchia c'è Neapolis, città dei Cumani; (più tardi ricevette anche una colonia calcidese ed alcuni coloni da Pitecusa e da Atene, e per questo fu chiamata Neapolis). Viene indicata sul posto la tomba di una delle Sirene, Partenope, e vi si tiene un agone ginnico, secondo un antico oracolo. Gli abitanti, divisisi poi in due fazioni rivali, accolsero come coloni alcuni dei Campani e furono obbligati a trattare da amici i nemici, poiché erano diventati nemici dei propri amici. I nomi dei demarchi sono indicativi in proposito, essendo i primi greci, quelli successivi campani misti a greci. Numerosissime tracce del modo di vivere greco si sono mantenute là, così come i ginnasi, le efebie, le fratrie ed i nomi greci, sebbene la popolazione sia romana. Ai giorni nostri hanno luogo ogni cinque anni, in questa città, dei giochi sacri comprendenti gare di musica e di ginnastica, che durano più giorni e che sono degni di rivaleggiare con le feste più celebri della Grecia. C'è anche una galleria sotterranea , scavata nella montagna fra Dicearchia e Neapolis, eseguita come quella di Cuma, e vi è stata aperta una strada, per un tragitto di molti stadi, larga abbastanza da permettere a due carri che vanno in direzioni opposte di passare insieme; inoltre, grazie a delle aperture che sono state tagliate in più parti, la luce del giorno si espande dalla superficie della montagna molto in profondità. Anche Neapolis possiede getti di acque calde e stabilimenti balneari non inferiori a quelli di Baia, ma meno frequentati; là infatti, accanto a Baia, è sorta un'altra città che sta alla pari con Dicearchia, dal momento che, uno dopo l'altro, sono stati costruiti molti palazzi. A Neapolis diffondono il modo di vivere greco quelli che da Roma si ritirano qui per trovare tranquillità [.]

[tr. AA.VV.]




<<C. PLINIUS [50] CANINIO RUFO SUO S.

Modo nuntiatus est Silius Italicus in Neapolitano suo inedia finisse vitam. Causa mortis valetudo. [.] novissimo ita suadentibus annis ab urbe secessit seque in Campania tenuit ac ne adventu quidem novi principis inde commotus est. [.] plures isdem in locis villas possidebat adamatisque novis priores neglegebat. Multum ubique librorum, multum statuarum, multum imaginum, quas non habebat modo, verum etiam venerabatur, Vergili ante omnes, cuius natalem religiosius quam suum celebrabat, Neapoli maxime, ubi monimentum eius adire ut templum solebat [.]>>


<<Caro Caninio Rufo,

è giunta or ora la notizia che Silio Italico [52] si è lasciato morire di fame nella sua dimora presso Napoli. Causa della morte la malattia. [.] Recentemente gli anni l'avevano consigliato ad abbandonare Roma e si ritirò in Campania, e non si lasciò smuovere di là neppure dall'arrivo del nuovo Imperatore . [.] Possedeva nella stessa regione parecchie ville ed innamoratosi delle nuove, negligeva le vecchie. Gran copia di libri ovunque, molte statue, molti ritratti, che non soltanto possedeva, ma venerava; soprattutto quello di Virgilio , il cui giorno natale celebrava con devozione maggiore del proprio, particolarmente a Napoli, ove soleva accostarsi alla tomba di Virgilio come si fosse trattato di un tempio [.]>> [tr. L. RUSCA]



<<Heu [56] tibi nota fides totque explorata per usus,

qua veteres Latias Graias heroidas aequas?   45

Isset per Iliacas (quid enim deterret amantes?)

Penelope gavisa domos si passus Ulixes.

Non adeo Vesuvinus apex et flammea diri

montis hiems trepidas exhausit civibus urbes:

stant populisque vigent. Hic auspice condita Phoebo 50

tecta, Dicarchei portusque et litora mundi

hospita: at hic magnae tractus imitantia Romae

quae Capys advectis implevit moenia Teucris.

Nostra quoque et propriis tenuis nec rara colonis

Parthenope, cui mite solum trans aequora vectae  55

Ipse Dionaea monstravit Apollo columba.

Has ego te sedes (nam nec mihi barbara Thrace

nec Lybye natale solum) transferre laboro,

quas et mollis hiems et frigida temperat aestas,

quas imbelle fretum torpentibus adluit undis. 60

Pax secura locis et desidis otia vitae

Et numquam turbata quies somnique peracti.

Nulla foro rabies aut strictae in iurgia leges:

morum iura viris solum et sine fascibus aequum.

Di patrii [58], quos auguriis super aequora magnis 45

Litus ad Ausonium devexit Abantia classis,

tu, ductor populi longe migrantis, Apollo,

cuius adhuc volucrem laeva cervice sedentem

respiciens blande felix Eumelus adorat,

tuque, Actaea Ceres, cursu cui semper anhelo  50

votivam taciti quassamus lampada mystae,

et vos, Tyndaridae, quos non horrenda Lycurgi

Tatgeta umbrosaeque magis coluere Therapnae,

hos cum plebe sua, patrii, servate, penates.

Sint, qui fessam aevo crebrisque laboribus urbem    55

voce opibusque iuvent viridique in nomine servent. [.]>>


<<Dov'è la tua famosa / fedeltà che non cadde a tante prove / e per le quali eguagli le eroine / del Lazio e della Grecia? Ma Penelope, / se Ulisse acconsentiva, oh certo andata / sarebbe ad Ilio con immensa gioia. / Che cosa mai può sbigottire amore? / La cima del Vesuvio e la tempesta / infuocata del monte non han fatto / le trepide città prive di uomini: / ancora in piedi vivono di gente. / Ivi il tempio di Apollo ammirerai / ed il porto di Pozzuoli e le sue rive / ospitali e le mura che di Teucri / esuli Capi fece colme, e sono / simili a quelle della grande Roma. / Piena di cittadini e di coloni / è la cara Partenope, che giunta / dal mare vide il mite suolo splendere / a lei da Febo stesso rivelato / col volo di colomba sacra a Venere. / A queste sedi (e patria non mi fu / né la barbara Tracia né la Libia) / desidero condurti: dove sempre / dolce è l'inverno e mai arsa l'estate, / terra che lambe d'onde lente il mare. / Ivi sicura pace regna e l'ozio / di una vita felice; ivi la quiete / di lunghi sonni non è mai turbata: / ivi non ira, non discordia come / nel Foro o leggi come spade nude; / ma il diritto è un costume e non si vede / mai armata di fasci la giustizia. [.]>> [tr. E. CETRANGOLO]


<<O Dei della patria, voi che la flotta degli Abanti trasferì oltre il mare con magnifici auspici fino al litorale ausonio, e tu, o Apollo, suprema guida del popolo emigrato di lontano, del quale il beato Eumelo ancora venera la colomba, volgendosi a guardarla teneramente mentre essa poggia sulla sua spalla sinistra, e tu, o Cerere attica, in onore della quale noi, taciti iniziati, agitiamo sempre la torcia votiva con una corsa anelante, e voi, o Dioscuri, che l'orrendo Taigeto di Licurgo e l'ombrosa Terapne mai maggiormente celebrarono, proteggete con tutti i suoi membri questa famiglia di cui siete penati paterni. Siano essi tra coloro che, con l'eloquenza e le proprie possibilità, rechino giovamento alla città sopraffatta dai molti anni e dalle assidue traversie, e la lascino prosperare nel nome ch'è indice di giovinezza. [.]>>

[tr. F. SBORDONE]











Curiosità Napoletane


...STELLA (Quartiere)... dal nome della Chiesa di S. Maria della Stella, detta così per una stella dipinta sul capo di una Madonna lì affre­scata e considerata dal popolo miracolosa;

...VERGINI (Quartiere dei)... dal fatto che in tempi molto antichi in zona si riunissero gli appartenenti alla setta del dio Eunosto i quali ave­vano fatto voto di castità;

...SANITA' (Quartiere, Via)... dall'ipotesi che vi si respirasse aria salubre o, dall'altra, che gli abitanti della zona fossero miracolati nella salute dai Santi lì sepolti;

...S. CARLO ALL'ARENA (Quartiere)... dal nome dell'omonima Chiesa dedicata a S. Carlo Borromeo e detta "all'Arena" per la sabbia che ricopriva la strada, allora di campagna;

...VICO DEI LAMMATARI [Sanità]... dalla resa in dialetto del termine con cui venivano chiamati i fabbricanti di amido, che lì lavoravano;

...VICOLETTO DEI CINESI [Sanità]... dall'assistenza agli orientali offerta da un certo don Ripa in anni lontani in quella parte della città;

...IL RECLUSORIO [Palazzo Fuga]... dal primitivo utilizzo di questo palazzo commissionato dal Re Carlo III al Fuga nel 1751 perchè ospitasse tutti i poveri del regno (sarà detto, poi, "Il Serraglio" per il carattere indisciplinato degli ospiti);

...ARENACCIA (Quartiere, Via)... dallo spazio sabbioso in cui nel '500 si svolgevano tornei e giostre;

...VASTO (Quartiere)... secondo alcuni dalla corruzione della parola "guasto", ad indicare le distruzioni compiute in zona dal Lautrec ad inizio del '500, secondo altri dai Marchesi del Vasto della Casa d'Avalos proprietari di possedimenti;

...CAPODICHINO (Calata)... dal termine latino "caput de clivo", cioè "sommità dell'altura";

...PONTI ROSSI (Via)... dal colore dei mattoni che componevano le arcate destinate a sorreggere un acquedotto romano; andando a ri­troso negli anni abbiamo denominazioni diverse: "Archi di mattoni", "Campo dei Nostri", "La vela" in età medioevale;

...FORIA (Via)... dal nome del Palazzo Forino, ma, prima, la strada era dedicata a S. Carlo all'Arena;

...OTTOCALLI (Piazza)... dalla forma dialettale "otto caalli", in italiano "otto cavalli", secondo alcuni perchè nella piazza c'erano otto ca­valli che stazionavano sempre lì, secondo altri dal numero delle monete, dette "cavalli", che occorrevano per farsi trainare sulla salita Ca­podichino;

...IL MANDRACCHIO... con cui si chiamava un tempo la zona compresa tra le vie C. Colombo / De Gasperi e Depretis, e derivata o da una lingua orientale (con significato sconosciuto), o, secondo altri, dall'essere stato dedicato lo spiazzo al pascolo di mandrie;

...IL RETTIFILO... nella sua dicitura popolare dall'aspetto della strada (addirittura durante l'ultima guerra fu spostata la statua di N. Amore dall'omonima piazza in quanto non permetteva il passaggio delle truppe corazzate tedesche), ma esso prende il nome di "Corso Umberto I", un omaggio preciso al re dal 1888, al posto del precedente, e vago, "Corso Re d'Italia";

...DUCHESCA (Quartiere)... dalla splendida casa proprietà del Duca di Calabria;

...LAVINAIO (Via)... per la gran massa di acqua che invadeva questa strada;

...MOLINO (Vico)... dall'esistenza in zona, nel sec. XV, di mulini azionati dallo scorrere delle acque;

...S. BIAGIO DEI LIBRAI (Via)... dalla Corporazione dei librai colà esistente e dalla loro Confraternita;

...VICARIA VECCHIA (Via)... per il Palazzo del Vicario esistente nel '400;

...PIAZZA PORTANOVA... dal rifacimento della "porta di mare" e dal suo spostamento in avanti;

...SEBETO (Via)... dal nome del fiume omonimo, ora un modesto rigagnolo, ma un tempo addirittura navigabile;

...MERCATO (Piazza)... dalle attività che vi si svolgono, ma un tempo zona paludosa, bonificata ed adibita a mercato da Carlo I;

...DONNAREGINA (Largo di)... dal nome della proprietaria del suolo su cui sorse il monastero di S. Pietro, e non da quello della moglie di Carlo II che fece ricostruire la Chiesa dopo il terremoto del 1293;

...CARBONARA (Via)... dalla forma medievale "carbonara" con cui si chiamava lo spiazzo destinato allo scarico dei carboni ed alla rac­colta dei rifiuti;

...CINQUESANTI (Vico)... dal fatto che fu abitato da cinque religiosi, poi canonizzati, dell'ordine teatino;

...SCASSACOCCHI (Vico)... o dal nome di una famiglia che abitava lì, o perchè era talmente stretto da rompere i mozzi delle ruote di quelle carrozze che tentavano di attraversarlo;

...CASANOVA (Via)... da "la casa nova", come comunemente si chiamava un tempo la residenza fatta costruire in zona, ai primi del '300, da Carlo II d'Angiò;

...MEZZOCANNONE (Via)... solo dal '400 (prima si chiamava "Via Fontanola"), da una fontana, che presentava la statua del Re Ferrante d'Aragona, di non eccelsa statura, con un beccuccio (detto "cannone") piuttosto corto, da cui, prima, la forma popolare di "fontana d'ò miez'ommo d'ò cannone" e, poi, quella italianizzata di "fontana del Re Mezzocannone", che rimase per estensione del termine alla strada pur dopo la rimozione della statua;

...SANTA MARIA A PIAZZA (Chiesa)... dal latino "platea furcillensis" (dal cui aggettivo derivò anche FORCELLA [Quartiere, Via]) per la sua vicinanza alle terme forcellensi in epoca greco-romana;

...MEDINA (Via)... dal nome di un Vicerè, ma prima detta "dell'Incoronata" (dall'omonima Chiesa), "del Castello" e, in epoca romana, "Platea corrigiarum"; in zona avevamo anche PORTA MEDINA, detta popolarmente "Porta Pertuso" per lo stretto varco che ne consen­tiva il passaggio;

...PORT'ALBA... dal nome del Vicerè Duca d'Alba che aprì la porta ricavandola da un vecchio torrione angioino, venne in dialetto chia­mata anche "Porta Sciuscella" da un albero di carrube colà un tempo esistente.





























ERCOLANO, POMPEI E IL VESUVIO




<<Ecomenon [59] de jrourion estin Hrakleion, ekkeimenhn eiV thn Jalattan akran econ, katapneomenhn Libi JaumastwV, wsJ|ugieinhn poiein thn ka- toikian. Oskoi de eicon kai tauthn kai thn ejexhV Pomphian, hn pararrei o SarnoV potamoV, eita Turrhnoi kai Pelasgoi, meta tauta de Saunitai\ kai outoi d|exepeson ek twn topwn. NwlhV de kai NoukeriaV kai Acerrwn, omwnumou katoikiaV thV peri Kremwna, epineion estin h Pomphia, para tw Sarnw potamw kai decomenw ta jortia kai ekpemponti. Uperkeitai de twn topwn toutwn oroV to Ouesouion, agroiV perioikoumenon pagkaloiV plhn thV korujhV\ auth d|epipedoV men polu meroV estin, akarpoV d|olh, ek de thV oyewV tejrwdhV, kai koiladaV jainei shraggwdeiV petrwn aiJalwdwn kata thn croan, wV an ekbebrwmenon upo puroV, wV tekmairoit|an tiV to cw-rion touto kaiesJai proteron kai ecein krathraV puroV, sbesJhnai d|epi- lipoushV thV ulhV. Taca de kai thV eukarpiaV thV kuklw tout|aition, [...] Ecei men gar to lipainon kai thn ekpuroumenhn bwlon kai thn ekjerousan touV karpouV\ pleonazousa men oun tw lipei, proV ekpurwsin epithdeia, kaJaper h JeiwdhV pasa, exikmasJeisa de kai labousa sbesin kai ekte- jrwsin eiV karpogonian metebale.>>


<<Subito dopo Neapolis c'è la fortezza di Herculaneum, che occupa un promontorio che si protende sul mare assai battuto dal Libeccio, così da rendervi salubre l'insediamento. Gli Oschi occupavano sia Neapolis sia la vicina Pompei presso cui scorre il fiume Sarno, poi la occuparono i Tirreni ed i Pelasgi e, dopo questi, i Sanniti. Pure questi ultimi, però, furono poi cacciati dal posto.

Porto di Nola, Nuceria ed Acerrae (che ha lo stesso nome di una località vicina a Cremona) è Pompei, presso il fiume Sarno su cui si importano e si esportano mercanzie.

Sopra questi luoghi si leva il monte Vesuvio, interamente occupato tutt'intorno, salvo che alla sommità, da campi bellissimi. La sommità stessa è per buona parte piana, ma del tutto sterile, dall'aspetto cinereo; essa mostra delle cavità con fessure, che si aprono su rocce fuligginose in superficie come fossero state divorate dal fuoco. Così uno potrebbe supporre che questo luogo precedentemente bruciasse e avesse crateri di fuoco che poi si estinsero, una volta venuta meno la materia da ardere. Forse questo è anche motivo della fertilità della terra lì intorno [.] Il suolo è ricco infatti di sostanza grassa e di terra bruciata anch'essa atta a produrre frutti. Pertanto, quando la terra è sovrabbondante di grasso, è adatta a prender fuoco, come ogni sostanza solforosa e dopo che si è inaridita e spenta, trasformata in cenere, diviene adatta alla produzione.>> [tr. AA.VV.]


Ma giunse il fatidico 79 d.C.: ecco la descrizione del fenomeno in una lettera inviata all'amico Tacito da Plinio il Giovane!


<<Mio zio [Plinio il Vecchio] si diresse alla spiaggia per vedere se era possibile imbarcarsi, ma il mare era tempestoso ed impraticabile. Allora si distese su una coperta, chiese dell'acqua e bevve due volte. Intanto le fiamme si avvicinavano e si sentiva un forte odore di zolfo che mise in fuga tutti gli altri. Egli si riscosse e, nello stesso momento in cui due servi lo aiutavano a levarsi in piedi, morì: io credo che il vapore che andava sempre più aumentando gli impedì di respirare e gli serrò lo stomaco [.] Cominciava a piovere cenere, ma non ancora fitta. Vidi dietro le mie spalle una densa foschia che, spargendosi per terra come un torrente, ci incalzava. Pensai: è meglio che cambiamo strada prima di essere travolti dalla folla che ci viene dietro. Improvvisamente si fece notte, ma non una notte nuvolosa e senza luna: era come quando ci si trova in un luogo chiuso senza lume. Si sentivano i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti: chi cercava a gran voce il padre, chi il figlio, chi il consorte; alcuni lamentavano il proprio destino, altri quello dei propri cari; c'era chi invocava la morte, chi pregava gli dei, ma molti dicevano che gli dei non c'erano più e che quella era l'ultima notte del mondo. Né mancavano quelli che con paure immaginarie aumentavano il pericolo. Alcuni dicevano mentendo che venivano da Miseno e che era tutta una rovina, completamente incendiata. Fece un po' di chiaro, ma non sembrava giorno, sembrava piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Ma poi il fuoco si fermò più lontano e noi ripiombammo nell'oscurità e nella nuvola di cenere. Ogni tanto ci alzavamo per scuotercela di dosso, altrimenti ne saremmo stati coperti. Finalmente quella foschia si attenuò e svanì come fumo o nebbia. Finalmente si fece giorno ed apparve anche il sole, scolorito come se ci fosse l'eclisse. Tutto appariva mutato e coperto da un monte di cenere, come se fosse nevicato. Le scosse di terremoto continuavano e molti, fuori di senno, ridevano della propria disgrazia e dell'altrui.>>















POMPEI


Pompèi, comune della Campania (prov. Napoli), a 12 m d'alt. alle falde meridionali del Vesuvio, a 25 km da Napoli; 12,41 km²; 22.934 ab. ( Pompeiani). Sede vescovile (prelatura). Centro religioso e turistico, Pompei vive essenzialmente dell'apporto dei pellegrini e dei turisti, richiamati dal santuario, meta di foltissimi pellegrinaggi (in particolare in maggio e ottobre), dal fascino dell'antica città dissepolta e dalla fonte idrotermale (acqua fredda bicarbonatoalcalina). Oltre all'industria turistico-alberghiera, attive sono a Pompei l'industria tessile (confezioni), cartaria, poligrafica, alimentare (biscotti, paste alimentari), della fabbricazione di oggetti sacri e oggettini-ricordo, la manifattura di tabacchi. Il territorio circostante, bonificato, produce ortaggi, uva, frutta, tabacco. - In frazione Pompei Scavi (16 m d'alt.; 644 ab.), annuali manifestazioni artistiche e spettacoli classici, durante la stagione estiva, nel Teatro Grande.

La città moderna si sviluppò con il nome di Valle di Pompei (nella piana allora paludosa e malsana, infestata dai briganti e abbandonata alle rovine) presso l'antica città distrutta dal Vesuvio, attorno al santuario fondato l'8 maggio 1876 dal servo di Dio avvocato Bartolo Longo, per custodire la venerata immagine della Madonna del Rosario. Collegati al santuario, terminato nel 1891, ampliato nel 1933-1939, sono vari istituti assistenziali (ospizi, orfanotrofi, ecc.). Per l'osservazione scientifica dell'attività del Vesuvio, sorgono a Pompei l'osservatorio geodinamico e l'importante osservatorio vesuviano.

Archeologia

La città dissepolta di Pompei costituisce uno dei centri archeologici più famosi e suggestivi dell'antichità, offrendo un'eccezionale documentazione della vita di un centro romano in piena fioritura al momento della catastrofe e rimasto immutato attraverso i secoli sotto la coltre di ceneri e lapilli della più famosa tra le eruzioni del Vesuvio, quella del 79 d.C. La città sorgeva infatti su un terrazzamento lavico di età remota, prospiciente la piana del Sarno, sul cui estuario è stato identificato lo scalo marittimo della zona. È probabile però che il porto e il litorale fossero anticamente più vicini alla città. I tre giorni del cataclisma fecero depositare su Pompei materiali eruttivi per uno spessore di 4 m circa, in cui appaiono riconoscibili uno strato inferiore di lapilli e uno superiore di cenere mista ad acqua, che provocò i crolli delle coperture e la parziale colmata degli interni. Nuove sedimentazioni occultarono per secoli la città sepolta fino alla primavera del 1748, quando, sotto il regno di Carlo di Borbone, l'ingegnere Alcubierre, venuto a conoscenza dei numerosi trovamenti che si facevano nella zona, diede inizio agli scavi, che rivelarono solo nel 1763 la vera identità del luogo. L'esplorazione archeologica, continuata ininterrottamente per duecento anni, costituisce, per mutamenti di finalità e di metodi, una delle più complesse imprese di disseppellimento e di restauro che siano mai state attuate. Infatti dopo i primi scavi disordinati, rivolti unicamente al reperimento di opere d'arte e non curanti del valore storico e documentario di oggetti apparentemente insignificanti (che andarono così irrimediabilmente perduti), iniziarono, soprattutto per merito di Giuseppe Fiorelli, le ricerche sistematiche, condotte con sempre maggiore rigore scientifico, in modo da permettere un'opera di ricostruzione e di restauro il più possibile fedele all'originale. Come esempio si può citare l'esatta riproduzione dei giardini, ottenuta mediante il calco dell'impronta lasciata dalle radici e dai tronchi delle piante nello strato di ceneri (così fu possibile stabilire, per es., che la palestra era circondata da alti platani).

Nel 1960 erano stati riportati alla luce i tre quinti dell'area complessiva della città. L'impianto urbanistico, diverso a seconda delle zone, presenta un reticolato nel complesso alquanto irregolare, con insulae di forme varie e vie talora ad andamento curvilineo, in parte pavimentate, in parte in terra battuta, con profondi solchi per il passaggio dei carri e pietre per l'attraversamento da un marciapiede all'altro.

I caratteri salienti della città risalgono a epoca sannitica, allorché Pompei fu dotata di una poderosa fortificazione con porte e torri, per un perimetro di 3 km circa, databile a partire dal VI sec. a.C.; la cinta primitiva in seguito fu più volte restaurata e rafforzata; in età imperiale romana alcuni tratti ne furono abbattuti per lasciar posto ad abitazioni, mentre le porte venivano aperte e adattate al traffico (Porta Marina, porta Ercolano). Dopo il periodo più propriamente italico, il tessuto urbano di Pompei ricevette orientamenti e influssi dell'architettura ellenistica; il suo aspetto nel primo secolo dell'Impero appariva fastoso, ricco di singolare decoro dell'ornamentazione degli edifici pubblici e privati. Il reperimento di tale area urbana ci ha offerto del resto la più straordinaria documentazione sulle strutture e le tecniche usate nell'antichità; i materiali impiegati variano dalla lava tenera alla lava trachitica, insieme con il tufo proveniente dalle cave di Nocera; di largo uso era la calce mischiata alla pozzolana nella tecnica dell'opera a sacco e dell'opera reticolata; il marmo appare invece riservato a ninfei e fontane, o alla pavimentazione e ai rivestimenti delle dimore signorili. La divisione in quartieri, tramandata dall'età sannitica, è stata ricostruita attraverso le iscrizioni a noi pervenute; ugualmente ci è nota la costituzione di villaggi suburbani, dovuta ai traffici terrestri e marittimi; sono state messe in luce le tubazioni provenienti dal cosiddetto castello delle acque in cui confluiva la massa idrica derivata dall'acquedotto del Serino, nonché i pilastri elevatori e i bacini delle fontane, solitamente assai semplici, posti agli incroci delle vie.

Il principale luogo di convegno nella città era il Foro, situato nella zona occidentale, su un'area pianeggiante, che un tempo era stata sede del mercato; al momento della catastrofe presentava un aspetto grandioso, cinto da portici tutt'intorno per un perimetro di 142´38 m; su uno dei lati minori era il Capitolium o tempio di Giove e della Triade Capitolina; aveva un alto podio, colonne corinzie e ampio pronao; nella cella è stato rinvenuto un torso colossale del dio, danneggiato dal terremoto. Di fronte era la curia; sulla piazza si allineavano inoltre l'edificio degli edili, la basilica, per l'amministrazione della giustizia, il tempio di Apollo, il mercato coperto, il larario pubblico, il tempio di Vespasiano, l'edificio di Eumachia (officina per la lavorazione della lana che prendeva nome dalla proprietaria), e infine il Comitium, per le elezioni dei magistrati; due archi trionfali, ai lati del Capitolium, erano d'accesso alla piazza, ornata dalle statue in bronzo e in marmo degli imperatori e dei cittadini più illustri; tali sculture erano già in parte distrutte in seguito al terremoto dell'anno 63. La basilica, a pianta rettangolare (55´24 m) e divisa in tre navate, delle quali quella centrale, sopraelevata sulle laterali, consentiva l'illuminazione dall'alto attraverso una serie di finestre, è stata datata intorno alla metà del II sec. a.C.; presenta sul fondo un interessante esemplare di tribunal su podio, oggi in parte ricostruito. Il tempio di Apollo risale invece a età sannitica, rifatto sulle fondamenta di una preesistente costruzione del VI-V sec. a.C., come appare attestato dal copioso materiale ritrovato nella stipe votiva e attribuibile ai Greci della vicina Cuma. Il larario pubblico, di recente edificazione al momento del disastro, presenta una caratteristica pianta absidata, e il tempio di Vespasiano, a esso adiacente, documenta le forme del culto imperiale in provincia.

Non meno interessante è l'assembramento degli edifici presso il cosiddetto Foro triangolare nella zona meridionale della città, ove sono stati identificati la caserma dei gladiatori, il teatro, l'odeon e la palestra. Quest'ultima, detta sannitica, per l'iscrizione osca che vi è stata rinvenuta, relativa al nome del fondatore, era circondata da un peristilio e custodiva una replica del Doriforo; fu più tardi sostituita da un'aerea porticata di maggiori dimensioni.

I teatri, assai prossimi e ugualmente orientati, furono costruiti a distanza di un secolo l'uno dall'altro; il teatro propriamente detto appartiene al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra punica; in seguito conobbe abbellimenti e ripetuti restauri fino alle ultime ricostruzioni posteriori al terremoto del 63. L'odeon, a esso congiunto attraverso l'area di un quadriportico coperto da un tetto a spioventi e riservato alle audizioni musicali, costituisce invece l'esempio di un edificio di carattere omogeneo, assai simile ai suoi modelli ellenistici. Non lontano dal teatro sorgono due templi, l'uno dedicato a Zeus Meilichios, come attesta un'iscrizione osca, e l'altro a Iside; quest'ultimo, databile al I sec. a.C., è di particolare interesse in quanto singolarmente conservato nelle strutture e negli arredi. Se il culto della dea Iside appare particolarmente fervido negli ultimi anni di Pompei, un'altra antichissima divinità italica risulta venerata dagli abitanti della città campana: si tratta della cosiddetta Venere fisica, sentita come espressione della potenza della natura; un santuario a lei elevato è stato scoperto nel settore sudoccidentale della città, in fase di grandioso ampliamento al momento dell'eruzione. Scarsi avanzi restano invece di un tempio greco arcaico dedicato a Ercole nella zona sudorientale dell'abitato; il tempio, le cui fondazioni risalgono al VI sec. a.C., fu distrutto e non più ricostruito in seguito al terremoto del 63.

Un'interessante documentazione di architettura termale è offerta dai grandiosi impianti delle Terme stabiane, dalle terme del Foro e dalle Terme centrali. Le Terme stabiane, considerate le più antiche e le più vaste, sorgevano nel quartiere del teatro; come tutti gli edifici di questo genere presentavano sulla strada un allineamento di tabernae; all'interno si articolavano invece, funzionalmente disposti, i settori dei bagni maschili e femminili, la palestra, la piscina, i portici, i rifornimenti idraulici, i servizi igienici e di riscaldamento. Né dovevano mancare le ornamentazioni, assai meglio conservate però nelle minori terme adiacenti al Foro, come sono visibili nella bella sala del tepidario decorata a stucco e pittura. Le Terme centrali, rimaste incompiute e riservate soltanto agli uomini, presentano l'innovazione delle grandi finestre vetrate che si affacciano sulla palestra, e rappresentano un più evoluto grado di funzionalità.

Tra gli edifici pubblici di Pompei merita particolare attenzione per l'antica struttura, non mai modificata, il grandioso anfiteatro databile al I sec. a.C., nei primi anni della colonia romana; la mancanza dei sotterranei fa pensare che in un primo tempo l'arena fosse destinata unicamente a lotte tra gladiatori; solo in seguito furono probabilmente introdotte cacce con belve feroci. In età augustea presso l'anfiteatro fu allestita una seconda palestra, detta romana, con mura e un triplice portico all'interno e una grande piscina al centro.

Arte

La pittura pompeiana costituisce la più ricca decorazione parietale a noi pervenuta del mondo antico, databile dalla fine del II sec. a.C. al 79 d.C. La larga diffusione dei dipinti, la varietà dei soggetti, i diversi procedimenti tecnici e le evoluzioni stilistiche hanno indotto gli studiosi a classificare secondo diversi stili le opere rinvenute in duecento anni di esplorazioni archeologiche. Manca invece qualunque documentazione letteraria ed epigrafica, che induca a riconoscere e individuare qualche personalità tra quelle dei vari pittori che diedero vita, con maestranze campane, all'interessante serie decorativa. Accanto agli affreschi e alle opere a encausto erano di particolare interesse i quadri da cavalletto inseriti in appositi incavi della parete; decorazioni a narrazione continua sono state rinvenute nella villa dei Misteri, con il grande fregio a carattere religioso che corre sulle pareti di una sala, analogamente a quello della vicina villa di Boscoreale, con una scena che richiama il lontano splendore delle corti ellenistiche. Frequentemente i soggetti sono ispirati a divinità ed eroi del mito greco, con particolare predilezione per episodi del ciclo omerico; scene della vita quotidiana e della commedia sono riservate invece ad ambienti meno centrali o a pannelli minori. Nei ritratti a medaglione è notevole l'affermarsi della vena realistica (ritratto di Paquio Proculo e di sua moglie); scorci di paesaggi, forse ispirati al vero, con vedute di casali, ville, portici e marine, si affiancano a scene nilotiche di pura fantasia o di maniera; elementi esotici appaiono del resto anche nelle frequenti rappresentazioni di cacce. Selvaggina, frutta e suppellettili della mensa costituiscono i soggetti di numerose nature morte; frequenti sono le riproduzioni dei lari, dipinti in un'edicola o in una nicchia; né mancano esempi di pubblicità murale, richiesta da botteghe e officine.

I grandi mosaici pompeiani, adibiti prevalentemente a ornamentazioni pavimentali, costituiscono un altro reperto di eccezionale interesse; dai più antichi, formati da accostamenti di ciottoli fluviali o marini, fino alle grandi composizioni figurate di ispirazione ellenistica, Pompei ci ha restituito non solo una testimonianza incomparabile dell'evoluzione dell'arte musiva, ma esecuzioni tra le più significative e imponenti (casa del Fauno, mosaico della Battaglia di Alessandro; casa del Poeta tragico, casa del Labirinto). Tessere prevalentemente vitree appaiono usate nei non numerosi mosaici parietali, specie in fontane e ninfei.























VESUVIO


Vesuvio, vulcano della Campania, appartenente all'Antiappennino Campano, che si eleva maestoso, dominando il golfo di Napoli, poco a E-SE della città; culmina a 1.277 m. È l'unico vulcano attivo del continente europeo (escluse le isole) e uno tra i più interessanti di tutto il mondo. Tipico esempio di vulcano a recinto, è costituito da un cono esterno tronco (monte Somma), con grande cinta craterica in parte demolita, entro la quale si trova, in posizione eccentrica, un cono più piccolo (Gran Cono o Vesuvio) ma più elevato della cinta suddetta. Il monte Somma, avanzo di un edificio vulcanico più antico, ha un diametro craterico di 4 km circa e raggiunge un'altezza di 1.132 m nella Punta del Nasone. Il Gran Cono o Vesuvio propriamente detto, rilievo culminante di tutto l'apparato, di formazione più recente e attivo, ha un cratere di 700 m di diametro. Il bastione semicircolare del Somma e il Gran Cono sono separati da un avvallamento lungo 5 km e largo 500 m, denominato valle del Gigante (distinta in Atrio del Cavallo a ovest e valle dell'Inferno a est), che rappresenta l'antica caldera dove in seguito si formò il Gran Cono. Il Vesuvio, caratteristico vulcano poligenico e misto, ossia costituito da lave di composizione chimica diversa (ad esempio trachiti, tefriti, leucititi, ecc.) e formato sia da colate di lava sia da depositi piroclastici, è pervenuto alla configurazione attuale attraverso vari periodi successivi. All'inizio dell'era quaternaria (seconda fase eruttiva dei Flegrei) un'eruzione di trachiti fu all'origine del primitivo monte Somma; altri due parossismi si verificarono tra il 6000 e il 3000 circa a.C. e tra il 3000 e l'inizio dell'era cristiana, dando luogo soprattutto a emissioni di basalti leucitici. Successivamente, dopo un lungo periodo di quiete, l'attività vulcanica si manifestò mediante scosse di terremoto che precedettero, a partire dal 5 febbraio del 63 d.C. (terremoto descritto da Seneca), la terribile eruzione verificatasi il 24 agosto del 79, durante la quale furono completamente distrutte nonché sepolte da una spessa coltre di cenere, lapilli e lava le tre fiorenti città di Ercolano, Pompei e Stabia. Questa eruzione, definita pliniana, che secondo alcuni diede origine all'attuale Gran Cono del Vesuvio, fu la prima storicamente datata e documentata in una celebre lettera a Tacito scritta da Plinio il Giovane, che nel cataclisma perdette lo zio, Plinio il Vecchio, vittima della propria passione di naturalista. Tra le eruzioni successive si ricordano quelle del 202, 472, 685, 1036, 1139, e quella violentissima del 16 dicembre 1631, che distrusse la maggior parte degli abitati situati ai piedi del vulcano, provocando circa 18.000 vittime e durante la quale la lava raggiunse il mare. L'attività del Vesuvio venne nuovamente segnalata nei secc. XVII, XVIII e XIX (1822, 1855, 1858, 1861, 1872). Seguirono altre eruzioni che trasformarono completamente la sagoma del cratere; dopo il violento parossismo del 1906, durante il quale furono eruttati milioni di metri cubi di lava, si determinò infatti sul Gran Cono una paurosa voragine craterica. L'ultima eruzione avvenne nel marzo 1944: furono emessi 21 milioni di m³ di lava, distrutti numerosi centri abitati e le ceneri giunsero fino in Albania. Attualmente si hanno manifestazioni fumaroliche intra ed extracrateriche. Sulle pendici del versante di Napoli, a 608 m d'alt., si trova il celebre osservatorio vesuviano (già diretto, fra gli altri, da M. Melloni, Luigi Palmieri, G. Mercalli, A. Malladra), fondato nel 1841-1845, con annessa biblioteca vulcanologica e piccolo museo vesuviano. Nei pressi, a 750 m d'alt., è la stazione d'arrivo della ferrovia Vesuviana, in parte a cremagliera (attiva fino al 1956), proveniente da Pugliano, dove s'innesta con la ferrovia Circumvesuviana (120 km di rete a scartamento ridotto), e a 754 m si trova la stazione inferiore della seggiovia (la vecchia funicolare fu distrutta dall'eruzione del 1944) che porta poco al di sotto dell'orlo craterico del Vesuvio. Una strada panoramica (13 km) permette di raggiungere la stazione inferiore della seggiovia. - Le pendici del Vesuvio, regolari e fertilissime, sono ricoperte di vegetazione spontanea (fichi d'India e arbusti) e di colture redditizie: ortaggi, frutta, viti (produzione di vino pregiato lacrima Christi). Numerosi villaggi e grandi centri abitati sorgono intorno al vulcano ai piedi e sulle pendici sino a 200 m circa d'alt. Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, lungo la costa; inoltre, Boscotrecase, Pompei, San Giuseppe Vesuviano, San Gennaro Vesuviano, Ottaviano, Somma Vesuviana, Sant'Anastasia, San Sebastiano al Vesuvio, ecc. Movimento turistico intenso.




LE ISOLE DEL GOLFO




<<Tou [60] men oun Mishnou prokeitai nhsoV h Procuth, PiJhkousswn d | estin apospasma.

PiJhkoussaV d|EretrieiV wkisan kai CalkideiV, eutuch-santeV de di|eu- karpian kai dia ta cruseia, exelipon thn nhson kata stasin, usteron de kai upo seismwn exelaJenteV kai anajushmatwn puroV kai JalatthV kai Jermwn udatwn\ ecei gar toiautaV apojoraV h nhsoV, uj|wn kai oi pem- jJenteV para IerwnoV tou turannou twn Surakousiwn exelipon to kata- skeuasJen uj|eautwn teicoV kai thn nhson\ epelJonteV de Neapolitai ka-tescon. EnteuJen kai o muJoV oti jasi ton Tujwna upokeisJai th nhsw tauth, strejomenou de taV jlogaV anajusasJai kai ta udata, esti d|ote kai nhsidoV ecousaV zeon udwr. [...] Kai TimaioV de peri twn PiJhkousswn jhsin upo twn palaiwn polla paradoxologeisJai, mikron de pro eautou ton Epwpea lojon en mesh th nhsw tinagenta upo seismwn anabalein pur kai to metaxu autou kai thV JalatthV exwsai palin epi to pelagoV,to d|ek- tejrwJen thV ghV, metewrismon labon, kataskhyai palin tujwnoeidwV eiV thn nhson, kai epi treiV thn Jalattan anacwrhsai stadiouV, anacwrhsa-san de met|ou polu upostreyai kai th palirroia kataklusai thn nhson, kai genesJai sbesin tou en auth puroV\ apo de tou hcou touV en th hpeirw jugein ek thV paraliaV eiV thn anw Kampanian. Dokei de ta Jerma udata entauJa Jerapeuein touV liJiwntaV.

Kapreai duo policnaV eicon to palaion, usteron de mian. Neapolitai de kai tauthn katescon, polemw de apobalonteV taV PiJhkoussaV apelabon palin, dontoV autoiV KaisaroV tou Sebastou, taV de KapreaV idion poihsa-menou kthma kai katoikodomhsantoV. Ai men oun paralioi poleiV twn Kam-panwn kai ai prokeimenai nhsoi toiautai.>>


<<Davanti a Capo Miseno c'è l'isola di Prochyta , che è un frammento staccatosi da Pitecusa .

Pitecusa fu colonizzata da Eretriesi e Calcidesi , ma costoro, benchè vivessero nella prosperità grazie alla fertilità della terra ed alle sue miniere d'oro, abbandonarono l'isola in seguito a lotte e poi anche perché cacciati da terremoti di fuoco, di mare e di acque bollenti: l'isola va in effetti soggetta a tali esalazioni, a causa delle quali anche quanti erano stati inviati da Ierone , tiranno di Siracusa, lasciarono la fortezza da essi costruita e l'isola; infine la occuparono alcuni abitanti di Neapolis giunti fin qui. Deriva da tali fenomeni anche il mito secondo cui Tifone giacerebbe sotto quest'isola; quando egli si agita farebbe venir su le fiamme e le acque e talvolta anche piccole isole con getti d'acqua bollente. [.] Quanto a Pitecusa in particolare, Timeo dice che dagli antichi sono raccontate molte cose straordinarie e che poco prima di lui il colle Epopeo , nel mezzo dell'isola, scosso dai sismi abbia vomitato fuoco e rigettato verso il largo tutta la terra fra esso ed il mare. Una parte di terra ridotta in cenere si era prima sollevata, poi di nuovo era piombata sull'isola come un tifone ed il mare era retrocesso per tre stadi; in seguito, dopo essere retrocesso, si era rivolto ancora indietro ed il suo riflusso aveva sommerso l'isola così che il fuoco in essa si estinse: per il fragore quelli che abitavano sul continente fuggirono dalla costa verso l'interno della Campania. Sembra che le acque termali che si trovano là guariscano quanti soffrono di calcolosi.

L'isola di Capri aveva anticamente due piccole città , ma poi ne rimase una sola. I napoletani occuparono anche questa; avendo perduto in seguito ad una guerra Pitecusa, poi la ottennero di nuovo , quando la restituì loro Cesare Augusto, il quale fece invece di Capri sua proprietà personale e vi costruì una residenza. Queste sono le città del litorale campano e le isole che stanno di fronte ad esso.>> [tr. AA.VV.]




<<Il territorio campano della costa è formato per lo più da pianure; abbiamo, inoltre, le colline vulcaniche dei Campi Flegrei, il Vesuvio, la montuosa Isola d'Ischia, e, all'estremità meridionale, i Monti Lattari e Capri. Ci troviamo, quindi, a sud della zona più propriamente chiamata Piana del Volturno, che, aggirando i Campi Flegrei, giunge alle spalle di Napoli con il proseguimento dell'Agro Nolano e comprende poi la fertilissima fascia circumvesuviana fino alla Piana del Sarno.

Nella sua cornice paesaggistica risiede una parte considerevole della grande potenza attrattiva che la zona ha esercitato in tutti i tempi sugli spiriti sensibili al fascino delle bellezze naturali; anche se il quadro acquista sfumature differenti da un luogo all'altro ed offre scorci e prospettive straordinarie per la ricchezza del patrimonio culturale lasciato in eredità dal tempo, per la vivacità della popolazione gelosa delle sue tradizioni, per la mitezza del clima, per il rigoglio della sua vegetazione (nonostante le impietose modifiche causate dall'uomo).>> [M. FONDI]

Polibio di Megalopoli in Arcadia (201-120 a.C.), uno dei più grandi storici di tutti i tempi. A quaranta anni fu portato a Roma come ostaggio e potè restarvi grazie alle relazioni amichevoli con i personaggi più importanti. Scrisse le Storie, la sua opera principale, in ll. 40, dalla seconda guerra punica alla presa di Corinto (146). Ci restano i primi ll. 5, fino alla battaglia di Canne. E' una storia pragmatica, elaborata da uno spirito profondamente filosofico, preciso ed imparziale.

Ad est di Rocca di Mondragone

L'attuale Pozzuoli

La moderna Calvi, allora famosa per i suoi vini

Forse un errore da parte dell'Autore, in quanto essa era una regione dell'Italia meridionale: si è pensato che si trattasse di "Caudi"

Plinio G. Secondo detto Plinio il Vecchio, di Como (23-79 d.C.), fu il più grande naturalista romano, morto mentre osservava l'eruzione del Vesuvio. Scrisse Naturalis Historia, un'enciclopedia scientifica dell'antichità di cui ci restano ll. 37. Il passo riportato è nel l. XVIII [110-111].

L'attuale Terra di Lavoro


Presso l'attuale Villa Literno, con resti nei pressi del Lago di Patria; Scipione vi si ritirò nel 183 a.C.

Già abitata in epoca preistorica da Eubei, da coloni calcidesi e da Eretri nel sec. X a.C., i Cumani, guidati da Aristodemo, nel 524 sconfissero gli Etruschi e, poi, si scontrarono con Gerone, tiranno di Siracusa, portatosi lì con la flotta; sottoposta la città dai Romani sotto la giurisdizione di Capua, durante l'invasione di Annibale restò fedele a Roma ottenendo il diritto alla cittadinanza municipale.

Sono ancora in parte visibili: Anfiteatro (sec. I a.C.; più piccolo di quello di Pozzuoli; resti), Antro e Sepolcro della Sibilla (sec. VI a.C.; -> dopo), Tempio della Triade Capitolina (ruderi), Acropoli (ruderi del nucleo primitivo ed avanzi di fortificazione greca del sec. V a.C.), Tempio di Apollo (ruderi; rifatto in periodo augusteo e trasformato in basilica cristiana), Tempio di Giove (ruderi; divenuto basilica cristiana)

Il passo [Geografia, V, 4, 4] è di Strabone di Amasea nel Ponto (63 a.C. - 19 d.C.); si dedicò a lunghi viaggi. Autore di due opere: Commentari storici, in cui continua la storia di Polibio, dal 146 a.C. alla fondazione dell'impero; ne restano frammenti; Geografia, in ll. 17 in gran parte pervenutici; prevale la geografia politica, e la maggior parte è consacrata all'Italia, alla Grecia, all'Asia Minore.

Dovrebbe trattarsi del Clanius, l'antico fiume, destinato ad essere canalizzato dai Bordoni ed a prendere successivamente il nome di "Regi Lagni", che bagnava le campagne d'Acerra e sboccava nei pressi del Lago di Patria

Glanis (Alexandra, 718), nel suo poema composto poco dopo il 295 a.C., e Timeo chiamano il fiume "Licofrone", mentre Stefano Bizantino lo denomina impropriamente "fiume di Cuma"

La fondazione di Cuma fu in realtà preceduta da quella di Pitecusa, l'attuale Ischia, del 770 a.C. circa

Di Cuma Euboica o, forse, di Cuma Eolica, in Asia Minore

Nel 421 a.C.

Il termine greco significa "flutti"

Nel 43 a.C.: la cosiddetta guerra siciliana si chiuse con il 36 a.C., un arco di tempo, quindi, che ci dà la certezza che Strabone descriveva i luoghi come erano ai suoi tempi attingendo ad esperienze personali o a notizie di suoi contemporanei

Eneide, VI, 1-12; 42-44: Publio Virgilio Marone, nato ad Andes presso Mantova nel 70 a.C., educato a Cremona, a Milano, poi a Roma, dove fu in relazione con i principali poeti del tempo; ritornò nel 45 ad Andes, che nel 39 dovette abbandonare per sempre, pare, quando le campagne del mantovano furono assegnate ai veterani di Ottaviano; aveva già composto le Bucoliche (42-39). Ottaviano gli offrì un soggiorno in Campania e Mecenate una casa a Roma, sull'Esquilino. A Napoli scrisse tra il 37 ed il 30 le Georgiche in ll. 4. Nel 29 cominciò l'Eneide; nel 19 stabilì di ritirarsi in Grecia ed in Asia Minore, per dare l'ultima mano al poema, in un soggiorno di tre anni; giunto ad Atene fu persuaso da Augusto a ritornare con lui; malato, morì a Brindisi nel 19 a.C., mentre era in viaggio e fu sepolto a Napoli. Artista di fine e squisito sentimento, di profonda spiritualità, tra i maggiori poeti di tutti i tempi.

Oggi è solo un piccolo centro

Come la vicina Bacoli, Baia, nonostante il ripetersi di fenomeni eruttivi e di bradisismo, oggi è ancora considerato centro di villeggiatura e termale (come un tempo, almeno a leggere Orazio, Properzio, Livio)

Sono ancora in parte visibili:

A Miseno: Terme, Teatro romano

A Baia: Tempio di Diana (terme a pianta ottagonale), Terme baiane (tre edifici risalenti ad epoca imperiale), Castello (quadrato, costruito nella metà del sec. XVI sulle rovine del "Palazzo dei Cesari")

A Bacoli: Sepolcro di Agrippina, Piscina Mirabile (la più grande cisterna del periodo romano, con una capacità di circa 12.000 mc.; di forma quadrata, fu costruita perché le navi del Miseno potessero approvvigionarsi dell'acqua del Serino)

Eneide, IX, 710-716

Geografia, V, 4, 5

Con allusione al lago Fusaro

Alcuni codici invece di limen danno limne, pensando alla distesa d'acqua detta "Mare Morto", avvalorando l'ipotesi con il fatto che, al momento della composizione della Geografia, Augusto non ancora aveva reso Miseno quel grande porto militare che sarebbe, poi, diventato (comunque il posto, così chiamato dal compagno di Enea lì sepolto, era stato anche importante porto commerciale dall'epoca greca fino a quando, nel 214 a.C., venne distrutto da Annibale)

Così chiamata in quanto in questa località (residenza di Augusto e di Al. Severo, unita a Pozzuoli da un ponte di barche fatto costruire da Caligola e nota per le sue sorgenti termali), secondo la leggenda, vi avrebbe trovato sepoltura un compagno di Ulisse: Baios

Eneide, VI, 98-109

L'antro era stato scavato nel monte di Cuma ad un livello inferiore rispetto al tempio: solo nel 1932 il Maiuri "scoprì" il vero antro virgiliano, prima identificato con una grotta lungo la sponda meridionale del lago d'Averno

Geografia, V, 4-5

Agrippa collegò il Lago Averno ed il Lago Lucrino con un canale ed il Lago Averno con il porto di Cuma tramite una galleria sotterranea lunga km. 1, nota oggi come Grotta della Pace e condotta attraverso il Monte Grillo. L'ultima era ancora praticabile prima della 2^ Guerra Mondiale, quando uno scoppio di munizioni la ridusse in pessime condizioni. Opera di Agrippa era pure il disboscamento. Quanto all'altro lavoro di Agrippa, quello inteso a preservare dal mare l'argine tra il Lucrino ed il mare, vi è, secondo alcuni studiosi, il contrasto evidente tra la descrizione di Strabone ed il verso properziano Qua iacet Herculeis semita litoribus [I, 11, 2]: semita significa stradina che è ben altra cosa rispetto all'ampia carreggiata cui allude Strabone. Il carme di Properzio appartiene ad un libro pubblicato non prima del 28 a.C., ma certo dopo il 37, l'anno in cui Ottaviano fece costruire in onore di Cesare il Portus Julius, congiungendo l'Averno al Lucrino ed entrambi al mare. Di questi lavori parla Virgilio (Georg. II, 161 sgg.), ne tace Strabone.

E' il nome dato dagli antichi al l. XI dell'Odissea (che raccontava la storia della discesa di Odisseo nell'Averno)

La parola averno significa, infatti, privo di uccelli

Per gli antichi veri e propri ingressi per il Mondo dei Morti

Popolo di origine tracica del sec. VIII, ma in Omero sono gli abitanti dell'oceano occidentale, là dove non arriva mai il sole

Geografia, V, 4, 6

Gli otto stadi della via di Ercole possono sembrare molti a quanti considerino oggi la lunghezza del tratto di strada, ma si deve tener conto anche delle conseguenze dell'eruzione del 1538 che fece sorgere di fianco al lago la collinetta del Monte Nuovo.

La coltura delle ostriche fu introdotta nel Lucrino un po' prima della guerra sociale: la notizia, quindi, deve essere stata attinta da Artemidoro

A Pozzuoli sono di notevole interesse: Chiesa di S. Gennaro (costruita nel 1580), Anfiteatro Flavio (del sec. I d.C.; poteva ospitare 40.000 persone), Anfiteatro Minore (di età augustea), Tempio di Serapide (mercato pubblico collegato al fenomeno del bradisismo nella zona), Cattedrale (dell'XI sec.), Piscina Cardito (serbatoio d'età romana), Necropoli

L'etimologia latina del nome Puteoli è duplice: o da puteus = pozzo, o da putor, putidus

Cioè la Solfatara

Storia naturale, XVIII, 114

Cioè "Terra bianca", dal greco leukòs (bianco) e (terra); si tratta di una serie di colli che circondano a nord e ad est la solfatara di Pozzuoli; dovevano il loro nome al fatto che i vapori avevano schiarito, fino a renderla biancastra, la pietra lavica di cui erano fatti. Delle solfatare parla anche Eliodoro, poeta tragico, nella sua opera "Le meraviglie d'Italia" (giuntaci per il tramite di Stobeo): <<.superando di poco l'altura del Gauro, alla sinistra dei viandanti, giace una terra, candida come neve: vi sprizza un'acqua molto acre ad inalare e bere. Gli abitanti della zona circostante, ricca di vigneti, dispongono di quell'acqua come rimedio per gli occhi>>.

Sconosciute, né menzionate da altri scrittori

Satyricon, 120, 67-75
Proconsole della Bitinia sotto Nerone, Petronio Arbitro fu uno dei cortegiani più potenti dell'imperatore. Nerone sospettò di lui dopo la congiura dei Pisoni e Petronio, temendo di essere assassinato, si suicidò nel 66 d.C.. E' da molti ritenuto autore del romanzo Satyricon il ll. 16, di cui due ci sono pervenuti.
A tal proposito anche Silio Italico (vissuto dal 25 al 101 d.C., proconsole in Asia nel 68; poeta nei suoi ultimi anni, autore di Punica, in ll. 17, sulla seconda guerra punica, poema epico, parafrasi di T. Livio), in Pun. XII 133-137, così si esprime: <<Allora zolfo infuocato / e bitume fuso i campi sempre spiranti / indicano. La terra nero trasudante vapore / esala e, nelle viscere riarse, a lungo riscaldata / ribolle e innalza nell'aria gli sbuffi dello Stige.>> [tr. E. RENNA]

Geografia, V, 4, 7

Magistrati locali

Istituiti da Augusto nel 2 a.C.

L'attuale Grotta di Posillipo (Seneca, Epist. 57, 1)

Nipote e figlio adottivo di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, console nel 100, legato imperiale in Bitinia dal 111 al 112, ci ha lasciato il Panegirico di Traiano e ll. 9 di Epistole scritte per la pubblicazione ed un libro di corrispondenza con Traiano, quando era governatore in Bitinia.

Epist. III, 7

Vedere nota 46

Traiano, adottato da Nerva nell'ottobre del 97, mentre si trovava al comando dell'armata nella Germania Superiore, si era spostato in Pannonia ed in Mesia tra il 98 ed il 99, ed era rientrato a Roma soltanto nell'ottobre del 99

Lo afferma anche Marziale (autore di ll. 14 di epigrammi, documento eccezionale della vita romana e del costume del tempo; nacque verso il 40 d.C. a Bilbilis in Spagna): XI, 48 e 50, XII, 67

15 ottobre del 70 a.C.

Silvae, III, 5, 44-64; IV, 8, 45-56

Versi rivolti alla moglie Claudia per convincerla a lasciare Roma per trasferirsi a Napoli

Il carme è rivolto al nobile napoletano Menecrate in occasione della nascita del suo terzo figlio

Geografia, V, 4, 8

Geografia, V, 4, 9

L'attuale Procida

L'odierna Ischia

Forse verso la prima metà del sec. VIII a.C.

Nel 474 a.C., dopo la vittoria di Ierone a Cuma contro gli Etruschi

Mitologico drago dalle cento teste che riuscì a rubare le folgori a Zeus

Timeo è uno storico greco, nato in Sicilia verso la metà del sec. IV a.C.: frammentaria la sua opera

Forse l'attuale Epomeo

La notizia, confermata da Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXI, 9) e dal medico Aureliano (De morbis, V, 77), avvalora le proprietà salutari delle acque termali dell'isola che, a base sodica, calmano le infiammazioni intestinali, aumentano la secrezione delle urine, beneficiano quanti colpiti da occlusione dei visceri, affezioni malinconiche od ipocondriache, malattie renali e vescicali, itterizia, flussi mestruali troppo abbondanti, flussi emorroidari eccessivi, affezioni catarrali croniche, dolori artritici (De Rivaz)

Capri ed Anacapri [?]

La guerra civile dell'82 a.C., quando Napoli parteggiò per Mario, uscito sconfitto

Nel 29 a.C.




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