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MALATTIE SESSUALI

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MALATTIE SESSUALI



sifilide

malattia venerea infettiva, contagiosa, dovuta al Treponema pallidum, detta anche lue. L'infezione, che si contrae con il rapporto sessuale, ha decorso molto lungo ripartito in tre periodi (sifilide primaria, secondaria, terziaria) e, se non curata adeguatamente, ha esito infausto per coinvolgimento del sistema nervoso (tabe dorsale). Sifilide congenita si manifesta nei primi mesi di vita di figli di madri sifilitiche.


epatite



processo flogistico-degenerativo del fegato caratterizzato da necrosi parcellare che colpisce tutti i lobuli epatici.


Le Cause:


Le cause più frequenti di e. sono i virus dell'e. A (HBA), dell'e. B (HBV), dell'e. delta (HDV), e da due o forse più agenti associati all'e. nonA-nonB, l'alcol e i farmaci. Più rare sono le e. da mononucleosi infettiva, febbre gialla, citomegalovirus, altre infezioni virali e leptospirosi. Rare sono le e. a patogenesi autoimmunitaria che interessano soprattutto le donne e che si associano a manifestazioni cliniche (articolari, cutanee, renali, endocrine, ematiche) e sierologiche come l'ipergammaglobulinemia e la presenza di autoanticorpi di origine autoimmunitaria. Le forme cliniche indicate col nome di e. sono numerosissime: e. acuta semplice, e. colangiolitica, e. acuta da virus o e. virale, e. interstiziale cronica, e. maligna cirrogena o atrofia giallo-acuta, e. sifilitica o gommosa, e. brucellare, e. amebica, e. epizootica, e. tossica, e. a 252d37c llergica, e. carenziale. Nel gruppo va inclusa pure la cirrosi epatica (a eziologia complessa e tuttora non chiara) che è un'e. altamente degenerativa. L'attuale orientamento clinico, tuttavia, pur tenendo conto dell'agente patogeno, preferisce considerare l'entità e la natura delle alterazioni provocate al parenchima epatico e al sistema biliare da tutte queste forme e distingue l'insufficienza epato-cellulare e l'insufficienza biliare, mentre sotto il nome di e. viene comunemente indicata l'e. acuta da virus.


Le forme:


Le forme più comuni sono quelle da virus A (HAV) a trasmissione soprattutto feco-orale, ma anche talora parenterale, e quelle da virus B (HBV) e nonA-nonB a trasmissione parenterale o sessuale. L'e. di tipo A ha diffusione mondiale e colpisce soprattutto i ragazzi e i giovani adulti. Essa esiste come forma sporadica, ma talora dà luogo a vere e proprie epidemie. Il virus è eliminato con le feci dai soggetti infetti nella fase prodromica e nel periodo itterico precoce della malattia e si diffonde soprattutto mediante l'ingestione di alimenti e acque contaminate. Dopo un periodo di incubazione di circa 18-40 giorni la malattia si manifesta con tre fasi: stadio prodromico, caratterizzato da febbre, malessere, disturbi gastroenterici aspecifici (nausea, vomito, anoressia); stadio itterico con ittero, prurito, urine scure, feci chiare, epatomegalia con dolorabilità epatica; stadio postitterico o della convalescenza, in cui possono persistere malessere e modeste anomalie della funzione epatica. L'e. da virus A ha di solito un andamento acuto con risoluzione spontanea, solo raramente può evolvere in forme molto gravi con necrosi epatica massiva (atrofia giallo-acuta). Sono frequenti le forme inapparenti; in Italia i portatori di anticorpi anti-HAV sono circa l'82%. L'e. da virus B, virus a DNA, è dovuta a una trasmissione del virus per via parenterale (frequente la diffusione da trasfusioni o da scambio di siringa tra tossicodipendenti) o per via sessuale. In molti casi le modalità di contagio rimangono sconosciute. Per quanto riguarda l'HBV, esiste un'ampia popolazione di soggetti portatori cronici. Il periodo di incubazione per l'e. B è compreso tra 50 e 180 giorni e il quadro clinico, come per le epatiti nonA-nonB, è simile a quello dell'e. A. Più frequentemente in queste forme di e. si ha la cronicizzazione del processo necrotico-degenerativo con evoluzione dell'e. acuta in e. cronica persistente, aggressiva, e quindi in cirrosi epatica. Il virus dell'e. delta è un virus incapace di autoreplicarsi e necessita per la replicazione della presenza del virus dell'e. B (co-infezione o sovrainfezione). Recentemente sono stati caratterizzati due virus associati alle e. nonA-nonB: il virus dell'e. di tipo E (HEV) e quello dell'e. C (HCV). L'HEV è un virus che viene trasmesso principalmente per via feco-orale ed è, insieme al virus dell'e. A, il maggior responsabile di epidemie di e. da alimenti, soprattutto di origine idrica. L'HEV è endemico in India, Pakistan, Cina, nel Sud-Est asiatico, in Unione Sovietica, nel Nordafrica e in America Latina. Colpisce soprattutto i giovani adulti, il periodo di incubazione della malattia è di circa 4 settimane e di solito si risolve spontaneamente. Forme particolarmente gravi si possono avere in gravidanza con tassi di letalità fino al 20-39%. Come per l'e. A non esiste lo stato di portatore. Il virus dell'e. di tipo C (HVC) viene trasmesso come l'HBV per via parenterale, meno efficiente è la via sessuale e verticale. Si tratta di un virus che sembra coinvolto in ca. il 70-90% delle e. nonA-nonB a trasmissione parenterale e nel 60-80% delle cosiddette e. nonA-nonB sporadiche. La diagnosi di avvenuta infezione da HCV si basa sulla ricerca di anticorpi specifici. Clinicamente l'e. di tipo C decorre in modo analogo all'e. di tipo B. L'e. virale si può presentare con diverse forme cliniche: anitterica, recidivante, colestatica, fulminante, cronica persistente e attiva. L'e. si risolve nella maggioranza dei casi in 4-8 settimane, salvo forme a decorso atipico e soprattutto in caso di cronicizzazione. Per quanto riguarda i dati di laboratorio, il segno più caratteristico è l'aumento delle transaminasi aspartato-transferasi (AST o SGOT) e alaninotransferasi (ALT o SGPT). Si ha anche aumento della bilirubinemia e presenza di bilirubina nelle urine. La fosfatasi alcalina aumenta notevolmente nelle forme a importante impronta colestatica. La diagnosi si basa sui reperti di laboratorio e sui dati clinici. Nel 1995 è stato scoperto il virus responsabile di una nuova forma di epatite, detta epatite G, e gli è stato attribuito il nome di HGV. Alla base della ricerca è stata l'osservazione che un'alta percentuale di epatiti risultava nonA, nonB e nonC. Campioni di siero sono stati sottoposti a indagini di ingegneria genetica e si è potuta stabilire la sequenza del genoma del nuovo virus. Questo è risultato della famiglia del Flaviviridae e per il 25% è identico al virus dell'epatite C (HCV). Il virus dell'epatite G compare circa 3-6 settimane dopo la trasfusione e da 3 a 6 settimane prima del picco di transaminasi. Nei donatori che fanno da veicolo all'infezione è stato invece riscontrato anche in presenza di valori normali delle transaminasi. Le categorie che hanno fornito i più alti valori percentuali di positività sono i tossicodipendenti, i politrasfusi e i soggetti colpiti da epatiti croniche di tipo C e B, a loro volta in frequente associazione con situazioni di rischio sessuale o parenterale.




Terapie:


La profilassi prevede l'osservazione di norme igieniche accurate soprattutto per l'e. A. Sono state messe a punto immunoglobuline specifiche contro i virus A e B da somministrare ai soggetti esposti all'infezione. Di recente introduzione in commercio è un vaccino con elevata capacità di protezione nei confronti dell'e. B. Dal 1991 è diventata obbligatoria la vaccinazione nei bambini contro l'HBV. La terapia prevede riposo assoluto a letto con ripresa assai prudente dell'attività lavorativa per evitare il pericolo di recidive; dieta in fase iniziale ricca di carboidrati e sufficientemente ricca di proteine in seguito; limitati al massimo i lipidi; vitamine del complesso B (specie la B12) a dosi elevate e vitamina K. Le forme di e. cronica attiva possono trarre beneficio dal trattamento con Interferon. Con cautela possono essere utilizzati i cortisonici nelle forme di e. sostenute da meccanismo autoimmune.


AIDS


sigla di Acquired Immuno Deficiency Syndrome, cioè sindrome di immunodeficienza acquisita. Con questo termine si indica una forma morbosa di origine virale, caratterizzata da uno stato di profonda compromissione delle difese immunitarie, prevalentemente a carico dell'immunità cellulo-mediata, con interessamento quantitativo e qualitativo dei linfociti T della sottoclasse cosiddetta helper (in quanto facilitano la risposta immunitaria cellulare e umorale a opera degli anticorpi). Questa condizione di marcata immunodepressione viene detta acquisita per distinguerla dalle forme di immunodeficit congenito e si accompagna a gravi manifestazioni cliniche in quanto espone il paziente al rischio elevatissimo di contrarre infezioni sostenute da svariati agenti morbosi, spesso da microrganismi che in condizioni normali non sono quasi mai in grado di aggredire l'organismo umano. I primi casi di A. possono essere fatti risalire, con analisi retrospettiva, al 1979, ma la prima diagnosi è stata posta solo nel 1981, quando alcuni giovani omosessuali di Los Angeles furono colpiti da un'infezione polmonare causata da un germe (Pneumocystis carinii) che può provocare malattia solo in individui immunodepressi; fu così stabilito un nesso tra omosessualità e immunodepressione, nesso che poco tempo dopo si estese anche a un'altra categoria di soggetti, i tossicodipendenti che si iniettavano droghe per via endovenosa, segno che l'agente causale della malattia poteva trasmettersi attraverso il sangue. Oltre a questi due principali, sono stati successivamente evidenziati altri gruppi a rischio: gli emofiliaci, soggetti all'infezione per la possibilità di essere trasfusi con sangue contaminato, i bambini appartenenti a famiglie di cui almeno un membro è a rischio (e spesso si tratta della madre che ha trasmesso il virus al figlio durante la gravidanza), e, inoltre, anche soggetti eterosessuali che abbiano avuto rapporti sessuali con persone infettate senza peraltro essere soggetti a rischio. La trasmissione della malattia avviene quindi attraverso il sangue, lo sperma e le secrezioni uterine mentre pare non esista alcun pericolo di trasmissione mediante aria, acqua, alimenti, oggetti e contatti personali che non siano di tipo sessuale. Di importanza fondamentale per il problema dell'A. in età pediatrica è la trasmissione del virus dalla madre al feto attraverso il sangue placentare, mentre accurati studi americani riguardanti il pericolo per conviventi e familiari di pazienti con A. di essere contagiati hanno ridimensionato i timori che il virus possa trasmettersi in modi diversi da quelli accertati. Quando un soggetto viene infettato, il virus passa nel sangue e stimola la produzione di anticorpi specifici che possono essere evidenziati con opportune tecniche di laboratorio. Egli diventa così sieropositivo e può a sua volta trasmettere l'infezione ad altre persone. L'essere sieropositivo non corrisponde tuttavia all'essere ammalato, dato il lungo periodo intercorrente tra momento dell'infezione e manifestazione clinica della malattia, che mediamente è di 3-4 anni ma può arrivare fino a 9; essendo questo periodo totalmente asintomatico il paziente non è messo in allarme e può quindi contagiare altre persone. La sintomatologia inizia generalmente con un diffuso ingrossamento delle linfoghiandole unito a malessere generale, anoressia, febbricola, quadro questo definito da alcuni come LAS (Lymphoadenopathic Syndrome). Con la progressione della malattia, a questi sintomi si aggiungono notevole perdita di peso, diarrea e febbre persistenti, diminuzione dei linfociti nel sangue, delineandosi così un quadro clinico più grave del precedente denominato ARC (A.I.D.S. Related Complex). Sia la LAS che l'ARC vengono costantemente seguite a varia distanza di tempo dall'A. conclamata, caratterizzata da due elementi clinici fondamentali: le infezioni opportunistiche e il sarcoma di Kaposi. Le infezioni opportunistiche consistono in infezioni da parte di germi che non sono in grado di attaccare il soggetto sano ma lo diventano quando il sistema immunitario viene compromesso nella sua funzione di difesa dell'organismo. Batteri, come il già menzionato Pneumocystis carinii, funghi come Candida albicans e Aspergillus, protozoi, come Toxoplasma, comuni germi normalmente presenti nell'intestino appartenenti ai gen. Salmonella e Shigella, sono responsabili di infezioni molto gravi che rappresentano anche la più frequente causa di morte dei soggetti ammalati di A.I.D.S. Il sarcoma di Kaposi è un tipo di linfoma maligno che coinvolge soprattutto la cute diffondendosi poi anche agli organi interni e la cui terapia è resa molto difficile dalla presenza dell'immunodepressione. È recente la scoperta di un interessamento diretto del sistema nervoso da parte del virus dell'A., con encefaliti che comportano grave deterioramento cerebrale, mielopatie e neuropatie dei nervi periferici e inoltre sintomi psichici, tipo depressione, che compaiono nelle prime fasi di malattia e che sono diretta conseguenza dell'azione del virus sul cervello. Le ricerche a proposito dell'agente virale responsabile della malattia hanno portato all'identificazione del virus HIV, in precedenza chiamato HTLV III (Human T Cell Lymphotropic Virus). Si tratta di un retrovirus, cioè di un virus che agisce sul patrimonio genetico della cellula in modo tale che il DNA delle cellule infettate riceve «ordini» direttamente dall'RNA virale, a differenza di quanto avviene normalmente nelle cellule, dove gli «ordini» vengono trasmessi dal DNA, mentre l'RNA funge solo da messaggero. Questa capacità gli deriva da un particolare enzima, la trascrittasi inversa, che costruisce una coppia di DNA a partire dall'RNA virale, la quale va poi a integrarsi nel patrimonio genetico (DNA) della cellula ospite. Il virus dell'A. ha un'altra importante proprietà, quella di infettare una particolare classe di linfociti T (helper) che contribuiscono in maniera determinante alla produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario e senza i quali l'organismo diventa immunodeficiente. Questi linfociti diminuiscono infatti progressivamente all'avanzare della malattia e anzi il loro dosaggio nel sangue è un parametro fondamentale che indica lo stadio in cui essa si trova. Pur essendo stato identificato solo nel 1983, quasi contemporaneamente in Francia e negli Stati Uniti, il virus dell'A. ha origini di gran lunga anteriori in quanto sono da lungo tempo presenti in vari tipi di scimmie virus simili il cui studio ha contribuito a far comprendere meglio l'evoluzione che ha portato questo virus a diventare patogeno per l'uomo e ad avere le caratteristiche letali. Attraverso questi studi si è potuti risalire anche all'origine geografica del virus dell'A., cioè l'Africa centrale, in cui esso è presente da tempo in maniera diffusa e viene trasmesso soprattutto attraverso le pratiche sessuali, senza tuttavia causare l'andamento epidemico e la letalità che ha assunto nei Paesi industrializzati. Dall'Africa il virus si è diffuso poi a Haiti e successivamente è approdato negli Stati Uniti, e quindi in Europa. Negli U.S.A. la diffusione della malattia non è uniforme: vi sono città, come New York e San Francisco, dove l'incidenza è elevatissima mentre in alcuni Stati essa è completamente assente. In Europa la maggiore percentuale di soggetti sieropositivi si ritrova in Francia, Gran Bretagna, Svizzera e Italia, mentre c'è una minore diffusione nei Paesi dell'Est. La distribuzione dell'infezione all'interno delle varie categorie di soggetti a rischio è diversa nella popolazione americana e in quella europea, compresa quella italiana; nella prima l'A.I.D.S. è particolarmente diffusa fra gli omosessuali, nella seconda, il maggior numero di casi è invece appannaggio dei tossicodipendenti; questa differenza si è mantenuta anche con l'aumentare delle proporzioni del fenomeno morboso. Pur mantenendosi ancora molto elevata in tutti i Paesi del mondo, la percentuale di diffusione dell'A. mostra qualche segno di contenimento, conseguenza, probabilmente, delle misure preventive che sono state introdotte particolarmente tra i soggetti a rischio.






Lungosopravviventi:


La scoperta dei geni mutanti CKR-5 ha offerto nuove chiavi di interpretazione del fenomeno dei cosiddetti «lungosopravviventi», individui che riescono a vivere per molto tempo nonostante l'infezione. Attualmente, il 5% delle persone sieropositive è capace di resistere al virus HIV per oltre 10 anni (e fino a 18 anni in alcuni casi) senza arrivare alla malattia conclamata. Secondo l'ipotesi avanzata da alcuni ricercatori, in queste persone il sistema immunitario è diverso non solo quantitativamente ma anche qualitativamente da quello di chi progredisce invece verso la malattia, sia pure a parità di numero di linfociti CD-4, le cellule che sono allo stesso tempo le organizzatrici delle difese immunitarie e il bersaglio privilegiato del virus. Tra i fattori protettivi sono ipotizzati un aumento naturale delle cellule CD-8 (linfociti T suppressor 8), le già citate chemiochine, alcuni tipi di interleuchine.

Vaccino:


Gli entusiasmi iniziali sulla possibilità di sviluppare un vaccino efficace contro l'A.I.D.S. si sono raffreddati nella prima metà degli anni Novanta. Alla fine del 1996 circa 20 vaccini sperimentali erano stati iniettati su 2000 volontari, ma nessun prodotto ha mai dimostrato efficacia. Le difficoltà nascono in primo luogo dal fatto che non bisogna affrontare un solo virus, ma tante famiglie diverse dell'HIV. Di conseguenza non si dovrà trovare un solo vaccino, ma tanti vaccini diversi per ogni zona geografica in cui il virus ha assunto caratteristiche differenti. Nel 1998 un'équipe di ricercatori dell'Istituto Superiore di Sanità ha dato nuove speranze nella ricerca di un vaccino efficace nella lotta contro l'A.I.D.S. I ricercatori hanno presentato un tipo di vaccino che sollecita la risposta immunitaria agendo sulla proteina Tat, responsabile dell'aumento della trascrizione dei geni del virus HIV, aiutandone quindi la riproduzione. Il vaccino ha dato risultati sperimentali sorprendenti rivelandosi efficace al 71%.






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