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La scelta

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La scelta




Causa della firma dell'armistizio dell'otto settembre è la caduta del fascismo.Il 10 Luglio del 1943 i primi contingenti anglo-americani sbarcarono in Sicilia e si impadronirono dell'isola e furono accolti dalla popolazione come i liberatori della patria. Proprio questo fu il colpo di grazia 535f58f al regime fascista che ormai già da tempo vedeva manifestarsi segni di malcontento e crisi al suo interno.

La caduta di Mussolini non fu  causata ne dalle rivolte popolari ne tentomeno dalla nascita dei nuovi partiti antifascisti, che erano sconosciuti alla maggioranza degli italiani, ma da una sorta di congiura monarchica. Il pretesto per l'intervento del re fu offerto da una riunione del gran consiglio del fascismo, tenutosi nella notte fra il 24 e il 25 Luglio del 1943, conclusasi con l'approvazione di un ordine del giorno proposto dal fascista Dino Grandi, con il quale invitava il re a riassumere le sue funzioni di comandante supremo delle forze armate. Questo suonò immediatamente come un atto di sfiducia nei confronti del duce.

Nel pomeriggio del 25 così, Mussolini convocato da Vittorio Emanuele III, dopo essere stato invitato a rassegnare le dimissioni, fu arrestato dai carabinieri.



A succedere a Mussolini nel ruolo di capo del governo fu chiamato il maresciallo Pietro Badoglio. Badoglio proclamò che nulla sarebbe cambiato nell'impegno bellico italiano, allacciando in realtà, trattative segretissime con gli alleati, trattative utili al raggiungimento di una pace separata, ma che in realtà portò gli italiani, il 3 Settembre 1943, alla sottoscrizione di un atto di resa senza alcuna garanzia per il futuro.

Solo l'8 settembre però la notizia dell'armistizio tra il maresciallo Pietro Badoglio e gli alleati anglo-americani, fu resa nota ai militari italiani impiegati ai fronti. I soldati si trovarono, a questo punto in una situazione particolarissima che li vedeva, senza alcun ordine preciso, combattere fianco a fianco con i tedeschi, che in realtà erano diventati il loro nemico.

La reazione delle truppe di Hittler alla notizia dell'armistizio fu immediata. Il 9 settembre, infatti, chiesero, tramite un ampia opera di volantinaggio tra le truppe italiane, la resa incondizionata di queste e la repentina restituzione delle armi, con la promessa di un conseguente rimpatrio. L'ordine però non fu eseguito, poiché gli ufficiali italiani non si fidavano delle promesse dei tedeschi.Questa indecisione sfociò immediatamente in una resistenza amata che vedeva contrapporsi i due schieramenti, quello tedesco e quello italiano, che fino a pochi giorni avevano combattuto come alleati. La battaglia ebbe inizio il 14 settembre e si protrasse fino al 22, data nella quale i nazisti, stanchi di combattere lealmente, riunirono gli ufficiali italiani con l'inganno e li sterminarono. Successivamente a questo episodio, migliaia di militari italiani furono catturati e massacrati, oppure ammassati nelle stive di grandi navi fatte naufragare con il loro equipaggio durante il trasporto verso il Pireo.

Questa ondata di crudeltà fu causa di tormenti tra i componenti più deboli ddell'esercito che preferirono arrendersi ai nazzisti. Sicuramente, fatta eccezione per pochi casi, coloro che si arresero non lo fecero perché spinti da precisi ideali politi, ma perché logorati dalla battaglia, dalla fame e dalla paura della morte. Chi invece continuò ad opporsi con le armi scelse eroicamente di morire per la patria.

Queste due opposte direzioni stanno a sottolineare il momento di difficoltà in cui si erano venuti a trovare o soldati italiani, che oltre ad essere spaventati dalla guerra si torvarono costretti ad un bivio, una scelta, un nodo che doveva essere sciolto in tempi brevi, poiché i nazisti avrebbero posto sicuramente rimedio a quella sorta di ammutinamento, di diserzione da parte del nostro esercito. Chi non ebbe il coraggio di continuare la battaglia, per paura o per stanchezza, fu direttamente deportato nei campi di lavoro della Russia o della Germania. A dispetto delle più rosee aspettative che prevedevano, secondo le promesse dei tedeschi, il rimpatrio immediato, coloro che si arresero, dovettero sopportare situazioni molto dure ed umilianti. I campi di lavoro per gli internati militari, non erano tuttavia paragonabili ai campi di sterminio, come ci racconta il tenente colonnello Pietro Testa nel suo rapporto sul campo 83. Testa descrive il campo di Wietzendorf come un luogo duro ma che comunque offriva la possibilità agli internati di riunirsi. Era presente persino un giornale del campo. Proprio il fatto che gli internati avessero la possibilità di aggregarsi, permise loro di poter resistere, uniti, alla pressante propaganda nazi-fascista. I tedeschi infatti, anche nei campi cercarono di arruolare nelle loro fila soldati italiani, promettendo la libertà a coloro i quali avessero lavorato o combattuto per il raich. Con il passare del tempo però, la propaganda si trasformò in violenza e molti cedettero alla pressione nazista.

Coloro i quali scelseo di non arrendersi, continuarono a combattere trovando la morte a Cefalonia per difendere l'onore e la patria. Situazione analoga a quella dai militari in grtecia, fu vissuta nello stesso periodo anche sul suolo italico dalla stessa popolazione italiana, alla quale toccò scegliere tra il diventare partigiana e rifugiarsi sui monti cercando di sabotare le azioni dei nazi-fascisti oppure aderire alla nuova repubblica sociale italiana con capitale Salò, fondata il 12 settembre del '43 da Mussolini, liberato da un gruppo di paracadutisti teutonici, e che fondò contemporaneamente un nuovo partito fascita repubblicano. Questo nuovo partito cercava, proprio come stavano facendo i tedeschi nei campi di lavoro, di guadagnare consensi tramite un programma di socializzazione delle imprese industriali, ma la cui funzione principale era quella di reprime le azioni dei partigiani. Nei molti territori italiani occupati ancora dai tedeschi e dai militari di Salò quindi una situazione da vera e propria guerra civile.

A conclusione di ciò possiamo dire che la scelta è stato un elemento fondamentale per questa porzione della nostra storia. Ma possiamo noi dire con certezza quale è stata la scelta migliore? Possiamo forse condannare coloro che per timore della mprte non hanno voluto essere eroi ma uomini normali voltando le spalle alla patria?

Sfruttando il pensiero del filosofo tedesco Kant, abbiamo provato a rispondere a queste domande. Egli ritiene che la ragione umana ci permette di agire secondo due modalità differenti: una che asseconda la volontà individuale e diretta a fini particolari, e l'altra che è comandata direttamente dalla ragione e che perciò, secondo kant, ha valore universale. Quest'ultima, poiché deriva dalla ragione la chiameremo autonomia in quanto è l'uomo stesso che diventa legislatore di se.

Kant ritiene che se si asseconda questa legge universale si può tendere verso il sommo bene, verso la santità. Per poter far ciò, l'uomo deve poter essere libero, poiché se non lo fosse non sarebbe in grado di darsi quella legge morale che lo porterebbe ad agire in modo giusto. Noi ci vogliamo soffermare sul fatto che, non si può certo dire che i nostri militari, i quali dovettero scegliere fra l'assoggettarsi o il resistere, fossero liberi, non intendendo con il termine libertà solo quella fisica, ma anche quella esaminata in un ambito psicologico. Infatti siamo certi di non sbagliare sostenendo che la loro scelta, qualunque essa sia stata, fu condizionata dalla paura, dalla rabbia e dallo sconforto e di conseguenza non fosse una scelta libera. Noi riteniamo che non sia possibile, in una situazione simile, pensare liberamente al fine di giungere ad una scelta giusta moralmente. Possiamo in fine dedurre che entrambe siano state scelte valide e fondate su una legge morale eteronoma, ossia costretta dalla volontà del soggetto. E' facile infatti definire codardi coloro i quali non hanno resistito e si sono arresi. Noi non volevamo banalizzare in questo modo il nostro breve saggio, ritenendo che un uomo possa considerare più importante continuare a vivere, nonostante le umiliazioni del campo, magari con la speranza di rivedere le persone a lui care, piuttosto che decidere di non calpestare il proprio onore, di non cancellare il proprio orgoglio resistendo e rischiando la morte.

Ogni scelta ha la sua dignità e le sue valide motivazioni, alla condizione che questa rimanga circoscritta al soggetto che la compie, che ne subisce perciò le conseguenze, oppure che sia dettata da quella legge morale universale ricca di umanità ed oggettività che kant provò a mostrarci.







SCRITTA DA:

ARFAIOLI ANDREA

CAVARETTA GIUSEPPE

GEDDA MORGAN

STUMBO SIMONE 




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