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L'ELETTROCHIMICA

matematica



L'ELETTROCHIMICA


L'elettrochimica tratta le trasformazioni chimiche che si verificano al passaggio di corrente elettrica in un elettrolita fuso o disciolto in un solvente, e i fenomeni chimici che producono una differenza di potenziale tra due elettrodi. I fenomeni del primo tipo, nei quali si verifica una trasformazione chimica a spese dell'energia elettrica assorbita, prendono nel loro insieme il nome di elettrolisi. Quelli del secondo tipo, che vengono es. utilizzati nelle pile e negli accumulatori elettrici in fase di scarica, consistono invece in reazioni chimiche esotermiche, effettuate in condizioni tali che l'energia s 929g66j i svolga sotto forma di energia elettrica. Così, immergendo un frammento di zinco metallico in una soluzione di solfato di rame si verifica la reazione di spostamento:


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accompagnata dall'emissione di una determinata quantità di calore: operando invece in condizioni adatte, ossia in una pila, la maggior parte dell'energia ceduta dal processo può venir recuperata sotto forma di energia elettrica anziché di calore. L'elettrochimica ha grande importanza pratica: es., in metallurgia ed elettrotecnica, i fenomeni di corrosione dei metalli nell'atmosfera o a contatto con soluzioni aggressive sono in buona parte fenomeni elettrochimici che prendono origine dalla formazione di pile locali sulla superficie del metallo, mentre i processi di elettrolisi presentano svariate e importanti applicazioni industriali.


LA PILA

La pila. è un sistema elettrochimico costituito da due elementi, ciascuno dei quali consiste in un elettrodo (generalmente un metallo) a contatto con un conduttore elettrico di seconda specie (soluzione elettrolitica) o un elettrolita fuso o un cristallo ionico. Simboleggiando con M ed M i due elettrodi e con E ed E i due conduttori di seconda specie un tale sistema chimico può essere simboleggiato come segue: M/E//E /M dove una barretta trasversale singola indica un'interfaccia tra due fasi differenti (metallo/soluzione) e la doppia barretta // l'interfaccia fra i due conduttori di seconda specie. Una tale catena di conduttori manifesta alle due estremità una differenza di potenziale detta forza elettromotrice o più semplicemente tensione o voltaggio della pila. Se esternamente alla pila si congiungono i due elettrodi con un conduttore di elettricità si avrà passaggio di corrente nel circuito esterno e cioè gli elettroni migreranno dall'elettrodo a potenziale più basso a quello a potenziale più alto. Come verso della corrente si assume il verso contrario a quello di migrazione degli elettroni. All'interno della p. la corrente verrà trasportata, nel caso più generale, da ioni positivi e da ioni negativi, mentre alle due interfacce tra metallo e soluzione avverrà un trasferimento di carica attraverso una reazione chimica nella quale gli elettroni costituiscono un reagente o un prodotto (reazione elettrochimica). Al polo negativo della pila una forma ridotta (rid) si ossida per dare una forma ossidata (oss) +elettroni e viceversa al polo positivo:


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La pila Daniell,  che ben si presta a illustrare il funzionamento di una pila, è costituita da un elettrodo di Zn immerso in una soluzione di solfato di zinco e un elettrodo di Cu immerso in una soluzione di solfato di rame:


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Le due reazioni agli elettrodi sono:


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La reazione totale comporta il trasferimento di carica corrispondente al passaggio di due elettroni alle due interfacce; inoltre è una reazione spontanea che, quando avviene in una comune bevuta (aggiungendo dello zinco ad una soluzione di solfato di rame) provoca il passaggio in soluzione dello zinco e la formazione di rame metallico; la reazione in questo caso trasforma l'energia chimica (DG) in calore mentre quando avviene in una pila l'energia chimica si trasforma quasi totalmente in energia elettrica. es., nella pila Daniell la reazione totale può trasformare in energia elettrica 193.000 cal per grammoatomo di zinco che passa in soluzione. In corrispondenza nel circuito elettrico esterno si ha un passaggio di una quantità di elettricità corrispondente a quella trasportata dagli elettroni e cioè 96.500 2=193.000 coulomb=nF (quantità di elettricità corrispondente a un grammo-elettrone) dove n è il numero degli elettroni ed F è il faraday (1 faraday=96.500 coulomb). Dalla relazione lavoro elettrico = quantità di elettricità differenza di potenziale indicando con E la tensione della pila si avrà: DG=nEF=193.000 da cui E=1 V dove E è la differenza di potenziale della pila. La prima pila elettrica, scoperta da Alessandro Volta nel 1799, può essere in tal modo schematizzata: (-) Zn/soluzione acquosa di acido solforico/Cu (+) o più semplicemente


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In questo caso si ha un'unica soluzione elettrolitica e i due elettrodi sono costituiti da zinco e rame metallico. Le reazioni elettrochimiche sono:


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La pila di Volta  ha solo un'importanza storica ed è facilmente realizzabile alternando lastre di rame con lastre di zinco separate da un feltro imbevuto di acido solforico; ogni coppia rame/H SO /zinco costituisce un elemento galvanico e l'intero sistema costituito da n elementi galvanici messi in serie costituisce una batteria. Nell'uso comune una batteria di p. oggi viene indifferentemente chiamata batteria. Poiché la differenza di potenziale della pila di Volta è di circa 1V, l'intera batteria darà alle due estremità la differenza di potenziale di nV. Se però si tenta di sfruttare la pila di Volta come sorgente di energia elettrica, e cioè si chiude su un circuito esterno di utilizzazione, si vedrà che l'intensità di corrente diminuirà rapidamente fino a 0 perché l'idrogeno che si sviluppa sull'elettrodo di rame circonderà l'elettrodo stesso ostacolando l'ulteriore riduzione dello ione idrogeno; un tale fenomeno viene chiamato polarizzazione della pila. La pila di Volta in definitiva non può esser usata per erogare corrente elettrica di intensità apprezzabile, idonea a compiere del lavoro, a meno che non si aggiunga una sostanza che ostacoli la polarizzazione e cioè depolarizzi l'elettrodo positivo. Anche la pila Daniell già ricordata non può trovare applicazioni pratiche per l'elevata resistenza interna dovuta tra l'altro al diaframma poroso che occorre interporre tra le due soluzioni acquose di solfato per evitare che si mescolino. Per avere una sorgente portatile di energia elettrica bisogna attendere fino al 1860 quando l'elettrochimico Georges Leclanché costruisce una pila non polarizzabile


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Le reazioni elettrochimiche che avvengono sono:


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La reazione elettrochimica è eguale a quella della pila di Volta, ma il biossido di manganese reagendo con l'idrogeno agisce da depolarizzante riducendosi a ossido di manganese mentre lo zinco forma un complesso con il cloruro di ammonio; la reazione totale pertanto è quella sottoindicata che comporta una differenza di potenziale di 1,5 V


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Si aggiunga che nella pila Leclanché l'elettrodo positivo di carbone, oltre a essere indifferente dal punto di vista chimico (non viene attaccato dalla soluzione) è più economico; l'elettrolita inoltre è lo stesso per i due elettrodi e oltre a non essere aggressivo come l'acido solforico, può essere imbevuto in un sostegno gelatinoso; di conseguenza non è necessario mantenere verticale la p. o la batteria. La pila Leclanché e tutte le pile che non necessitano della presenza dell'elettrolita liquido vengono denominate pila o batterie a secco. Le pila a secco Leclanché, nelle loro differenti forme di realizzazione sono ancora oggi usate accanto alle batterie alcaline. Collegando in serie due o più elementi Leclanché si ottengono batterie a secco, di voltaggi multipli di 1,5 (3-4,5-6-7,5-9 e 12 V) oggi utilizzate in piccole apparecchiature elettriche portatili (torce, radio, rasoi, trapani, giocattoli, ecc.) che per funzionare non impegnano grosse intensità di corrente. La quantità di elettricità che si può ottenere da una batteria del tipo finora descritto dipende dalla quantità di composti chimici che sono capaci di reagire e quindi dalla dimensione della pila; la durata della batteria dipende inoltre anche dalla intensità con la quale si fa funzionare la pila. La quantità di elettricità che una batteria può erogare si esprime in ampere-ora (1 ampere-ora=3600 coulomb). Mentre per molte applicazioni sono necessarie batterie di piccole dimensioni, di lunga durata, utilizzabili con basse intensità di corrente (batterie per orologi, per pacemakers, per apparecchi acustici, ecc.) in altri casi sono necessarie forti intensità mentre non sono indispensabili lunghi tempi di funzionamento (batterie per automobili, per avviamenti di motori a scoppio, per livellamento della erogazione di energia elettrica, ecc.). I processi elettrochimici e le pila finora descritti sono processi irreversibili, cioè una volta che hanno trasformato l'energia chimica in energia elettrica non possono essere rigenerati per ricostituire il sistema chimico originario. Conseguentemente le batterie a secco dopo un certo tempo di utilizzazione si esauriscono e devono essere buttate. Contemporaneamente alla p. Leclanché fu allora studiata e messa a punto una p. nella quale la reazione elettrochimica fosse reversibile; in altre parole una pila che una volta esaurita potesse essere rigenerata con un processo di carica per ripristinare il sistema chimico originale; una tale pila serviva così ad accumulare energia elettrica sotto forma di energia chimica, utilizzabile in luoghi e tempi diversi. Una pila o batteria di questo tipo costituisce un accumulatore elettrico. L'accumulatore a piombo messo a punto nel 1859 dal fisico Gaston Planté è ancora oggi usato per carichi elettrici elevati (cioè per essere utilizzato con elevate intensità di scarica). La reazione elettrochimica reversibile è la seguente: _[1v\h8"f17_62.wmf"_[0v


Il solfato di piombo, che è praticamente insolubile in acido solforico, si deposita sugli elettrodi durante la scarica della batteria. Per aumentare l'interfaccia elettrodo soluzione le superfici delle lastre di piombo sono spugnose in modo da presentare delle cavità entro cui diffonde l'elettrolita. La batteria si può considerare scarica quando tutta la superficie degli elettrodi è ricoperta da PbSO . La p. PbO /H SO /Pb scarica può essere così schematizzata


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per riunire in un unico processo quello di carica e quello di scarica la p. si schematizza come segue:


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La tensione di esercizio dell'accumulatore al piombo è di circa 2V e poiché l'alimentazione dei circuiti elettrici delle auto è di 12V una batteria per auto è formata da 6 elementi. Durante il processo di scarica si consuma l'acido solforico che si trasforma in solfato di piombo solido, la densità del liquido elettrolitico diminuisce e di conseguenza lo stato di carica si può misurare con un comune densimetro. Nella storia dello sviluppo industriale e della comprensione della struttura delle soluzioni e, in misura minore, dei solidi, la pila elettrica ha avuto un ruolo fondamentale. La semplice relazione DG=nEF ha consentito di risalire dalla misura potenziometrica di E al valore di DG dei processi chimici cioè alla variazione di energia libera della reazione. Eseguendo le misure a varie temperature è stato così possibile il calcolo di quasi tutte le grandezze termodinamiche, quali entropia, entalpia, coefficienti di attività, energia di attivazione, meccanismi di reazione, costanti di equilibrio, ecc. Le pile che più frequentemente sono state usate a questo scopo sono le pile tipo Daniell, le pile a gas, le pile a concentrazione, le pile ad amalgama, le pile ibride.

Pile tipo Daniell:

Possono essere rappresentate dallo schema della pila Daniell con elettrodi di metalli differenti.



Pile a gas

Sono costituite da due elettrodi indifferenti sui quali si fa gorgogliare il gas (elettrodi a gas). Per es. la pila Pt,H /NaOH/O ,Pt può essere usata per studiare la reazione di formazione dell'acqua da idrogeno e ossigeno:


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Pile a concentrazione:

Sono costituite da due elettrodi eguali immersi in due soluzioni dello stesso elettrolita a concentrazione differente


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In questo tipo di pila il lavoro elettrico viene compiuto dal lavoro osmotico del nitrato di argento nel passaggio dalla soluzione più concentrata (c ) a quella più diluita (c ). P. ad amalgama. Sono costituite da due elettrodi indifferenti immersi in amalgami di uno stesso metallo a concentrazione differente o in amalgami di metalli differenti. es.,

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Pile  miste

Formate da due semielementi (elettrodi) di tipo differente:


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Se le p. hanno rivestito una particolare importanza nello sviluppo della comprensione della struttura delle soluzioni elettrolitiche, non meno rilevante è stato l'uso delle p. quali fonti di energia elettrica. Sotto questo punto di vista le batterie si possono suddividere in primarie e secondarie. Le batterie primarie corrispondono alle p. descritte come irreversibili, cioè con durata limitata nel tempo; le batterie secondarie corrispondono a quelle descritte come reversibili che possono cioè essere usate come accumulatori. Fino agli inizi degli anni Settanta la richiesta di batterie primarie veniva interamente soddisfatta dalle batterie tipo Leclanché, mentre la richiesta di accumulatori veniva soddisfatta dalle batterie a piombo e dagli accumulatori alcalini al ferro-nichel che verranno in seguito descritti. Lo sviluppo tumultuoso dell'elettronica e dei transistor ha portato alla realizzazione di sistemi elettrici sempre più piccoli che richiedono batterie di dimensioni adeguate, di sicura affidabilità, di lunga durata e di tensione costante nel tempo. D'altra parte per esigenze completamente differenti l'enorme richiesta da parte dell'industria di grosse quantità di energia elettrica indirizzava la ricerca verso lo studio di batterie di prima e seconda specie, di elevata capacità elettrica specifica in watt/ora/chilo con dimensioni sempre più grandi. Le p. possono distinguersi per dimensione e in funzione degli usi.


PILE MINIATURIZZATE

Le pile miniaturizzate, usate per orologi, pacemakers, auricolari, ecc., devono avere una lunga vita, essere affidabili, bassa mortalità (cioè non guastarsi nel tempo), non presentare scarica spontanea o perdite del contenuto elettrolitico. Per molti usi devono permettere una scarica a bassa ma costante intensità e nello stesso tempo, in caso di emergenza, fornire intensità più elevate (p. es., nei casi di fibrillazione questa caratteristica garantisce il funzionamento del pacemaker). Le p. a elettrodo di litio sono quelle più adatte per le esigenze richieste.

Le pile per oggetti portatili di tipo Leclanché, insieme alle batterie Ruben-Mallory Zn-HgO, sono oggi quelle più usate. In molti casi per oggetti costosi (telefoni portatili, giocattoli sofisticati o radiocomandati, rasoi elettrici, trapani elettrici) si usano anche p. ricaricabili (piccoli accumulatori) alcaline al nichel-cadmio o al ferro-ossido di nichel.

Le batterie per avvio di motori più usate sono gli accumulatori al Pb che negli ultimi anni sono confezionati a chiusura ermetica. Il loro prezzo è abbastanza basso in conseguenza della larga produzione destinata alle automobili. Negli aerei vengono usate preferibilmente batterie al nichel-cadmio.

Le batterie per trazione sono quelle oggi più studiate per i vantaggi della trazione elettrica rispetto a quella tradizionale a carburante; le batterie per trazione devono permettere al veicolo velocità, facilità di rifornimento e autonomia paragonabili a quelli oggi raggiunti nei veicoli con motore a scoppio. Il vantaggio più grande della trazione elettrica è l'assenza di gas di scarico inquinanti l'atmosfera. Nonostante i progressi raggiunti la trazione elettrica a batterie è oggi limitata a veicoli che non debbano percorrere lunghe distanze e raggiungere elevate velocità. Anche il rifornimento di tali veicoli, che corrisponde alla ricarica delle batterie, è molto più lungo rispetto ai rifornimenti di carburanti che si effettuano in pochi minuti. Si aggiunga inoltre che una batteria per trazione è molto più pesante della corrispondente quantità di carburante e occupa un volume molto più grande; sono però da ricordare altri vantaggi della trazione elettrica: minori vibrazioni con conseguente maggiore durata della carrozzeria, guida più facile e agevole. La ricerca in questo campo è attiva in tutti i Paesi.

Le batterie stazionarie devono avere una elevata capacità e sono del tipo al Pb.

Le batterie per livellare i carichi sono indispensabili tutte le volte che devono sostituire gli alti e bassi dei consumi in centrali idroelettriche, o in qualsiasi tipo di centrale nella quale si hanno dei picchi di carico durante le ore della giornata o tra il giorno e la notte. Nella tabella  sono riportate le denominazioni delle batterie più comuni (che in generale si riferiscono al tipo di elettrodi), lo schema elettrochimico delle reazioni che avvengono in esse durante il funzionamento, il campo di applicazione e il voltaggio medio di un elemento. Accanto a queste caratteristiche sono da considerare i valori della intensità massima di corrente, il numero di cicli di carica e scarica che ogni batteria può sopportare, la temperatura necessaria per ottenere il massimo rendimento, tutte proprietà tra loro collegate che stanno a indicare quanto complessi siano i problemi che la ricerca elettrochimica deve affrontare nel prossimo futuro. Nella stessa tabella sono elencate alcune batterie speciali le quali si differenziano in qualche modo per il meccanismo di generazione dell'energia elettrica o per i particolari usi a cui sono destinate e di esse vengono riportate le principali caratteristiche.

Pile a combustibile o a combustione (in inglese "fuel cells"):

In questo tipo di pile è possibile una combinazione diretta del combustibile e del comburente senza cicli intermedi di combustione con simultanea produzione di energia elettrica. Nella prima pila a combustione l'idrogeno e l'ossigeno venivano fatti gorgogliare in una soluzione di idrato di potassio  dove reagivano attraverso la reazione inversa a quella di decomposizione dell'acqua secondo lo schema:


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Gli elettrodi sotto i quali gorgogliano i gas sono costituiti da nichel poroso sinterizzato o da grafite; la temperatura per un rendimento ottimale è sui 200 ºC e la pressione dei gas deve corrispondere alla tensione di vapore dell'acqua nella soluzione di idrato di potassio. Il vapor d'acqua che si forma viene trascinato dall'eccesso dei gas e può essere recuperato e utilizzato come avviene nel caso di navicelle spaziali dove la cella a combustione idrogeno-ossigeno ha trovato un utile impiego. I tipi più moderni di pila a combustione usano aria della quale utilizzano l'ossigeno, mentre l'idrogeno lo ricavano dagli idrocarburi che nella stessa pila lo forniscono attraverso processi di cracking o di reforming. Generalmente le nuove pile a combustione vengono classificate in base all'elettrolita usato (acido fosforico o carbonato fuso) e in base al combustibile (metano, nafta, liquidi derivati del petrolio e dal carbone, carbone). La tecnologia delle pile a combustione, usate in campo aerospaziale, è stata sviluppata intensivamente mirando ad applicazioni terrestri di tipo industriale, militare e per autotrazione, allo scopo di poter fornire una valida alternativa alle fonti tradizionali per la produzione di energia elettrica. Le principali caratteristiche degli impianti basati su queste pile sono: alta efficienza in un'ampia banda di carichi, indipendentemente dalle dimensioni; bassa immissione di sostanze inquinanti nell'ambiente esterno; rapidità di installazione; funzionamento silenzioso; possibilità di installazione nei luoghi stessi in cui l'energia deve essere consumata. Le pile a combustione sono già oggi economicamente convenienti nelle ore di massima richiesta di energia elettrica, come centrali ausiliarie. In futuro, il perfezionamento dei processi industriali di gassificazione del carbone renderà il costo dell'energia prodotta da centrali autonome competitivo con quello delle centrali a carbone. Il calore prodotto nelle reazioni chimiche delle pile a combustione può essere facilmente usato in sistemi di teleriscaldamento e di produzione di acqua calda a bassa temperatura.

Le pile a combustibile biologico ancora in fase di studio, usano come combustibile e come ossidante, rispettivamente, i carboidrati, principalmente il glucosio presente nel sangue e l'ossigeno molecolare disciolto nel fluido interstiziale delle cellule. Come nel processo metabolico naturale il glucosio e l'ossigeno sono trasferiti dal sangue alle cellule, che li utilizzano per la produzione di energia secondo una reazione chimica catalizzata dagli enzimi da esse stesse sintetizzati, così la pila a combustione biologica riproduce in parte il funzionamento naturale delle cellule. Si presenta perciò come una sorgente di energia impiantabile, potenzialmente perpetua, in quanto il normale meccanismo omeostatico dell'organismo ospite provvede a fornire indefinitamente i reagenti e a eliminare i prodotti di reazione. La reazione totale teorica di una tale pila a combustione è la seguente:


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In pratica è assai difficile portare a termine la reazione senza la formazione di altri prodotti: occorre perciò garantirsi che essi non siano tossici per l'organismo, come lo è, es., l'acido formico. Una pila di questo genere dovrà comprendere un separatore che isoli elettricamente i due elettrodi consentendo però la migrazione degli ioni; una membrana dializzante con il compito di impedire l'ingresso nella pila alle sostanze ad alto peso molecolare presenti nel sangue, quali le proteine, le lipoproteine, ecc.; un involucro costituito da una membrana permeabile solo ai gas; un anodo e un catodo posti in idoneo catalizzatore. La reazione chimica è favorita dalla presenza sugli elettrodi del platino che funge da catalizzatore al posto degli enzimi. La differenza di potenziale che viene così a stabilirsi tra gli elettrodi fa circolare corrente nel circuito esterno collegato all'utilizzatore. La membrana costituente l'involucro del supporto meccanico della pila dovrà essere costituita da sostanze compatibili con i tessuti con i quali essa è a contatto e, per questo, si dovrà usare prevalentemente gomma al silicone (silastic) o materiali consimili. Allo stadio attuale delle ricerche le p. a combustibile biologico possono essere prese in considerazione solo per l'azionamento di pacemakers.

Le pile campione forniscono in opportune condizioni, una forza elettromotrice costante da utilizzare come elemento di confronto, quando si devono eseguire misure di forze elettromotrici o di differenze di potenziale. Il campione più noto è la pila Weston  la quale alla temperatura di 20 ºC fornisce 1,018 volt; tale forza elettromotrice varia meno di mezzo decimillesimo di volt quando la temperatura ambiente varia di un grado Celsius. L'elettrolita è una soluzione di solfato di cadmio, il polo negativo è costituito da un amalgama di cadmio e mercurio e quello positivo da mercurio e solfato di mercurio. La pila viene montata in un recipiente di vetro a forma di H e rinchiuso in una custodia, curando al massimo l'isolamento dei due poli, i cui terminali esterni sono di platino. Se si impiegano materiali molto puri, la forza elettromotrice fornita è un campione preciso a meno di 10 V; se la pila è ben conservata, la tensione diminuisce di solo una cinquantina di microvolt all'anno. Un'altra pila campione è quella Latimer-Clark che ha elettrodi amalgamati di zinco e mercurio in presenza di solfato mercuroso; l'elettrolita è una soluzione di solfato di zinco; il polo positivo è rappresentato dall'amalgama di mercurio.

La pila termoelettrica è un insieme di termocoppie associate in serie; essa non fornisce generalmente una forza elettromotrice molto elevata. Nella pila termoelettrica tutte le saldature, pila es. di posto dispari, sono tenute a temperatura ambiente, mentre quelle di posto pari sono riscaldate (o raffreddate); l'energia termica  fornita alle saldature calde si trasforma in energia elettrica solo in parte; la parte rimanente passa per conduzione termica dalle saldature calde a quelle fredde che vanno raffreddate per mantenerle a temperatura costante. Il rendimento è molto basso: un centesimo al massimo del calore erogato dalla sorgente viene trasformato in energia elettrica. La resistenza interna della pila termoelettrica è molto bassa. Vengono usate soprattutto come termometri per la misura di alte temperature.

La pila fotoelettronica è un dispositivo che è sede di una forza elettromotrice quando si illumina opportunamente la superficie di separazione di due mezzi diversi, di cui uno almeno è un conduttore ionico o un semiconduttore; essa trasforma direttamente energia raggiante in energia elettrica.

Le pile solari sono pile con rendimento elevato utilizzate per trasformare direttamente energia solare in energia elettrica. Sostanzialmente sono costituite da un certo numero di cellule fotovoltaiche al silicio; forniscono una forza elettromotrice di poco più di un volt e una potenza massima di circa 1/100 di watt al centimetro quadrato di superficie esposta. Una batteria solare può trasformare fino all'11% dell'energia raggiante ricevuta. L'assenza di sostanze chimiche corrosive e di parti mobili ne permette una durata molto lunga; largamente usate in veicoli spaziali, le loro applicazioni si sono ampiamente estese in ambito terrestre.


BATTERIA A RADIOISOTOPI:

La batteria nucleare a radioisotopi ha dimensioni ridotte, lunga durata ed è praticamente insensibile agli sbalzi termici. È basata sullo sfruttamento dell'energia di particelle cariche costituenti la radiazione di opportune sostanze radioattive. Il blindaggio della batteria, cioè l'isolamento da fughe di radiazioni, necessario per ragioni di sicurezza, ne ha limitato fino a oggi lo sfruttamento in campo industriale. Le batterie a radioisotopi sono ad autogenerazione di tensione; in esse gli elettroni, uscendo dalla sostanza attiva, producono un accumulo di cariche in una delle due armature. La differenza di potenziale che si stabilisce tra le due armature, l'una delle quali porta il radioelemento mentre l'altra raccoglie il fascio radioattivo, cresce fintanto che il suo effetto ritardatore compensa esattamente l'energia cinetica delle particelle più rapide, emesse dall'elettrodo positivo. Un altro tipo di batteria nucleare, invece di utilizzare l'energia cinetica delle particelle nucleari per assicurare la separazione delle cariche positive e negative necessaria alla costruzione di un generatore elettrico, ricorre alla differenza di potenziale esistente naturalmente al contatto tra due campi a caratteristiche elettriche differenti, per esempio quelli di due metalli diversi separati da una atmosfera di gas. La tensione convogliatrice può essere anche quella che si genera in una pinza termoelettrica per effetto del calore dovuto alla radioattività o ancora quella che si stabilisce tra due semiconduttori, uno di tipo p e uno di tipo n quando uno di essi è investito da radiazioni. Ultimamente sono state costruite batterie nucleari in cui la radiazione corpuscolare viene trasformata in radiazione ottica entro uno scintillatore ed è quindi convertita in energia elettrica in un fototubo. Un importante uso delle batterie nucleari a radiosotopi è quello di sorgente di energia all'interno del corpo umano per l'azionamento di organi artificiali. L'applicazione delle batterie nucleari a radioisotopi è particolarmente vantaggiosa soprattutto per la costanza nel tempo della potenza fornita, per una autonomia sufficientemente lunga e per la compattezza che tali generatori possiedono. L'ostacolo più grave al loro impiego è rappresentato dalla necessità di proteggere l'organismo dalle radiazioni; questa protezione viene ottenuta ricorrendo a uno o più schermi, ciascuno dei quali efficace contro un particolare tipo di emissione radioattiva. Tuttavia il problema dell'isolamento limita l'impiego di tali batterie, soprattutto perché la dose di radiazione sopportabile senza conseguenze dannose da parte dei tessuti umani è a tutt'oggi difficilmente valutabile, oltre che variabile in maniera molto marcata da un organo all'altro. La schermatura ha anche il compito di trasformare l'energia delle radiazioni arrestate in energia termica da elaborare successivamente, fino allo stadio finale di energia meccanica direttamente utilizzabile. Fra i numerosi radioisotopi attualmente conosciuti il più adatto è il plutonio 238, a causa della lunga durata della sua vita media (86 anni) e della bassa pericolosità della sua emissione radioattiva, costituita in massima parte da particelle facilmente arrestabili da un sottile schermo metallico. L'energia fornita da una batteria a radioisotopi impiantata nel corpo umano può essere sfruttata per l'azionamento di pacemakers, cuori artificiali, protesi bioforme di braccia e di gambe. Le dimensioni e il peso di un simile generatore sono determinati principalmente dalla schermatura necessaria, dipendente a sua volta dalla potenza richiesta e dal livello massimo di radiazione ammesso all'esterno del generatore stesso. La potenza richiesta varia da pochi milliwatt per un pacemaker ad alcune decine di watt per un cuore artificiale, fino ad alcune centinaie di watt per l'azionamento di protesi degli arti.





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