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Dualismo onda-particella - Interferenza di onde

chimica



Dualismo onda-particella


Un'onda è caratterizzata da un'ampiezza A, da una lunghezza l e da una frequenza f, cioè dal numero di oscillazioni (per coprire la lunghezza l) compiute nell'unità di tempo.

Fig. A

L'informazione sullo stato di moto di una particella è contenuta nella lunghezza d'onda e nella frequenza. La lunghezza d'onda è inversamente proporzionale alla quantità di moto della particella[il che significa che un'onda con piccola lunghezza corrisponde ad una particella che si muove con una grande quantità di moto (e quindi con elevata velocità)]. La frequenza dell'onda sarà infine proporzionale all'energia della particella. Un'onda con frequenza elevata indica che la particella ha grande energia, infatti E = hf. Schrödinger, con la sua celebre equazione, ha stabilito che una particella può occupare tutte le possibili posizioni all'interno dell'onda associata (o pacchetto d'onda), che dovrà avere estensione limitata nello spazio. Sia la meccanica ondulatoria che la meccanica quantistica concordano che essa dovrà pre 757i89h sentare un massimo al centro t0 dell'intervallo t1 t2 e un decremento progressivo verso le estremità t1 e t2.



Fig. B

Interferenza di onde.


Qualora si voglia definire la POSIZIONE di una particella all'interno del pacchetto d'onda, bisognerà confinare la particella in una "ristrettissima" regione di spazio, la qual cosa seguendo Fourier si ottiene sovrapponendo insieme molte onde di lunghezza d'onda differente. Ma come ci insegna de Broglie lunghezza d'onda e quantità di moto (VELOCITA') sono strettamente collegate e quindi se aumenta il numero di "enti onda" considerati, di differente lunghezza, aumenta anche il numero delle quantità di moto dell'insieme. In definitiva se per definire meglio la posizione di una particella occorre aumentare il numero delle onde (di diversa l) all'interno del pacchetto d'onda, dovrà aumentare anche il "numero" delle quantità di moto e quindi anche della velocità del pacchetto d'onda. Dal confronto delle curve di Fig. C, si vede chiaramente che per confinare in un volume più piccolo la particella, occorre comprimere il pacchetto d'onda (curva inferiore). Tale "compressione" può avvenire soltanto a spese di un aumento del numero delle onde di banda diversa, componenti il pacchetto d'onda e quindi delle quantità di moto e quindi della velocità.

Più si tenta di definire la POSIZIONE della particella (confinandola in un volume sempre più piccolo), più questa aumenta la sua VELOCITA' e viceversa

Fig. C

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Il concetto di dualismo onda-particella, ossia il fatto che le particelle elementari come l'elettrone mostrino una duplice natura, sia corpuscolare sia ondulatoria, nasce dall'interpretazione di alcuni esperimenti compiuti all'inizio del XX secolo. L'effetto fotoelettrico, per esempio, suggeriva una natura corpuscolare per la luce, che d'altra parte manifestava proprietà chiaramente ondulatorie in altri casi, per esempio nel fenomeno della diffrazione, che non era spiegabile ricorrendo all'ipotesi corpuscolare. È evidente come l'effetto fotoelettrico e la diffrazione, spiegabili attraverso due ipotesi contrastanti sulla natura della luce quali quella corpuscolare e quella ondulatoria, suggerissero per la luce una duplice natura. Si assume la presenza di particelle denominate fotoni, ciascuna dotata di una energia correlata alla frequenza della radiazione. La seguente formula fornisce la lunghezza d'onda di un raggio luminoso avente frequenza f:


c è la velocità della luce: c = 3*1010 cm/s.

In base alle osservazioni effettuate si stabilì che la luce era composta da onde. Young eseguì un esperimento che avvalorava la teoria sulla natura ondulatoria della luce. Due raggi di luce (originati dalla divisione di un unico raggio di partenza) colpivano due fenditure, intersecandosi e interferendo tra loro successivamente. L'area d'intersezione non era più luminosa, come ci si sarebbe aspettato da un modello particellare, ma presentava delle bande più luminose e meno luminose alternate, come prevedeva il modello ondulatorio: a seconda del punto di incontro i due fasci di luce si sommano o si annullano, creando un'immagine d'interferenza. Con il lavoro di Maxwell si comprese che la luce era solo una parte dello spettro della radiazione elettromagnetica. Einstein nel 1905, giustificò l'effetto fotoelettrico postulando l'esistenza di quanti di luce (che saranno chiamati da Lewis fotoni). In tale lavoro, che si ispirava al concetto di quanto di energia introdotto da Planck, compariva un'equazione di fondamentale importanza, quella che lega l'energia E di un fotone con la frequenza della luce f E = h f (dove h = 6,6 x 10-27 erg . s è la costante di Planck

Nel 1924 De Broglie ipotizzò che tutta la materia avesse proprietà ondulatorie: ad un corpo con quantità di moto q veniva infatti associata un'onda di lunghezza


Tale equazione è una generalizzazione dell'equazione di Einstein, visto che per ogni onda elettromagnetica valgono le relazioni lf = c (proprietà delle onde) e q = E/c (q. di m. di un fotone).


Diffrazione di particelle


Osservare la diffrazione di un elettrone o di un neutrone consente di verificare l'esistenza della dualità onda-particella: la lunghezza d'onda di queste particelle è sufficientemente piccola da essere usata nella scansione della struttura atomica dei cristalli. La lunghezza d'onda associata ad una particella è la cosiddetta lunghezza d'onda di De Broglie:


dove h è la costante di Planck e v e m sono rispettivamente la velocità e la massa della particella; λ è caratteristica di qualsiasi oggetto materiale, anche se è rilevabile solo per entità con piccola massa, come gli atomi e altre particelle.

Legge di Bragg


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Facendo incidere un'opportuna onda elettromagnetica su di un reticolo cristallino si osservano fenomeni d'interferenza, causate dalla riflessione di onde riflesse da piani cristallini diversi ma paralleli. Questo fenomeno fu interpretato per la prima volta da W. Lawrence Bragg nel 1913, riassunta nella cosiddetta legge di Bragg:

n 2dsen

dove:

è l'angolo che il fascio incidente forma col piano cristallino,

è la lunghezza d'onda della radiazione,

d è la distanza tra due piani paralleli.

La formula si spiega in maniera analitica considerando una differenza di cammino ottico pari a 2dsen q

n indica l'ordine della diffrazione, tipicamente solo quello per n=1 è apprezzabile.


Effetto fotoelettrico

L'effetto fotoelettrico rappresenta l'emissione di cariche elettriche negative da una superficie, solitamente metallica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica. Tale effetto è stato fondamentale per comprendere la natura quantistica della luce. Nel 1900 Lenard studiò tale effetto, trovando che la luce incidente su una superficie metallica ne fa uscire elettroni, la cui energia non dipende dall'intensità della luce.

Emissione di elettroni da

una piastra di metallo

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Quando la luce colpisce una superficie metallica pulita, il catodo C, vengono emessi elettroni. Se alcuni di questi colpiscono l'anodo A, si misura della corrente nel circuito esterno. Il numero di elettroni emessi che raggiungono l'anodo può essere aumentato o diminuito rendendo l'anodo positivo o negativo rispetto al catodo. Detta V la differenza di potenziale tra A e C, si può vedere che solo da un certo potenziale in poi (detto potenziale d'arresto) la corrente inizia a circolare, aumentando fino a raggiungere un valore massimo, che rimane costante. Questo massimo valore è direttamente proporzionale all'intensità della luce incidente. Il potenziale d'arresto è legato all'energia cinetica massima degli elettroni emessi dalla relazione


dove me è la massa dell'elettrone, v la sua velocità, e la sua carica. Ora, la relazione che lega le due grandezze è proprio quella indicata perché se V è negativo, gli elettroni vengono respinti dall'anodo, tranne se l'energia cinetica consente loro di arrivare su quest'ultimo. D'altra parte si notò che il potenziale d'arresto non dipendeva dall'intensità della luce incidente, sorprendendo lo sperimentatore, che si aspettava il contrario. Infatti, classicamente, il campo elettrico portato dalla radiazione avrebbe dovuto mettere in vibrazione gli elettroni dello strato superficiale fino a strapparli al metallo. Usciti, la loro energia cinetica sarebbe dovuta essere proporzionale all'intensità della luce incidente e non alla sua frequenza, come sembrava sperimentalmente. I fotoni che arrivano sul metallo cedono energia agli elettroni dello strato superficiale del solido; gli elettroni acquisiscono così l'energia necessaria per rompere il legame: in questo senso l'ipotesi più semplice è che il quanto cede all'elettrone tutta l'energia in suo possesso. A questo punto l'elettrone spenderà energia per arrivare in superficie e per abbandonare il solido: da qui si può capire che saranno gli elettroni eccitati più vicini alla superficie ad avere la massima velocità normale alla stessa.


Modello atomico di Bohr


Il modello atomico proposto da Bohr nel 1913 è la più famosa applicazione della quantizzazione dell'energia, che, insieme all'equazione di Schrödinger e alle spiegazioni teoriche sulla radiazione di corpo nero e sull'effetto fotoelettrico sono la base della meccanica quantistica. Il modello, proposto per l'atomo di idrogeno, ottenne degli eccellenti risultati, coincidenti, con lo spettro sperimentale. Nel 1911, sotto la supervisione di Rutherford, Geiger e Marsden, portarono avanti un esperimento per la comprensione della struttura dell'atomo, bombardando una sottile lamina d'oro con particelle alfa e notando che mentre la maggior parte di esse passava con deviazioni minime dalla traiettoria iniziale, altre venivano notevolmente deviate o addirittura respinte. Con questo esperimento mostrarono come l'atomo fosse composto da un centro massivo (il nucleo) circondato da leggere cariche negative. Fu proprio grazie a questo esperimento che Bohr ebbe l'idea per il suo famoso modello con il quale si riesce a spiegare completamente lo spettro di emissione dell'atomo di idrogeno.

Il modello

Bohr propose un modello che mettesse insieme i risultati ottenuti da Planck, Einstein e Rutherford, e riuscì a prevedere con successo gli spettri dell'idrogeno osservati. Il fisico danese suppose che l'elettrone si muovesse intorno al suo nucleo sotto l'influenza dell'attrazione coulombiana, con orbite circolari. L'atomo proposto da Rutherford, però, è elettricamente instabile: l'elettrone, infatti, nel suo moto intorno al nucleo positivo, accelerando, è costretto ad irraggiare energia elettromagnetica con frequenza uguale a quella del suo moto, perdendo quantità di moto e iniziando a cadere sul nucleo con un moto a spirale. Bohr risolse questo primo problema proponendo:

primo postulato di Bohr: l'elettrone può muoversi solo su alcune determinate orbite non-radiative, dette stati stazionari;

secondo postulato di Bohr: l'atomo irraggia solo quando, per un qualche motivo,   l'elettrone effettua una transizione da uno stato stazionario ad un altro.

In realtà Bohr enunciò altri due principi, il terzo e il quarto, che furono poi smentiti da osservazioni successive. La frequenza della radiazione è legata alle energie dei livelli di partenza e d'arrivo dalla relazione:

hf = Ei - Ef

dove h è la costante di Planck, mentre Ei ed Ef sono le energie dell'orbita iniziale e finale. Questa ipotesi è certamente quella più importante nell'intera costruzione teorica di Bohr, in quanto afferma che la conservazione dell'energia non viene violata grazie all'emissione di un fotone, laddove la teoria classica richiede che la frequenza della radiazione emessa sia quella del moto della particella carica. L'insieme delle radiazioni costituisce lo spettro elettromagnetico. Le radiazioni sono onde elettromagnetiche caratterizzate da una lunghezza d'onda e da una frequenza. Poiché la lunghezza d'onda e la frequenza di una radiazione sono inversamente proporzionali, tanto minore sarà la lunghezza d'onda, tanto maggiore sarà la frequenza e quindi l'energia.


Principio di indeterminazione di Heisenberg


Nella fisica quantistica, il principio di indeterminazione di Heisenberg sostiene che:

sono fra loro complementari gli errori che si commettono nella determinazione sperimentale contemporanea di alcune coppie di grandezze fisiche

cioè quantifica esattamente l'imprecisione. Il significato del principio è che quanto più piccolo è l'errore che si commette nella misura dell'una tanto più grande sarà l'errore che accompagna la misura dell'altra grandezza fisica. È una delle chiavi di volta della meccanica quantistica e venne formulato da Heisenberg nel 1927. Posizione e quantità di moto di una particella costituiscono una di queste coppie di grandezze. Il principio è abitualmente reso con la formula

ΔxΔp

Col significato che: il prodotto dell'errore Δx che accompagna la misura della componente x della posizione di una particella e l'errore Δp che accompagna la misura della componente lungo x della quantità di moto è almeno uguale a h/4p


Quantità di moto di un oggetto senza massa


Particelle senza massa come il fotone trasportano un momento. La formula è:

q

Normalmente ci si aspetta che lo stato di una microparticella in movimento (consideriamo ad esempio un elettrone in rotazione attorno al nucleo) sia caratterizzato completamente ricorrendo a due parametri : velocità e posizione. Heisenberg postulò invece, che ad un certo livello queste quantità sarebbero dovute rimanere sempre indefinite. Questo principio afferma che maggiore è l'accuratezza nel determinare la posizione di una particella, minore è la precisione con la quale si può accertarne la velocità e viceversa.

Quando si pensa all'apparecchiatura necessaria per eseguire le misurazioni, questa indeterminazione risulta intuitiva. I dispositivi di rilevazione sono così grandi che la misurazione di un parametro come la posizione è destinata a modificare la velocità. In nessun senso si può ritenere che una microparticella possieda in un dato istante una posizione e una velocità. Il fatto che non si riesca a misurare contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella non è dovuto soltanto a restrizioni di ordine pratico, ma è un limite obiettivo della natura. In altri termini la particella allo "stato naturale" non ha oggettivamente una velocità e una posizione. Questo nasce essenzialmente dalla natura ondulatoria - corpuscolare della materia. Si noti infine che il Principio di Indeterminazione è valido per qualsiasi "oggetto", ma in pratica ha conseguenze importanti solo se applicato a particelle di dimensioni atomiche o subatomiche, perché quando si tratta di corpi ordinari, data la piccolezza della costante h esso perde gran parte del suo significato.


L'indeterminazione dal punto di vista sperimentale


Per misurare la POSIZIONE di un oggetto microscopico come un elettrone occorre investirlo con un raggio di luce (fotoni) o comunque qualcosa che in ultima analisi risulti avere all'incirca le medesime dimensioni dell'elettrone. Questo fa si che l'elettrone risulti perturbato da questa interazione che ne modifica inesorabilmente la velocità. La stessa cosa, ma in situazioni opposte, avviene nel caso in cui si voglia conoscere la VELOCITA' di un elettrone. Le dimensioni fisiche di "energia per tempo" e di "quantità di moto per spazio" sono proprio quelle dell'azione, sono cioè quelle della costante (h) di Planck. Il termine interazione usato per ogni processo quantistico di misurazione è quindi vero letteralmente, dato che si ha proprio a che fare con lo scambio della grandezza fisica azione fra lo strumento e il sistema fisico misurato, che a causa delle dimensioni atomiche di quest'ultimo, comporta su di esso un'inevitabile perturbazione. Un esempio d'indeterminazione sperimentale può essere il tentativo di determinazione simultanea della TRAIETTORIA e della POSIZIONE di un oggetto in movimento:

si supponga di voler determinare, per mezzo di una fotografia, la POSIZIONE, di una palla di cannone. Naturalmente se la palla percorre la propria parabola a notevole velocità, la fotografia risulterà mossa a meno che si usi un otturatore ad alta velocità. Più l'oggetto risulterà "fermato", più velocemente sarà scattato l'otturatore. Ma in questo caso si sarà pagato un prezzo nella definizione della traiettoria; risultando la palla di cannone ferma. D'altro canto usando un otturatore a bassa velocità, si fotograferà una linea indistinta che rappresenta fedelmente la TRAIETTORIA della palla, ma che non da nessuna indicazione sulla posizione. In conclusione più si tenta di definire la traiettoria dell'oggetto più si perde informazione sulla posizione e viceversa.


L'equazione di Schrödinger


L'equazione di Schrödinger è l'equazione fondamentale della meccanica quantistica. La sua risoluzione in molti casi non è possibile. Tuttavia esiste un metodo di risoluzione generale che va sotto il nome di metodo di Fourier per la soluzione di equazioni differenziali, che permette subito di ottenere importanti informazioni sul sistema. Infatti esplicitiamo l'operatore hamiltoniano dell'equazione di Schrödinger unidimensionale:

Hy = Ey

L'equazione di Schrödinger per l'operatore hamiltoniano H = T + V, si scrive:

+ Vy = Ey

in cui m e V sono noti ed E e y incogniti, e dove T = . L'operatore hamiltoniano fornisce la dipendenza temporale della funzione d'onda e permette tramite la soluzione dell'equazione di Schrödinger di risolvere il problema agli autovalori per l'energia. In generale





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