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ONCOGENI E CANCRO

medicina



ONCOGENI E CANCRO


Una delle maggiori caratteristiche di tutti gli eucarioti più complessi è la durata definita della vita dell'organismo, una caratteristica che si estende ad ogni singola cellula somatica, la cui crescita è finemente regolata. Un'importante eccezione è costituita dalle cellule cancerose, che si presentano come una variante che ha perso il suo normale controllo sulla crescita. La loro capacità di crescita in zone inappropriate o di moltiplicazione sregolata può essere letale per il soggetto in cui si sviluppano. Ci sono 3 tipi di modificazioni che interessano una cellula quando diventa tumorale:

  • Immortalità, che rappresenta la capacità di crescita indefinita (senza che ci sia necessariamente nessun'altra modificazione nel fenotipo).
  • Trasformazione, che rappresenta il fallimento dell'azione dei normali meccanismi di controllo sulla crescita.
  • Metastasi, che rappresenta lo stadio nel quale la cellula cancerosa guadagna la capacità di invadere i tessuti normali, così che può spostarsi dal tessuto d'origine e formare una nuova colonia in un'altra parte del corpo.

Per descrivere le modificazioni che permettono ad una cellula di superare il normale controllo e scatenare tumori, abbiamo bisogno di paragonare le caratteristiche della crescita di una cellula normale e di una mutata in vitro. Le cellule mutate possono essere cresciute facilmente, ma è molto più difficile far crescere le loro corrispondenti non mutate. Quando le cellule sono prelevate da un organismo vertebrato e poste in coltura, cresco 757c28h no per parecchie divisioni, ma poi entrano in una fase di stasi, nella quale la crescita cessa. Questa fase è seguita da una crisi, nella quale la maggior parte delle cellule muore. Quelle che sopravvivono sono capaci di dividersi indefinitamente, ma le loro proprietà sono cambiate nel momento stesso in cui superano la crisi. La natura della crisi non è ben definita e non si sono ancora compresi i cambiamenti molecolari che permettono alla cellula di crescere in coltura, ma all'inizio questi cambiamenti comprendono anche il processo di immortalità. (Le caratteristiche della crisi dipendono sia dalla specie sia dai tessuti. In genere le cellule del topo entrano in crisi circa alla 12° generazione. Le cellule umane, invece, entrano in crisi circa alla 40° generazione anche se è raro che riescano ad uscirne, infatti solo qualche tipo di cellula umana può superarla). La limitazione della durata della vita della maggior parte delle cellule a causa della crisi ci porta a 2 ipotesi, non del tutto soddisfacenti, sullo studio delle cellule non mutate:



  • Le cellule originarie sono le dirette discendenti di cellule prelevate direttamente dall'organismo. Esse riproducono fedelmente il fenotipo in vivo, ma in molti casi sopravvivono solo per un periodo relativamente corto a causa dell'estinzione della colonia per una crisi.
  • Le cellule che hanno superato la crisi sono pronte a formare una popolazione cellulare non tumorale. Possono essere perpetuate indefinitamente, ma le loro caratteristiche sono cambiate nell'attraversare la crisi e possono continuare a cambiare durante l'adattamento alla cultura. Queste modificazioni possono in parte assomigliare a quelle coinvolte nella formazione dei tumori, che riducono l'utilità delle cellule. Una linea cellulare formatasi per definizione è diventata immortale, ma generalmente non è tumorale.

Le popolazioni cellulari non tumorali formatesi mostrano caratteristiche particolari simili a quelle delle colture originali e spesso includono:

  • Dipendenza dall'ancoraggio→ è necessaria una superficie solida e stabile in modo che le cellule vi si ancorino
  • Dipendenza dal siero (o da un fattore di crescita)→ il siero è necessario per fornire essenziali fattori di crescita
  • Inibizione dipendente dalla densità→ le cellule crescono solamente fino ad una certa densità perché la crescita è inibita, forse, da processi che coinvolgono il contatto cellula-cellula
  • Organizzazione del citoscheletro→ le cellule sono piatte e stese sulla superficie sulla quale stanno crescendo e hanno una tipica trama allungata di fibre in tensione (sono costituite da filamenti di astina).

La conseguenza di queste caratteristiche è che le cellule crescono come un unico strato (cioè uno strato spesso un'unica cellula) su un substrato. Queste caratteristiche forniscono parametri con i quali si può determinare la normalità di una cellula. Naturalmente ogni linea cellulare costituitasi fornisce solo un'approssimazione del controllo in vivo. Il bisogno di analizzare per precauzione le basi genetiche per il controllo della crescita in queste popolazioni cellulari è messo in rilievo dal fatto che quasi sempre presentano delle alterazioni del corredo cromosomico e non sono realmente diploidi. Una cellula il cui corredo cromosomico è diverso da quello diploide è detta aneuploide. Le colture di cellule prelevate da un tumore invece che da tessuti normali mostrano alterazioni in alcune o tutte di queste caratteristiche. Sono dette cellule mutate. Una cellula mutata cresce in condizioni molto meno specifiche. Ha una ridotta dipendenza dal siero, non necessita di adesione ad una superficie solida (così che le singole cellule si raccolgono invece di distendersi) e le cellule si ammucchiano in uno spesso ammasso (chiamato focolaio) invece di moltiplicarsi come una superficie monostratificata. Inoltre le cellule possono formare tumori se iniettate in specifici animali-cavia. Sarebbe semplice pensare che c'è un unico meccanismo per la formazione di cellule cancerose; ci sono molti tipi di modificazioni nella costituzione cellulare che conferiscono l'abilità di formare un tumore. Comunque i due processi di immortalità e trasformazione delle cellule in coltura portano a un paradigma sulla formazione dei tumori animali. Paragonando le popolazioni cellulari mutate con le cellule mutate, speriamo di identificare le basi genetiche per la formazione dei tumori e anche di capire i processi fenotipici coinvolti in questa trasformazione. Certamente gli eventi trasformano cellule normali in cellule mutate e forniscono modelli per i processi coinvolti nella formazione dei tumori. Generalmente nella formazione di un tumore sono coinvolte parecchie mutazioni genetiche e a volte i tumori acquisiscono virulenza grazie ad una progressiva serie di cambiamenti. L'incidenza dei tumori nell'uomo in relazione all'età suggerisce che di solito occorrono 6-7 eventi in un lasso di tempo di 20-40 anni per provocare un tumore. In alcuni (rari) casi la predisposizione al cancro è trasmessa come un carattere mendeliano, con la conseguenza che una singola mutazione genetica è un'importante e necessaria componente (sebbene siano necessarie altre mutazioni). Una grande varietà di fattori aumentano la frequenza con la quale cellule (o animali) sono convertite in forme mutate e questi fattori sono detti cancerogeni. Talvolta questi fattori cancerogeni sono suddivisi in quelli che "provocano" e quelli che "favoriscono" la formazione del tumore, implicando la presenza di differenti fasi dello sviluppo del tumore. I fattori cancerogeni possono causare modificazioni epigenetiche o (nella maggior parte dei casi) possono agire direttamente o indirettamente per cambiare il genotipo della cellula. Ci sono due classi di geni nei quali le mutazioni possono causare trasformazione:

  • Oncogeni, che erano inizialmente identificati come geni veicolati da virus e che provocavano trasformazione nelle loro cellule target. La maggior parte degli oncogeni virali ha il suo corrispondente cellulare, che è coinvolto in normali funzioni cellulari. I geni cellulari sono chiamati proto-oncogeni, e in alcuni casi la loro mutazione o attivazione anormale è coinvolta nella formazione di tumori. Sono stati identificati circa 100 oncogeni. Gli oncogeni si classificano in diversi gruppi, che rappresentano diversi tipi di funzioni che vanno dalle proteine transmembrana ai fattori di trascrizione, e la definizione di queste funzioni può quindi portare alla comprensione dei tipi di mutazioni che sono coinvolti nella formazione del tumore. La formazione di un oncogene rappresenta un guadagno di funzione in cui il proto-oncogene cellulare è impropriamente attivato. Questo può provocare un cambiamento nella proteina, o a un'attivazione costitutiva, eccessiva espressione, o un'incapacità a bloccare l'espressione al momento giusto.
  • Soppressori di tumore sono trasformati da delezioni (o altre mutazioni inattivanti) che sono oncogene. La prova più soddisfacente della loro esistenza è fornita da alcuni tumori ereditari, in cui i pazienti sviluppano tumori che hanno perso entrambi gli alleli, e inoltre mancano di un gene attivo. Ora è chiaro che mutazioni in questi geni possono associarsi con l'evoluzione di una vasta gamma di tumori. Oggi si conoscono circa 10 geni soppressori di tumore. Essi rappresentano la perdita di funzione di un gene che normalmente pone dei freni al ciclo o alla crescita cellulare; la mancanza di questo controllo è oncogena.




SOMMARIO


Una cellula tumorale è distinguibile da una normale per la sua immortalità, trasformazione morfologica e (talvolta) capacità di formare metastasi. Gli oncogeni sono identificati da mutazioni genetiche che rappresentano un guadagno funzionale associato all'acquisizione di queste capacità. Un oncogene può derivare dalla mutazione di un proto-oncogene che modifica la sua funzione o il suo livello funzionale. I soppressori di tumore sono identificati da mutazioni che provocano una perdita di funzionalità con conseguente aumento della proliferazione cellulare. Le mutazioni possono o inattivare il gene soppressore di tumore o crearne una versione negativa dominante.


I virus tumorali a DNA trasportano oncogeni senza la controparte cellulare. I loro oncogeni possono agire inibendo l'attività dei geni soppressori di tumore. I virus tumorali a RNA trasportano geni v-onc, che derivano dall'mRNA trascritto dai geni cellulari (c-onc). Alcuni v-onc mantengono l'intera lunghezza del proto-oncogene (c-onc), ma altri sono troncati ad una o entrambe le estremità. Nella maggior parte sono espressi come proteine di fusione con un prodotto retrovirale. Src rappresenta un'eccezione in cui il retrovirus (RSV) è competente nella replicazione e la proteina è espressa come un'entità indipendente.


Alcuni geni v-onc sono qualitativamente diversi dai loro corrispondenti c-onc, infatti il gene v-onc è oncogeno a bassi livelli della proteina mentre il gene c-onc non è attivo nemmeno a livelli elevati. In questi casi, i proto-oncogeni sono attivati efficacemente solo da mutazioni nella codifica della sequenza della proteina. Altri proto-oncogeni possono essere attivati da un grande incremento (>10X) nel livello di espressione; c-myc ne è un esempio è può essere attivato quantitativamente in diversi modi tra cui traslocazioni con i loci Ig o TCR oppure inserzioni di retrovirus.


I geni c-onc hanno un corrispettivo gene v-onc nei retrovirus, ma alcuni proto-oncogeni sono stati identificati solo per la loro associazione con i tumori cellulari. L'analisi della transfezione (infezione di una cellula con acido nucleico virale seguita dalla produzione del virus completo nella cellula) identifica alcune sequenze c-onc attivate per la loro abilità di trasformare i fibroblasti. I geni ras sono la classe predominante identificata da questa analisi. La creazione di topi transgenici dimostra direttamente il potenziale trasformante di alcuni oncogeni.


Le oncoproteine cellulari possono derivare da diversi tipi di geni. La caratteristica comune è che il prodotto di ogni tipo di gene sembra essere determinante nella regolazione della crescita e l'oncoproteina ha una mancanza di regolazione o un'aumentata attività.


I recettori per i fattori di crescita localizzati nella membrana plasmatica sono rappresentati da versioni tronche nei geni v-onc. I recettori cellulari hanno spesso proteine ad attività tirosino-kinasica. Le versioni oncògene hanno un'attività costitutiva o una regolazione alterata. Nello stesso modo mutazioni dei geni per i fattori di crescita proteici provocano la formazione di oncogeni, perché un recettore diventa inappropriatamente attivato.


Alcune oncoproteine sono tirosine kinasi citoplasmatiche; i loro bersagli sono quasi del tutto sconosciuti. Possono essere attivate in risposta ad un'autofosforilazione dei recettori ad attività tirosino-kinasica. Le basi molecolari della differenza tra c-Src e v-Src stanno nello stato di fosforilazione delle due tiroxine. La fosforilazione della Tir-527 all'estremità terminale di c-Src sopprime la fosforilazione della Tir-416. La Tir-527 fosforilata si lega al dominio SH2 di Src. Comunque quando il dominio SH2 riconosce la sequenza polipeptidica creata dall'autofosforilazione del recettore PDGF; il recettore PDGF rimuove la regione C-terminale di Src, permettendo così la defosforilazione della Tir-527, con la conseguente fosforilazione della Tir-416 e attivazione dell'attività kinasica. v-Src ha perso il C-terminale repressivo che include la Tir-527 e inoltre ha permanentemente fosforilato la Tir-416, ed è costitutivamente attivo.




Le proteine Ras possono legare GTP e sono correlate con le subunità α delle proteine G coinvolte nella traduzione del segnale attraverso la membrana cellulare. Le varianti oncògene hanno una ridotta attività GTPasica, e inoltre sono costitutivamente attive. L'attivazione delle proteine Ras è una fase fondamentale nella traduzione a cascata del segnale che è indotta dall'attivazione di un recettore ad attività tirosino-kinasica così come di un recettore EGF; la cascata è continuata dalla ERK MAP kinasi, che è una serina/treonina kinasi, e termina con la fosforilazione nucleare dei fattori di trascrizione compreso Fos.


Le oncoproteine nucleari possono essere direttamente coinvolte nella regolazione dell'espressione genica e comprendono Jun e Fos, che sono parti del fattore di trascrizione AP1. v-ErbA deriva da un altro fattore di trascrizione, il recettore per l'ormone tiroideo, ed è un mutante dominante negativo che impedisce il funzionamento del fattore cellulare. v-Rel è in relazione col comune fattore NF-κB, ma è sconosciuto il meccanismo della sua azione oncògena.


Il retinoblastoma insorge quando entrambe le copie del gene RB sono delete o inattivate. Il prodotto di RB è una fosfoproteina nucleare il cui stato di fosforilazione controlla l'entrata nella fase S. Se RB non è fosforilato sequestra il fattore di trascrizione E2F. Il complesso RB-E2F reprime alcuni geni bersaglio. E2F viene rilasciato quando RB viene fosforilato da complessi ciclica/cdk; E2F può poi attivare geni i cui prodotti sono necessari per la fase S. La mancanza di RB previene la repressione da parte di RB-E2F e ciò significa che E2F è costitutivamente disponibile. Gli antigeni T per l'adenovirus E1A e il papovavirus fanno si che RB si trovi nello stato non fosforilato, e perciò impediscono il legame con E2F.


p53 era inizialmente classificata come un oncogene per il fatto che le mutazioni missenso al suo interno sono oncògene. Ora è classificata come un soppressore di tumore perché le mutazioni missenso in realtà inibiscono l'attività di p53. Lo stesso fenotipo è prodotto da una perdita di entrambi gli alleli. Il livello di p53 è generalmente basso, ma in risposta ad alterazioni del DNA, l'attività di p53 aumenta, e può agire in due modi diversi, a seconda dello stadio cellulare e del fenotipo della cellula. All'inizio del ciclo, fornisce un punto d controllo che impedisce di progredire ulteriormente; questo permette al DNA danneggiato di poter essere riparato prima della duplicazione. Più tardivamente nel ciclo p53 induce apoptosi, così che la cellula il cui DNA è danneggiato muore invece di perpetuarsi. Un deficit della funzione di p53 è comune nelle linee cellulari stabilite e può essere importante per il processo di immortalità. La mancanza di p53 è comune nei tumori umani e può contribuire alla progressione di una larga varietà di tumori, senza specificità per il tipo di cellula.


p53 ha un dominio per legare una sequenza specifica di DNA che riconosce una sequenza palindromica (circa 10 paia di basi); i geni i cui promotori contengono questa sequenza e che sono attivati da p53 sono l'inibitore p21 della cdk e la proteina GADD45 (che viene attivata in molti modi in risposta ad un danno del DNA). L'attivazione di questi e altri geni (incluso un dominio per la transattivazione che interagisce direttamente con TBP) è probabilmente il meccanismo con cui p53 provoca l'arresto del ciclo cellulare. La capacità di p53 di attivare questi geni target è aumentata dopo che si è legata al DNA danneggiato, meccanismo per il quale usa diversi domini di legame al DNA (non sequenza-specifici). p53 ha anche, in modo meno sviluppato, la capacità di reprimere alcuni geni. p53 mutata invece manca di queste proprietà, e perciò permetta la perpetuazione di cellule con DNA danneggiato. La mancanza di p53 può essere associata con un'aumentata amplificazione di sequenze di DNA.


p53 può essere legata da oncogeni virali tra cui l'antigene T SV40, le cui proprietà oncògene derivano, almeno in parte, dalla capacità di bloccare la funzione di p53. p53 può anche essere legata dal proto-oncogene cellulare Mdm2, che inibisce la sua attività. p53 e Mdm2 sono antagonisti reciproci.


Il locus INK4A contiene due soppressori di tumore, che entrambi controllano assieme i meccanismi della maggior parte dei geni soppressori d tumore. p19ARF inibisce Mdm2, così che p19 in effetti attiva p53. p16INK4A inibisce la kinasi cdk4/6, che fosforila RB. Delezioni di INK4A inoltre bloccano entrambe le vie dei soppressori di tumore inducendo l'attivazione sia di Mdm2 (inibendo p53) sia di cdk4/6 (inibendo RB).


La mancanza di p53 può essere necessaria per l'immortalità perché sia il controllo in G1 sia l'induzione dell'apoptosi sono inattivate. La telomerasi è di solito inattiva nelle cellule in differenziazione e rappresenta un meccanismo di soppressione tumorale prevenendo una crescita indefinita. La riattivazione della telomerasi è in genere necessaria per permettere una proliferazione continua delle cellule tumorali.










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