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ALTERITÀ

comunicazione



alterità


Ciò che definisce l'alterità non è il fatto che i due termini non siano identificabili, ma che non siano contrapponibili l'uno all'altro. L'alterità appartiene all'ambito delle cose incomparabili. Essa non è negoziabile, eppure circola nella forma della complicità e della relazione duale, che sia nella seduzione amorosa o in gu 646j96g erra. L'alterità non si oppone neppure all'identità, ma gioca con essa. Allo stesso modo l'illusione non si oppone al reale, il simulacro non si oppone alla verità, ma giocano con essi. Oggi ciò che pretende di essere singolare, incomparabile, e che non rientra nel gioco delle differenze, deve essere sterminato, o fisicamente o per integrazione nel gioco differenziale, in cui tutte le singolarità svaniscono nel campo universale. Così accade alle culture primitive: i loro miti sono diventati paragonabili sotto il segno dell'analisi strutturale.

Il peggio è in questa riconciliazione di tutte le forme antagonistiche all'insegna del consenso e della convivialità. Non si deve riconciliare nulla, occorre tenere viva la disparità dei termini, vivere le forme dell'irriducibile. Quando l'alterità viene a mancare sentiamo il bisogno assoluto di produrre l'Altro come differenza, anziché vivere l'alterità come destino. Questo 'meccanismo istintuale' vale per il corpo, il sesso, la relazione sociale. Con la modernità l'altro non è più oggetto di passione, ma di produzione, perché nell'interazione immediata, la più alta definizione dell'altro corrisponde alla più bassa definizione dell'alterità e dello scambio. Ciò che regge la sfera della comunicazione (interfaccia, immediatezza, abolizione del tempo e della distanza), non ha alcun senso in quella dello scambio, dove la regola vuole che quanto sia dato non venga mai restituito immediatamente. La migliore strategia per rovinare qualcuno è quella di eliminare tutto ciò che lo minaccia e di fargli così perdere tutte le sue difese, e adesso lo stiamo applicando a noi stessi.



Oggi è difficile essere più indifferenti dei fatti stessi alla loro realtà, più indifferenti delle immagini al loro senso. L'indifferenza ci è stata rubata, la sua potenza, che caratterizza il mondo e che qualifica lo spirito per contrasto col gioco delle differenze, non sembra far più parte delle nostre vite. Per annullare questa programmazione 'sociale' dello scambio che livella i destini, basta introdurre l'arbitrio del caso o di una regola del gioco. Con l'istituzione collettiva del caso, con una ridistribuzione aleatoria degli statuti, ogni esistenza risulta singolare, incomparabile, senza determinazione logica. Alla fine tutti preferiscono essere individui qualunque, a seconda della Lotteria, avere un destino accidentale, piuttosto che un'esistenza personale. Oggi siamo diventati individui qualunque in modo vergognoso, nella promiscuità statistica, nella monotonia collettiva. (Vedi capitolo 'ILLUSIONE').

Osserviamo anche individui che non potendo comunicare, sono vittime di un'alterità profusa. Essi interpretano contemporaneamente tutti i ruoli, il loro e quello dell'altro, aderiscono completamente alla presenza dell'altro a tal punto da non conoscere più i limiti della loro. L'altro però, in questo caso, è semplicemente un oggetto transizionale: il beneficio secondario della perdita dell'altro consiste nel potersi trasformare in individui qualunque.

Vi è di più, come tutto il movimento di costruzione tecnica del corpo e del desiderio termina nella pornografia, così tutto il movimento di una società indifferente termina nella vittimalità e nell'odio. Il razzismo per esempio avrebbe dovuto regredire, da un punto di vista logico, con lo svilupparsi del'Illuminismo e della democrazia: ora, quanto più le culture s'incrociano, quanto più il suo fondamento teorico e genetico crolla, tanto più il razzismo si rafforza. La stessa indifferenza può portare a comportamenti opposti: il razzismo cerca l'altro sotto forma di  male da combattere, l'aiuto umanitario lo cerca altrettanto disperatamente sottoforma di vittima da soccorrere. (Vedi capitolo 'NUOVA Vittimalità'). Dietro la ripulitura di tutte le categorie in nome della loro differenza si profila sempre il disprezzo.



Un ultimo pensiero di Jameson, parlando di un museo delle cere e dei cervelli degli spettatori postmoderni che vi si aggirano: "[.] il momento di esitazione o di dubbio in cui vi chiedete se queste figure di poliestere sono calde o se respirano, tende a rimbalzare sugli esseri umani reali che si aggirano intorno a voi nel museo, e a trasformarli per un brevissimo istante in altrettanti, veri simulacri [.]." (Jamenson, 'Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo', pg.65).







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