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I promessi sposi di Alessandro Manzoni

narrativa



I promessi sposi

di Alessandro Manzoni



Il primo capitolo.


Il romanzo si apre con una dettagliata descrizione dei luoghi in cui si ambientano le prime fasi della storia. L'autore ci offre una descrizione del lago, dei mon 242e42c ti, del fiume Adda, della città di Lecco e dei paesini circostanti come se li vedesse dall'alto, in una ipotetica ripresa aerea.

La dolcezza con la quale viene descritto il paesaggio iniziale e con la quale il Manzoni descrive anche le violenze dei soldati crea un curioso effetto di ironica drammaticità.

La descrizione del paesaggio riprende, ma questa volta il punto d'osservazione è sulle pendici dei monti circostanti, dove, per una delle innumerevoli stradine di campagna, sta passeggiando Don Abbondio.

La passeggiata di Don Abbondio prosegue tranquilla per un certo periodo, durante il quale l'autore ci fornisce un primo quadro psicologico del personaggio, deducibile dal suo modo di camminare, dagli avverbi che lo accompagnano (oziosamente, tranquillamente) e dal gesto di scansare con il piede i ciottoli che gli si parano davanti, metafora del suo abitudinario e tranquillo modo di vita. Ad un certo punto, la passeggiata del curato deve interrompersi di botto, per lasciare spazio all'episodio fondamentale che è all'origine della storia. Don Abbondio, arrivato a un bivio della strada, incontra due bravi che intendono parlargli.



L'autore si sofferma sull'aspetto e l'abbigliamento dei bravi e cita le "gride", cioè le disposizioni legali, emanate dai diversi governanti di Milano nel corso degli anni, al fine di estirpare il fenomeno della clientela dei bravi al servizio dei vari signorotti locali, commentandone ironicamente tra le righe, la completa inefficacia.

Don Abbondio essendosi accorto che i due bravi aspettano proprio lui e che non ha scampo, si avvicina loro fingendosi tranquillo. I due bravi gli sbarrano quindi la strada e gli intimano di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, e lo informano di essere stati mandati da Don Rodrigo, un potente signorotto del luogo.

Spaventato al nome di Don Rodrigo, Don Abbondio si dichiara più volte disposto all'obbedienza e i due bravi se ne vanno, lasciandolo sconvolto.

L'episodio dà spazio all'autore per una digressione sul clima di violenza che caratterizza il Ducato di Milano sotto la dominazione spagnola. In questo duro quadro sociale, si inserisce Don Abbondio, e ci viene dunque fornita la spiegazione della sua vocazione a parroco: egli è infatti un uomo poco aggressivo e pacifico, che per resistere in una società violenta come quella dei territori sotto la dominazione spagnola nel XVII secolo decide di inserirsi in una classe riverita e potente come quella ecclesiastica e di elaborare un sistema di totale neutralità o di schieramento con il più forte, per difesa dai pericoli del mondo esterno.

La narrazione riprende con il soliloquio nel quale Don Abbondio si interroga su cosa dire a Renzo, sulle sue possibili reazioni, e su che cosa avrebbe potuto dire ai bravi. Infine inveisce contro Don Rodrigo.

Don Abbondio giunge infine stravolto a casa, dove, dopo vari tentennamenti, si confida alla sua serva, Perpetua, una donna popolana decisa, energica e un po' pettegola. Perpetua gli consiglia di rivolgersi al vescovo di Milano, ma Don Abbondio, terrorizzato all'idea di ribellarsi a un potente, rifiuta il consiglio e, infine, stremato, si ritira nella sua stanza.




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